Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Intervista al Prof. Claudio Vercelli

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2009 21:15
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
02/06/2009 21:15

Il Prof Claudio Vercelli è uno dei più importanti storici contemporanei, autore di diversi studi sull'olocausto nazista e esperto di storia contemporanea.
Il contributo che ha dato nella ricostruzione dei fatti inerenti la persecuzione nazifascista dei Testimoni di Geova è davvero notevole e di straordinario interesse.
Il Prof Vercelli ha concesso un'intervista all'amministarzione del forum "Testimoni di Geova: Storia, Sociologia e Teologia", che riporteremo di seguito.


Roberto Carson - La prima domanda che le poniamo è: chi è Claudio Vercelli?

Claudio Vercelli - Sono, oltre ad un giornalista e a un pubblicista, un ricercatore di storia contemporanea presso l’Istituto di studi storici Salvemini di Torino. In tale veste mi occupo sia di ricerca che di didattica, ovvero studio, scrivo e insegno quell’ambito molto ampio, in sé interdisciplinare, che si chiama per l’appunto «storia dell’età contemporanea». Se cronologicamente questa inizia con le rivoluzioni borghesi, nella seconda metà del Settecento e con i fenomeni che da esse derivarono, a partire dallo sviluppo di società di massa e di Stati nazionali così come noi oggi li conosciamo (e dentro i quali viviamo), sul piano dei contenuti, ovvero dei fenomeni culturali, sociali, economici e politici, la contemporaneità ha a che fare con quella particolare condizione dell’uomo di oggi che si chiama «modernità». La modernità è un modo di essere delle persone che si origina dal fatto che lo sviluppo dei rapporti umani, degli scambi, delle comunicazioni ha fatto sì che donne e uomini si sentano sempre più spesso parte di una rete di legami molto estesa, non confinata ai soli luoghi dei quali fanno concreta esperienza. L’uomo moderno è «cittadino del mondo», come a volte si dice con un po’ di enfasi retorica, non perché conosce e visita tutti i luoghi del mondo ma perché in mente sua sa di fare parte di una realtà che va al di là di ciò che vede e che sperimenta ogni giorno. L’uomo è moderno perché sa che è parte di un sistema complesso, enorme, dove convivono comunità e società diverse ma accomunate dal fatto di avere maturato la consapevolezza di essere parte di un unico pianeta. Questo, nel passato, era precluso ai più, che vivevano solo quello che potevano vedere, pensando che l’unico orizzonte possibile fosse il loro, ovvero quella quotidianità fatta delle stesse cose, dei medesimi volti, delle solite abitudini.

Su cosa vertono le sue competenze primarie in qualità di storico?

Mi occupo in generale di tutti i fenomeni dell’età contemporanea, anche da un punto di vista sociologico ed economico. Fare storia nel senso di studiarla - e di farla studiare - implica uno sguardo a trecentosessanta gradi. La storia non è mai un mero discorso cronologico, basato sulle date, ma una riflessione che a partire dal presente cerca di comprendere il passato, e la sua importanza per ognuno di noi. La storia, oltre a ricostruire i fatti, cerca di dare ad essi un ordine di rilevanza, dicendoci quanto hanno contato sui successivi sviluppi delle comunità umane, fino ad arrivare ai giorni nostri. All’interno di questo sguardo generale si inserisce poi il più complesso discorso su quelli che sono gli specifici fenomeni della nostra epoca. Per quel che mi riguarda, oltre ad occuparmi dei cosiddetti «totalitarismi» (il nazismo, i fascismi e lo stalinismo), mi concentro sulla storia del Medio Oriente ed in particolare di quella dello Stato d’Israele, senza per questo escludere altri campi d’indagine.

Quali opere e quali contributi editoriali ha pubblicato fino ad ora?

A parte un gran numero di articoli e di saggi, che non sto ad elencare per non annoiare chi mi legge, mi permetto di segnalare alcuni libri, ossia Tanti Olocausti. La deportazione e l'internamento nei campi nazisti (La Giuntina editrice, Firenze 2005); Israele e Palestina: una terra per due (Ega editore, Torino 2005); Il conflitto israelo-palestinese tra passato e presente (Vercelli, 2006); Israele, Storia dello Stato, 1881-2008 (La Giuntina editrice, Firenze, 2008); Breve storia dello Stato d'Israele (Carocci, Roma 2008). Inoltre sono stato coautore di Un mondo al plurale. Corso di storia per il triennio (La Nuova Italia Editrice, Firenze 2009) un manuale in quattro volumi curato da Valerio Castronovo, e redatto per i licei e l’università. Attualmente sto scrivendo una storia del conflitto israelo-palestinese che pubblicherò il prossimo anno dalla casa editrice Laterza di Bari.

Da cosa nasce la sua passione per lo studio dell’olocausto
nazista?


È un evento centrale nella storia della modernità. Proprio perché rappresenta la negazione al diritto all’esistenza per milioni di persone, che divennero vittime di un sistema di oppressione prima e di assassinio sistematico poi, al di là della sua specificità storica ci interroga, nella sua radicalità, su come la barbarie possa a volte coesistere con lo sviluppo economico e sociale. Non si tratta di un qualcosa di repentinamente emerso dall’oscurità della preistoria ma di una creazione dell’uomo moderno, che ciò ci piaccia o meno riconoscerlo. Da ciò deriva il fatto che l’evoluzione umana non è mai al riparo da certe cadute nella tragedia collettiva. Non è un caso, peraltro, che l’idea e poi la prassi di sterminare civili indifesi maturino a cavallo tra due guerre mondiali, ipertecnologiche e “moderne”.

Perché si è interessato della persecuzione dei Testimoni di Geova?

Inizialmente per caso e per curiosità, poi per un interesse che è andato maturando passo dopo passo. Il caso, per così dire, è stato originato dall’avere incontrato chi ha sollecitato in me, forse del tutto involontariamente, l’attenzione verso una persecuzione che aveva pochi narratori, ovvero che non ha incontrato molto interesse e che fatica ancora oggi ad essere compresa. All’origine di ciò ci sono molte ragioni, non da ultima anche una certa difficoltà, tra i testimoni di Geova, che subirono quelle violenze, di raccontarle a chi non era parte della loro storia. La curiosità di ricercatore ha quindi alimentato lo sforzo di capire quanto era successo e, soprattutto, a chi era capitato ciò, in quanto essere umano. L’interesse professionale, infine, si è poi legato alla passione e si è strutturato in un percorso che ha prodotto dei ragionamenti di merito.

In sintesi, quali furono le cause che indussero i TdG ad essere brutalmente perseguitati dal regime Hitleriano?

Senz’altro le cause furono molteplici e non tutte attribuibili ad una sola, unica ragione. Il regime voleva che la congregazione tedesca degli «studenti biblici» si estinguesse, così come era o stava avvenendo per tutte le altre organizzazioni, religiose o non che fossero. In quanto sistema totalitario non poteva né voleva tollerare nulla che fuoriuscisse dalla sua sfera di diretto dominio. Un dominio che intendeva essere non solo politico ma anche morale. Dinanzi alla indisponibilità dei geoviti tedeschi, aggravata, agli occhi dei nazisti, dalla volontà a parte di questi ultimi di continuare nell’opera di predicazione e proselitismo, la risposta non si fece attendere, avviandosi quel processo persecutorio che avrebbe ben presto condotto una parte di essi nei lager. Per gli uomini di Hitler poi, un ulteriore elemento di diffidenza era costituito dall’idea che essi potessero costituire una sorta di emanazione di poteri stranieri, a partire dagli Stati Uniti, o addirittura una forma di copertura del «giudaismo mondiale», così come erano abituati a definire gli ebrei e l’ebraismo, del quale davano una rappresentazione caricaturale, per alimentare e forzare i sentimenti antisemiti tra la popolazione. Più in generale, i geoviti erano per i nazisti degli ariani “inaffidabili” poi divenuti “asociali” e quindi da trattare con la violenza e la forza. Il fatto che ancora tra il 1936 e il 1938 in Germania, sia pure clandestinamente, fosse fatta circolare la stampa congregazionista costituiva per i nazionalsocialisti una provocazione intollerabile. Il rifiuto poi dei maschi geoviti, in età di leva, di prestare servizio militare e di imbracciare il fucile era la dimostrazione, nell’ottica del regime, che l’anticonformismo di costoro costituiva una minaccia inaccettabile, minando le basi che attribuivano al loro potere, che volevano assoluto. C’era una guerra alle porte, d’altro canto, e non potevano tollerare nessuna voce difforme, di alcun tipo.

Ci furono altre realtà religiose che furono determinate come i TdG ad opporsi al regime?

Se per realtà religiose ci si riferisce a Chiese, a culti o, al limite, a Congregazioni, tutti intesi come strutture organizzate, che abbiano preso voce e si siano impegnati attivamente contro il nazismo, la risposta non può che essere negativa. Le religioni tacquero, da questo punto di vista. Mentre è senz’altro vero che esistette, a partire dalla stessa Germania, una sorta di «resistenza spirituale» costituita da alcuni membri delle singole fedi che, nel nome dei propri convincimenti, esercitarono una qualche forma di opposizione. In genere ciò avveniva sulla scorta non della appartenenza ad una realtà associativa, ancorché di natura religiosa, bensì sulla base dei propri convincimenti morali e spirituali che portavano alla scelta di adoperarsi in qualcosa che potesse testimoniare (e ribadisco con forza quest’ultima parola) la propria avversione verso ciò che il nazismo si rivelava essere. Alcuni circoli underground, ossia clandestini, costituiti da persone unite tra di loro da forti convincimenti etici, si adoperano in tale direzione. Uno dei più luminosi esempi fu quello della «Rosa bianca», un gruppo di studenti universitari cristiani che a Monaco di Baviera, tra il 1942 e il 1943, si impegnò nella lotta non violenta contro il nazismo. Furono tutti arrestati e assassinati dagli sgherri del regime. Non di meno vi furono anche alcuni esponenti del clero cattolico e di quello protestante che espressero riserve, se non nette opposizioni, su singole scelte del regime, ma ciò non equivalse ad un pronunciamento antinazista da parte delle loro confessioni. Diverso è il caso delle Chiese nei paesi occupati dai tedeschi a partire dal 1939, dopo il clero di base, quello operante tra la popolazione, in più di un caso si oppose subendo, come nel caso dei preti polacchi, una repressione durissima. In generale, comunque, gli “stati maggiori” delle grandi confessioni tacquero.

Di recente è stato pubblicato un libro nel quale l’autore sostiene la tesi che inizialmente i dirigenti della Watchtower tentarono disperatamente di fare compromesso con il leader nazista. E’ vero questo?

La polemica è vecchia e non ha nulla di inedito, ad onore del vero. Bisogna intendersi, senza ombra di equivoci, sgombrando il campo dai coni d’ombra. Nessuno sapeva bene, nel 1933, cosa sarebbe stato per davvero, fino in fondo, il nazismo. Paradossalmente, neanche gli stessi nazisti che, pur animati da una furia antisemita inequivocabile e da una volontà di rivalsa politica, oltre che dalla disposizione d’animo di fare ricorso sistematico alla violenza ogniqualvolta se ne presentasse il caso, ancora non avevano misurato verso quali abissi di degradazione fossero disposti a lanciarsi, passo dopo passo, come poi effettivamente avvenne. Il nazismo aveva in sé, fin dalla sua origine, tutti gli elementi ideologici propri ad una violenta politica di persecuzione antiebraica così come della soppressione di ogni istituzione democratica. Ma un conto era misurarsi con alcune intenzioni ed un conto vederne gli effetti, una volta che queste si fossero tradotte in concreti atteggiamenti, legittimati dalle amministrazioni pubbliche. In quel periodo cruciale che va dal 1933 al 1934, quando quel che restava della Repubblica di Weimar (il sistema politico precedente al nazismo) si inabissava sotto i colpi di maglio inferti dal nuovo regime, molti dei soggetti in campo cercavano di capire quanto stava avvenendo. È quindi plausibile che anche tra i dirigenti della Watchtower ci fosse chi avesse pensato di cogliere un qualche spazio d’azione, sia pure residuale, cercando di interloquire con i nuovi poteri. Interloquire non vuole dire “compromettersi” ma cercare di capire con chi si ha a che fare. Ciò che forse allora non si comprese fino in fondo è che il nazismo era totalitario perché costituiva un nuovo modo di essere non solo della politica ma anche della società. Vi fu ingenuità di fondo, nel convincimento espresso da certuni che il nuovo regime avrebbe lasciato un qualche spazio di libertà. Questa fu la “compromissione”, se si vuole usare tale parola, di chi cercò di preservare ciò che già più non esisteva, ovvero un ambito nel quale cercare di essere se stesso. Aggiungo che la Santa Sede il 20 luglio 1933 firmò con il regime hitleriano il «Reichskonkordat», il concordato tra regime e Chiesa. Dobbiamo da ciò desumere che i cattolici fossero divenuti tutti dei nazisti?

Tale accusa sopra menzionata da cosa nasce?

Le ipotesi possono essere le più diverse ma me ne viene in mente soprattutto una: la polemica di oggi contro la Congregazione dei testimoni di Geova. Si tratta, nel qual caso, di una di quelle manifestazione di ciò che tra gli storici si suole chiamare «uso pubblico della storia», la cui funzione non è di capire il passato, contestualizzandolo, ma di usarlo per delegittimare chi agisce nel presente. Il meccanismo ideologico è chiaro: se il gruppo dirigente della Watchtower ha cercato un compromesso è perché non era antinazista, così come poi avrebbe detto di sé. Da ciò ne deriverebbe che il rifiuto del nazismo non è per i testimoni di Geova un fatto di principio ma solo una scelta opportunistica (così come colei che si offre in sposa e viene rifiutata dallo spasimato parla poi male di lui a tutti) e così via. Ma si tratta di un meccanismo di banalizzazione di qualcosa di molto più complesso, che per essere compreso va riportato a quegli anni, molto difficili, ai limiti dell’impossibilità di esistenza per chi non si omologava al nuovo regime.

Cosa direbbe a quanti sostengono la tesi del 'compromesso'?

Che ogni valutazione di merito va ricondotta, così come devono fare gli storici, al contesto in cui le singole azioni si manifestano. E che le stesse azioni vanno attentamente soppesate, prima di essere giudicate. Lo dico a tutti, nessuno escluso, sia ben chiaro.

I TdG rinchiusi nei campi di sterminio, avevano qualche possibilità di aver salva la vita?

Sì, l’avevano anche perché venivano imprigionati nei Kz, i Konzentrationslager, ossia i «campi di concentramento» la cui funzione era strutturalmente diversa da quella dei Vernichtungslager, più propriamente i «campi di sterminio». Mentre in questi ultimi furono deportati ebrei e, in misura molto minore, alcuni elementi appartenenti alle razze cosiddette “inferiori”, ovvero quelle slave, ed in particolare pochi scaglioni di soldati russi catturati dall’esercito tedesco durante la sua avanzata in Urss, nei campi di concentramento, istituiti dal 1933 e sviluppatisi nel corso del tempo di numero, funzioni e quantità di prigionieri, furono raccolti quanti erano a vario titolo considerati «nemici del Reich». Nei campi di sterminio, se si fa eccezione per pochi internati, usati come strumenti nell’esecuzione delle pratiche che si accompagnavano allo sterminio, chi vi entrava veniva immediatamente soppresso, senza avere nessuna speranza di sopravvivere. In poche ore si era ridotti a cenere. Nei campi di concentramento, invece, i deportati erano spietatamente utilizzati per le più svariate mansioni, fino allo sfinimento e alla morte. I testimoni di Geova non erano perseguitati in quanto appartenenti ad una «razza inferiore» ma per la professione pubblica del loro credo, fatto che implicava la loro “inaffidabilità ideologica” non solo come cittadini tedeschi della «Nuova Germania» ma anche come esponenti di una razza, quella «ariana», che si fondava sulla totale adesione ai principi propagandati dal regime. Mentre la razza era per i nazisti un fatto immodificabile (chi nasceva ebreo rimaneva tale e non poteva sfuggire al suo destino, ossia la morte) i convincimenti potevano essere trasformati, ancorché a suon di bastonate e quant’altro. I metodi usati nei campi di concentramento potevano risultare molto “convincenti”, per usare un eufemismo. Per i testimoni di Geova trattenuti nei lager vi era la possibilità di fare atto ufficiale di abiura della propria fede, firmando un documento predisposto in tal senso. Nel qual caso ne sarebbe potuta derivare l’eventualità di una liberazione. Ma attenzione: gli aguzzini molto spesso chiedevano qualcosa di più di una semplice firma, domandando all’abiurante di fare i nomi dei propri correligionari (insomma, imponendo la delazione), che sarebbero stati così subito individuati ed arrestati. Non di meno, a chi veniva proposta la possibilità di “ricredersi” poteva capitare occasionalmente anche di sentirsi dire che da quel momento avrebbe dovuto farsi una reputazione da «buon cittadino tedesco», diventando attivo sostenitore del nazismo, per manifestare la “buona fede” della propria scelta e la mancanza di secondi fini. Insomma, se era atroce dovere restare in lager impossibile era l’uscirne senza lasciare conti in sospeso con se stessi.

Cosa possiamo imparare noi oggi dal martirio e dalla resistenza dei TdG?

Per un non credente come me rimane il lascito della resistenza, più che del martirio. La resistenza è la vocazione, insopprimibile, che gli individui esprimono quando non intendono farsi omologare da un potere e da un pensiero totalitario il cui obiettivo ultimo è di colonizzare ogni elemento della loro vita, del loro pensiero, delle loro azioni soggettive, in ultimo della loro coscienza. Poiché il totalitarismo punta a quest’ultimo aspetto, ovvero la coscienza individuale che è quanto di più prezioso ognuno di noi può avere poiché contiene il deposito della vita. E il nazismo andava a braccetto con la morte, come ha purtroppo saputo ben dimostrare.

Ringraziamo cordialmente il Prof Vercelli per il tempo concessoci.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:35. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com