Buonasera a te,
(SimonLeBon), 01/07/2009 14.00:
Grazie del "caro" e beato te che ti accontenti di queste "certezze".
Effettivamente non è un presente in senso stretto, è un participio presente, che normalmente indica contemporaneità, secondo la mia grammatica, non continuità.
Se guardi a Girolamo trovi "Filius qui est in sinu Patris" esattamente come si potrebbe tradurre anche in italiano, senza ricorrere a scomodi, oltre che poco eleganti, participi presenti.
"che è essente" non implica in italiano e, per quanto ne so io, nemmeno in greco, alcun tipo di continuità ma solo la contemporaneità.
Puoi citarmi un secondo esempio di continuità certa nel NT?
ortodox:
Caro Simon, dipende da che grammatica usi. Hai provato con una del greco del Nuovo Testamento? Il latino di Girolamo, infatti, è simile all'italiano (che da esso, guarda caso, deriva) per "povertà" di espressività nei verbi. Difatti neanche il latino riesce a cogliere la sottigliezza del greco. Ma a chiunque abbia studiato un minimo di grammatica greca non può sfuggire il collegamento di questo verso con Esodo 3,14 - LXX. Dio è! Punto! Non nel nostro "presente" (presente indicativo) ma nel suo "presente" (participio) che è il "sempre" dell'eternità. Probabilmente Giovanni aveva in mente questo versetto quando ha deciso di usare quel verbo.
Effettivamente mi riferivo a grammatiche di greco del NT. Le due che ho consultato dicono entrambe, in sintesi, che "the present participle usually indicates that the action signified by the participle is contemporary with the time of the main verb of the sentence, whether that time is past, present or future".
Non vedo nè intravvedo l'idea di continuità che gli vorresti dare tu.
Ad ogni modo se mi indichi alcune ricorrenze piu' evidenti dell'uso che tu stai ipotizzando, potro' andare a verificare.
SimonLeBon:
Non mi risultata proprio chiaro. Per intanto lo scrittore Giovanni era di fede e mentalità ebraica, quindi non ortodosso, e come tale non amava filosofare.
ortodox:
Che gli ebrei non amassero filosofare è cosa che mi giunge nuova. Può darsi che Giovanni non amasse filosofare, eppure ha utilizzato una marea di termini e di tratti stilistici ripresi dalla filosofia greca nel suo Prologo. E comunque, come già ti ho detto, il riferimento rimanda all'AT.
Non vedo come conciliare le due cose. Dunque quali termini filosofici utilizzo' Giovanni, a parte il "logos" del prologo.
SimonLeBon:
Il riferimento a Mosé é, a mio parere e anche per questo motivo, molto evidente. Mosé chiese il privilegio di vedere Dio e gli fu negato, ma nonostante questo fece da tramite tra Dio e gli uomini. Giovanni ne conferma l'impossibilità, in alcun modo scalfitta da Gesu', che nonostante questo fece anche lui da tramite tra Dio e gli uomini.
Dio si rese manifesto in entrambi i profeti. Discorsi ontologici, avviati a posteriori, mi sembrano decisamente estranei sia alla mentalità dello scrittore che alle intenzioni del testo.
Almeno in questo caso.
Ortodox:
Non a caso esce fuori Mosè! Ma Mosè era solo la prefigurazione di Cristo, il tramite simbolico di quello che Gesù sarebbe stato realmente. Anche questo è un tema carissimo agli ortodossi. I discorsi ontologici non sono avviati a posteriori ma sono già nel Prologo. I verbi greci utilizzati da Giovanni rimandano alle tipiche definizioni dell'ontologia greca. Come del resto lo stesso concetto di Logos. Contenuti nuovi, termini nuovi (rispetto all'ebraismo) e del resto il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi.
Saluti
ortodox
Beh, come detto, o si rifaceva all'AT oppure alla filosofia greca classica. Mi parrebbe davvero paradossale sostenere che anche l'AT si rifacesse anch'esso alla filosofia greca.
Ma per non divagare, mi sembra un po' esagerato imperniare la propria lettura attorno alle forme del "semplice" verbo essere.
Il "vino nuovo", nel caso ci fosse, richiederebbe una spiegazione nuova e dettagliata. Quel che tu ipotizzi è una rivoluzione copernicana rispetto alla mentalità ebraica tradizionale e anche rispetto all'AT stesso.
Questa spiegazione manca in toto nella Scrittura.
Simon