Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

STORIA DEGLI ERETICI

Ultimo Aggiornamento: 12/11/2009 19:41
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 51
Città: FIRENZE
Età: 57
Sesso: Femminile
22/10/2009 17:58

VITA E PENSIERO DEGLI ERETICI
DAL MEDIO EVO ALLA RIFORMA

CLAUDIO DI TORINO


All’adorazione delle immagini sacre (iconolatria) si era già opposto l’imperatore di Bisanzio Leone III nel 726, che aveva ordinato la distruzione di tutte le immagini sacre nell’impero bizantino (iconoclastia), impero che comprendeva anche vasti territori italiani, fra cui il Ducato di Roma. Il decreto fu accolto nel nostro paese da violente rivolte anti-bizantine, appoggiate dal papa Gregorio II.
Nel 750 Pipino il Breve, l’usurpatore del trono di Francia, discese in Italia chiamato dal papa Stefano II per far guerra ai cattolici Longobardi. Questi infatti, credendo di far cosa giusta nel combattere i bizantini iconoclasti, si erano spinti fino al ducato di Roma. Pipino respinse i Longobardi e affidò la città e i suoi dintorni al papa stesso invece che restituirli ai Bizantini. La ragione fu che il Papa Stefano II (752-757) e suo fratello, che diverrà il suo successore con il nome di Paolo I (757-767), avevano inventato e presentato ai francesi uno dei più grossi falsi della storia: la donazione di Costantino. Secondo questo documento contraffatto, Costantino, guarito da una grave malattia in modo miracoloso da papa Silvestro, avrebbe donato al Papato Roma e i territori occidentali dell’impero romano, stabilendo la capitale dell’impero a Costantinopoli. Paolo I sarà fatto santo.
L’obbligo di adorare la croce, le immagini e le reliquie fu ribadito al secondo Concilio di Nicea, convocato nel 788 su richiesta del papa Adriano I per restaurare l’idolatria nella Cristianità e presieduto dall’imperatrice Irene di Costantinopoli, che, per conservare il trono, aveva fatto prima cavare gli occhi e poi uccidere il proprio figlio Costantino VI.
Tuttavia al Concilio di Francoforte del 794, voluto da Carlo Magno, ben trecento vescovi presero posizione contro l’adorazione delle immagini.
Il successore di Carlo Magno, suo figlio Ludovico il Pio (814-840), davanti agli scandali della corte di Roma, impose nell’824 la Constitutio romana, che prevedeva un controllo imperiale sull’elezione pontificia: la consacrazione di un Papa era valida solo se prima aveva giurato fedeltà all’imperatore. L’impero carolingio rimise così in auge le antiche tradizioni cesaropapiste degli imperatori romani da Costantino in poi: all’imperatore, come rappresentante di Dio sulla terra, venivano riconosciute prerogative particolari in questioni ecclesiastiche disciplinari, nella convocazione dei Concili, nell’elezione dei vescovi ecc.
Claudio, di origine spagnola, fu nominato vescovo di Torino nell’817 proprio da Ludovico il Pio. Il suo vescovado comprendeva il Piemonte, la Provenza e il Delfinato. Fu un accanito studioso delle Sacre Scritture. Sostenne la giustificazione per fede, condannò le preghiere per i defunti e volle liberare le chiese non solo dall’adorazione delle immagini ma anche da quella della croce. Diceva che Dio insegnava a portare la croce in senso spirituale e non nelle processioni. “Se si adora la croce” - spiegava- “perché non adorare anche la stalla, la mangiatoia, le lenzuola, la lancia, la corona di spine ecc?”.
Insegnò che esiste un solo capo della Chiesa, il Signore Gesù Cristo, che Pietro non ebbe alcuna superiorità sugli altri Apostoli e che la Cena del Signore era semplicemente una commemorazione e non una ripetizione della morte di Cristo.
Claudio, accusato dal clero di insegnare eresie, scrisse di sé: “ Non fa meraviglia che i membri di Satana parlino di me in tal modo”. Morì nell’839.


ARNALDO DI ORLEANS

Nel giugno 991 si tenne un Concilio nel monastero di S.Basile, vicino a Reims. Era stato promosso da Arnaldo, vescovo di Orléans, che si era posto a capo dei vescovi francesi per opporsi alle empietà del Papato. Arnaldo si alzò e disse del Papa: “ Chi è quell’uomo seduto sul suo trono risplendente nel suo abbigliamento di porpora e d’oro? Se l’amore gli fa difetto e se è gonfiato e sostenuto solo dalla conoscenza, egli è l’Anticristo che si siede nel tempio di Dio, volendo far credere che egli è Dio”.


BERENGARIO DI TOURS

Berengario di Tours (c. 998-1088) fu canonico della cattedrale di Tours e poi arcidiacono di Angers. A quel tempo la Chiesa di Roma rese obbligatoria la frequenza alla messa, intesa come ripetizione del sacrificio di Cristo, secondo una credenza che si era sviluppata gradualmente dal IV secolo. Berengario invece spiegò che il pane e il vino dell’eucaristia erano solo simboli del corpo e del sangue di Cristo, negando la transustanziazione. Diceva che il Nuovo Testamento insegna che il sacrificio di Cristo fu offerto un’unica volta sulla croce e che perciò non può essere ripetuto, ma solo commemorato nella Santa Cena. Chiamò la Chiesa di Roma “vanitatis concilium et ecclesiam malignantium, non apostolicam sed sedem Satanae”. Nel 1215 invece papa Innocenzo III farà della transustanziazione un dogma di fede.
A quel tempo Ildebrando di Soana, cioè Gregorio VII, papa dal 1073 al 1085, sentì l’esigenza generale di un cambiamento nella Chiesa a causa delle degenerazioni materialistiche del clero. Intese di riformare la Chiesa attuando un progetto politico: la sua emancipazione dal cesaropapismo e dal potere degli imperatori. Affermò così la supremazia della Chiesa sull’Impero, vietando l’investitura degli ecclesiastici da parte dell’imperatore. Nel 1079 impose il celibato ai preti per vedere se si correggevano. Il Vangelo però insegna che i ministri di Dio possono avere moglie e figli. San Pietro era ammogliato, San Paolo prescrisse che i vescovi dovessero avere famiglia.
Di questo Papa si diceva: “ Il rabbioso Satana si è scatenato: che la mano potente di Dio voglia distruggerlo! “.


I PETROBRUSIANI

Pietro de Bruys era un prete originario della Val Luisa, una di quelle che saranno poi le valli valdesi del versante francese. Predicò tra il 1105 e il 1126. Diceva: “Coloro che dovrebbero essere i vicari degli apostoli e i figli di Pietro sono divenuti i compagni di Giuda e i precursori dell’Anticristo e preamboli anticristi. Il sale della terra si è reso insipido e la luce del mondo si è tramutata in tenebre. Oggi la compagnia dei preti è la rovina dei popoli”. Fu avversato da Pietro il Venerabile, abate benedettino di Cluny (c. 1092 - 1156), rimasto tristemente famoso per i suoi accesi sermoni contro gli ebrei.
Pietro de Bruys fu il fondatore dei Petrobrusiani, che anticiparono la Riforma sotto molti aspetti: ripudiavano la tradizione ed ammettevano la sola autorità della Bibbia. Erano anabattisti ante litteram perché riconoscevano come valido solo il battesimo degli adulti e ribattezzavano tutti coloro che lo erano stati nell’infanzia. Negavano la transustanziazione e quindi rifiutavano la Messa. Condannavano il culto delle immagini e la necessità di edifici sacri. Ciò che li rese più famigerati tra il popolino fu il loro rifiuto di adorare la croce. Nel 1126, per tale motivo, Pietro de Bruys fu arrestato e a furor di popolo arso vivo su una croce di fuoco a Gilles in Linguadoca.


GLI ENRICIANI

Enrico di Losanna, detto l’Italico, era un ex monaco, fuggito dal convento tra la fine del XI e l’inizio del XII secolo, che si mise a predicare addirittura su licenza dell’Arcivescovo. Conobbe Pietro de Bruys, ne condivise il pensiero e, dopo il suo martirio, ne continuò l’opera. Enrico godette fama di grande sapere e di santità di vita e con la sua eloquenza commosse la Francia, da Tolosa al Reno. Fu chiamato anche “Enrico di Tolosa”. Nel 1135 fu arrestato dall’Arcivescovo di Arles e condotto davanti al Sinodo di Pisa, che però si rifiutò di condannarlo. Fu quindi portato al cospetto di Bernardo di Chiaravalle perché si ravvedesse e tornasse all’ortodossia. Enrico non stette ad ascoltarlo e lo salutò subito dicendogli che doveva andare a proseguire la propria opera di predicazione. Bernardo ci rimase male e si vendicò scrivendo contro di lui libelli pieni di innumerevoli calunnie e accuse, tra le quali quella assurda di peregrinare da un luogo all’altro secondo il costume apostolico. Enrico morì dopo un decennio di intensa attività evangelica nel 1148. I suoi discepoli furono chiamati Enriciani e fecero di Colonia il loro quartier generale. Sono considerati i precursori dei Valdesi.


I PATARINI


Poco dopo il mille, in seguito alla predicazione del diacono Arialdo contro il concubinato e la simonia del clero, erano comparsi a Milano i Patarini, che avevano formato un movimento pauperistico osteggiato dall’arcivescovo della città, che era oggetto delle loro critiche perché non sottomesso alla Curia romana. I difensori dell’autonomia dell’arcivescovo dalla curia di Roma li avevano chiamati in senso dispregiativo Patarini: la Pataria era un quartiere di Milano dove c’era una specie di mercato delle pulci e quindi dire Patarini equivaleva a dire straccivendoli. Erano semplici lavoratori, di umile condizione, che condannavano il lusso e la corruzione del clero e cercavano di mettere in pratica i dettami del Vangelo. Vivevano in comunità, si astenevano dai cibi carnei, facevano voto di castità e, se ammogliati, dicevano che a letto trattavano la moglie come una sorella. Quando dal 1073 al 1085 fu papa Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII, questo sentì l’esigenza generale di un cambiamento nella Chiesa a causa delle degenerazioni materialistiche del clero. Intese di attuare una riforma della Chiesa secondo un progetto politico: la sua emancipazione dal cesaropapismo e dal potere degli imperatori, che la corrompevano. Affermò così la supremazia della Chiesa sull’Impero, vietando l’investitura degli ecclesiastici da parte dell’imperatore.
Nel 1079 impose il celibato ai preti per vedere se si correggevano. Il Vangelo però aveva insegnato che i ministri di Dio possono avere moglie e figli. San Pietro era ammogliato, San Paolo prescrisse che i vescovi dovessero avere famiglia. La decisione papale non incontrò il favore di molti preti. Di questo Papa si diceva: “ Il rabbioso Satana si è scatenato: che la mano potente di Dio voglia distruggerlo! “.
La Curia milanese era in particolare disobbediente a Roma. A Milano infatti molti preti erano sposati o vivevano more uxorio.
Allora il papa spinse i casti Patarini a sollevare il popolo contro i preti coniugati e i vescovi che li tolleravano. Il celibato, se non era stato ottenuto con le buone, lo fu con le cattive. In questo modo però il popolo poté eleggere i suoi vescovi ed emanciparsi dai vincoli feudali.
Molti Patarini furono in seguito convinti dall’eloquenza di Arnaldo da Brescia, secondo cui i beni ecclesiastici sarebbero dovuti tornare nelle mani dei principi e i sudditi delle signorie ecclesiastiche avrebbero dovuto ribellarsi contro i padroni. A Brescia, per tale motivo, il vescovo fu spogliato delle sue ricchezze e cacciato da una sommossa.
Con la decretale Ad abolendam (1183) Lucio III condannò coloro che predicavano senza il permesso del vescovo o del clero, anche se propagandavano la dottrina cattolica più ortodossa. D’accordo con Federico Barbarossa, stabilì in ogni diocesi l’istituzione di un tribunale per individuare e colpire le persone sospette di eresia. Fu la prova generale dell’Inquisizione.
Al Concilio di Verona del 1184 lo stesso Lucio III scomunicò i Patarini insieme ai Catari, ai Valdesi e ai Poveri Lombardi. In seguito a ciò il movimento patarino si sciolse: alcuni passarono fra le fila dei Valdesi, altri fra quelle dei Catari.

I BOGOMILI


L’antica idea dualista dei Manichei, creata in Mesopotamia da Mani nel III secolo d.C., si perpetuò segretamente fino al VII secolo d.C., quando riemerse tra i Pauriciani, che dall’Armenia, dove come eretici non erano tollerati, passarono in Anatolia. Espulsi anche da qui raggiunsero la Bulgaria. Ivi, sotto la guida di un certo Bogomil, che in bulgaro significa “amico di Dio”, presero il nome di Bogomili e la loro dottrina di Bogomilismo.
Per prima cosa negarono l’incarnazione di Cristo e il Riscatto. La morte di Gesù sulla croce non aveva potere salvifico: bastava solo un rigoroso ascetismo per sconfiggere il Male. Rifiutavano i sacramenti, le preghiere e il culto della croce, della Vergine, delle immagini e dei Santi. Negavano l’autorità del papa. L’unica preghiera ammessa era il “Padre Nostro”, dove però il pane quotidiano era solo il cibo spirituale e non quello materiale.
I Bogomili migrarono dai Balcani in Italia e quindi in Aquitania nel 1022. Il Bogomilismo restò ampiamente diffuso in Dalmazia e in Albania. Dal Bogomilismo derivò il Catarismo.


I CATARI


I Catari, cioè i puri (dal greco kataros, puro), ricevettero in Francia il nome di Albigesi perché ebbero ad Albi in Provenza la loro sede più importante. Erano dualisti: per loro il mondo materiale era stato creato da Jehovah, il Dio malvagio dell’Antico Testamento, per cui tutto il Male starebbe nella materia. Il Bene invece nasce dal Dio buono del Nuovo Testamento, Gesù Cristo, Padre delle creature spirituali. Si trattava per loro di due divinità nettamente distinte e per tale motivo erano antitrinitari. L’età precristiana la chiamavano “l’età dell’ignoranza” e quella cristiana “l’età della conoscenza”, rivelata da Gesù Cristo agli uomini.
La natura stessa di Gesù Cristo era per essi puramente spirituale, nonostante avesse avuto apparenza umana, e perciò non poteva né soffrire né morire in croce. Sulla croce era morto un altro. Il loro ministro Bonafos insegnava che “sulla croce Cristo era stato rappresentato da un ladrone, colpevole quanto gli altri due che gli stavano a fianco. E per questo non c’è in quel supplizio niente di rivoltante, perché quello che rappresentava Gesù pagava per i suoi errori personali”. La salvezza dunque non starebbe nel Riscatto della croce, che non ci sarebbe stato, ma nel mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù Cristo, che aveva spiegato come liberarsi dalla tirannia del corpo per tornare ad essere puri spiriti.
Ripudiavano la messa, le intercessioni per i morti, la confessione auricolare e il culto dei santi. Negavano l’eucaristia perché Cristo era solo spirito e non poteva materializzarsi nell’ostia, che è materia e quindi una creazione dello Spirito del Male. Praticavano però la fractio panis.
Nel mondo materiale, nel quale viviamo, non ci sarebbe nulla di buono. Per tale motivo i Catari erano casti e rifiutavano il matrimonio e la procreazione, poiché la riproduzione non era altro per loro che l’imprigionamento di un’anima eterna e spirituale in un corpo materiale. I Catari erano animisti come gli Induisti, i Buddisti e gli Scintoisti. Per loro ogni corpo, anche animale, ospitava un’anima. Erano perciò vegetariani e rifiutavano ogni cibo di origine animale, compreso il latte e le uova. Ogni tanto facevano dei digiuni.
Si dividevano in Perfetti e Credenti. Questi ultimi non erano tenuti a far pubblica professione di fede né dovevano osservare le rigorose pratiche dei Perfetti. La castità, ad esempio, era obbligatoria solo per i Perfetti, cioè per il clero militante. I Credenti, se non ce la facevano a resistere, potevano avere rapporti sessuali purché non si sposassero e non procreassero. I Credenti però erano indispensabili per il mantenimento dei Perfetti, i quali erano venerati in quanto avevano ricevuto il consolamentum, la redenzione dalla materia ottenuta dopo due anni di dure prove. Avevano una gerarchia complicata: erano suddivisi in Chiese federate, ognuna delle quali aveva a capo un vescovo, alle cui dipendenze c’erano dei diaconi, che viaggiavano di regione in regione per predicare e per presiedere alle riunioni religiose.
Il divieto di uccidere per qualsiasi motivo valeva per i Perfetti anche in caso di legittima difesa. Perciò erano costretti a servirsi di guardie del corpo.
Credevano nella trasmigrazione delle anime e vestivano di nero perché portavano il lutto alla propria anima condannata all’inferno di questa vita terrena.
La via della salvezza consisteva, come per tutti i dualisti, nel liberarsi dalle spire della materia durante numerose reincarnazioni fino alla riunione completa con la divinità della Luce. Per tale motivo, come i Druidi, alcuni Perfetti si lasciavano morire di fame o di freddo per bruciare le tappe della vita terrena. Lo stesso era accaduto in India con il Giainismo. Il loro distacco dal mondo materiale prevedeva la rinuncia ad ogni possedimento e a ogni forma di ricchezza. Benché non stimassero il lavoro manuale, tuttavia eccelsero come agricoltori e artigiani e la Provenza dovette in gran parte a loro la propria eccezionale prosperità.
Poiché la Chiesa di Roma aveva accettato ricchezze e potere, i Catari ritenevano che si fosse schierata dalla parte del Male e quindi aveva perduto ogni autorevolezza in materia di purificazione delle anime.
Tea.
[Modificato da Roberto Carson 12/11/2009 19:41]
OFFLINE
Post: 51
Città: FIRENZE
Età: 57
Sesso: Femminile
07/11/2009 17:49

I CATARI


I Catari, cioè i puri (dal greco kataros, puro), ricevettero in Francia il nome di Albigesi perché ebbero ad Albi in Provenza la loro sede più importante. Erano dualisti: per loro il mondo materiale era stato creato da Jehovah, il Dio malvagio dell’Antico Testamento, per cui tutto il Male starebbe nella materia. Il Bene invece nasce dal Dio buono del Nuovo Testamento, Gesù Cristo, Padre delle creature spirituali. Si trattava per loro di due divinità nettamente distinte e per tale motivo erano antitrinitari. L’età precristiana la chiamavano “l’età dell’ignoranza” e quella cristiana “l’età della conoscenza”, rivelata da Gesù Cristo agli uomini.
La natura stessa di Gesù Cristo era per essi puramente spirituale, nonostante avesse avuto apparenza umana, e perciò non poteva né soffrire né morire in croce. Sulla croce era morto un altro. Il loro ministro Bonafos insegnava che “sulla croce Cristo era stato rappresentato da un ladrone, colpevole quanto gli altri due che gli stavano a fianco. E per questo non c’è in quel supplizio niente di rivoltante, perché quello che rappresentava Gesù pagava per i suoi errori personali”. La salvezza dunque non starebbe nel Riscatto della croce, che non ci sarebbe stato, ma nel mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù Cristo, che aveva spiegato come liberarsi dalla tirannia del corpo per tornare ad essere puri spiriti.
Ripudiavano la messa, le intercessioni per i morti, la confessione auricolare e il culto dei santi. Negavano l’eucaristia perché Cristo era solo spirito e non poteva materializzarsi nell’ostia, che è materia e quindi una creazione dello Spirito del Male. Praticavano però la fractio panis.
Nel mondo materiale, nel quale viviamo, non ci sarebbe nulla di buono. Per tale motivo i Catari erano casti e rifiutavano il matrimonio e la procreazione, poiché la riproduzione non era altro per loro che l’imprigionamento di un’anima eterna e spirituale in un corpo materiale. I Catari erano animisti come gli Induisti, i Buddisti e gli Scintoisti. Per loro ogni corpo, anche animale, ospitava un’anima. Erano perciò vegetariani e rifiutavano ogni cibo di origine animale, compreso il latte e le uova. Ogni tanto facevano dei digiuni.
Si dividevano in Perfetti e Credenti. Questi ultimi non erano tenuti a far pubblica professione di fede né dovevano osservare le rigorose pratiche dei Perfetti. La castità, ad esempio, era obbligatoria solo per i Perfetti, cioè per il clero militante. I Credenti, se non ce la facevano a resistere, potevano avere rapporti sessuali purché non si sposassero e non procreassero. I Credenti però erano indispensabili per il mantenimento dei Perfetti, i quali erano venerati in quanto avevano ricevuto il consolamentum, la redenzione dalla materia ottenuta dopo due anni di dure prove. Avevano una gerarchia complicata: erano suddivisi in Chiese federate, ognuna delle quali aveva a capo un vescovo, alle cui dipendenze c’erano dei diaconi, che viaggiavano di regione in regione per predicare e per presiedere alle riunioni religiose.
Il divieto di uccidere per qualsiasi motivo valeva per i Perfetti anche in caso di legittima difesa. Perciò erano costretti a servirsi di guardie del corpo.
Credevano nella trasmigrazione delle anime e vestivano di nero perché portavano il lutto alla propria anima condannata all’inferno di questa vita terrena.
La via della salvezza consisteva, come per tutti i dualisti, nel liberarsi dalle spire della materia durante numerose reincarnazioni fino alla riunione completa con la divinità della Luce. Per tale motivo, come i Druidi, alcuni Perfetti si lasciavano morire di fame o di freddo per bruciare le tappe della vita terrena. Lo stesso era accaduto in India con il Giainismo. Il loro distacco dal mondo materiale prevedeva la rinuncia ad ogni possedimento e a ogni forma di ricchezza. Benché non stimassero il lavoro manuale, tuttavia eccelsero come agricoltori e artigiani e la Provenza dovette in gran parte a loro la propria eccezionale prosperità.
Poiché la Chiesa di Roma aveva accettato ricchezze e potere, i Catari ritenevano che si fosse schierata dalla parte del Male e quindi aveva perduto ogni autorevolezza in materia di purificazione delle anime.
Gli Albigesi, eretici schierati contro Roma, ottennero la protezione del Conte Raimondo VI di Tolosa e di molti altri nobili della Linguadoca, che facevano leva sull’eresia catara per rafforzare la loro autonomia dal re di Francia. Ma nel 1148, al Concilio di Reims, i nobili della Guascogna e della Provenza che avevano protetto gli eretici furono scomunicati.
Nel 1163, al Concilio di Tours, fu emesso un editto nel quale si ordinava di imprigionare gli Albigesi e di confiscare i loro beni e di usare la forza contro gli eretici.
Dal 1181 al 1182 fu inviato un esercito crociato contro gli eretici in Linguadoca, con scarsi risultati.
Innocenzo III pensò di combattere l’eresia con un movimento simile a quello cataro ma ben piantato nell’ortodossia romana. Incaricò di questo compito l’Ordine dei Cistercensi, di cui il frate francese Bernardo di Chiaravalle (1091 – 1153) era il primo abate nel monastero di Clairvaux. I Cistercensi erano adatti perché predicavano l’ascetismo e l’estasi. Per questo motivo Bernardo di Chiaravalle prima di morire riconobbe “che non vi era nulla di più cristiano di questi eretici”. Nella lotta ai Catari si distinse Arnaldo di Citeaux, il superiore dell’Ordine, detto “l’abate degli abati”. Ma i Cistercensi fallirono nell’impresa e allora Innocenzo III cercò un antagonista più aggressivo. Lo trovò in Domenico di Guzman (1175-1221), fondatore dei Domenicani, che nel 1206 lo inviò a predicare agli Albigesi, ma che fu da loro respinto. Anzi gli fu detto che la Chiesa di Roma, che lui rappresentava, era la Babilonia dell’Apocalisse.
Iniziarono in quegli anni numerosi e vivaci dibattiti sulla pubblica piazza anche tra Catari e Valdesi, che cominciavano allora ad affermarsi.
Nel 1207 il legato pontificio Pietro di Castelnau fu inviato dal Papa al Conte Raimondo VI di Tolosa per convincerlo ad abbandonare i Catari, di cui seguiva le idee, e di opporsi a loro perseguitandoli. Per tutta risposta il 15 gennaio 1208 un sicario del Conte lo assassinò. Innocenzo III reagì ordinando una crociata composta da ventimila cavalieri e da duecentomila fanti. A capo della spedizione fu posto Simone di Montfort, detto “l’atleta di Dio”.
A suo fianco c’era il legato pontificio Arnoldo, rimasto famoso per aver ordinato lo sterminio indiscriminato dei ventimila catari di Beziers. A chi prima dell’attacco gli fece notare che tra loro c’erano fedeli cattolici rispose: “Ammazzateli tutti. A riconoscere i suoi ci penserà il Signore.”
La guerra fu una lotta tra il re di Francia Filippo Augusto e i Conti di Tolosa. Alla fine della crociata le vittime non si contarono. I nobili che avevano combattuto a fianco degli Albigesi vennero spogliati delle loro terre, che andarono ad arricchire la corona di Francia: la Provenza venne inglobata nel regno.
Al IV Concilio Lateranense del 1215 papa Innocenzo III creò il Tribunale dell’Inquisizione affidandolo ai vescovi. Le repressioni si intensificarono. Domenico di Guzman fu chiamato “Malleus Haereticorum” perché volle che si punisse col rogo non solo gli Albigesi adulti ma anche i loro bambini qualora avessero compiuto i sette anni di età.
Molti catari, piuttosto che rinnegare la propria fede, abbandonarono la Francia, disperdendosi per l’Europa. Terminata la crociata militare, nel 1229 Gregorio IX fece dell’Inquisizione un’istituzione direttamente dipendente dal Papa, ma solo dal 1231, dopo l’approvazione di Federico II, fece accendere i roghi in tutti i paesi dell’Impero. Federico II e Manfredi, che non erano certo settari, approvarono la persecuzione degli eretici per delitto di lesa maestà temendo che fossero dei potenziali sovvertitori dell’ordine costituito.
Nel 1236 Gregorio IX affidò l’Inquisizione ai Domenicani. Nel 1246 Innocenzo IV ne estese la competenza ai Francescani.
Intorno al 1250 il nome “Albigesi” sparì definitivamente dalla Francia. Comparve però in Italia, dove molti di loro si rifugiarono.
La crociata contro gli Albigesi spinse anche i Trovatori a fuggire in Italia. I Signori del sud della Francia, che si erano trovati coinvolti nella lotta contro questa eresia, furono in gran parte uccisi, persero i loro domini e le loro Corti furono disperse. I Trovatori, la cui poesia e le cui canzoni erano fiorite in Provenza, trovarono rifugio in Italia, specialmente alla Corte di Federico II. Questi cantori, che usavano in Francia la lingua del volgo (volgare), insegnarono alla Corte di Federico II a fare altrettanto servendosi di un siciliano raffinato. Lo stesso Federico II componeva versi in lingua volgare, ma più di ogni altro il figlio Enzo. Quando questi fu fatto prigioniero dai bolognesi compose nella lingua parlata dal popolo delle poesie malinconiche per esprimere la tristezza causata in lui dal carcere in cui era venuto a trovarsi. Questi versi piacquero al bolognese Guido Guinizelli e lo ispirarono a comporre la canzone “A cor gentil repara sempre amore”, che divenne il manifesto dello Stil Novo.
Ma torniamo ai Catari rifugiati in Italia. Un loro covo fu la cittadella arroccata di Sirmione, sul lago di Garda, dove furono benevolmente accolti dal vescovo Lorenzo. Una spedizione militare guidata da Alberto Della Scala, appartenente alla nota famiglia veronese, assediò e sconfisse i Catari di Sirmione. Li catturò e li fece bruciare vivi nell’arena di Verona il 13 febbraio 1278.
Perfino negli Stati della Chiesa quei Catari erano andati a insediarsi. Intervenne l’Inquisizione per fare piazza pulita. Per esempio, nel circondario di Orvieto fu dato ordine di abbattere tutte le torri e i castelli dove avevano trovato ospitalità.

GLI ARNALDISTI


Arnaldo nacque a Brescia intorno al 1090. Quando nella sua città era un giovane monaco agostiniano brillò talmente negli studi che i suoi superiori lo mandarono a Parigi alla scuola di Pietro Abelardo (1079-1142), il grande pensatore e razionalista, promotore del Concettualismo, che negli argomenti religiosi poneva la ragione al di sopra dell’autorità della tradizione. Pietro Abelardo aveva scritto un libro intitolato “Sic et non”, in cui aveva messo in luce le contraddizioni presenti nel pensiero dei Padri della Chiesa, aprendo la via alla critica dei testi patristici. Fu avversato da Bernardo di Chiaravalle in un dibattito decisivo al Concilio di Sens del 1141. Entrambi videro chiaramente dove sarebbe andato a parare questo conflitto di principi. Se fosse prevalso quello di Bernardo, l’autorità della tradizione sarebbe stata l’unica guida della coscienza del cristiano e perfino l’appellarsi a fatti storici sarebbe stato tradimento ed eresia. Se fosse prevalso quello di Abelardo, i cristiani avrebbero raggiunto una visione modernista, sviluppando dottrine del tutto incompatibili con l’autorità della tradizione. Questo fu l’inizio della lotta fra Ultramontanismo e Modernismo. Abelardo fu dichiarato eretico e ridotto al silenzio in un monastero.
Buona parte delle sue idee devono avere profondamente influenzato Arnaldo. Ma mentre Abelardo era un filosofo, Arnaldo era un predicatore e un politico. Baronio infatti lo chiamò “il padre delle eresie politiche”. Sosteneva che la proprietà delle terre non spettasse alla Chiesa ma allo Stato, a servizio della società intera. Con ciò non usciva dall’ortodossia, perché si basava su un canone del papa Pasquale I (817-824), caduto nell’oblio. Arnaldo, profondamente colpito dalla corruzione della Chiesa, si oppose alla mondanità del clero e predicò l’ideale apostolico per un rinnovamento della Chiesa stessa, che la riportasse alla santità e alla purezza delle origini. Dichiarò che la Chiesa non avrebbe dovuto avere possedimenti ma vivere di lavoro e di offerte volontarie, perché chiamata allo spirito e non alla carne. Diceva: “Non deve il popolo avere i sacramenti dai cattivi sacerdoti né comunicare ad essi i suoi peccati, ma piuttosto confessarseli l’un l’altro”.
Arnaldo fu un modello di vita perché praticava quel che predicava e i suoi sermoni scossero e divisero la popolazione lombarda, tanto che Innocenzo II al Concilio lateranense del 1139 prese contro di lui e i suoi seguaci delle misure preventive: Arnaldo fu accusato di incitare i laici contro il clero e venne bandito dall’Italia come scismatico, ma non fu condannato come eretico.
Si rifugiò a Parigi, dove si guadagnò da vivere insegnando teologia, ma anche lì, subito dopo aver cominciato a predicare le sue idee, fu obbligato ad andarsene. Fuggì a Zurigo, dove Bernardo di Chiaravalle lo denunciò come eretico, dichiarando che le sue parole erano miele ma la sua dottrina veleno e aggiungendo: “Mangia solo il pane del demonio e beve soltanto il sangue delle anime”.
Arnaldo, tre secoli prima di Lorenzo Valla, aveva ritenuto un falso la donazione di Costantino. Chiese che l’imperatore Corrado III di Svevia venisse a Roma per istituire con il popolo un Comune indipendente dal papa, desiderando la completa separazione della Chiesa dallo Stato. Morto Corrado III ripeté l’invito a Federico Barbarossa, ignorando i propositi di quest’ultimo contro l’autonomia dei Comuni in Italia.
Nel 1145 giunse a Roma per partecipare alla creazione del Comune repubblicano della città, del quale divenne il capo.
Nello stesso anno il papa Lucio II era morto per aver ricevuto una sassata alla testa mentre attaccava, con l’aiuto del normanno Ruggero, i repubblicani asserragliati in Campidoglio. Bernardo di Chiaravalle scrisse subito ai romani: “Pecorelle smarrite, tornate al vostro Pastore, al vostro Vescovo! Illustre città di eroi, torna a riconciliarti con Pietro e con Paolo, tuoi principi veri!”. Bernardo morì nel 1153 senza essere stato ascoltato dal popolo di Roma.
Nel 1155 Federico Barbarossa, sceso in Italia nell’anno precedente, dopo aver distrutto alcuni Comuni (Tortona, Asti e Chieti) ed essere stato incoronato a Pavia come re d’Italia, marciò su Roma per porre fine al Comune. Si era intanto meritato l’appellativo di “sterminatore di città”. Anche a Roma riuscì nel suo intento e consegnò Arnaldo da Brescia al papa inglese Adriano IV, il quale aveva condannato a morte il monaco come eretico e aveva scomunicato la città di Roma insorta contro di lui. Arnaldo venne impiccato, il suo cadavere fu arso infilzato in uno spiedo e le sue ceneri vennero disperse nel Tevere. Aveva circa sessantacinque anni. Federico ottenne subito come premio dal Papa la corona imperiale.
Gli Arnaldisti o Eretici lombardi continuarono la sua opera per qualche anno, ma da che furono banditi come eretici dal Concilio di Verona del 1184 scomparvero. Non avevano un’organizzazione vera e propria: rappresentando piuttosto una tendenza del pensiero religioso che rimase molto diffusa nell’Italia settentrionale.


GLI UMILIATI


Sulla metà del XII secolo Giovanni da Meda, un paese vicino a Milano, fondò nella capitale lombarda il movimento degli Umiliati e per questo venne in seguito canonizzato. Gli Umiliati non erano eretici: per lo più si trattava di lanaioli desiderosi di vivere secondo i dettami del Vangelo in povertà e in umiltà. Le loro sedi furono Milano e altre città della Lombardia. Non insorgevano contro la corruzione del clero né contro gli errori della Chiesa di Roma. Dicevano che la perfezione cristiana poteva essere ricercata con l’esercizio delle proprie attività e quindi sostenevano l’obbligo del lavoro manuale. Si riunivano in comunità formate da uomini e donne che convivevano nella continenza. Era un terz’ordine francescano ante litteram.
Sul finire del XII secolo si formò tra di loro una corrente ereticale che si aggregò ben presto ai Poveri Lombardi, cioè ai Valdesi Italiani. Ciò valse loro la scomunica del papa Lucio III al Concilio di Verona del 1184. Da allora vissero nella clandestinità finché la maggioranza confermò la propria obbedienza ai vescovi e ottenne nel 1199 da Innocenzo III la reintegrazione nella Chiesa e il permesso di predicare, purché lo facessero contro gli eretici. Gli Umiliati assunsero allora le caratteristiche di un ordine monastico e vi affluirono persone di ogni ceto, anche di elevata estrazione sociale. Innocenzo III li chiamò “Umiliati ortodossi” per distinguerli da quelli eretici o “falsi Umiliati” e li divise in tre ordini: laico, monastico e clericale.
Come tutti i movimenti cattolici da poveri divennero ricchi e le loro comunità si trasformarono in cenacoli di gaudenti. Nel XVII secolo erano ormai ridotti a pochi: 170 persone che disponevano di circa cento conventi! Il Cardinale Carlo Borromeo gli sciolse. Non l’avesse mai fatto! Rischiò di rimanere vittima di un attentato.


I VALDESI

Pietro Valdo era un ricco mercante di Lione, che si convertì a Cristo nel 1168. A sue spese fece tradurre nella lingua provenzale interi libri della Bibbia, imparò a leggere, lesse “ Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi” (Matteo 19:21). Subito distribuì i suoi beni ai poveri e indennizzò coloro cui credeva di aver fatto torto. L’arcivescovo di Lione gli impose di smettere di predicare il Vangelo con tanto di spiegazione delle Sacre Scritture al popolo. Allora Valdo non predicava alcunché di eretico, ma solo la povertà evangelica e la rinuncia a qualsiasi forma di ricchezza. Sicuro di essere nel giusto, Valdo non obbedì e fu espulso dalla città insieme ai suoi seguaci.
Nel 1179, durante il III Concilio lateranense, Valdo si presentò con una delegazione dei suoi davanti al papa Alessandro III. Questi approvò la loro povertà e concesse al solo Valdo il permesso di predicare in quanto ancora di provata fede cattolica. Non permise, invece, l’istituzione di un nuovo ordine pauperistico perché la delegazione valdese presentò al pontefice non una regola ma versetti biblici tradotti in lingua volgare. Valdo e i suoi tornarono baldanzosi a Lione, ma ne vennero nuovamente espulsi dall’irriducibile arcivescovo, che sentiva tra loro puzzo di eresia.
La concessione papale cessò quando i Valdesi furono scomunicati come eretici da papa Lucio III al Concilio di Verona del 1184.
Valdo, infatti, aveva maturato una maggiore conoscenza della verità biblica fino a ritenere che i veri eretici fossero i cattolici. Il papa fu accusato di essere a capo dell’eresia e dell’omicidio dei Saraceni, con una chiara condanna delle crociate. Vedeva nella ricca Chiesa di Roma la Babilonia dell’Apocalisse e nel papa l’Anticristo. Credette che ogni cristiano laico fosse anche sacerdote e per tale motivo i valdesi si confessavano a vicenda. Non fece ribattezzare i suoi ma ogni credente doveva studiare la Scritture e poi riceveva l’ordinazione sacerdotale con l’imposizione delle mani da parte di un anziano. Rinnegò il Purgatorio, la confessione, le indulgenze, le intercessioni da parte della Vergine e dei Santi per i defunti ecc. Diceva che la santità non si raggiungeva per mezzo delle pratiche liturgiche o tramite i riti, ma solo mediante le opere individuali.
La canonizzazione dei Santi era avvenuta per la prima volta circa un secolo prima, nel 955, ad opera di papa Giovanni XV. La Bibbia chiama santi tutti veri seguaci di Cristo, consacrati nella Sua morte.
Le indulgenze, con le quali si riduceva il tempo di punizione per le anime del Purgatorio, erano state concesse per la prima volta nell’anno 850 da papa Leone IV a coloro che salivano la “Scala Santa” a Roma sulle proprie ginocchia. La vendita delle indulgenze iniziò nel 1190, al tempo di Valdo, e continuò fino alla Riforma. Valdo si schierò contro un simile traffico e sarà appunto la protesta contro di esso che causerà la Riforma nel XVI secolo. San Pietro, infatti, rifiutò la somma di denaro offertagli da Simon Mago per acquistare i doni di Dio.
La dottrina del Purgatorio e quindi le preghiere per i defunti, che nell’aldilà si starebbero purificando dei propri peccati, costituiscono delle credenze molto antiche. Se ne trovano tracce nell’antico Egitto, in Persia, nello Zoroastrismo, in Grecia nelle opere di Platone (Fedone), in Roma (l’Eneide di Virgilio) e quindi nel Cattolicesimo. Il Purgatorio fu insegnato da Agostino, che era neo-platonico; poi fu confermato da papa Gregorio Magno (c.582), che ci mise il fuoco. Successivamente il cardinale Pietro Damiano (+1072) ci aggiunse il ghiaccio. Tommaso d’Aquino ne espose i particolari nella Summa Theologica. Fu riconosciuto dogma di fede al Concilio di Lione (1274) e poi confermato al Concilio di Firenze nel 1439. Il dogma fu difeso al Concilio di Trento.
Nel 1205, in un sinodo valdese tenuto a Milano, ci fu lo scontro tra due grandi vecchi: Valdo da una parte e Giovanni da Ronco dall’altra. Quest’ultimo voleva a tutti i costi che Valdo lo eleggesse preposto a vita, ma lui si rifiutò. La disputa che ne seguì scandalizzò molti Valdesi italiani, che tornarono in grembo alla Madre Chiesa. Nacquero così i Poveri Cattolici o Riconciliati, che furono approvati come ordine da Innocenzo III al IV Concilio lateranense del 1215, quando il papa impose il dogma della transustanziazione e l’obbligo della confessione auricolare.
Il Ronco formò invece la setta dei Poveri Lombardi, sempre valdese ma separata da quella ultramontana. Predicava che i preti cattolici dovevano sposarsi, che dovevano mantenersi col lavoro e non essere mantenuti dalla comunità. I preti corrotti, secondo lui, non potevano amministrare i sacramenti: se uno faceva la comunione e il sacerdote ufficiante era un poco di buono, questa non era valida.
La predicazione di Valdo e dei suoi seguaci, prima limitata alla Francia e all’Italia, si estese alla Svizzera, all’Austria, alla Germania, all’Ungheria, alla Polonia, alla Moravia e alla Boemia. Valdo fu coadiuvato da Giovanni Viveto e da Ugo Speroni. Quest’ultimo guidava un gruppo da lui detto degli Speronisti. Valdo, dopo aver predicato per mezza Europa, morì in Boemia nel 1217.
Il papato reagì in due modi al Valdismo: il primo fu la persecuzione.
Nel 1208 Innocenzo III decise di nominare alcuni vescovi francesi e austriaci come suoi legati nella lotta al movimento valdese. Nello stesso tempo l’imperatore Ottone IV di Brunswick intimò al vescovo di Torino di espellere i valdesi dalla sua diocesi. I Valdesi si rifugiarono allora nelle valli alpestri, a Torre Pellice. Il secondo fu quello di contrapporgli un movimento pauperistico simile ma cattolico. Per tale motivo nel 1210 Innocenzo III approvò il Francescanesimo.
Nel 1223 il nuovo papa, Onorio III, confermò l’Ordine francescano dei frati minori. Egli sostenne con Federico II l’assimilazione del delitto di eresia a quello di lesa maestà.
Il Concilio di Tolosa (1229) vietò la traduzione della Bibbia in lingua volgare e la mise nell’Indice dei libri proibiti. Chi l’avesse doveva consegnarla al vescovo entro otto giorni perché fosse data alle fiamme. Se si rifiutava, veniva accusato di eresia.
Tea.
[Modificato da Roberto Carson 07/11/2009 17:56]
OFFLINE
Post: 51
Città: FIRENZE
Età: 57
Sesso: Femminile
12/11/2009 19:28

GIOACCHINO DA FIORE
Già Agostino, prendendo in esame la situazione del tempo e riferendosi ai pericoli imminenti sull’impero romano, dopo aver suddiviso la storia in epoche, partendo dalla Creazione, considerava quella come l’ultima, a cui doveva seguire la fine (senza fornire, però, una datazione precisa). La dottrina agostiniana delle età del mondo venne ulteriormente sviluppata e diffusa nelle opere storiche del venerabile Beda e di Isidoro, arcivescovo di Siviglia, che ebbero un’influenza determinante sul¬la storiografia e l’esegesi medievale. Ma dopo la grande Riforma dell’XI secolo e, soprattutto, a seguito delle interpretazioni dell’abate Ruper¬to di Deutz, del premonstratense Anselmo di Havelberg e di Ildegarda di Bingen, emersero delle nuove elaborazioni che subentrarono alla tradizionale concezione apocalittica e che cominciarono a sostituire al nuovo avvento di Cristo 1’opera dello Spirito Santo sulla terra. Gioacchino nacque in Calabria a Celico (Cosenza) intorno al 1130. Era figlio di contadini (“Homo agricola ego sum”) ma poté studiare a Cosenza il latino e il greco. All’età di soli diciotto anni, durante la seconda crociata (1147–1148), propagandata da Bernardo di Chiaravalle, andò come pellegrino in Terra Santa. Visitò prima Costantinopoli, poi la Siria, dove resisté a mala pena alla tentazione di fare all’amore con una seducente vedova, e infine la Palestina, fermandosi a lungo a Gerusalemme e nel deserto della Giudea. Qui, nutrendosi di pane e acqua, maturò la vocazione monastica. Rientrato in patria intorno al 1152, all’età di ventidue anni entrò nel cenobio cistercense della Sambucina, dove qualcuno dei monaci lo avviò allo studio delle Sacre Scritture. Il fatto fu poi narrato dagli agiografi in modo miracoloso. Riferirono che “un angelo” (in pratica un messaggero di Dio) gli aveva offerto con una coppa di vino “il dono della conoscenza” della Parola di Dio. Nel 1177, a circa quarantasette anni, lasciò la Sambucina per andare a fare l’abate nel monastero cistercense di S.Maria del Corazzo. dove si dedicò interamente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde. Nel 1182 per proseguire i suoi studi, che non riusciva a portare avanti per i vari impegni come abate, Gioacchino chiese ed ottenne il permesso di ritirarsi nell’abbazia di Calamari. Da qui, nel 1183, si recò a Veroli, nel Lazio, dal pontefice Lucio III (1181-1185) per esporgli la sua interpretazione delle Scritture ed ottenere il permesso di scriverla. Il papa glielo concesse, ma morì. Tre anni dopo, nel 1186, andò per lo stesso motivo a Verona dal nuovo papa, Urbano III (1185-1187). Questi non solo glielo accordò, ma lo invitò a scrivere un commento all’Apocalisse. Gioacchino ne fu entusiasta e scrisse la famosa Expositio in Apocalypsim. Negli anni che vanno dal 1188 al 1190 entrò in contrasto con l’Ordine cistercense, che concedeva poco allo studio e alla meditazione a vantaggio di attività mondane e impegni secolari. Gioacchino aveva bisogno di solitudine e si ritirò nel piccolo eremo di Pietralata sulla Sila cosentina. Da lì salì sulle montagne per fondarvi un cenobio che fosse il germoglio della nuova età dello Spirito Santo e che perciò chiamò “Fiore”, da lui dedicato allo scrittore dell’Apocalisse, San Giovanni. Molti monaci cistercensi lo raggiunsero. Fu così fondato il nuovo Ordine Florense, la cui regola fu approvata dal papa Celestino III nel 1196. Gioacchino ottenne un’elevata popolarità, anche a livello europeo, e il suo monastero ricevette ricche e frequenti donazioni, perfino dall’imperatore Enrico VI e Costanza. Scrisse infine il Trattato sui quattro vangeli e il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, il suo libro principale. Morì a Pietralata, nella Sila, il 30 marzo 1202. Aveva circa settantadue anni.
Quando Gioacchino era ancora in vita ed aveva cinquantanove anni, il teologo francese Pietro Lombardo scrisse un’opera sulla trinità in cui affermava che l’essenza divina, comune alle tre persone, era “ nec generans, nec genita nec procedens”. Gioacchino gli rispose scrivendo un libro (De unitate et essentia trinitatis) in cui diceva che se Dio non è generante come Padre, non è generato come Figlio e non è procedente come Spirito Santo, allora è un altro Dio da aggiungere ai tre per farne quattro. Innocenzo III era un fervente ammiratore del Lombardo e al Concilio lateranense del 1215 condannò l’opera di Gioacchino, che non poté difendersi perché era morto da tredici anni. Fu dichiarato eretico chiunque ne seguisse il pensiero. Gioacchino interpretò il piano divino delle età in funzione trinitaria. Così il battesimo nel “nome” (cioè nella piena autorità) del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo implicava per lui una perfetta conoscenza del piano storico di Dio.
L’età (status) del Padre da solo (sine lege) comprende la prima era, quella prediluviana da Adamo a Noè, la seconda era, quella da Noè ad Abrahamo e la prima parte della terza era è quella da Abrahamo a Mosè. La terza era infatti va da Abrahamo a Davide,.
L’età (status) del Padre col Figlio (sub lege) va da Mosè a Cristo e comprende la seconda parte della terza era, cioè quella da Mosè a Davide, la quarta era, quella da Davide alla cattività babilonese e la quinta era, quella dalla cattività babilonese a Cristo.
La sesta era va dal primo al secondo avvento di Cristo ed è l’era evangelica. In essa si comprende l’età del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che è il primo avvento di Gesù., e l’età di Gesù con lo Spirito Santo, che va dalla Pentecoste al secondo avvento di Cristo. È l’era cristiana (sub gratia), divisa nelle prime sei epoche dell’Apocalisse (le prime sei delle sette Chiese dell’Asia, le prime sei delle sette trombe e i primi sei dei sette sigilli), di cui la prima è quella degli apostoli e della Chiesa primitiva. Durante questa età del Vangelo, che secondo Gioacchino sarebbe durata 1260 anni, lo Spirito Santo è versato solo sulla Chiesa e non sul mondo.
L’età (status) dello Spirito Santo da solo è la settima era (nova aetas) o età sabbatica, in cui lo Spirito divino sarà versato su ogni carne. Il Vangelo eterno, che vi sarà predicato, è lo stesso Vangelo di Cristo ma letto nello Spirito durante questa età futura. Quest’ultima età di pace universale sarà inaugurata all’inizio della settima epoca dell’Apocalisse col ritorno invisibile di Cristo o papa spirituale o DVX (il canis di Gioacchino o veltro di Dante) e con una grande afflizione. Esso sarà annunciato dalla settima tromba e dall’apertura del settimo sigillo.
Ciò fa sì che sensu stricto l’età evangelica sia suddivisa in sei periodi, appartenendo il settimo già alla nuova era.
Ma fu il terzo status, quello dello Spirito, a far scaturire non poche domande e interpretazioni su quello che sarebbe dovuto essere l’ordinamento della Chiesa, le sue istituzioni e i sacramenti nell’età dello Spirito Santo. Particolarmente oscuro fu il suo giudizio sul papato e sul destino della gerarchia ecclesiastica nel terzo status. Sulla cattedra di Pietro sedeva Innocenzo III, uno dei pontefici più impegnati nella difesa del potere temporale e del dominio della Chiesa sul mondo. La domanda che i contemporanei di Gioacchino si ponevano era se, nel terzo status, vi sarebbe stata solo una purificazione e spiritualizzazione del pa¬pato o anche un superamento di esso? Per Gioacchino, con ogni probabilità, la Chiesa romana non era la forma definitiva del¬ progetto salvifico cristiano. Le sue norme, il suo diritto, le sue istituzioni erano perfezionabili, quindi mutabili per tendere a una futura Chiesa totalmente diversa. La concezione escatologica di Gioac-chino venne vista con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche. Dopo la sua morte, molti movimenti religiosi interpretarono il terzo status come un’era in cui ci sarebbe stata solo un’Ecclesia Spiritualis, una chiesa che poteva fare a meno del papa, del¬la gerarchia e dei sacramenti, con la creazione di un nuovo ordine di tipo monastico, che avrebbe rinunciato ad ogni bene temporale. Per questo motivo nel IV Concilio Lateranense del 1215, venne condannato (e non solo per il suo scritto sulla Trinità, che servì da pretesto) e, verso la metà dello stesso secolo, circa cinquant’anni dopo la sua morte, una commissione di tre cardinali ad Anagni respinse alcune formule riportate negli scritti originali di Gioacchino.
Un altro grande contributo dato da Gioacchino fu il seguente. Nella Bibbia i giorni profetici sono anni. Così i 1260 giorni dell’era cristiana sono 1260 anni. Tale spiegazione illuminerà nei secoli successivi fino ad oggi molti studiosi delle Sacre Scritture. Per il teologo calabrese quei 1260 anni sarebbero finiti nell’anno 1260 e ciò provocò allo scadere di quella data ondate di penitenti per tutta l’Europa (i flagellanti). Il movimento nacque a Perugia ma si estese ben presto ovunque. Tommaso da Celano compose il “Dies irae” per quella fatidica data.
Dante Alighieri seguì Gioacchino alla lettera nella “Divina Commedia”.
Inferno I: 92 – 11
Inferno XIX: 106 – 117
Purgatorio XXXIII: 37 - 45
Paradiso XV: 56,57
Paradiso XXXIII: 115 – 120
Dal 2005 nella teologia cattolica esiste una corrente "neo-gioacchimita", la quale sostiene che, annunciando il Regno dello Spirito, il profeta non aveva torto. Sbagliò solo riguardo al tempo. Non 1260 ma 700 anni più tardi questo Regno sarebbe venuto nella Chiesa, conducendola alla Rivoluzione del Concilio Vaticano secondo. Israele non è stato rigettato e la libertà di coscienza non è follia ma la volontà di Dio.










Il “canis” di Gioacchino è evidentemente riferito al secondo avvento di Cristo, che è il “veltro” di Dante.








Il piano divino delle età secondo Gioacchino da Fiore.


I FRANCESCANI

I Francescani, dopo la morte del loro fondatore, avvenuta nel 1226, si divisero in due gruppi: i Conventuali e gli Spirituali.
L’Inquisizione nacque nel 1215 per volontà di Innocenzo III al IV Concilio ecumenico lateranense. Allora il tribunale inquisitorio dipendeva dai vescovi, ma nel 1231 Gregorio IX ne fece un’istituzione direttamente dipendente dal Papa. Nel 1236 decise che doveva essere diretto dai frati e l’affidò all’Ordine domenicano. Innocenzo IV nel 1246 estese questo potere all’Ordine francescano, cioè ai Conventuali.
I Conventuali, facenti capo ad Elia da Cortona, erano fedeli in tutto e per tutto al papato. Elia, dopo aver fatto erigere la Basilica inferiore di Assisi, fu costretto alla fuga perché ritenuto troppo amico dello scomunicato imperatore Federico II. Il frate si rifugiò alla sua corte, incorrendo anche lui nella scomunica.
Federico II di Svevia era stato incoronato re di Germania nel 1212. Papa Innocenzo III voleva che bandisse una crociata, ma lui non si decideva mai a farla. Nel 1220 Federico II fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da Onorio III.
Gregorio IX (1227-1241), appena fatto papa, scomunicò Federico II per non aver mantenuto l’impegno di una nuova crociata. Allora, nel 1228, Federico andò con il suo esercito in Terra Santa, ma riuscì ad ottenere Gerusalemme, Betlemme e Nazareth dal sultano d’Egitto per via diplomatica, senza combattere, e si incoronò re di Gerusalemme. Fu riammesso ai sacramenti. Nel 1231 stabilì il suo regno in Sicilia. In seguito cercò di stabilire un regno svevo nel nord d’Italia, sopprimendovi le libertà comunali.
Nel 1237 conquistò Milano e nel 1238 la Sardegna. Gregorio IX, temendo che i suoi domini si trovassero tra il vecchio regno svevo del sud e quello nuovo del nord, si alleò con i Comuni, che si erano uniti in una seconda Lega lombarda. Nel 1239 scomunicò una seconda volta Federico II e convocò un Concilio per deporlo.
Al Concilio di Lione del 1245 Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura nei tribunali dell’Inquisizione, confermò la scomunica a Federico II e la estese al suo braccio destro Eberardo di Truchsen, che morì l’anno dopo.
Federico II fu sconfitto a Parma nel 1248 e poi a Fossalta, presso Modena, nel 1249. In quest’ultima battaglia fu catturato il suo figlio Enzo, che i bolognesi tennero prigioniero fino alla morte (1272). L’imperatore si ritirò in Puglia, nel castello di Ferentino, dove morì nel 1250.
Da scomunicato aveva accusato il papa di essere l’Anticristo, la belva del capitolo XIII dell’Apocalisse. Il papa gli aveva risposto che quella belva era lui, Federico II.
Eberardo di Truchsen, arcivescovo di Salisburgo (1200-1246) era il portavoce dell’imperatore presso i vescovi tedeschi e uno dei suoi principali consiglieri. Spiegò per la prima volta nella storia del Cristianesimo che il “piccolo corno blasfemo” del capitolo VII di Daniele era il papato. Nel Sinodo di Ratisbona, in Baviera, nel 1241 Eberardo spiegò chi era l’Anticristo della seconda lettera di S.Paolo ai Tessalonicesi. Disse: “Circa 170 anni fa Ildebrando (Gregorio VII), sotto il pretesto della religione, gettò le fondamenta dell’Impero dell’Anticristo. Colui che si chiama il Servitore dei Servitori vuole essere il Signore dei Signori come se fosse Dio e parla magnificamente proprio come se fosse Dio, medita nuovi piani nel suo cuore per farsi lui solo padrone, cambia le leggi, stabilisce le sue, insozza, guasta, saccheggia, spoglia, imbroglia, uccide: è ciò che fa quest’Uomo del peccato che si chiama l’Anticristo, sulla cui fronte è scritto questo nome di bestemmia: io sono Dio e non posso errare. E’ seduto nel tempio di Dio e domina in lungo e in largo”.
Intanto i Francescani più zelanti e intransigenti verso l’esempio di Francesco e di frate Leone presero il nome di Spirituali per contrapporsi ai Conventuali, ritenuti carnali e materialisti. Nel 1241 lessero Gioacchino da Fiore e ne divennero seguaci, vedendo in Francesco l’”angelo” o messaggero della sesta epoca della Chiesa, quella precedente il ritorno di Cristo.
Il pensiero di Gioacchino fu perfezionato da uno di essi, Arnaldo da Villanova (c.1235- c.1313), che fu il medico più famoso di quel tempo: commentò il testo della Scuola Salernitana e curò le più grandi personalità, tra cui Carlo II d’Angiò e Bonifacio VIII. Per tali motivi fu tollerata la sua eresia gioachimita, già condannata da Innocenzo III. Quando si trovava in Sicilia da Federico III, il papa Clemente V lo mandò a chiamare ad Avignone perché gravemente ammalato. Villanova morì durante il viaggio verso Genova, annegando nel naufragio della nave.
Lasciò dei libri pieni di interpretazioni profetiche della Bibbia, basate sulla acquisizione gioachimita che un giorno equivale ad un anno. Sostenne quindi che i 1260 giorni profetici, cioè 1260 anni, non finissero, come aveva pensato Gioacchino, nel 1260, partendo dall’inesistente anno zero, ma nel 1303, partendo da quando i discepoli di Cristo furono per la prima volta chiamati “cristiani” ad Antiochia nel 43. I 1290 giorni della profezia di Daniele finirebbero quindi nel 1333 e i 1335 giorni nel 1378, data in cui attendeva il ritorno di Cristo. Non fece in tempo a vedere se ciò si sarebbe adempiuto. Spiegò correttamente la profezia delle settanta settimane di Daniele sul Primo Avvento di Cristo. E questo rimane.
Lo Spirituale Pietro Giovanni d’ Olivi (1248-98), lettore nello studio francescano di Firenze, scrisse Postilla in Apocalypsim, dove sostenne che la vera Chiesa, quella dello Spirito, è la donna che fugge nel deserto per 1260 anni. La falsa Chiesa, Babilonia, è quella di Roma, che perseguita la vera Chiesa e che sarà distrutta alla fine della settima epoca dell’età cristiana, dall’inizio della quale comincerà il Nuovo Mondo o età dello Spirito. Per i 1260, 1290 e 1335 anni seguì per filo e per segno Arnaldo da Villanova. Le sue interpretazioni influenzarono il pensiero di Ubertino da Casale.
Nel 1254 con il libro Introductorius ad Evangelium aeternum Gherardo di Borgo San Donnino, un paesotto a pochi chilometri da Parma, contribuì fortemente a diffondere le idee di Gioacchino da Fiore e ad annunciare l’imminenza della Nuova Era dello Spirito. Secondo lui il Vangelo eterno era il contenuto delle opere di Gioacchino e riteneva che Francesco d’Assisi fosse l’ “angelo” inviato da Dio nella penultima epoca della Chiesa, la sesta, per annunciare il ritorno di Cristo nell’ultima epoca, la settima, e che e i frati minori fossero coloro che dovevano guidare il Nuovo Mondo.
Nel 1260, l’anno segnato da Gioacchino come inizio della Nuova Età e della grande tribolazione, il giovane contadino Gherardino Segalelli da Parma si spogliò non solo di ogni bene materiale ma spesso anche delle vesti: predicare nudo significava per lui l’aver riacquistato per grazia divina l’innocenza di Adamo prima del peccato originale. Fu preso per pazzo, anche perché non aveva fissa dimora e predicava la penitenza e l’uguaglianza. Fondò un movimento pauperista, che chiamò Ordine degli Apostoli o Poveri di Cristo o Minimi. Nella comunità di Gherardino c’erano anche delle donne, con le quali gli Apostoli dormivano senza avere mai rapporti sessuali. Uomini e donne, legati solida un vincolo di fratellanza, predicavano nelle strade e nelle piazze e anche in qualche chiesa, quando riuscivano a salire sul pulpito. Si dichiaravano seguaci di Francesco d’Assisi e della dottrina profetica di Gioacchino da Fiore. Al Concilio di Lione del 1274, convocato per la riunificazione tra la Chiesa Romana e quella Greca, papa Gregorio X disapprovò l’ordine da lui istituito e proibì a chiunque di fondarne dei nuovi. Fu un Concilio che portò male a due grandi personaggi della Chiesa: Tommaso d’Aquino morì durante il viaggio per Lione, forse avvelenato, nell’Abbazia di Fossanova; Bonaventura da Bagnorea morì invece poco dopo essere arrivato a Lione a cinquantadue anni. Il 2 marzo 1286 il papa Onorio IV condannò tale comunità come dannosa per i credenti e nel 1290 papa Niccolò IV inviò a tutti prelati una lettera contro tale movimento. Nel 1294 Gherardino fu condannato al carcere perpetuo. Quando venne catturato, il frate domenicano inquisitore Manfredo da Parma riaprì il processo che si concluse con la condanna a morte del predicatore. Il 18 luglio del 1300 Gherardino fu arso sul rogo.
Il suo posto fu preso da Fra’ Dolcino da Novara, nato proprio nel 1260. Ritenne con Gioacchino che vi sono quattro età nella storia del popolo di Dio: la prima è quella degli ebrei che va dai patriarchi fino a Cristo, la seconda è quella che va da Cristo a Costantino, la terza è quella da Costantino al 1260, durante la quale la Chiesa si era trasformata nella Babilonia mistica dell’Apocalisse, che doveva essere distrutta per i suoi peccati e le sue malizie. La quarta è la nuova età, quella dello Spirito, iniziata con Gherardino Segalelli nel 1260.
Scomunicato e perseguitato, fu seguito da molti discepoli, uomini e donne, fra le quali la bellissima Margherita, che fu unita a lui da un profondo affetto e dallo stesso inesorabile destino. Rifugiatosi con il suo popolo sulle montagne vicino a Vercelli, vide morire i suoi seguaci decimati dal freddo e dalle fame durante il terribile inverno tra il 1305 e il 1306. Il vescovo Ranieri di Vercelli informò il papa Clemente V ad Avignone della continua minaccia della setta dolciniana e il pontefice lo autorizzò a bandire una crociata contro Fra’ Dolcino. I crociati furono numerosi e ben armati e dopo un aspro combattimento ebbero la meglio. Nel marzo del 1307 la crociata ebbe fine: Dolcino, Margherita e il suo braccio destro Longino furono consegnati al vescovo in attesa della decisione di Clemente V. Il papa li condannò a morte. Il 1° luglio 1307 Dolcino e Margherita furono condotti nudi su un carro per le vie di Vercelli mentre con delle tenaglie roventi ne laceravano via via le carni fino alle ossa. Non sfuggì loro un lamento. Vennero arsi sul rogo e le ceneri disperse al vento. Longino fu ucciso a Biella.
Gli Spirituali ottennero da Celestino V (1294) il permesso di formare la Congregazione dei Celestini o pauperes heremitae domini Coelistini. Il loro capo fu Fra’ Liberato e il loro poeta Iacopone da Todi. Quando sali sul trono di Pietro Bonifacio VIII, che regnò dal 1294 al 1303, i fraticelli fuggirono in Grecia. Il papa convinse il patriarca di Costantinopoli a perseguitarli, tanto che dovettero far ritorno in Italia. Appena arrivati in Puglia furono raggiunti dagli inquisitori. Fra’ Iacopone rimase molti anni in prigione e fra’ Liberato morì di stenti e di crepacuore.
Gli Spirituali furono infine condannati come eretici nel 1323 da papa Giovanni XXII (1316-1334), residente allora ad Avignone.
Una parte degli Spirituali, che aveva preso il nome di Fraticelli, lo chiamò simoniaco, eretico, anticristo e si rifugiò a Roma perché ivi nel 1328 Luigi di Baviera aveva nominato un altro papa, Niccolò V, che era un francescano spirituale. I Fraticelli ben presto dovettero lasciare l’Urbe perché dopo due anni Niccolò V dovette sottomettersi al papa di Avignone.
I Fraticelli avevano istituito un terz’ordine, detto dei Beghini o Bighini e delle Beghine o Bighine, dal nome del belga Lambert Le Begue, che aveva già fondato questa congregazione pauperista laica a Liegi nel XII secolo.
Negli ultimi anni della sua vita Giovanni XXII, che aveva combattuto strenuamente l’eresia, fu coinvolto in una disputa teologica: se l’anima alla morte va subito alla presenza di Dio o se deve aspettare il Giorno del Giudizio per riunirsi col corpo e quindi salire a Dio. L’opinione del papa fu che i morti, compresa la Beata Vergine e i Santi, non si trovassero al cospetto di Dio fino alla risurrezione. Fu la prima volta che un papa veniva accusato di eresia e poco prima della sua morte venne costretto a ritrattare. Il suo successore, Benedetto XII, restaurò la dottrina ortodossa.
Una figura importante di francescano inglese fu Gugliemo di Occam (c. 1280 - 1349). Nacque ad Occam nella contea del Surrey e fu educato ad Oxford e, come Ruggero Bacone, entrò a far parte dei Frati Minori. Per la sua fama di filosofo fu detto “Dottore Invincibile”. Si schierò contro il Papa per difendere la povertà francescana e nel 1324 fu convocato ad Avignone, dove Giovanni XXII lo sottopose ad un processo inquisitorio e, in attesa di giudizio, lo fece rinchiudere in un convento per tre anni. Nel 1328, non essendo stato condannato, fuggì da Avignone con Michele da Cesena, generale del suo ordine. Insieme si rifugiarono alla corte di Luigi il Bavaro, dove due anni prima avevano trovato protezione Marsilio da Padova e Giovanni di Jandun.
Si schierò così apertamente con gli Spirituali contro Giovanni XXII, che nello stesso anno scomunicò Guglielmo e i suoi amici. In Baviera divenne il consigliere del re, cui disse: “Tu me defendas gladio, ego te defandam calamo”. Simpatizzò con le teorie di Marsilio da Padova e quindi, anche secondo lui, Chiesa e Stato dovevano essere separati: le pretese politiche del Papato erano contrarie alla volontà di Cristo. D’altro canto -aggiunse- l’esistenza stessa del Papato non era necessaria alla Chiesa, che poteva benissimo essere governata da un Collegio di tipo apostolico.
Mirò ad una restaurazione del Nominalismo. Secondo questa dottrina filosofica medievale, gli “universali”, cioè i concetti generali che noi creiamo non sono realtà ma puri nomi. Il concetto generale di “albero” esiste solo nella nostra mente e non ha riscontro nella realtà. Lo stesso principio fu applicato all’estetica e all’etica. Per esempio, bellezza e bruttezza, sono entrambe dei semplici concetti mentali, derivanti dall’osservazione di cose che vengono considerate ora belle ora brutte. Ma bellezza e bruttezza non esistono in se stesse. Questa dottrina trovò la sua espressione nell’aforisma “universalia post rem”, cioè l’astratto è noto dopo che è noto il concreto. I nominalisti, quindi, accettarono come realtà solo ciò che deriva dai sensi.
L’opposto del Nominalismo fu il Realismo, che sostenne la reale esistenza degli universali, già presenti, come le “idee” di Platone, nella mente divina, dalla quale sgorga la diversità dei tipi effettivi. In altri termini esiste un albero non specificato e tutte le varie specie di alberi, come la quercia, il pino ecc. sono derivazioni del concetto originale di albero. La massima dei realisti era “universalia ante rem”, cioè gli universali esistono prima dell’oggetto individuale e concreto.
Il capo degli Spirituali fu il gioachimita Ubertino da Casale. Casale è un paese in provincia di Vercelli, dove questi nacque nel 1259. La sua opera fondamentale fu Arbor Vitae Crucifixae Iesus Christi (1305). In essa sostenne che Bonifacio VIII era l’Anticristo, “la belva che sale dal mare con sette teste (i sette peccati capitali) e dieci corna (la sua presunzione contro i dieci comandamenti)”. Benedetto XI, successore di Bonifacio VIII, era “la belva che sale dalla terra”. I due Testimoni del capitolo XI dell’Apocalisse erano S. Francesco e S. Domenico.
In base alla scomunica degli Spirituali emanata da Giovanni XXII nel 1323, Ubertino dovette fuggire in Baviera alla corte di Luigi, dove morì nel 1328.


MARSILIO DA PADOVA


Il trasferimento della residenza papale da Roma ad Avignone nel 1309 diede inizio al periodo noto come “cattività babilonese” del Papato e riconosciuto come il fondamento della Riforma. Un ulteriore impulso alla Riforma fu dato dalla pubblicazione del Defensor pacis di Marsilio da Padova.
Nel 1324 uscì a Parigi un libro anonimo, il Defensor pacis, che sosteneva la libertà civile e religiosa dello Stato dalla Chiesa e l’uguale diritto di tutti i cittadini. Spiegò che San Pietro non era affatto superiore agli altri apostoli e che “c’è e ci fu un solo capo ed un solo fondamento della Chiesa, cioè Cristo, e che nessuno degli apostoli ebbe tale incarico, neppure durante l’assenza di Cristo”. ‘Tu sei Pietro’ significa ‘Tu sei la pietra fatta da me, ma in modo che io mantenga per me la dignità di essere il fondamento’ .....come se Pietro, così chiamato da questa pietra, raffigurasse la persona della Chiesa che è costruita su questa roccia, cioè su Cristo nel quale voi credete. Infatti Cristo non gli disse: ‘Tu sei la pietra’ ma: ‘Tu sei Pietro’ e la pietra era appunto Cristo. Onde l’apostolo Paolo scrisse: ‘Perché nessuno può porre un altro fondamento diverso da quello che è posto, che è Gesù Cristo’”.
Dopo un po’ fu scoperto che l’autore di questo testo rivoluzionario era un docente dell’Università parigina: Marsilio Mainardini. Era nato a Padova tra il 1275 e il 1280 e ne aveva frequentata l’Università, seguendo un corso di medicina. Quando fu scoperto che era l’autore di quel libro dovette abbandonare in fretta e furia la Francia e rifugiarsi alla corte di Luigi di Baviera, a Norimberga. Lo seguì il suo fedele amico e collaboratore Giovanni di Jandun.
Nel 1327 Marsilio divenne il consigliere politico ed ecclesiastico dell’Imperatore, che era sceso in Italia per consolidare l’alleanza ghibellina, dopo il fallimento dell’impresa italiana di Arrigo VII. Nello stesso anno Luigi di Baviera fu incoronato a Milano re d’Italia da tre vescovi scomunicati. L’anno successivo (1328) si fece incoronare imperatore a Roma dal popolo. Giovanni XXII da Avignone rispose con la scomunica e gli bandì contro una crociata.
I Francescani Spirituali erano stati condannati come eretici nel 1323 da papa Giovanni XXII (1316-1334), residente ad Avignone. Quelli di loro che si erano rifugiati alla corte di Luigi, una volta che questo era a Roma, gli suggerirono di deporre come papa Giovanni XXII, nominando in sua vece Pietro da Corbara, che era un Francescano Spirituale, col nome di Niccolò V. Fu un primo scisma. Una parte di essi, che aveva preso il nome di Fraticelli, si rifugiò a Roma sotto la protezione di Niccolò V, ma dopo due anni Niccolò V dovette sottomettersi al papa di Avignone e loro dovettero lasciare immediatamente l’Urbe.
Marsilio morì tra il 1342 e il 1343.
Quanto ai Fraticelli, la persecuzione contro di loro continuò ad accanirsi e si aggravò dal momento in cui, con un editto, Filippo V di Francia li privò del diritto di trovare asilo presso chiese o conventi.
Il vescovo di Parigi intanto metteva in pratica gli appelli alla severità di Giovanni XXII, perseguitando i numerosi “amici” di Luigi di Baviera e degli Spirituali che avevano trovato rifugio nella capitale francese. Le condanne furono numerose e dure anche in Germania, dove la fazione francescana, avendo goduto del consenso dell’imperatore, aveva fatto molti proseliti tra mistici e avversari politici di Roma.
Il successore di Giovanni XXII, Clemente VI, colpì solennemente d’anatema l’imperatore nel 1346, provocandone la deposizione nel 1347, ma in quell’anno Luigi di Baviera morì. Gli successe sul trono di Germania Carlo IV di Boemia, nipote di Arrigo VII e la questione fu risolta, ricongiungendo Impero e Chiesa.

JOHN WYCLIFF

Edoardo III (1312-1377) fu re d’Inghilterra dal 1327 al 1377. Morto senza eredi il re di Francia Carlo IV nel 1328 rivendicò il diritto di succedergli sul trono in ragione di diritti di parentela. Il Regno di Francia passò invece ad un lontano parente del defunto: Filippo VI di Valois, che fu il primo di una dinastia che avrebbe governato la nazione per circa due secoli. Per tutta risposta Edoardo III sbarcò con le sue truppe in Normandia, dando inizio nel 1337 alla guerra dei cent’anni, che durerà fino al 1453.
I papi continuavano ad esigere un tributo dal re d’Inghilterra che datava dai tempi di Giovanni Senza Terra, ma essendo ora i papi francesi e residenti nella nemica Francia il re inglese fu giustamente riluttante a continuare a concederglielo. Per la prima volta nella storia, invece di risolvere la questione personalmente con il pontefice, il Re si appellò al Parlamento. Questo rispose che il denaro destinato al Papato doveva restare in Inghilterra e per giustificare questa risoluzione anche sul piano teologico affidò l’incarico di risolverla ad un sacerdote cattolico inglese, che insegnava teologia ad Oxford: John Wycliff (1320-1384). Correva l’anno 1367 e mancavano 150 anni alla Riforma protestante. Per tale motivo Wycliff sarà chiamato “la stella mattutina della Riforma”.
Secondo lui la Chiesa era la comunità dei fedeli e ogni credente era sacerdote. Non c’era bisogno né del clero né dei papi. La confessione dei propri peccati doveva essere fatta pubblicamente all’interno della comunità e l’assoluzione poteva darla qualunque fratello che dimostrasse saggezza e correttezza comportamentale.
Nel maggio 1377 finì la cattività avignonese del Papato: il papa francese Gregorio XI, esortato da Caterina da Siena, tornò a Roma e come prima cosa scomunicò Wycliff.
Nel 1378 ci fu lo scisma d’occidente: il papa Urbano IV a Roma e il papa francese Clemente VII ad Avignone. Per Wycliff furono “le due metà dell’Anticristo, formanti il perfetto Uomo del Peccato”.
Lo scisma papale del 1378 spinse Wycliff ad iniziare nello stesso anno la traduzione della Bibbia in inglese. Liberò così la Bibbia dall’abisso d’inattività simile alla morte in cui l’aveva sepolta il Papato, traducendola nella lingua inglese parlata dal popolo: prima di morire aveva tradotto tutto il Nuovo Testamento (che pubblicò nel 1380) e circa metà dell’Antico.
Condannò la dottrina della transustanziazione. L’Eucaristia non era per lui la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo ma “un abominevole sortilegio”. La Santa Cena era solo una commemorazione della morte di Cristo e non una ripetizione del Suo sacrificio. Disse che “la soppressione del sacrificio continuo” da parte della “abominazione che causa la desolazione” di cui parla il profeta Daniele al capitolo VIII, era la messa, che sostituiva il sacrificio eterno di Gesù, e che l’ “abominazione” era il papato.
Condannò il papato come Anticristo e disse che era “il piccolo corno” del capitolo VII di Daniele e “la belva” del capitolo XIII dell’Apocalisse. Citò Gioachino da Fiore, di cui accettò la regola “un giorno per anno”e Pietro di Giovanni Olivi. Condannò l’adorazione delle immagini. Condannò la dottrina dell’immortalità dell’anima. Parlò per primo del “sonno dell’anima” (psychopannichia) nella morte (lo fece in base alle Sacre Scritture e non a teorie filosofiche aristoteliche) e del risveglio dell’anima alla risurrezione. Fu “condizionalista”, termine usato oggi per indicare coloro che negano un’immortalità intrinseca dell’anima umana, che invece secondo la Bibbia è mortale e può ottenere alla risurrezione la vita eterna solo “a condizione” della sua fedeltà a Dio.
Nel 1382 l’arcivescovo di Canterbury, William Courtney, convocò un sinodo di vescovi a Londra, che dichiarò Wycliff eretico, motivo per cui fu espulso dall’Università di Oxford. L’arcivescovo lo chiamò “quel miserabile pestilente, figlio del Serpente antico, precursore dell’Anticristo, che ha raggiunto il culmine dell’iniquità inventando una nuova traduzione delle Scritture”.
I seguaci di Wycliff furono chiamati per dispregio “Lollardi”, cioè ciarlatani. Dalla chiesa di Lutterworth, dal cui pulpito faceva le sue famose prediche, li mandava a due a due come predicatori itineranti per tutta l’Inghilterra a spiegare a chiunque le Sacre Scritture. Portavano con sé la Bibbia tradotta da Wycliff e i suoi commentari. Convinsero alla dottrina del loro maestro migliaia di inglesi. Il nuovo Re d’Inghilterra, Riccardo II, non aiutò il teologo perché aveva subito nel 1381 un’insurrezione di contadini, giunti a saccheggiare Londra in nome di Wycliff, anche se questi ne era stato estraneo. Quando Wycliff fu convocato a Roma da papa Urbano VI non poté andarci perché era gravemente ammalato. Morì nel 1384.
Nel 1395 i Lollardi affissero sulle porte della cattedrale di St.Paul a Londra le “dodici conclusioni” di condanna della Chiesa romana cui Wycliff era pervenuto.
Nel 1425 le sue ossa furono dissepolte e arse in base a un decreto del Concilio di Costanza (1414-1418), riunito per risolvere il grande scisma d’Occidente. Le ceneri vennero gettate nel fiume Little Brook, affinché il nome e la dottrina di Wycliff venissero dimenticati per sempre.
Tea.







Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:26. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com