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STORIA DEGLI ERETICI

Ultimo Aggiornamento: 12/11/2009 19:41
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22/10/2009 17:58

VITA E PENSIERO DEGLI ERETICI
DAL MEDIO EVO ALLA RIFORMA

CLAUDIO DI TORINO


All’adorazione delle immagini sacre (iconolatria) si era già opposto l’imperatore di Bisanzio Leone III nel 726, che aveva ordinato la distruzione di tutte le immagini sacre nell’impero bizantino (iconoclastia), impero che comprendeva anche vasti territori italiani, fra cui il Ducato di Roma. Il decreto fu accolto nel nostro paese da violente rivolte anti-bizantine, appoggiate dal papa Gregorio II.
Nel 750 Pipino il Breve, l’usurpatore del trono di Francia, discese in Italia chiamato dal papa Stefano II per far guerra ai cattolici Longobardi. Questi infatti, credendo di far cosa giusta nel combattere i bizantini iconoclasti, si erano spinti fino al ducato di Roma. Pipino respinse i Longobardi e affidò la città e i suoi dintorni al papa stesso invece che restituirli ai Bizantini. La ragione fu che il Papa Stefano II (752-757) e suo fratello, che diverrà il suo successore con il nome di Paolo I (757-767), avevano inventato e presentato ai francesi uno dei più grossi falsi della storia: la donazione di Costantino. Secondo questo documento contraffatto, Costantino, guarito da una grave malattia in modo miracoloso da papa Silvestro, avrebbe donato al Papato Roma e i territori occidentali dell’impero romano, stabilendo la capitale dell’impero a Costantinopoli. Paolo I sarà fatto santo.
L’obbligo di adorare la croce, le immagini e le reliquie fu ribadito al secondo Concilio di Nicea, convocato nel 788 su richiesta del papa Adriano I per restaurare l’idolatria nella Cristianità e presieduto dall’imperatrice Irene di Costantinopoli, che, per conservare il trono, aveva fatto prima cavare gli occhi e poi uccidere il proprio figlio Costantino VI.
Tuttavia al Concilio di Francoforte del 794, voluto da Carlo Magno, ben trecento vescovi presero posizione contro l’adorazione delle immagini.
Il successore di Carlo Magno, suo figlio Ludovico il Pio (814-840), davanti agli scandali della corte di Roma, impose nell’824 la Constitutio romana, che prevedeva un controllo imperiale sull’elezione pontificia: la consacrazione di un Papa era valida solo se prima aveva giurato fedeltà all’imperatore. L’impero carolingio rimise così in auge le antiche tradizioni cesaropapiste degli imperatori romani da Costantino in poi: all’imperatore, come rappresentante di Dio sulla terra, venivano riconosciute prerogative particolari in questioni ecclesiastiche disciplinari, nella convocazione dei Concili, nell’elezione dei vescovi ecc.
Claudio, di origine spagnola, fu nominato vescovo di Torino nell’817 proprio da Ludovico il Pio. Il suo vescovado comprendeva il Piemonte, la Provenza e il Delfinato. Fu un accanito studioso delle Sacre Scritture. Sostenne la giustificazione per fede, condannò le preghiere per i defunti e volle liberare le chiese non solo dall’adorazione delle immagini ma anche da quella della croce. Diceva che Dio insegnava a portare la croce in senso spirituale e non nelle processioni. “Se si adora la croce” - spiegava- “perché non adorare anche la stalla, la mangiatoia, le lenzuola, la lancia, la corona di spine ecc?”.
Insegnò che esiste un solo capo della Chiesa, il Signore Gesù Cristo, che Pietro non ebbe alcuna superiorità sugli altri Apostoli e che la Cena del Signore era semplicemente una commemorazione e non una ripetizione della morte di Cristo.
Claudio, accusato dal clero di insegnare eresie, scrisse di sé: “ Non fa meraviglia che i membri di Satana parlino di me in tal modo”. Morì nell’839.


ARNALDO DI ORLEANS

Nel giugno 991 si tenne un Concilio nel monastero di S.Basile, vicino a Reims. Era stato promosso da Arnaldo, vescovo di Orléans, che si era posto a capo dei vescovi francesi per opporsi alle empietà del Papato. Arnaldo si alzò e disse del Papa: “ Chi è quell’uomo seduto sul suo trono risplendente nel suo abbigliamento di porpora e d’oro? Se l’amore gli fa difetto e se è gonfiato e sostenuto solo dalla conoscenza, egli è l’Anticristo che si siede nel tempio di Dio, volendo far credere che egli è Dio”.


BERENGARIO DI TOURS

Berengario di Tours (c. 998-1088) fu canonico della cattedrale di Tours e poi arcidiacono di Angers. A quel tempo la Chiesa di Roma rese obbligatoria la frequenza alla messa, intesa come ripetizione del sacrificio di Cristo, secondo una credenza che si era sviluppata gradualmente dal IV secolo. Berengario invece spiegò che il pane e il vino dell’eucaristia erano solo simboli del corpo e del sangue di Cristo, negando la transustanziazione. Diceva che il Nuovo Testamento insegna che il sacrificio di Cristo fu offerto un’unica volta sulla croce e che perciò non può essere ripetuto, ma solo commemorato nella Santa Cena. Chiamò la Chiesa di Roma “vanitatis concilium et ecclesiam malignantium, non apostolicam sed sedem Satanae”. Nel 1215 invece papa Innocenzo III farà della transustanziazione un dogma di fede.
A quel tempo Ildebrando di Soana, cioè Gregorio VII, papa dal 1073 al 1085, sentì l’esigenza generale di un cambiamento nella Chiesa a causa delle degenerazioni materialistiche del clero. Intese di riformare la Chiesa attuando un progetto politico: la sua emancipazione dal cesaropapismo e dal potere degli imperatori. Affermò così la supremazia della Chiesa sull’Impero, vietando l’investitura degli ecclesiastici da parte dell’imperatore. Nel 1079 impose il celibato ai preti per vedere se si correggevano. Il Vangelo però insegna che i ministri di Dio possono avere moglie e figli. San Pietro era ammogliato, San Paolo prescrisse che i vescovi dovessero avere famiglia.
Di questo Papa si diceva: “ Il rabbioso Satana si è scatenato: che la mano potente di Dio voglia distruggerlo! “.


I PETROBRUSIANI

Pietro de Bruys era un prete originario della Val Luisa, una di quelle che saranno poi le valli valdesi del versante francese. Predicò tra il 1105 e il 1126. Diceva: “Coloro che dovrebbero essere i vicari degli apostoli e i figli di Pietro sono divenuti i compagni di Giuda e i precursori dell’Anticristo e preamboli anticristi. Il sale della terra si è reso insipido e la luce del mondo si è tramutata in tenebre. Oggi la compagnia dei preti è la rovina dei popoli”. Fu avversato da Pietro il Venerabile, abate benedettino di Cluny (c. 1092 - 1156), rimasto tristemente famoso per i suoi accesi sermoni contro gli ebrei.
Pietro de Bruys fu il fondatore dei Petrobrusiani, che anticiparono la Riforma sotto molti aspetti: ripudiavano la tradizione ed ammettevano la sola autorità della Bibbia. Erano anabattisti ante litteram perché riconoscevano come valido solo il battesimo degli adulti e ribattezzavano tutti coloro che lo erano stati nell’infanzia. Negavano la transustanziazione e quindi rifiutavano la Messa. Condannavano il culto delle immagini e la necessità di edifici sacri. Ciò che li rese più famigerati tra il popolino fu il loro rifiuto di adorare la croce. Nel 1126, per tale motivo, Pietro de Bruys fu arrestato e a furor di popolo arso vivo su una croce di fuoco a Gilles in Linguadoca.


GLI ENRICIANI

Enrico di Losanna, detto l’Italico, era un ex monaco, fuggito dal convento tra la fine del XI e l’inizio del XII secolo, che si mise a predicare addirittura su licenza dell’Arcivescovo. Conobbe Pietro de Bruys, ne condivise il pensiero e, dopo il suo martirio, ne continuò l’opera. Enrico godette fama di grande sapere e di santità di vita e con la sua eloquenza commosse la Francia, da Tolosa al Reno. Fu chiamato anche “Enrico di Tolosa”. Nel 1135 fu arrestato dall’Arcivescovo di Arles e condotto davanti al Sinodo di Pisa, che però si rifiutò di condannarlo. Fu quindi portato al cospetto di Bernardo di Chiaravalle perché si ravvedesse e tornasse all’ortodossia. Enrico non stette ad ascoltarlo e lo salutò subito dicendogli che doveva andare a proseguire la propria opera di predicazione. Bernardo ci rimase male e si vendicò scrivendo contro di lui libelli pieni di innumerevoli calunnie e accuse, tra le quali quella assurda di peregrinare da un luogo all’altro secondo il costume apostolico. Enrico morì dopo un decennio di intensa attività evangelica nel 1148. I suoi discepoli furono chiamati Enriciani e fecero di Colonia il loro quartier generale. Sono considerati i precursori dei Valdesi.


I PATARINI


Poco dopo il mille, in seguito alla predicazione del diacono Arialdo contro il concubinato e la simonia del clero, erano comparsi a Milano i Patarini, che avevano formato un movimento pauperistico osteggiato dall’arcivescovo della città, che era oggetto delle loro critiche perché non sottomesso alla Curia romana. I difensori dell’autonomia dell’arcivescovo dalla curia di Roma li avevano chiamati in senso dispregiativo Patarini: la Pataria era un quartiere di Milano dove c’era una specie di mercato delle pulci e quindi dire Patarini equivaleva a dire straccivendoli. Erano semplici lavoratori, di umile condizione, che condannavano il lusso e la corruzione del clero e cercavano di mettere in pratica i dettami del Vangelo. Vivevano in comunità, si astenevano dai cibi carnei, facevano voto di castità e, se ammogliati, dicevano che a letto trattavano la moglie come una sorella. Quando dal 1073 al 1085 fu papa Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII, questo sentì l’esigenza generale di un cambiamento nella Chiesa a causa delle degenerazioni materialistiche del clero. Intese di attuare una riforma della Chiesa secondo un progetto politico: la sua emancipazione dal cesaropapismo e dal potere degli imperatori, che la corrompevano. Affermò così la supremazia della Chiesa sull’Impero, vietando l’investitura degli ecclesiastici da parte dell’imperatore.
Nel 1079 impose il celibato ai preti per vedere se si correggevano. Il Vangelo però aveva insegnato che i ministri di Dio possono avere moglie e figli. San Pietro era ammogliato, San Paolo prescrisse che i vescovi dovessero avere famiglia. La decisione papale non incontrò il favore di molti preti. Di questo Papa si diceva: “ Il rabbioso Satana si è scatenato: che la mano potente di Dio voglia distruggerlo! “.
La Curia milanese era in particolare disobbediente a Roma. A Milano infatti molti preti erano sposati o vivevano more uxorio.
Allora il papa spinse i casti Patarini a sollevare il popolo contro i preti coniugati e i vescovi che li tolleravano. Il celibato, se non era stato ottenuto con le buone, lo fu con le cattive. In questo modo però il popolo poté eleggere i suoi vescovi ed emanciparsi dai vincoli feudali.
Molti Patarini furono in seguito convinti dall’eloquenza di Arnaldo da Brescia, secondo cui i beni ecclesiastici sarebbero dovuti tornare nelle mani dei principi e i sudditi delle signorie ecclesiastiche avrebbero dovuto ribellarsi contro i padroni. A Brescia, per tale motivo, il vescovo fu spogliato delle sue ricchezze e cacciato da una sommossa.
Con la decretale Ad abolendam (1183) Lucio III condannò coloro che predicavano senza il permesso del vescovo o del clero, anche se propagandavano la dottrina cattolica più ortodossa. D’accordo con Federico Barbarossa, stabilì in ogni diocesi l’istituzione di un tribunale per individuare e colpire le persone sospette di eresia. Fu la prova generale dell’Inquisizione.
Al Concilio di Verona del 1184 lo stesso Lucio III scomunicò i Patarini insieme ai Catari, ai Valdesi e ai Poveri Lombardi. In seguito a ciò il movimento patarino si sciolse: alcuni passarono fra le fila dei Valdesi, altri fra quelle dei Catari.

I BOGOMILI


L’antica idea dualista dei Manichei, creata in Mesopotamia da Mani nel III secolo d.C., si perpetuò segretamente fino al VII secolo d.C., quando riemerse tra i Pauriciani, che dall’Armenia, dove come eretici non erano tollerati, passarono in Anatolia. Espulsi anche da qui raggiunsero la Bulgaria. Ivi, sotto la guida di un certo Bogomil, che in bulgaro significa “amico di Dio”, presero il nome di Bogomili e la loro dottrina di Bogomilismo.
Per prima cosa negarono l’incarnazione di Cristo e il Riscatto. La morte di Gesù sulla croce non aveva potere salvifico: bastava solo un rigoroso ascetismo per sconfiggere il Male. Rifiutavano i sacramenti, le preghiere e il culto della croce, della Vergine, delle immagini e dei Santi. Negavano l’autorità del papa. L’unica preghiera ammessa era il “Padre Nostro”, dove però il pane quotidiano era solo il cibo spirituale e non quello materiale.
I Bogomili migrarono dai Balcani in Italia e quindi in Aquitania nel 1022. Il Bogomilismo restò ampiamente diffuso in Dalmazia e in Albania. Dal Bogomilismo derivò il Catarismo.


I CATARI


I Catari, cioè i puri (dal greco kataros, puro), ricevettero in Francia il nome di Albigesi perché ebbero ad Albi in Provenza la loro sede più importante. Erano dualisti: per loro il mondo materiale era stato creato da Jehovah, il Dio malvagio dell’Antico Testamento, per cui tutto il Male starebbe nella materia. Il Bene invece nasce dal Dio buono del Nuovo Testamento, Gesù Cristo, Padre delle creature spirituali. Si trattava per loro di due divinità nettamente distinte e per tale motivo erano antitrinitari. L’età precristiana la chiamavano “l’età dell’ignoranza” e quella cristiana “l’età della conoscenza”, rivelata da Gesù Cristo agli uomini.
La natura stessa di Gesù Cristo era per essi puramente spirituale, nonostante avesse avuto apparenza umana, e perciò non poteva né soffrire né morire in croce. Sulla croce era morto un altro. Il loro ministro Bonafos insegnava che “sulla croce Cristo era stato rappresentato da un ladrone, colpevole quanto gli altri due che gli stavano a fianco. E per questo non c’è in quel supplizio niente di rivoltante, perché quello che rappresentava Gesù pagava per i suoi errori personali”. La salvezza dunque non starebbe nel Riscatto della croce, che non ci sarebbe stato, ma nel mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù Cristo, che aveva spiegato come liberarsi dalla tirannia del corpo per tornare ad essere puri spiriti.
Ripudiavano la messa, le intercessioni per i morti, la confessione auricolare e il culto dei santi. Negavano l’eucaristia perché Cristo era solo spirito e non poteva materializzarsi nell’ostia, che è materia e quindi una creazione dello Spirito del Male. Praticavano però la fractio panis.
Nel mondo materiale, nel quale viviamo, non ci sarebbe nulla di buono. Per tale motivo i Catari erano casti e rifiutavano il matrimonio e la procreazione, poiché la riproduzione non era altro per loro che l’imprigionamento di un’anima eterna e spirituale in un corpo materiale. I Catari erano animisti come gli Induisti, i Buddisti e gli Scintoisti. Per loro ogni corpo, anche animale, ospitava un’anima. Erano perciò vegetariani e rifiutavano ogni cibo di origine animale, compreso il latte e le uova. Ogni tanto facevano dei digiuni.
Si dividevano in Perfetti e Credenti. Questi ultimi non erano tenuti a far pubblica professione di fede né dovevano osservare le rigorose pratiche dei Perfetti. La castità, ad esempio, era obbligatoria solo per i Perfetti, cioè per il clero militante. I Credenti, se non ce la facevano a resistere, potevano avere rapporti sessuali purché non si sposassero e non procreassero. I Credenti però erano indispensabili per il mantenimento dei Perfetti, i quali erano venerati in quanto avevano ricevuto il consolamentum, la redenzione dalla materia ottenuta dopo due anni di dure prove. Avevano una gerarchia complicata: erano suddivisi in Chiese federate, ognuna delle quali aveva a capo un vescovo, alle cui dipendenze c’erano dei diaconi, che viaggiavano di regione in regione per predicare e per presiedere alle riunioni religiose.
Il divieto di uccidere per qualsiasi motivo valeva per i Perfetti anche in caso di legittima difesa. Perciò erano costretti a servirsi di guardie del corpo.
Credevano nella trasmigrazione delle anime e vestivano di nero perché portavano il lutto alla propria anima condannata all’inferno di questa vita terrena.
La via della salvezza consisteva, come per tutti i dualisti, nel liberarsi dalle spire della materia durante numerose reincarnazioni fino alla riunione completa con la divinità della Luce. Per tale motivo, come i Druidi, alcuni Perfetti si lasciavano morire di fame o di freddo per bruciare le tappe della vita terrena. Lo stesso era accaduto in India con il Giainismo. Il loro distacco dal mondo materiale prevedeva la rinuncia ad ogni possedimento e a ogni forma di ricchezza. Benché non stimassero il lavoro manuale, tuttavia eccelsero come agricoltori e artigiani e la Provenza dovette in gran parte a loro la propria eccezionale prosperità.
Poiché la Chiesa di Roma aveva accettato ricchezze e potere, i Catari ritenevano che si fosse schierata dalla parte del Male e quindi aveva perduto ogni autorevolezza in materia di purificazione delle anime.
Tea.
[Modificato da Roberto Carson 12/11/2009 19:41]
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