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CHI HA UCCISO GESU'? PIÙ COLPEVOLE PONZIO PILATO, I GIUDEI O NOI?

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2010 11:37
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18/04/2010 11:37

Re: Re:
Topsy, 16/04/2010 16.59:

Roberto Carson, 15/04/2010 21.39:



Risposta del Prof. Fernando De Angelis:

...
Non vorrei forzare le sintonie, ma sul piano logico-giuridico il tuo discorso è ineccepibile. Spostandomi su un altro piano, sembra che io affermi il contrario, perché tu dici che oggi nessuno è colpevole, mentre io dico che lo siamo tutti: conosci però il noto detto: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”.
...






Tutti siamo capaci di far del male. Affermazioni ovvie, diremmo noi oggi. Se vivessi all'epoca del II Tempio non avrei seguito Gesù come discepola. La Torah va liberamene dibattuta, e sostenere che un maestro ed uno solo, ha le chiavi ermeneutiche della Scrittura è un atteggiamento assai lontano dalla cultura religiosa ebraica. Su determinate prese di posizioni di Gesù posso anche ritrovarmi, su altre decisamente no; ma dal non condividere le convinzioni religiose di un maestro, a decretarne la morte, ce ne passa. Il caso di Gesù, non è stato certamente l'unico, di ebrei, mistici, tzaddik, patrioti, profeti, che hanno alzato la loro voce denunciando ciò che ritenevano un male in seno al proprio popolo, e vennnero eliminati a motivo di ciò, da chi, mirava eslusivamente a mantenere i propri privilegi di casta. Accade tra il popolo ebraico, come ovunque. Chi conosce la storia (o letto i Salmi) se ne sarà fatto certamente un'idea.

Siamo tutti colpevoli delle malefette di altri, di quei pochi che affliggono il proprio stesso popolo? Io direi piuttosto che ne siamo ciascuno in una certa misura, responsabili, anche se indirettatamente, allorchè abdichiamo al nostro dovere di vigilare, affinchè le ingiustizie sociali vengono denunciate e sanate. I racconti biblici ci rammentono come, quando il popolo viene meno agli obblighi (osservanza e custodia della Legge) che si è liberamente assunto ai piedi del Sinai, è punito con l’esilio o l’occupazione militare e politica.






Risposta del Prof. Fernando De Angelis:

Cara Topsy, (17/4/10)
nell’Antico Testamento trovo che Dio sa distinguere le responsabilità. Per esempio, il pessimo re Acab aveva molte colpe, ma era istigato al male dalla moglie Izebel, perciò quando in qualche modo si pentì, Dio arrivò addirittura ad usargli benevolenza (1Re 21:25-29). Viene anche spesso messo in evidenza come Dio prenda le difese dei poveri, accusando i potenti per i soprusi ad esso fatti (Isaia 29:19; Amos 2:6; 8:4; Sofonia 3:12).
Ciò però non toglie il principio generale, continuamente dato per scontato, che la classe dirigente di un popolo agisca in nome di tutto il popolo: Amalec, Moab e Israele stesso sono ripetutamente considerati non come una somma di individui, ma come fossero un tutt’uno solidale (Esodo 17:8-14; Deuteronomio 23:3-5; Geremia 2; Osea 11). L’espressione estrema di questo principio è quando Davide pecca e Dio punisce il popolo (1Cronache 21:1-14).
Fai bene a sottolineare il “concorso di colpa” da parte dei Romani e c’è un “segno” che per me rappresenta la responsabilità universale della condanna di Gesù: l’iscrizione in tre lingue (ebraico, latino e greco) messa sopra la croce (Giovanni 19:20): quella scritta significa che a Gerusalemme si incrociavano in quel momento tre mondi (religione ebraica, politica romana e cultura greca) e questi tre mondi (sintesi della Storia passata e sui quali si fonderà la storia futura) hanno concordemente rifiutato Gesù. Da parte della cultura greca il rifiuto è più nascosto, ma si manifesta chiaramente quando Gesù va nella Decapoli, che era zona di lingua greca (Marco 5:1-20); ne è poi una controprova la sufficienza con la quale Paolo è ascoltato dai filosi di Atene (Atti 17:32). Questi tre mondi, che non hanno accolto Gesù, sono stati comunque sconvolti dalle novità portate da Gesù e così, dopo un tempo più o meno lungo, risulteranno profondamente trasformati.
La simpatia delle folle per Gesù è abbastanza nota, mentre è spesso sottaciuto (proprio dai cristiani) il fatto che anche le prime predicazioni degli apostoli suscitarono una forte simpatia da parte del popolo, che ne rese difficile anche in questo caso l’arresto (Atti 2:47; 4:21; 5:13,26). Tutto ciò mostra come il cristianesimo sia nato ed abbia compiuto i primi passi completamente all’interno dell’ebraismo (ciò mette in imbarazzo sia i cristiani che gli Ebrei, mentre si sta tutti più tranquilli se si pensa a due religioni separate).
Sull’uso che il Nuovo Testamento fa della parola “Giudei” ho trovato indicativo quanto è contenuto negli Atti (cito ancora questo libro, che mi appare sempre più come quello teologicamente centrale del Nuovo Testamento, ma spero di metterne presto a disposizione un commento). Quando Paolo andava in una città greca, cominciava la sua predicazione in una sinagoga, si rivolgeva cioè ai “Giudei”. Una minoranza accettava il messaggio, mentre la maggioranza vi si opponeva decisamente. La sinagoga evidentemente rimaneva in mano alla maggioranza anticristiana , mentre gli Ebrei che avevano accettato il messaggio si trovavano uniti ai pagani divenuti cristiani (“cristiani” è una parola che Luca considera appropriata solo per quelli che non erano di provenienza ebraica, cf. Atti 11:26). Dopo la predicazione di Paolo, insomma, “Giudei” indicò quelli che non avevano accettato Gesù come Messia e non credo che, in questa scelta di linguaggio, ci siano intenti particolari, ma solo una naturale conseguenza dell’evolversi della situazione, che viene descritta in modo senz’altro approssimato, ma non con scopi ingannevoli perché il significato di “Giudei” è reso chiaro dal contesto (vedere, per esempio, Atti 13:43-45).

Provo un doppio “morso alle viscere” nel dire che considero un Ebreo di oggi come legato agli Ebrei di 2.000 anni fa. Prima di tutto perché sappiamo quanto questo pensiero sia stato usato per tentare di distruggere gli Ebrei. Nel vedere però quanto insisti sulla “scissione di responsabilità” mi sento colpevole (in quanto membro della “società cristiana”) di aver costretto gli Ebrei a tentare di salvarsi… con una specie di “suicidio” (che è peggio dell’uccidere). È infatti essenziale dell’essere Ebrei il sentirsi parte di una storia e di un popolo che sono cominciati 4.000 anni fa con Abramo, per poi proseguire con Mosè e il Sinai, ai piedi del quale anche tu mi pare che ti senta d’aver sottoscritto un patto; poi Davide, Ester, Daniele, Nehemia… fino alla shoa. È una storia che l’Ebreo sente intrecciata con la sua carne (o sbaglio?) allora la difesa non può incentrarsi sull’uso delle forbici.
Considerandomi parte del “collegio difensivo”, mi verrebbe da proporre un’altra strategia. All’accusa «Voi Ebrei siete colpevoli!», si potrebbe rispondere: «È vero, ma chi non è colpevole? Lei saprà che anche Pilato ha avuto la sua parte. Comunque un Ebreo ritenuto sicuramente innocente c’è ed è Gesù. Fra gli Ebrei colpevoli bisognerebbe metterci anche gli apostoli, che lo abbandonarono e fecero finta di non conoscerlo. Per uccidere Pietro e Paolo (e quelli che venivano dati alla belve nel Colosseo) i Romani comunque fecero tutto da soli, così anche su questa Penisola non è andato sempre tutto liscio. Forse è meglio pensare alle nostre proprio colpe, perché è di quelle che dovremo rispondere davanti a Dio, che riguardo al nostro simile ci ha dato il famoso comandamento di “amare il prossimo come noi stessi”: un comandamento dato sia agli Ebrei che ai cristiani (Levitico 19:18; Matteo 22:39). Perché non proviamo a metterlo in pratica? Forse proprio così potremmo migliorare il mondo».

Saprai che ho fatto della “continuità” fra Antico e Nuovo Testamento una bussola per orientarmi in una nuova comprensione della Bibbia. I miei fratelli cristiani sono però di una superficialità disarmante, perché deriviamo da una “Lettura antiebraica del Nuovo Testamento” che da quasi 2.000 anni si inventa contrasti che sono inconsistenti e inesistenti. Vedendo che tu conosci anche il Nuovo Testamento e che lo citi in modo appropriato, mi faresti un grande piacere se mi dicessi quali sono le posizioni di Gesù che ti suscitano un deciso “no”. Sono infatti convinto che i supposti contrasti derivino da un’errata comprensione dell’Antico e/o del Nuovo Testamento e le obiezioni dei cristiani non hanno fatto che rafforzarmi nella convinzione. Vorrei allora vagliare quei miei presupposti usufruendo del punto di vista dei fratelli Ebrei (dico “fratelli”, perché proprio a voi dobbiamo l’insegnamento che in Adamo lo siamo tutti). Ti chiederei però di sorvolare sulla questione della divinità di Gesù, sia perché su di essa mi sono già soffermato, sia perché nel Nuovo Testamento è una dottrina che viene esposta alla fine di un percorso, non all’inizio (perciò, volendo, se ne potrebbe riparlare in seguito).
L’argomento della “esclusività di Gesù”, come fattore ebraicamente inaccettabile, lo trovo inadeguato. Perché è Mosè stesso ad apparire come “innovatore unico”, che annuncia un successivo avvento di qualcuno simile a lui (Deuteronomio 18:15; 34:10). Ciò evidentemente non dimostra che Gesù sia “simile a Mosè”, ma la sua unicità non può essere una pregiudiziale negativa. Tanto più che Gesù non è apparso sulla scena in modo autoritario come nel caso di Mosè (da subito chiaramente nelle vesti di salvatore), ma si è presentato con tutta umiltà, cominciando a raccogliere discepoli come un qualsiasi rabbi ebraico, discutendo con tutti e facendo appello non alla sua autorità, ma riferendosi alla Parola di Dio ed ai miracoli fatti. Anche gli apostoli presentarono Gesù indicandolo per lo più come “Gesù”, “un uomo”, “quello di Nazaret”, “il Servo” (per esempio, Atti 2:22-23; 3:26; 4:10; 10:38; 13:23; 22:8; 26:9; 28:23).
Comunque, al di là delle singole questioni, percepisco una “sintonia di atteggiamenti” che mi fanno essere fiducioso sulla possibilità di approfondire il dialogo.

Fernando De Angelis






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