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CONFRONTO SU DARWIN FRA PIATTELLI PALMARINI E PIEVANI

Ultimo Aggiornamento: 08/01/2011 21:12
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08/01/2011 21:11

In una trasmissione su “Radiotre scienza” del 6/4/10, Massimo Piattelli Palmarini e Telmo Pievani hanno dialogato su Darwin in modo molto interessante. Riportiamo prima la trascrizione del dialogo, alla quale abbiamo fatto dei piccoli adattamenti formali, facendola poi seguire da un commento. Dopo Giuseppe Sermonti e Antonino Zichichi, Piattelli Palmarini è un altro scienziato italiano di fama internazionale che si schiera apertamente contro Darwin: tutti e tre lo fanno però con argomenti scientifici, non perché credano alla Genesi in modo letterale.

di Giovanni Scotto Di Carlo

1.Sintesi del dialogo su Radiotre
2.Commento



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1. SINTESI DEL DIALOGO SU RADIOTRE

Pietro Greco (moderatore)
Sul quotidiano “La Repubblica” di oggi (6/4/2010) c’è una sorta di lettera-appello di Luigi Cavalli Sforza, che è uno dei nostri genetisti di maggior valore, che invita i colleghi scienziati a “non sparare su Darwin”. Questo perché è uscito negli Stati Uniti d’America, e sta per uscire in Italia, il libro “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli); ne sono autori il filosofo Jerry Fodor e un neuro scienziato cognitivista, Massimo Piattelli Palmarini, docente all’Università di California. Da poco è anche uscito un libro ad opera di Richard Dawkins, genetista e soprattutto divulgatore, intitolato “Il più grande spettacolo della Terra: perché Darwin aveva ragione”. Si discute dunque ancora su Darwin e in maniera molto appassionata.
Abbiamo con noi Massimo Piattelli Palmarini e Telmo Pievani, filosofo della scienza all’Università Bicocca di Milano. Allora, professor Piattelli Palmarini, ci dice quali sono a suo avviso “gli errori di Darwin”?

Massimo Piattelli Palmarini
Gli errori di Darwin non sono veramente di Darwin, perché è un po’ ingiusto prendersela con lui, a più di un secolo dalla morte di questo grandissimo scienziato, uno dei più grandi di ogni tempo. La nostra polemica è perciò con i neodarwinisti, soprattutto con quelli di stretta osservanza.
Per sintetizzare drasticamente, sono due i grossi problemi per il neodarwinismo classico: 1) tutto ciò che si è scoperto in biologia negli ultimi quindici anni, riguardante gli “altri fattori” che intervengono nella comparsa di specie nuove: fattori fra loro molto eterogenei e che sono estranei alla selezione naturale; 2) c’è poi da considerare che la selezione naturale è per sua stessa natura impossibilitata a “discriminare” fra un tratto che ha valore adattativo e altri tratti che lo accompagnano, come hanno scritto già diversi anni fa Stephen Jay Gould e Richard Lewontin: non potendo fare questa distinzione, è molto difficile ricostruire l’origine adattativa di un certo tratto, perché forse sono stati quelli che l’accompagnano a pilotare l’adattamento.

Greco
Quindi, se ho ben capito, lei sostiene che la selezione naturale non è un meccanismo così pervasivo e decisivo nell’evoluzione biologica?

Piattelli Palmarini
Esattamente. L’evoluzione naturale non è il motore della comparsa di specie nuove. Ovviamente la selezione naturale è reale, esiste ed è responsabile di un graduale cambiamento, soprattutto nella formazione di sottospecie e cose di questo genere, ma non nella comparsa di specie nuove.

Greco
Telmo Pievani è un attento osservatore della teoria dell’evoluzione e perciò gli chiediamo se ritiene fondati questi rilievi.

Telmo Pievani
Il libro di Fodor e Piattelli Palmarini è ricco di riferimenti a ricerche che a mio avviso sono estremamente importanti, perciò non condivido la reazione di difesa forte che c’è in queste settimane, la quale nega in qualche modo il valore di queste ricerche. Queste ricerche ci sono, sono molto importanti, crescono sempre più e ci fanno capire che il programma di ricerche evoluzionistico ha bisogno di importanti aggiornamenti; è quella che Gould, citato prima, definiva “l’esigenza di un’estensione e revisione dell’impianto neodarwiniano”, dove queste due parole sono importanti: nel senso che “estensione” vuol dire che si aggiungono fattori non contemplati nell’impianto esplicativo precedente; mentre “revisione” vuol dire che si correggono delle storture, delle insufficienze, delle mancanze nella spiegazione precedente. Occorre quindi un profondo aggiornamento.
È importante la precisazione, fatta prima da Piattelli Palmarini, che qui non stiamo parlando sostanzialmente degli errori di Darwin, ma di certe interpretazioni di alcuni epigoni di Darwin. Questo è importante perché lo stesso Gould, ad esempio, faceva spesso riferimento proprio all’originario impianto pluralista di Darwin. Una delle caratteristiche più importanti di questo pluralismo – lo dice spesso Darwin anche ne “L’origine delle specie” – è proprio che l’evoluzione è un gioco; cioè una sorta di compromesso continuo tra esigenze funzionali – quali pressioni esterne, ecologiche, selettive e di resistenze interne – e quelle che lui chiamava “unità di tipo”, cioè in sostanza quei vincoli strutturali che noi oggi abbiamo reinterpretato in un modo completamente diverso da come poteva fare lui nell’Ottocento. Oggi sappiamo che ci sono vincoli dello sviluppo, vincoli genetici, vincoli che limitano la variazione: tutti questi sono fattori molto importanti.
La questione fondamentale che con Piattelli Palmarini forse ci divide è capire se questi nuovi fattori, dei quali stiamo apprezzando il ruolo nell’evoluzione, implicano un rovesciamento radicale della spiegazione neodarwiniana (come sostengono i due autori del libro) oppure tutto ciò implica (come penso io e come pensano altri autori) solo un sostanziale e importante aggiornamento verso una teoria che resta ancora neodarwiniana nel suo nucleo, ma che è profondamente cambiata e aggiornata come è normale che sia.

Greco
Chiediamolo allora a Piattelli Palmarini se ritiene che basti solo una revisione profonda del neodarwinismo. In fondo, come ricordava Pievani, lo stesso Darwin sosteneva che la selezione naturale è il principale ma non l’unico meccanismo dell’evoluzione biologica. Anche i neodarwiniani hanno poi scoperto, e neppure tanto recentemente, le cosiddette mutazioni neutre, cioè tutta una serie di mutazioni che non sono adattative.

Piattelli Palmarini
Sul fatto che la selezione naturale non sia l’unico meccanismo è Darwin stesso a dircelo, come ha ricordato giustamente Telmo Pievani, ma per Darwin restava il motore principale, mentre adesso non è più il fattore principale: questa credo che sia un po’ la conclusione alla quale sono arrivati tanti biologi.
Pievani e io siamo dunque sostanzialmente d’accordo su tanti punti e forse è una questione d’interpretazione. Lui parla giustamente di una revisione profonda, di un allargamento sostanziale; a noi invece pare che questo allargamento sostanziale e questa revisione profonda si possano anche etichettare in modo diverso, cioè come un cambiamento radicale, un sovvertimento, che comporta la marginalizzazione della selezione naturale. Forse è una questione d’interpretazione, di enfasi su un termine piuttosto che su un altro o forse anche qualcosa in più.
Mi sento d’accordo con Pievani, con il quale ci siamo amichevolmente scambiati vari messaggi e riporto anche, in un aggiornamento dell’edizione italiana, un nostro scambio delle ultime settimane. Siamo in effetti un pochino in dissenso su come interpretare, perché credo che quando questo “allargamento” diventa così vasto, succede che allargando e allargando la cosa si rompa: così ci ritroviamo in mano qualcosa che non è più quello che era.

Pievani
Il problema è capire qual è la rilevanza dei vari fattori e mi rendo conto che è molto difficile. Prima però vorrei chiarire anche un altro aspetto. Siamo partiti dicendo “non spariamo su Darwin”. Attenzione però all’invito a non sparare su Darwin, perché nella scienza fondamentalmente bisogna sparare su qualsiasi autorità precostituita, perché questo è proprio il gioco della scienza; quindi non è che non dobbiamo sparare su Darwin, perché altrimenti facciamo il gioco dei creazionisti, ma la questione va valutata nel merito di quello che sta succedendo sul campo.
Io non sono convinto che la selezione naturale sia diventata un fattore irrilevante. Prendiamo per esempio il caso della speciazione che lei ha fatto prima e che è molto importante nel libro di Piattelli Palmarini. Io non penso che la selezione abbia oggi un ruolo irrilevante nella speciazione, perché si tratta di fattori che interagiscono fra di loro. Come nasce una nuova specie? Nasce certo quando si sviluppano mutazioni che sappiamo avere un carattere anche molto meno graduale e cumulativo di quanto pensassero i neodarwiniani e va benissimo; sappiamo anche che la speciazione può avvenire in modi molto diversi e con ritmi molto diversi; che forse le speciazioni graduali darwiniane sono la minoranza e che forse le speciazioni avvengono in un modo più punteggiato, come sostennero Eldredge e Gould già negli anni settanta.
Se andiamo però a vedere che cosa succede durante una punteggiatura, una di quelle fantomatiche punteggiature di Eldredge e Gould, vediamo che è sostanzialmente una separazione di una piccola popolazione; una separazione fisica e geografica con le due popolazioni che vanno in qualche modo alla deriva e accumulano mutazioni divergenti; al punto che l’isolamento fisico diventa un isolamento riproduttivo e così le due popolazioni non riescono più ad incrociarsi.
Abbiamo capito che la genetica della speciazione è molto più complicata di quanto pensassimo venti o trenta anni fa, ma il meccanismo di base, quello cioè che alla fine produce la separazione fra le due popolazioni, è l’accumulo di mutazioni divergenti dovuto alla selezione naturale e alla deriva genetica, cioè a quell’insieme di fattori e a quell’armamentario che – in un modo senz’altro molto impreciso – chiamiamo neodarwinismo, perché è un neodarwinismo già abbondantemente allargato.
Il caso della deriva genetica è secondo me molto emblematico, perché paradossalmente è ancora più radicale di quello che dicono Fodor e Piattelli Palmarini. La deriva genetica è proprio un meccanismo “non selettivo”, perché le varianti genetiche si fissano in una popolazione per ragioni del tutto indipendenti dalla selezione naturale. Allora il problema è capire quando la fissazione di una mutazione è frutto di selezione e quando è frutto di deriva. Quindi è proprio una questione di frequenze relative fra i due processi.

Greco
Professor Piattelli Palmarini, rispetto ai fattori ambientali, nel vostro libro fate molto riferimento e accentuate i fattori strutturali e auto-organizzativi.

Piattelli Palmarini
Sì, sottolineiamo questa componente delle forme che si ritrovano nel mondo biologico, che è una componente di tipo fisico, chimico, auto-organizzativo; ma le stesse forme si ritrovano anche nelle galassie e in certi sistemi inorganici. Quando si vedono queste stesse forme, sia in sistemi inorganici puramente chimico-fisici e sia nelle forme di vita, si capisce che c’è sotto una forza perfettamente materialistica e meccanicistica, ma di tipo assai diverso dalla selezione naturale.
Ripeto che in tante cose sono d’accordo con Pievani, che sottolinea la progressione e la gradualità, ma in molti casi non c’è gradualità. In molti casi, come ha sottolineato in molte sue opere, ci sono cambiamenti improvvisi; perché una mutazione in un gene che controlla tanti tratti porta un cambiamento che è piccolo a livello genetico, ma è macroscopico a livello delle forme di vita che osserviamo.
Un grande studioso italiano professore a Padova, Alessandro Minelli, ha per esempio pubblicato recentemente la scoperta di una nuova specie di Scolopendra, delle quali ci sono centinaia e centinaia di specie che hanno un tratto molto interessante, cioè che il numero di paia di zampe è sempre dispari. La nuova specie scoperta in Brasile l’hanno chiamata Scolopendra duplicata perché, rispetto alla specie più prossima, c’è un raddoppio nel numero delle zampe. È però un raddoppio che non è veramente un raddoppio, perché è di nuovo un numero dispari: queste cose non hanno spiegazioni in termini di adattamento, perché è impensabile che una Scolopendra non potrebbe andare in giro, trovare cibo e riprodursi se avesse un numero “pari” di zampe. C’è allora un vincolo strutturale interno che non è spiegabile in termini di adattamento. Il raddoppio delle zampe di questa Scolopendra è subitaneo, cioè non si sono osservate specie che hanno un numero intermedio di zampe. Ci sono quindi equilibri discontinui e forze interne che governano ciò che si può osservare. Sono fenomeni molto importanti che la teoria dell’evoluzione naturale non spiega.

Greco
Lei ha fatto riferimento a Minelli, che è un esponente italiano tra i più rappresentativi della disciplina cosiddetta “evo-devo”: qualcosa che si integra col darwinismo o si separa dal darwinismo?

Piattelli Palmarini
Minelli è sempre molto prudente e in questo lavoro sulla Scolopendra duplicata, che ha pubblicato con i colleghi brasiliani, dice che “non stiamo ad argomentare pro o contro la selezione naturale”, prendendo una posizione molto neutrale. A me sembra che la selezione naturale non intervenga in fenomeni di questo tipo e che quindi l’interpretazione di Minelli è un po’ più conservativa e prudente della nostra.

Pievani
Questo che fa Minelli è un esempio bellissimo; abbiamo il raddoppio delle zampe che si è fissato in una specie mantenendo un numero dispari, che palesemente non sembra avere nessun valore adattativo e quindi non è frutto di una pressione selettiva. In altri casi abbiamo invece vincoli strutturali che, in un certo contesto ecologico, trovano compromessi con esigenze funzionali, con pressioni selettive, con adattamenti. In entrambi i casi però – questo è il rilievo che io voglio fare – affinché si possa oggi parlare di una Scolopendra con le zampe raddoppiate, deve essersi concluso un certo processo continuativo, con una popolazione che ha preso quel tratto e che si è separata da un punto di vista riproduttivo, perciò la chiamiamo specie. Anche in questo si vede che c’è una integrazione di processi diversi, perciò non è più scandaloso dire che in quella specie si è sviluppato un tratto che non ha un valore adattativo, ma che ci sono vincoli strutturali e c’è l’interazione di una pluralità di fattori. È quell’idea di un gioco fra interno ed esterno che molti biologi evoluzionisti hanno ripreso già in passato. La questione, ripeto, è capire se questo è un aggiornamento e un’aggiunta di nuovi fattori, come io penso, o invece c’è una teoria rivale.
Credo che il punto debole del libro di Piattelli Palmarini è che non prefigura una teoria rivale e in molti casi si dice che la selezione naturale non offre una spiegazione, poi però ci si ferma lì e si ammette che non si sa la spiegazione. Nella scienza però, quando si fa un attacco così forte a una spiegazione consolidata, secondo me bisognerebbe avere una teoria alternativa, in modo che si possano mettere a confronto e anche falsificarla.

Greco
Professor Piattelli Palmarini, allora c’è una teoria alternativa?

Piattelli Palmarini
No, oggi non c’è una teoria alternativa. La nostra critica non è per sostituire una nuova teoria globale alla teoria della selezione naturale. Il nostro intervento è per sostituire tanti meccanismi, la cui integrazione richiederà molti anni per essere capita.

Greco
Quindi la sua teoria è che non ci sono teorie.

Piattelli Palmarini
La mia teoria è che ci sono tanti processi diversi a vari livelli e che negli anni a venire si cercherà di metterli insieme il più possibile, ma ora come ora non credo che ci sia una teoria alternativa onnicomprensiva.

Greco
Ringrazio Massimo Piattelli Palmarini e Telmo Pievani. Riprenderemo certamente il discorso con “Radiotre scienza”, perché è di straordinaria importanza e interesse.



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2. COMMENTO
a) Premessa.
Questo confronto si potrebbe proporre come presentazione del libro di Fodor e Piattelli Palmarini. Le dichiarazioni di una personalità autorevole e riconosciuta nel campo della difesa dell’evoluzionismo, come lo è Telmo Pievani, rappresentano a mio parere il miglior biglietto da visita per accompagnare un libro dal titolo alquanto indigesto per gli affezionati sostenitori del darwinismo. Per chi si ostina a ritenere le tesi di Darwin assolutamente incontestabili sotto il profilo della dimostrabilità scientifica, questo dibattito dimostra che nella scienza si fa oggi sempre più pressante l’esigenza di una profonda revisione dell’impianto evoluzionistico tradizionale, che ha come principale perno l’ipotesi darwiniana. Una revisione che non si limita alla risoluzione di aspetti marginali, ma tocca i cardini stessi dell’evoluzionismo e alimenta l’esigenza di un superamento di quelle che si consideravano tesi scientifiche consolidate.
Per chi non segue da vicino gli sviluppi del dibattito sulla validità della teoria evolutiva di Darwin, questo confronto tra esperti del settore (tra l’altro molto breve rispetto alla vastità dell’argomento) non sembra aver portato un grosso contributo di chiarezza sull’argomento, perché il confronto in fondo si è svolto su toni piuttosto pacati e concilianti. In realtà gli elementi che sono emersi sono però molto significativi e vale la pena rimarcarli, cercando di fare un po’ il punto sulla questione.

b) Limiti alla variabilità.
Le ammissioni che sono state fatte sono davvero notevoli e paiono tanto più significative se si considera che, solo fino a poco tempo fa, questo genere di affermazioni erano liquidate come “non scientifiche”, ossia contrarie ai fatti osservati dalla scienza. Si è sentito ad esempio che esistono dei limiti di vario genere al processo di trasformazione graduale darwiniano, che è invece basato sulla variabilità illimitata: ciò scardina uno dei principali pilastri del darwinismo classico.
Il sentir dire che sono stati accertati limiti di vario genere a tale variabilità, equivale a trovare conferma di ciò che gli oppositori del darwinismo andavano da sempre affermando, cioè che una specie può certamente dare origine a tante sottospecie, ma da un coccodrillo non verrà mai fuori un rinoceronte. Un’ammissione di questo tipo rappresenta la smentita non di quella variabilità naturale da sempre conosciuta dagli allevatori di bestiame, ma di quella mai dimostrata che – secondo la teoria di Darwin – avrebbe prodotto sempre nuovi caratteri senza mai esaurirsi, fino a trasformare un rettile in mammifero. In altre parole, dopo un secolo e mezzo il darwinismo si ritrova al punto di partenza, cioè nella condizione di dover ancora dimostrare se stesso.

c) Superamento del neodarwinismo.
Altra notevole ammissione è il riconoscimento dell’insufficienza ed insostenibilità del neodarwinismo, che aveva inteso integrare il darwinismo della prima ora con le successive scoperte. La scialuppa del neodarwinismo, insomma, non si è rivelata adatta a portare in salvo una teoria che si era presto trovata a navigare in maniera molto precaria, ma su questo punto è utile approfondire un po’.
Senza farla troppo lunga, diremo che la teoria di Darwin è stata presa a base per interpretare le nuove scoperte, che hanno consentito di integrare e in alcuni casi superare alcuni grossi limiti della spiegazione darwiniana originaria, confluendo dapprima nella cosiddetta teoria sintetica dell’evoluzione e poi nel neodarwinismo. I sostenitori dell’evoluzionismo hanno sempre sostenuto che attaccare la teoria di Darwin, facendo leva sui suoi tradizionali limiti, significava non tenere conto dei successivi avanzamenti dell’indagine scientifica. Ebbene si apprende ora, da insigni esperti del settore, che è necessario ritornare alla teoria di Darwin nella sua formulazione originaria e ricominciare a mettere mano in maniera diversa alla soluzione dei problemi. La scienza dunque si interroga ancora sul valore vero del darwinismo le cui gravi lacune, a suo tempo individuate, rappresentano ancora oggi una problematica tutt’altro che risolta, nonostante le roboanti e dogmatiche affermazioni di certi evoluzionisti.

d) L’adattamento.
Per decenni abbiamo sentito parlare dell’adattamento come meccanismo attraverso cui le specie hanno assunto le caratteristiche attuali. L’adattamento ha sostituito nella mente di tutti noi il più tradizionale concetto di creazione e si è pensato di poter spiegare ogni aspetto di un vivente in termini di adattamento. Come non mettere in risalto l’ammissione che, per moltissime caratteristiche esibite dagli organismi viventi, non è possibile una spiegazione attraverso il meccanismo darwiniano dell’adattamento, che rappresenta da sempre uno dei fondamentali pilastri del darwinismo e del quale ben pochi scienziati hanno osato marcarne i limiti.
Su tale sacro pilastro apprendiamo oggi che non può più fondarsi completamente la spiegazione dell’evoluzione. Tutte quelle innumerevoli rappresentazioni scientifiche, nelle quali si portava come spiegazione inequivocabile l’adattamento, vanno dunque seriamente riconsiderate. Come vanno parallelamente rivalutate le dichiarazioni di coloro che rifiutavano l’adattamento come spiegazione della comparsa di organi e funzioni nuove.
Insomma, siamo di fronte ad una serie di dichiarazioni che solo fino a non molto tempo fa si riteneva potessero essere fatte solo in ambito non scientifico, ossia “creazionista”: e questo a mio parere è il dato di maggior rilievo che emerge da tale dibattito. In altre parole, non sono sempre e solo i soliti creazionisti, considerati tradizionalmente come nemici delle verità scientifiche, a marcare i limiti e le lacune dell’evoluzionismo darwiniano.

e) La selezione naturale non è il motore della comparsa di nuove specie.
Il meccanismo darwiniano della selezione naturale al massimo spiega l’origine in natura di “sottospecie”. Ciò ancora una volta consente di ribadire ciò che gli oppositori del darwinismo andavano dicendo da sempre, che cioè la selezione naturale non dice nulla sui passaggi da un ordine tassonomico ad un altro, come può essere ad esempio quello da pesce a uccello, o da coccodrillo a elefante. Questa è senz’altro la più notevole delle questioni che sono emerse.
La cosa oltremodo significativa di questa ammissione è che a farla è una personalità scientifica, come quella di Piattelli Palmarini, che evidentemente ha ben letto e compreso le opere di Darwin, qualifiche strumentalmente negate agli antidarwinisti. Questo ci consente di ribadire che negli scritti del naturalista inglese non vi sono sufficienti ed esaustive argomentazioni per provare inequivocabilmente l’ipotesi esposta. Allo stesso tempo ci offre l’opportunità di chiarire che, contrariamente a quanto si fa credere, l’opposizione all’evoluzionismo non scaturisce dall’ignoranza delle opere di Darwin, bensì dal fatto che esse non sono formulate in termini scientificamente convincenti.
In questo senso, le risposte vaghe e generiche di Pievani non sono altro che la ripetizione delle tipiche formule evasive neodarwiniane, a cui l’evoluzionismo da sempre ricorre quando si tratta di giustificare gli ipotizzati e mai provati passaggi da una specie ad un’altra: insomma, formule verbali e non prove, dichiarazioni ipotetiche e non dimostrazioni inequivocabili.
Pievani continua a recitare il credo in una cosiddetta “divergenza evolutiva” che inizierebbe laddove le specie, a causa dell’isolamento geografico o di altro fattore, perdono la capacità di accoppiarsi con la specie originaria e intraprendono, da quel momento in poi, il cammino verso qualcosa che bisogna “immaginare” come la storia di una nuova specie. Da quel momento in poi inizia per l’evoluzionismo la miracolosa e inimmaginabile fase di formazione di una specie del tutto nuova: ma come? Questa è la domanda a cui l’evoluzionismo non riesce a rispondere, né nella sua tradizionale formulazione darwiniana, né in quella neodarwiniana. Siamo allora riconoscenti a Pievani per avercelo ribadito, chiarendo che con la divergenza evolutiva non può essere spiegato come, dopo milioni di anni, da un cavallo sia venuto fuori un bovino. Pievani cioè ci conduce proprio dove la teoria di Darwin esaurisce le sue dimostrazioni-spiegazioni e dove inizia il baratro dell’evoluzionismo, che non può dare nessuna spiegazione scientifica soddisfacente.
La trasformazione di una sottospecie in una specie del tutto diversa da quella originaria resta un mistero, che costituisce il vero errore di Darwin e allo stesso tempo la sicura fede di Pievani: stupisce con quanta larghezza un filosofo della scienza si conceda di utilizzare formule esplicative di dubbia scientificità, per “saltare i fossi” in mancanza di ponti scientifici ben fatti.
La realtà risuona bene nelle parole non contraddette di Piattelli Palmarini: “Oggi non c’è una teoria alternativa”. Come a dire che non c’è alternativa a una teoria che pure si è rivelata del tutto insufficiente. Il fatto non detto in questo dibattito è che l’evoluzionismo scientifico è legato indissolubilmente alla figura di Darwin, perciò il riconoscimento dell’insufficienza delle sue ipotesi comporta necessariamente il riconoscimento dell’inconsistenza di tutto il paradigma evoluzionistico e questo si evita in tutti i modi di farlo rilevare. Il binomio evoluzione-Darwin è indissolubile, come sa bene anche chi sente parlare di sfuggita di temi legati all’evoluzionismo, allora il tramonto del darwinismo coincide inevitabilmente col tramonto dell’evoluzionismo, o perlomeno con il tentativo di spiegare scientificamente la formazione delle specie per mezzo dell’evoluzione.
Concludiamo facendo notare come sia anomalo, per la scienza, il tentativo ideologico di voler salvare a tutti i costi una teoria che, nei suoi aspetti fondamentali, è stata tanto revisionata e riconsiderata da risultare praticamente azzerata, senza che questo abbia portato al suo definitivo superamento. Si dice cioè che quei due o tre fattori non sono più da considerare determinanti, ma si sorvola sul fatto che essi erano determinanti nel sostenere quella teoria, perciò è come riconoscere che il darwinismo non ha più un valore esplicativo. Insomma, per il darwinismo stanno suonando le campane a morto: la speranza è che questa volta ci ponga attenzione anche chi non le ha mai volute ascoltare, semplicemente perché a suonarle era un “non autorizzato”.



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