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La Trinità

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2009 19:26
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29/06/2009 13:14

Come proverebbe un ortodosso, l'esistenza di un Dio uno e trino?
Quali prove scritturistiche presenterebbe ai tdG, i quali, com'è risaputo, non credono nella trinità di Dio?
Walter Simoni

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29/06/2009 22:25

Re:
Walter.Simoni, 29/06/2009 13.14:

Come proverebbe un ortodosso, l'esistenza di un Dio uno e trino?
Quali prove scritturistiche presenterebbe ai tdG, i quali, com'è risaputo, non credono nella trinità di Dio?



Caro Walter, la tua domanda mi spaventa per la vastità della tematica. Ci sono infatti decine di passi biblici e riflessioni dei Padri della Chiesa che testimoniano la Trinità e francamente non saprei da quale partire. Ne citerò alcuni e via via che la discussione procede (spero) proverò a portarne di nuovi.

Prima di tutto però vorrei fare una premessa importante: per un ortodosso la Scrittura è essenziale, anzi fondamentale. Ma altrettanto importanti sono altri elementi che vengono visti come il normale prolungamento della Scrittura e testimoniano la stessa opera dello Spirito Santo lungo la storia. Si tratta del Credo, delle dottrine dei Sette Concili, delle Icone e soprattutto dei Padri della Chiesa. Ci sono anche altre cose importanti ma queste sono le principali, che insieme alla Bibbia formano quella che viene comunemente chiamata la "Tradizione".

Tutti questi elementi costituiscono una guida spirituale completa per qualunque ortodosso, che in ogni momento e in ogni luogo sa di poter contare su questa forte roccia. Certo, i Padri della Chiesa, che hanno elaborato le dottrine presenti nelle Scritture, non hanno mantenuto sempre e comunque un percorso esegetico univoco e concorde. La discussione è alla base di qualunque credo per gli ortodossi, come testimoniano i Concili. Ma presa nel suo insieme, tutta la Tradizione costituisce il centro del mondo ortodosso, imprescindibile e inimitabile.

Come potrete benissimo immaginare, la Trinità sta al centro di tutto, per questo pensavo all'enorme lavoro che mi aspetta. Ma vorrei invece basarmi sulle vostre domande, cominciando da un punto a caso e muovendomi poi dove mi porta il vento.

Il punto da cui vorrei partire è uno dei versetti che maggiormente amo:

"Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna." (1Gio 5,20 - Nuova Riveduta)

Il messaggio credo sia chiaro già da questo. Ce ne sono molti altri, anche in relazione al Santo Spirito, che ci fanno intuire la Trinità. Ma per stasera credo che basti.

Saluti
ortodox
[Modificato da ortodox 29/06/2009 22:27]
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30/06/2009 00:14

Re: Re:
[95186159=ortodox, 29/06/2009 22.25]


Caro Walter, la tua domanda mi spaventa per la vastità della tematica.



La Scrittura sostiene che: "...sono imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!". Rom 11:33,34
Per quanto possiamo sbizzarrirci nello studio e nella ricerca, non comprenderemo mai la grandezza dell'Onnipotente! Tentiamo di spiegare Dio attraverso ciò che Egli ci ha raccontato di Sè nella Parola scritta, mai però potremo penetrare profondamente all'interno delle sue vie e dei suoi pensieri.


Ci sono infatti decine di passi biblici e riflessioni dei Padri della Chiesa che testimoniano la Trinità e francamente non saprei da quale partire. Ne citerò alcuni e via via che la discussione procede (spero) proverò a portarne di nuovi.



Sarà interessante confrontarci su questo. Sì, è vero: la Parola di Dio parla spesso della Trinità, se per Trinità intendiamo le tre ipostasi: Padre, Figlio e Spirito santo.
Per i Testimoni, queste sono la base, il fondamento della propria dedicazione di fede, tant'è vero che, come comandò Gesù, ci battezziamo anche noi "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo".
La questione però si accende, quando si cerca di capire la sostanza delle ipostasi in questione. Infatti: davvero la Bibbia sostiene il concetto trinitario niceano relativo alla consustanzialità dei Tre, la loro coeguaglianza e coeternità?
E poi, che dire dello Spirito santo? E una persona divina oppure è la potenza del Divino?
Credo che in questo thread ce n'è di argomenti da trattare. Però mi piacerebbe che questa considerazione si concludesse come un sereno confronto, senza scendere nel bassezza di uno scontro. Qualunque argomentazione può benissimo concludersi con opinioni opposti, differenti, ma ne è valsa la pena parlarne, se il rispetto sta alla base di tutto.


Prima di tutto però vorrei fare una premessa importante: per un ortodosso la Scrittura è essenziale, anzi fondamentale. Ma altrettanto importanti sono altri elementi che vengono visti come il normale prolungamento della Scrittura e testimoniano la stessa opera dello Spirito Santo lungo la storia. Si tratta del Credo, delle dottrine dei Sette Concili, delle Icone e soprattutto dei Padri della Chiesa. Ci sono anche altre cose importanti ma queste sono le principali, che insieme alla Bibbia formano quella che viene comunemente chiamata la "Tradizione".
Tutti questi elementi costituiscono una guida spirituale completa per qualunque ortodosso, che in ogni momento e in ogni luogo sa di poter contare su questa forte roccia. Certo, i Padri della Chiesa, che hanno elaborato le dottrine presenti nelle Scritture, non hanno mantenuto sempre e comunque un percorso esegetico univoco e concorde. La discussione è alla base di qualunque credo per gli ortodossi, come testimoniano i Concili. Ma presa nel suo insieme, tutta la Tradizione costituisce il centro del mondo ortodosso, imprescindibile e inimitabile.





Anche per i Testimoni la Scrittura è essenziale e fondamentale. Essa contiene i pensieri di Dio e la Sua guida. A questa infatti facciamo pieno riferimento per ogni cosa: sia che si tratti di una decisione da prendere, di un problema da risolvere nell'ambito del lavoro, sia nei ns rapporti col prossimo, e nella vita quotidiana. La Scrittura è utile per insegnare a camminare nella giustizia, per correggerci, per disciplinarci se sbagliamo, e ad essa ricorriamo continuamente.
Per i Testimoni, ciò che Dio aveva da dirci, l'ha fatto scrivere nero su bianco, e va considerato nella sua interezza, alla luce del suo contesto globale.


Come potrete benissimo immaginare, la Trinità sta al centro di tutto, per questo pensavo all'enorme lavoro che mi aspetta. Ma vorrei invece basarmi sulle vostre domande, cominciando da un punto a caso e muovendomi poi dove mi porta il vento.
Il punto da cui vorrei partire è uno dei versetti che maggiormente amo: "Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna." (1Gio 5,20 - Nuova Riveduta)



La scrittura che hai riportato è davvero una delle più belle, ma anche una delle più articolate e discusse.
Secondo un'altra versione, il verso direbbe così: “Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna”. In ogni caso, la questione che si presenta è: quando L’apostolo parla del “vero Dio”, fa riferimento a Cristo o a Dio Padre? E’ vero che la forma grammaticale in cui è impostato il versetto, farebbe pensare che “il vero Dio” sia riferito al Figlio, tuttavia il contesto mostrerebbe che, il soggetto principale a cui si riferisce Giovanni era Dio, e non Gesù. Non mi sembra infatti che lo scopo delle parole di questo verso, sia quello di esaltare la divinità di Gesù. Ma su questo mi esprimerò più avanti, quando avremo avviato l'analisi dei passi biblici implicati.


Il messaggio credo sia chiaro già da questo. Ce ne sono molti altri, anche in relazione al Santo Spirito, che ci fanno intuire la Trinità. Ma per stasera credo che basti.



Parliamone!



[Modificato da Walter.Simoni 30/06/2009 00:19]
Walter Simoni

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Re: Re: Re:
Walter.Simoni, 30/06/2009 0.14:



La Scrittura sostiene che: "...sono imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!". Rom 11:33,34
Per quanto possiamo sbizzarrirci nello studio e nella ricerca, non comprenderemo mai la grandezza dell'Onnipotente! Tentiamo di spiegare Dio attraverso ciò che Egli ci ha raccontato di Sè nella Parola scritta, mai però potremo penetrare profondamente all'interno delle sue vie e dei suoi pensieri.



Caro Walter, l'inconoscibilità di Dio è uno dei fondamenti dell'Ortodossia. La mente limitata e temporale dell'uomo non potrebbe mai arrivare a comprendere ciò che è illimitato ed eterno. I Padri Cappadoci insistono molto su questo e lo stesso Basilio il Grande sosteneva che l'unica cosa che possiamo conoscere su Dio è il fatto che Egli rimane inconoscibile per l'uomo.

Del resto l'Incarnazione di Gesù servì anche a questo: essendo egli contemporaneamente vero Dio e vero Uomo realizzò il tramite perfetto fra umano e divino. Infatti

"E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre." (Giov 1,14)

"Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere." (Giov 1,18)



Infatti: davvero la Bibbia sostiene il concetto trinitario niceano relativo alla consustanzialità dei Tre, la loro coeguaglianza e coeternità?



Secondo noi si. I Sette Concili e i Padri lo confermano, fin dai primi Apologeti, fra i quali Giustino e altri che vissero a ridosso degli ultimi anni di vita degli Apostoli.



Però mi piacerebbe che questa considerazione si concludesse come un sereno confronto, senza scendere nel bassezza di uno scontro. Qualunque argomentazione può benissimo concludersi con opinioni opposti, differenti, ma ne è valsa la pena parlarne, se il rispetto sta alla base di tutto.



Per quanto mi riguarda nessun problema. Chi mi segue in altri forum sa che la mia moderazione ed educazione è proverbiale (salvo nei casi di maleducazione da parte di altri, cosa che non tollero!). Inoltre il dialogo è una delle caratteristiche che contraddistingue l'Ortodossia e sebbene io non mi reputi ancora pienamente ortodosso cerco per quanto possibile di diventarlo nel migliore dei modi.



Anche per i Testimoni la Scrittura è essenziale e fondamentale. Essa contiene i pensieri di Dio e la Sua guida. A questa infatti facciamo pieno riferimento per ogni cosa: sia che si tratti di una decisione da prendere, di un problema da risolvere nell'ambito del lavoro, sia nei ns rapporti col prossimo, e nella vita quotidiana. La Scrittura è utile per insegnare a camminare nella giustizia, per correggerci, per disciplinarci se sbagliamo, e ad essa ricorriamo continuamente.
Per i Testimoni, ciò che Dio aveva da dirci, l'ha fatto scrivere nero su bianco, e va considerato nella sua interezza, alla luce del suo contesto globale.



Concordo pienamente.



Secondo un'altra versione, il verso direbbe così: “Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna”. In ogni caso, la questione che si presenta è: quando L’apostolo parla del “vero Dio”, fa riferimento a Cristo o a Dio Padre? E’ vero che la forma grammaticale in cui è impostato il versetto, farebbe pensare che “il vero Dio” sia riferito al Figlio, tuttavia il contesto mostrerebbe che, il soggetto principale a cui si riferisce Giovanni era Dio, e non Gesù. Non mi sembra infatti che lo scopo delle parole di questo verso, sia quello di esaltare la divinità di Gesù. Ma su questo mi esprimerò più avanti, quando avremo avviato l'analisi dei passi biblici implicati.



Può essere, parliamone. Del resto siamo qui per questo.

Saluti
ortodox

[Modificato da ortodox 30/06/2009 10:33]
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30/06/2009 11:38

Carissimo ortodox, abbiamo così stabilito una cosa fondamentale: il nostro è e resterà solo un ragionamento sulla base degli elementi a nostra disposizione, per tracciare l'identità dell'Iddio della Bibbia, quanto più verosimile alle indicazioni da Lui stesso trasmesseci. Resta cmq il fatto che alla fine, Dio è Dio per la sua trascendenza, e ne io ne te ne chiunque altri potrà mai svelarLo interamente.

Ma, cominciamo con l'analisi di alcuni dei passi biblici ai quali abbiamo già fatto riferimento.

Nel tuo ultimo post, menzioni due bellissime scritture legate al prologo giovanneo:

"E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre." (Giov 1,14)
"Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere." (Giov 1,18)



Con riferimento a queste scritture, sostieni poi quanto segue:


Del resto l'Incarnazione di Gesù servì anche a questo: essendo egli contemporaneamente vero Dio e vero Uomo realizzò il tramite perfetto fra umano e divino.



Sulla base delle scritture da te citate, da dove evinci che il Cristo incarnato era contemporaneamente vero Dio e vero Uomo?

[Modificato da Walter.Simoni 05/07/2009 14:16]
Walter Simoni

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30/06/2009 12:03

Re:
Walter.Simoni, 30/06/2009 11.38:


Nel tuo ultimo post, menzioni due bellissime scritture legate al prologo giovanneo:

"E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre." (Giov 1,14)
"Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere." (Giov 1,18)



Con riferimento a queste scritture, sostieni poi quanto segue:


Del resto l'Incarnazione di Gesù servì anche a questo: essendo egli contemporaneamente vero Dio e vero Uomo realizzò il tramite perfetto fra umano e divino.



Sulla base delle scritture da te citate, da dove evinci che il Cristo incarnato era contemporaneamente vero Dio e vero Uomo?



I verbi greci, che sono magnifici per la loro estrema precisione, ce lo mostrano chiaramente. Infatti in Giov 1,14 si dice che la parola divenne (ἐγένετο) carne e nel divenire si intende che in precedenza, carne non era. Ma Giov. 1,18 dice che l'unigenito Dio è (ὁ ὢν, essente ) nel seno del Padre, non che era nel seno del Padre.

In altre parole, il Verbo continua ad essere sempre nel seno del Padre pur facendosi carne e vivendo in mezzo agli uomini. E del resto il Verbo non avrebbe mai potuto perdere la sua condizione ontologica di uguaglianza con Dio.

Spero di non essere stato troppo tecnico
Saluti
ortodox
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30/06/2009 13:17

Gesù è sempre stato nel "seno del padre". E allora? Ci vuole una bella fantasia per dedurne che abbiamo tre persone in un Dio!

Shalom
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Sijmadicandhapajiee, gente per cui le arti stan nei musei - Paolo Conte

FORUM TESTIMONI DI GEOVA
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30/06/2009 13:47

Re: Re:

I verbi greci, che sono magnifici per la loro estrema precisione, ce lo mostrano chiaramente. Infatti in Giov 1,14 si dice che la parola divenne (ἐγένετο) carne e nel divenire si intende che in precedenza, carne non era.



In questo mi trovi perfettamente d'accordo, infatti Gesù, nella sua posizione divina, prima di divenire uomo, era solo divino, spirito.
Quando poi lasciò i cieli per divenire uomo, "divenne carne" ... proprio come dici te.
Ciò che però non leggo nei passi in questione, è dov'è che si sostenga la sua umanità e divinità insieme. In cielo era divino, poi si spogliò della sua divinità e divenne carne, umano, (Fil.2:6,7) perfettamente equivalente alla natura del primo uomo perfetto, Adamo, tant'è vero che, di Gesù uomo, è detto che egli è il "l'ultimo Adamo". (1 Cor.15:45)


Walter Simoni

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30/06/2009 14:26

Re: Re: Re:
Walter.Simoni, 30/06/2009 13.47:


Ciò che però non leggo nei passi in questione, è dov'è che si sostenga la sua umanità e divinità insieme. In cielo era divino, poi si spogliò della sua divinità e divenne carne, umano, (Fil.2:6,7) perfettamente equivalente alla natura del primo uomo perfetto, Adamo, tant'è vero che, di Gesù uomo, è detto che egli è il "l'ultimo Adamo". (1 Cor.15:45)



Il Varbo si fece carne senza lasciare il seno del Padre perchè la forma greca del verbo essere usata in Giov. 1,16 (essente) indica una condizione permanente. La Parola E' nel seno del padre, non ERA come quando dici "in cielo era divino".
Gesù stesso disse ai suoi Apostoli: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Giov. 14,11).
Gesù non si spoglio mai della sua divinità, non è questo che dice l'Inno di Filippesi 2. Continuò ad essere Dio pur essendo uomo. Solo che decise di non manifestarlo (tranne che nella Trasfigurazione) e di offrirsi spontaneamente come sacrificio per i peccati.

Saluti
ortodox
[Modificato da ortodox 30/06/2009 14:27]
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30/06/2009 15:47

Re: Re: Re: Re:

Il Varbo si fece carne senza lasciare il seno del Padre perchè la forma greca del verbo essere usata in Giov. 1,16 (essente) indica una condizione permanente. La Parola E' nel seno del padre, non ERA come quando dici "in cielo era divino".
Gesù stesso disse ai suoi Apostoli: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Giov. 14,11)



Che la Parola sia “nel seno” del Padre, non indica affatto una “condizione permanente” in senso ontologico, altrimenti sarebbe come dire che, il mendicante della narrazione di Luca 16: 22 -23, sarebbe un tutt'uno con Abramo, visto che usa la stessa espressione.
Nella versione TILC, il passo in questione è reso così: “Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio unico di Dio, quello che è sempre vicino al Padre, ce l’ha fatto conoscere”. Cosa vuol dire questo? Che la vicinanza spirituale, il rapporto di filiazione, l’unità descritta dall’espressione: "Io sono nel Padre e il Padre è in me", (Giov. 14:11), è ciò che permetteva a Cristo di sentire in sé la presenza del Padre attraverso la potenza dello Spirito santo e ‘mostrare’ il Padre a coloro che aprivano l’intendimento al messaggio del Vangelo, affinché il Padre vivesse anche in loro. Così il Padre diviene come ‘visibile’, grazie alle opere compiute da Cristo, e alla conoscenza del Padre che ha trasmesso al mondo.
Si tratta di un'unione di vivere l’uno dell’altro, come Cristo e il cristiano: “Io vivo unito al Padre, e voi uniti a me e io a voi”, (Gv 14:20) una sorta di legame spirituale, un’unione non fisica, ontologica, (altrimenti i discepoli diverrebbero parte di una Trinità), ma un’unione di volontà, così che, la volontà dell’uno è la volontà dell’altro, l’amore dell’uno è l’amore dell’altro, le parole dell’uno sono le parole dell’altro, e insieme divengono “uno”, “uno solo”. Questa ‘unione’ o ‘unità’, è suggellata dall’amore, così che nell’amore Dio è in Cristo e noi, uniti a Cristo, siamo in Dio: “Dio è amore, e chi vive nell’amore è unito a Dio, e Dio è presente in lui”.(1Gv 4:16)





[Modificato da Walter.Simoni 30/06/2009 15:47]
Walter Simoni

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30/06/2009 20:59

Re: Re: Re: Re: Re:
Walter.Simoni, 30/06/2009 15.47:


Che la Parola sia “nel seno” del Padre, non indica affatto una “condizione permanente” in senso ontologico, altrimenti sarebbe come dire che, il mendicante della narrazione di Luca 16: 22 -23, sarebbe un tutt'uno con Abramo, visto che usa la stessa espressione.



La grammatica la indica invece chiaramente e il passo di Giovanni è costruito in modo diverso da quello di Luca. Il participio del verbo essere in Giovanni indica proprio una condizione permanente di esistenza. Niente di tutto ciò in Luca.



Nella versione TILC, il passo in questione è reso così: “Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio unico di Dio, quello che è sempre vicino al Padre, ce l’ha fatto conoscere”. Cosa vuol dire questo? Che la vicinanza spirituale, il rapporto di filiazione, l’unità descritta dall’espressione: "Io sono nel Padre e il Padre è in me", (Giov. 14:11), è ciò che permetteva a Cristo di sentire in sé la presenza del Padre attraverso la potenza dello Spirito santo e ‘mostrare’ il Padre a coloro che aprivano l’intendimento al messaggio del Vangelo, affinché il Padre vivesse anche in loro. Così il Padre diviene come ‘visibile’, grazie alle opere compiute da Cristo, e alla conoscenza del Padre che ha trasmesso al mondo.



L'espressione greca κόλπον τοῦ πατρὸς indica letteralmente l'interno del Padre e non una generica vicinanza. La conoscenza e la visibilità del Padre attraverso Gesù non è affatto simbolica ma reale, essendo Gesù "Immagine della Gloria" (vedi Ebrei). Gesù risponde alla domanda degli Apostoli di mostrare loro il Padre:
"Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? (Giov. 14,9) Insomma, le prove sono tante.



Si tratta di un'unione di vivere l’uno dell’altro, come Cristo e il cristiano: “Io vivo unito al Padre, e voi uniti a me e io a voi”, (Gv 14:20) una sorta di legame spirituale, un’unione non fisica, ontologica, (altrimenti i discepoli diverrebbero parte di una Trinità), ma un’unione di volontà, così che, la volontà dell’uno è la volontà dell’altro, l’amore dell’uno è l’amore dell’altro, le parole dell’uno sono le parole dell’altro, e insieme divengono “uno”, “uno solo”. Questa ‘unione’ o ‘unità’, è suggellata dall’amore, così che nell’amore Dio è in Cristo e noi, uniti a Cristo, siamo in Dio: “Dio è amore, e chi vive nell’amore è unito a Dio, e Dio è presente in lui”.(1Gv 4:16)



Si tratta secondo me di una unione di vivere uno nell'altro, e non solo di un legame spirituale. E questa unione avviene nell'amore. I verbi sono molto precisi, come ho già detto.

Saluti
ortodox
[Modificato da ortodox 30/06/2009 21:01]
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30/06/2009 22:00

Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Si tratta secondo me di una unione di vivere uno nell'altro, e non solo di un legame spirituale. E questa unione avviene nell'amore. I verbi sono molto precisi, come ho già detto.



Per descrivere il legame che unisce il Figlio al Padre, e viceversa, Gesù aggiunge: “Il Padre, che abita in me (en emoi menōn), compie le sue opere”. (Gv 14:10)

Appropriatamente, viene descritto il rapporto di comunione che Gesù ha col Padre, tanto che la parola di Gesù diviene parola di Dio e, allo stesso modo, l’opera sua, opera di Dio. Nel linguaggio del NT, questa espressione descrive l’intima comunione esistente fra Cristo e il Padre, come anche tra Cristo e i credenti. Gesù invita a rimanere in questa comunione, assicurando ai credenti che anch’egli rimarrà in comunione con loro: “Rimanete uniti a me, ed io unito a voi. Come il tralcio non può da se stesso portar frutto se non resta nella vite, così nemmeno voi lo potete, se non restate uniti a me” (Gv 15:4)


Walter Simoni

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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:
Walter.Simoni, 30/06/2009 22.00:


Si tratta secondo me di una unione di vivere uno nell'altro, e non solo di un legame spirituale. E questa unione avviene nell'amore. I verbi sono molto precisi, come ho già detto.



Per descrivere il legame che unisce il Figlio al Padre, e viceversa, Gesù aggiunge: “Il Padre, che abita in me (en emoi menōn), compie le sue opere”. (Gv 14:10)

Appropriatamente, viene descritto il rapporto di comunione che Gesù ha col Padre, tanto che la parola di Gesù diviene parola di Dio e, allo stesso modo, l’opera sua, opera di Dio. Nel linguaggio del NT, questa espressione descrive l’intima comunione esistente fra Cristo e il Padre, come anche tra Cristo e i credenti. Gesù invita a rimanere in questa comunione, assicurando ai credenti che anch’egli rimarrà in comunione con loro: “Rimanete uniti a me, ed io unito a voi. Come il tralcio non può da se stesso portar frutto se non resta nella vite, così nemmeno voi lo potete, se non restate uniti a me” (Gv 15:4)





Si, solo che la traduzione che tu proponi non è propriamente quella letterale del greco. La particella "en" infatti, significa "in" come in Giov. 14,10 che tu citi correttamente. (Il Padre che abita in me.) e come la il tralcio rimane nella vite in 15,1.

Allo stesso modo noi dobbiamo rimanere in Cristo che è ben diverso dal dire uniti a Cristo. Non è solo un fatto di comunione, riguarda l'adozione a figli tramite l'Unigenito.

Saluti
ortodox
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30/06/2009 23:27

Re: Re:
Ciao Ortodox,
se mi permetti, ti indico un'altra spiegazione:


I verbi greci, che sono magnifici per la loro estrema precisione, ce lo mostrano chiaramente. Infatti in Giov 1,14 si dice che la parola divenne (ἐγένετο) carne e nel divenire si intende che in precedenza, carne non era. Ma Giov. 1,18 dice che l'unigenito Dio è (ὁ ὢν, essente ) nel seno del Padre, non che era nel seno del Padre.

In altre parole, il Verbo continua ad essere sempre nel seno del Padre pur facendosi carne e vivendo in mezzo agli uomini. E del resto il Verbo non avrebbe mai potuto perdere la sua condizione ontologica di uguaglianza con Dio.

Spero di non essere stato troppo tecnico
Saluti
ortodox



Il punto di vista temporale del racconto di Giovanni è posteriore ai fatti narrati, o almeno alla maggioranza di essi.
E' vero che Gv. usa "egeneto" al passato e "ho on" al presente, ma questo combacia alla perfezione col suo punto di vista di narratore a posteriori. Ai tempo della stesura del Vangelo il Cristo si era incarnato in passato ma era nel "seno del Padre" al presente, in quel momento.
"ho on" non giustifica in alcun modo, a mio avviso, la continuità temporale che tu invece supponi.
In aggiunta ti segnalo un'apparente contraddizione nel tuo ragionamento, nel Gv. 1,18 che tu hai citato "nessun uomo ha mai visto Dio". Raccontato a posteriori e parlando di un "essere" che tutti invece avevano visto e magari toccato con mano, questo μονογενὴς υἱὸς che è nel "seno del Padre", lascia quantomeno perplessi.

Simon


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Re: Re: Re:
(SimonLeBon), 30/06/2009 23.27:


Il punto di vista temporale del racconto di Giovanni è posteriore ai fatti narrati, o almeno alla maggioranza di essi.
E' vero che Gv. usa "egeneto" al passato e "ho on" al presente, ma questo combacia alla perfezione col suo punto di vista di narratore a posteriori. Ai tempo della stesura del Vangelo il Cristo si era incarnato in passato ma era nel "seno del Padre" al presente, in quel momento.
"ho on" non giustifica in alcun modo, a mio avviso, la continuità temporale che tu invece supponi.



Caro Simon la tua obiezione sarebbe valida se come tu dici Giovanni usasse il presente. Ma Giovanni usa invece il participio del verbo essere, che è molto difficile da rendere in italiano ma che in greco indica chiaramente uno stato permanente, una condizione continuativa (la traduzione esatta sarebbe "essente" che sta in stretta relazione con "essenza", qualcosa che è ontologicamente). La grammatica non solo giustifica ma rende certa la mia interpretazione (che poi non è la mia ma è quella dell Tradizione).



In aggiunta ti segnalo un'apparente contraddizione nel tuo ragionamento, nel Gv. 1,18 che tu hai citato "nessun uomo ha mai visto Dio". Raccontato a posteriori e parlando di un "essere" che tutti invece avevano visto e magari toccato con mano, questo μονογενὴς υἱὸς che è nel "seno del Padre", lascia quantomeno perplessi.



Infatti la contraddizione è solo apparente. Ho già detto come per ogni ortodosso la vera essenza di Dio rimanga inconoscibile alla mente limitata dell'uomo e invisibile per la sensibilità del suo occhio. Quando Giovanni dice che "nessuno mai ha visto Dio" indica ancora una volta una condizione permanente: nessuno mai ha visto Dio perchè non si più vedere Dio! Ieri come oggi. Ma Dio si è reso manifesto in Cristo, non solo si è fatto conoscere ma si è anche fatto simile a noi per mettersi al nostro pari. Ecco perchè l'unico modo che abbiamo per conoscere Dio è tramite il suo Figlio, che si è fatto Uomo pur rimanendo Dio (cfr. Filippesi 2).

Spero di aver chiarito
Saluti
ortodox






[Modificato da ortodox 01/07/2009 10:31]
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01/07/2009 12:21

Re: Re: Re: Re:
ortodox, 30/06/2009 14.26:

Gesù stesso disse ai suoi Apostoli: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Giov. 14,11).



quindi, se interpretiamo la scrittura sopracitata stando al tuo ragionamento, come il Figlio è nel seno del Padre,
così il Padre è nel seno del Figlio; quindi, l'uno genera l'altro indifferentemente.

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Re: Re: Re: Re: Re:
bruciolis, 01/07/2009 12.21:



quindi, se interpretiamo la scrittura sopracitata stando al tuo ragionamento, come il Figlio è nel seno del Padre,
così il Padre è nel seno del Figlio; quindi, l'uno genera l'altro indifferentemente.




Perchè a te "essere" e "generare" sembrano la stessa cosa? E' il Figlio che Giovanni chiama "l'Unigenito Dio", mica il Padre. La sostanza divina è tutta in tutti, l'Unigenito dal Padre è solo il Verbo (Unigenito = unico generato).

Mi piacerebbe comunque che la discussione non fosse a senso unico ma che anche voi riportaste la vostra interpretazione dato che mi pare differisca dalla nostra.

Saluti
ortodox
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Re:
Bondi' a te,

(SimonLeBon), 30/06/2009 23.27:


Il punto di vista temporale del racconto di Giovanni è posteriore ai fatti narrati, o almeno alla maggioranza di essi.
E' vero che Gv. usa "egeneto" al passato e "ho on" al presente, ma questo combacia alla perfezione col suo punto di vista di narratore a posteriori. Ai tempo della stesura del Vangelo il Cristo si era incarnato in passato ma era nel "seno del Padre" al presente, in quel momento.
"ho on" non giustifica in alcun modo, a mio avviso, la continuità temporale che tu invece supponi.




Caro Simon la tua obiezione sarebbe valida se come tu dici Giovanni usasse il presente. Ma Giovanni usa invece il participio del verbo essere, che è molto difficile da rendere in italiano ma che in greco indica chiaramente uno stato permanente, una condizione continuativa (la traduzione esatta sarebbe "essente" che sta in stretta relazione con "essenza", qualcosa che è ontologicamente). La grammatica non solo giustifica ma rende certa la mia interpretazione (che poi non è la mia ma è quella dell Tradizione).



Grazie del "caro" e beato te che ti accontenti di queste "certezze".
Effettivamente non è un presente in senso stretto, è un participio presente, che normalmente indica contemporaneità, secondo la mia grammatica, non continuità.
Se guardi a Girolamo trovi "Filius qui est in sinu Patris" esattamente come si potrebbe tradurre anche in italiano, senza ricorrere a scomodi, oltre che poco eleganti, participi presenti.
"che è essente" non implica in italiano e, per quanto ne so io, nemmeno in greco, alcun tipo di continuità ma solo la contemporaneità.
Puoi citarmi un secondo esempio di continuità certa nel NT?

(SimonLeBon):


In aggiunta ti segnalo un'apparente contraddizione nel tuo ragionamento, nel Gv. 1,18 che tu hai citato "nessun uomo ha mai visto Dio". Raccontato a posteriori e parlando di un "essere" che tutti invece avevano visto e magari toccato con mano, questo μονογενὴς υἱὸς che è nel "seno del Padre", lascia quantomeno perplessi.




Infatti la contraddizione è solo apparente. Ho già detto come per ogni ortodosso la vera essenza di Dio rimanga inconoscibile alla mente limitata dell'uomo e invisibile per la sensibilità del suo occhio. Quando Giovanni dice che "nessuno mai ha visto Dio" indica ancora una volta una condizione permanente: nessuno mai ha visto Dio perchè non si più vedere Dio! Ieri come oggi. Ma Dio si è reso manifesto in Cristo, non solo si è fatto conoscere ma si è anche fatto simile a noi per mettersi al nostro pari. Ecco perchè l'unico modo che abbiamo per conoscere Dio è tramite il suo Figlio, che si è fatto Uomo pur rimanendo Dio (cfr. Filippesi 2).

Spero di aver chiarito
Saluti
ortodox



Non mi risultata proprio chiaro. Per intanto lo scrittore Giovanni era di fede e mentalità ebraica, quindi non ortodosso, e come tale non amava filosofare.
Il riferimento a Mosé é, a mio parere e anche per questo motivo, molto evidente. Mosé chiese il privilegio di vedere Dio e gli fu negato, ma nonostante questo fece da tramite tra Dio e gli uomini. Giovanni ne conferma l'impossibilità, in alcun modo scalfitta da Gesu', che nonostante questo fece anche lui da tramite tra Dio e gli uomini.
Dio si rese manifesto in entrambi i profeti. Discorsi ontologici, avviati a posteriori, mi sembrano decisamente estranei sia alla mentalità dello scrittore che alle intenzioni del testo.
Almeno in questo caso.

Simon
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Re: Re:
(SimonLeBon), 01/07/2009 14.00:


Grazie del "caro" e beato te che ti accontenti di queste "certezze".
Effettivamente non è un presente in senso stretto, è un participio presente, che normalmente indica contemporaneità, secondo la mia grammatica, non continuità.
Se guardi a Girolamo trovi "Filius qui est in sinu Patris" esattamente come si potrebbe tradurre anche in italiano, senza ricorrere a scomodi, oltre che poco eleganti, participi presenti.
"che è essente" non implica in italiano e, per quanto ne so io, nemmeno in greco, alcun tipo di continuità ma solo la contemporaneità.
Puoi citarmi un secondo esempio di continuità certa nel NT?



Caro Simon, dipende da che grammatica usi. Hai provato con una del greco del Nuovo Testamento? Il latino di Girolamo, infatti, è simile all'italiano (che da esso, guarda caso, deriva) per "povertà" di espressività nei verbi. Difatti neanche il latino riesce a cogliere la sottigliezza del greco. Ma a chiunque abbia studiato un minimo di grammatica greca non può sfuggire il collegamento di questo verso con Esodo 3,14 - LXX. Dio è! Punto! Non nel nostro "presente" (presente indicativo) ma nel suo "presente" (participio) che è il "sempre" dell'eternità. Probabilmente Giovanni aveva in mente questo versetto quando ha deciso di usare quel verbo.



Non mi risultata proprio chiaro. Per intanto lo scrittore Giovanni era di fede e mentalità ebraica, quindi non ortodosso, e come tale non amava filosofare.



Che gli ebrei non amassero filosofare è cosa che mi giunge nuova. Può darsi che Giovanni non amasse filosofare, eppure ha utilizzato una marea di termini e di tratti stilistici ripresi dalla filosofia greca nel suo Prologo. E comunque, come già ti ho detto, il riferimento rimanda all'AT.



Il riferimento a Mosé é, a mio parere e anche per questo motivo, molto evidente. Mosé chiese il privilegio di vedere Dio e gli fu negato, ma nonostante questo fece da tramite tra Dio e gli uomini. Giovanni ne conferma l'impossibilità, in alcun modo scalfitta da Gesu', che nonostante questo fece anche lui da tramite tra Dio e gli uomini.
Dio si rese manifesto in entrambi i profeti. Discorsi ontologici, avviati a posteriori, mi sembrano decisamente estranei sia alla mentalità dello scrittore che alle intenzioni del testo.
Almeno in questo caso.



Non a caso esce fuori Mosè! Ma Mosè era solo la prefigurazione di Cristo, il tramite simbolico di quello che Gesù sarebbe stato realmente. Anche questo è un tema carissimo agli ortodossi. I discorsi ontologici non sono avviati a posteriori ma sono già nel Prologo. I verbi greci utilizzati da Giovanni rimandano alle tipiche definizioni dell'ontologia greca. Come del resto lo stesso concetto di Logos. Contenuti nuovi, termini nuovi (rispetto all'ebraismo) e del resto il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi.

Saluti
ortodox
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Re: Re: Re:
Buonasera a te,

(SimonLeBon), 01/07/2009 14.00:


Grazie del "caro" e beato te che ti accontenti di queste "certezze".
Effettivamente non è un presente in senso stretto, è un participio presente, che normalmente indica contemporaneità, secondo la mia grammatica, non continuità.
Se guardi a Girolamo trovi "Filius qui est in sinu Patris" esattamente come si potrebbe tradurre anche in italiano, senza ricorrere a scomodi, oltre che poco eleganti, participi presenti.
"che è essente" non implica in italiano e, per quanto ne so io, nemmeno in greco, alcun tipo di continuità ma solo la contemporaneità.
Puoi citarmi un secondo esempio di continuità certa nel NT?



ortodox:

Caro Simon, dipende da che grammatica usi. Hai provato con una del greco del Nuovo Testamento? Il latino di Girolamo, infatti, è simile all'italiano (che da esso, guarda caso, deriva) per "povertà" di espressività nei verbi. Difatti neanche il latino riesce a cogliere la sottigliezza del greco. Ma a chiunque abbia studiato un minimo di grammatica greca non può sfuggire il collegamento di questo verso con Esodo 3,14 - LXX. Dio è! Punto! Non nel nostro "presente" (presente indicativo) ma nel suo "presente" (participio) che è il "sempre" dell'eternità. Probabilmente Giovanni aveva in mente questo versetto quando ha deciso di usare quel verbo.



Effettivamente mi riferivo a grammatiche di greco del NT. Le due che ho consultato dicono entrambe, in sintesi, che "the present participle usually indicates that the action signified by the participle is contemporary with the time of the main verb of the sentence, whether that time is past, present or future".
Non vedo nè intravvedo l'idea di continuità che gli vorresti dare tu.
Ad ogni modo se mi indichi alcune ricorrenze piu' evidenti dell'uso che tu stai ipotizzando, potro' andare a verificare.

SimonLeBon:


Non mi risultata proprio chiaro. Per intanto lo scrittore Giovanni era di fede e mentalità ebraica, quindi non ortodosso, e come tale non amava filosofare.



ortodox:

Che gli ebrei non amassero filosofare è cosa che mi giunge nuova. Può darsi che Giovanni non amasse filosofare, eppure ha utilizzato una marea di termini e di tratti stilistici ripresi dalla filosofia greca nel suo Prologo. E comunque, come già ti ho detto, il riferimento rimanda all'AT.



Non vedo come conciliare le due cose. Dunque quali termini filosofici utilizzo' Giovanni, a parte il "logos" del prologo.


SimonLeBon:


Il riferimento a Mosé é, a mio parere e anche per questo motivo, molto evidente. Mosé chiese il privilegio di vedere Dio e gli fu negato, ma nonostante questo fece da tramite tra Dio e gli uomini. Giovanni ne conferma l'impossibilità, in alcun modo scalfitta da Gesu', che nonostante questo fece anche lui da tramite tra Dio e gli uomini.
Dio si rese manifesto in entrambi i profeti. Discorsi ontologici, avviati a posteriori, mi sembrano decisamente estranei sia alla mentalità dello scrittore che alle intenzioni del testo.
Almeno in questo caso.



Ortodox:

Non a caso esce fuori Mosè! Ma Mosè era solo la prefigurazione di Cristo, il tramite simbolico di quello che Gesù sarebbe stato realmente. Anche questo è un tema carissimo agli ortodossi. I discorsi ontologici non sono avviati a posteriori ma sono già nel Prologo. I verbi greci utilizzati da Giovanni rimandano alle tipiche definizioni dell'ontologia greca. Come del resto lo stesso concetto di Logos. Contenuti nuovi, termini nuovi (rispetto all'ebraismo) e del resto il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi.

Saluti
ortodox



Beh, come detto, o si rifaceva all'AT oppure alla filosofia greca classica. Mi parrebbe davvero paradossale sostenere che anche l'AT si rifacesse anch'esso alla filosofia greca.
Ma per non divagare, mi sembra un po' esagerato imperniare la propria lettura attorno alle forme del "semplice" verbo essere.
Il "vino nuovo", nel caso ci fosse, richiederebbe una spiegazione nuova e dettagliata. Quel che tu ipotizzi è una rivoluzione copernicana rispetto alla mentalità ebraica tradizionale e anche rispetto all'AT stesso.
Questa spiegazione manca in toto nella Scrittura.

Simon
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