"Sul sentiero della tragedia", di Umberto Polizzi.

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Roberto Carson
00domenica 7 giugno 2009 11:42
Dal nostro corrispondente dall'Australia, il Dott. Umberto Polizzi, giornalista e scrittore.
Riceviamo e pubblichiamo.


Il tragitto di chi cade da un’altura possiamo definirlo il sentiero della tragedia…!
L’annaspare convulso delle braccia e delle gambe in cerca di un provvidenziale ma disperato appiglio di uno che cade nel vuoto racchiude in quei gesti un dramma inespresso con le parole ma evidente dai quei movimenti disperati.
Capita nei sentieri impervi della vita provare simili sensazioni. Ma i due, evidentemente discepoli di Cristo, che confabulavamo nella via che li avrebbe portati a Emmaus cercavano di ritrovare una dimensione di equilibrio perduta da un tragico evento. Dimensione creata da un immaginario che traeva le sue radici nell’insita aspirazione dell’uomo terreno che si prospetta in un progetto infinito di vita eterna: l’immortalità non mai cancellata dalle proprie aspirazioni ! “Dio ha fatto ogni cosa bella a suo tempo; egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità…” Ecclesiaste 3:11 (Bibbia La Riveduta catt.). Ora era stato fugato dai loro cuori il concetto dell’eternità. Il Messia, da costoro tanto amato e da altri tanto odiato, era giunto ad un suo primo epilogo; epilogo di tragedia terrena annunciata da testimonianze antiche di secoli. Il profeta Isaia ne tracciò la sua via terrena e ne fece una lunga trattazione profetica. Parla, il profeta, della imprevedibile potenza (braccio) di Dio che si manifesta nella morte apparentemente ignominiosa del Messia. Leggi Isaia cap. 53 versi da 3 a 12 Bibbia S. Garofalo.
La fine ingloriosa su di un palo di Colui che aveva posto nei suoi discepoli la speranza di vita eterna poneva dei forti interrogativi per cui la fede dei suoi discepoli vacillava in un grande dilemma: “Era o non era il vero Messia?” É la Fede che crea la speranza. L’apostolo Paolo definisce la ‘fede’ come una sicura aspettazione di cose sperate benché non vedute… Ora erano senza più la ‘speranza’ perchè non più sospinta dalla forte fede.
Prima di relazionare questo dramma ai nostri tempi è bene entrare nel suo contesto affinché si possa creare la giusta atmosfera e confrontarla con il nostro presente.
Ora, i discepoli, vivevano una realtà diversa, una realtà di morte concretizzata da quel corpo coperto di sangue aggrumato privo di vita; quel sangue che non avrebbe mai dovuto spargersi perchè rappresentava per loro la loro stessa esistenza; esistenza di vita eterna promessa in quei tre anni e mezzo di predicazione e di esaltazione dell’eternità. Ora era lì, ‘morto’! Il Messia era morto. Erano meditazioni che oscuravano il cuore e sconvolgevano la mente di coloro che erano stati testimoni di quei luttuosi e tragici avvenimenti. I loro progetti si dissolvevano nella delusione; le loro speranze erano appese al ‘legno’ dove vi era quel Corpo con lo squallore della morte.
“Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?”. Chiese poco tempo prima Gesù ai suoi apostoli. “Alcuni dicono: è Giovanni il Battista; altri Elia; altri Geremia od uno dei profeti”. Dice loro: “ma voi, chi dite che io sia?”. Rispose allora Simon Pietro: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente”. (Bibbia S. Garofalo Matteo cap. 16:16).
La dimensione della tragedia era incolmabile; erano stati testimoni degli atti di prodigio di quell’Uomo, di quel Figlio di Dio e che ora avevano prodotto in loro la sensazione del vuoto. Le loro menti brancolavano nel frastuono delle grida di coloro che avevano auspicato e poi realizzato quella fine cruenta: la fine di Costui come un malfattore, scelto a un brigante di strada per la condanna a morte con un marchio d’infamia, mentre un vuoto spirituale abissale ancor più profondo di quello prodotto dalla svanita speranza, si apriva dinanzi a loro, in quella pietrosa strada che conduce a Emmaus.
Di generazione in generazione il vissuto sulla strada di Emmaus si rinnova in continuazione. Viviamo in un mondo aperto al dramma. Ognuno di noi cerca una sua dimensione nello spazio vuoto che lo avvolge con il proporsi una identificazione nel grande progetto della Creazione. Siamo attratti dal bello e dalla buona musica, dalla poesia e dai bei tramonti, dai dogmi fantastici, dalla reincarnazione… fino a volersi coinvolgere nel tutto; quando poi quel tutto risulta vanità! La giovinezza è un apostolato gioioso. Il Messia è nei nostri entusiasmi giovanili che ci danno esultanza; ci propongono un futuro eterno perchè anche il respiro del giovane infonde entusiasmo agli elementi materiali di cui è composto. E il tempo si svolge inesorabile verso lidi infidi e minacciosi. Cominciamo a perdere la giovanile visione che animava il nostro spirito; lentamente il nostro Messia si affloscia su di un palo e il suo sangue si aggruma. La speranza svanisce e il soggetto che è in noi precipita nel senso vuoto della vanità. É il momento di appellarsi a qualcosa che ci impone riflessione per poi aggrapparsi alla speranza che abbia il sapore della certezza. Abbiamo bisogno di Fede! Mentre il mio spirito mi rende testimonianza delle cose tristi della vita, l’Uomo della speranza vestito di abiti luminosi mi affianca nel mio turbinoso cammino. L’Uomo della speranza mi si accosta e cammina con me; ma i miei occhi accecati dalle banalità del mondo con i suoi affanni sono trattenuti dal riconoscerLo. “Che sono queste cose su cui si dibatte il tuo spirito?”. Mi disse lo sconosciuto. Mi fermai con la faccia triste; i solchi del tempo su di essa erano ora più marcati. Poi, mi rivolsi a Costui e gli risposi: “Dimori per tuo conto in questo sistema di cose come forestiero e non sai le cose che vi sono accadute in questi ultimi tempi?” ( Paragona Luca 24:18).
Non è mai stata un’abitudine di mia moglie quella di tirar fuori il braccio da sotto le coperte, verso le sette del mattino, e passarmi la sua mano, calda e piena di tenerezza sulla mia fronte aggrottata dalle tempestose meditazioni, quando ero giunto quasi alla fine di un dialogo con il mio buon Dio.
Vorrei che si considerasse non di un semplice soliloquio, che l’età in cui sto vivendo è quasi d’obbligo, ma di un vero dialogo fatto di angosciose domande; domande simili a quelle che si ponevano quei due viandanti sulla strada che conduce a Emmaus dove le risposte erano tutte attorno a me, solo che a discernerle dovevo dare fondo alla mia sensibilità e alla mia esperienza costruita da tanti anni nel soffrire.
La sera precedente mi ero soffermato alla televisione dove veniva documentata la storia di sei papi; tanti quanti ne avevo conosciuti nei miei trascorsi anni di vita. Ognuno per proprio conto e per il suo proprio tempo era un ‘Messia’. Speranze di pace e benedizioni ‘Urbi et Orbi’ ma il mondo si inclinava sempre più verso il disastro.
Moltitudini di persone erano presso la Basilica di S. Pietro a Roma a giubilare l’elezione di questo o di quel sommo pontefice; l’apparizione di questi in tiara e paramenti sacri, genuflessione di miriadi di fedeli, dove, con la mia fantasia a valle dei tempi ormai così lontani, mi portava a vederli sempre più vicini al suolo quasi a scomparire come se fossero inesorabilmente inghiottiti in esso. Le immagini si rinnovavano, poi, per la morte dello stesso pontefice, quasi come il Messia al palo, con atteggiamenti popolari diversi, ma tutti con la medesima conclusione, sparire nel gran ventre di ‘madre terra’ e creare un gran vuoto nella ‘speranza’. E, l’apice faticosamente raggiunto, innesca un processo di ritorno verso il basso, per poi riiniziare un’ulteriore parabola che si completa con la medesima massa di persone atone e piene di sconforto.
“Ora non ci sono più! Tiare, paramenti sacri, bastoni pastorali, corone scintillanti di diademi di re e dittatori impettiti seguiti da alti dignitari quasi da Erode e Pilato, altri in atteggiamenti umili, quasi genuflessi al passaggio di costoro; cortei di una miriade di povera gente precedute da quelle di grado più elevato, componevano una medesima massa ondeggiante e multicolore che sembrava volesse seguire qualcosa…, un Messia osannato, che in fondo alla storia non appartiene a nessuno”. Riflessioni senza dubbio crudeli che non mi lasciavano alcun agio e conforto, se non quello della rassegnazione dei senza speranza senza discutere.
Quel filmato sbiadito e tremolante, anch’esso sfinito, stanco e carico di tempo, visionava Mussolini e il suo seguito, in ‘marsina’ e ‘bombetta’, in visita di Stato in Laterano per il trattato del ‘Concordato’ 1929. Porporati e politici, Erode e Farisei, stretti in un unico intento, cioè quello del recupero delle loro credibilità come ai tempi nella Giudea e nella Samaria e i tiranni romani, operando atti cruenti come quelli operati sull’Unico Vero Messia di allora. Questi uni, Farisei e scribi, aveva bisogno degli altri Erode e Pilato, per far fronte ad un futuro che si accennava, per entrambi, pieno di incognite in vista di quell’ampia apertura culturale che avrebbe portato la società di allora fuori dall’oscurantismo medioevale. Da una parte fu data vita alla ‘Gioventù italiana del Littorio’, mentre dall’altra si creava una forza alternativa con un forte schieramento di giovani cattolici con il proliferare dei circoli di ‘Azione Cattolica’. In questo quadro non erano evidenziate, perché scomode, l’esistenza delle catacombe… la controparte dei cristiani veri dei tempi oscuri del dopo Gesù. É certo, con il trascorrere dei secoli, nei tempi attuali, nulla è cambiato dai tempi di Emmaus.
Sono convinto, cioè, che nel grande affresco della cristianità, la Chiesa cattolica aveva una posizione indiscutibilmente centrale e storicamente conseguente. Dal giorno in cui Mussolini e il cardinale Gasparri firmarono i Patti Lateranensi venne all’esistenza quella scatola cinese (così definita) che è il Concordato. Quanti progetti e quante paure di quella massa esultante di quel tempo ormai lontano. Agivano come se a loro fosse appartenuto il futuro eterno. Avevano steso lungo quegli immaginari viali trionfiali, le foglie di palma al nuovo Messia.
A proposito in quel tempo ormai affidato alla storia, nel marzo del 29, Arturo Bocchini, capo della polizia fascista, disse a un amico di cui poteva fidarsi “Stavolta Machiavelli ha fregato Mussolini. Firmando il Concordato, credeva di puntellare il fascio con la croce. In fondo, gira e rigira, il duce è un socialista. E come tutti i socialisti è un ingenuo. Invece di puntellare il fascio con la croce, la croce gliel’hanno messa sulla schiena! E il male è che la sua schiena è anche la nostra!”. Bocchini si riallacciava alla storia passata; questa volta il Messia in camicia nera aveva ereditato anch’egli una croce per il suo calvario. Avere in visione oggi quella documentazione, significa tragedia per l’intero popolo italiano e cattolico in generale. Più che croce sulla schiena, è stata da sempre una palla al nostro piede. Quella invisibile, ma pesante palla che è il Concordato, (e qui è giusto ripetere scatola… cinese dove non stupisce il continuo scambio dei ruoli dei protagonisti) che gli italiani si trascinano ancora oggi. Quanto si sono dimostrati stupidi e futili gli sforzi di quell’ingenuo socialista dove ogni suo sforzo e ogni suo atteggiamento, è stato ben strumentalizzato dal suo più preparato e astuto Erode antagonista. Il primo, tronfio e banale, avrebbe voluto prevalere nella competizione gonfiandosi il petto come un tacchino, con il pronunciamento in avanti della ganascia inferiore con le labbra sporgenti come se fossero siliconati quasi da clown; ma, il tapino, non tenne conto del potere del feticismo del secondo, quello della classe clericale su di una massa agglomerata di persone nelle profonde fosse dell’indigenza e dell’ignoranza come nel tempo del Messia era la classe clericale giudaica. Ora era la speranza in cerca di una fede; e quando è la speranza che persegue la fede si giunge fatalmente al fanatismo.
Il fascismo, con il suo carismatico Capo, si riprometteva soltanto di strumentalizzare a proprio favore il prestigio di cui la Chiesa godeva.
Dove sono oggi costoro? “La Moviola della Storia” condotta dal giornalista televisivo Bisiach è come una parata di fantasmi che fanno sbigottire noi ‘posteri’ sulla strada di Emmaus per le tragiche banalità compiute da costoro. Le nuove generazioni hanno la mente inviluppata da ben altre cose, che di quel passato, benché recente, è anni luce da loro, proponendosi rimarchevolmente una completa indifferenza come se fosse un oltraggio alla morale e al buon senso civile delle generazioni che l’hanno preceduta. E, pensare che, per quelle cause, alcuni sono stati dichiarati ‘eroi’, altri ‘santi’; dei Messia a tutto campo.
Le organizzazioni religiose, al pari degli antichi Scribi e Farisei apostati, si agitano con i dignitari politici di Erode e Pilato, simili a navi pirata, perché sanno del dramma sofferto ma taciuto di ognuno di noi per la ineluttabilità della morte. Lanciano rampini messianici per un possibile aggancio per poi sottoporci alla loro mercé propinandoci risoluzioni ben macchinate e perfettamente allineate sotto forma di teorie e dogmi, tutto favorito dall’incubo di un improbabile futuro ormai senza speranza.
Attraverso tutto questo anziché trovare un possibile conforto presso un Dio misericordioso, un Dio che possa aprirci una strada verso la speranza, si finisce con l’accettare le loro antiche e moderne teorie, per cui ci troviamo così distanti da ‘Lui’ da cancellarlo definitivamente anche nei nostri recessi psicologici ancestrali.
“Dio è morto!” Il tema è attuale! ‘Il Messia lo abbiamo visto appeso al legno privo di vita dicevano i due viandanti sulla strada di Emmaus. Le televisioni organizzano dibattiti e tutte giungono alla medesima conclusione: “Abbiamo ucciso Dio”! Siamo ora sbigottiti a confabulare sulla proverbiale strada di Emmaus. Se nella forma di libero arbitrio ognuno può ucciderLo o meno, così non avviene in me anche se ciò potrebbe recare impopolarità alla mia immagine ed essere relegato nelle stantie fosse di uomo d’altri tempi e quindi retrogrado. Ma ho fede attraverso le cose create. La Creazione attesta che il mio Messia è vivo! Sì! Nella lettera apostolica ai Romani al capitolo 1 e al verso 20 trovo il mio conforto. In essa è scritto: “Sì, gli attributi invisibili di lui, l’eterna sua potenza e la sua divinità, sin dalla creazione del mondo si possono intuire, con l’applicazione della mente, attraverso le sue opere.” Romani 1:20 - Bibbia S. Garofalo.
Mi domandavo e mi domando ancora...: Perché ciò che è indiscutibilmente creato da Dio, cioé l’uomo (e di questo sono fortemente convinto mediante ciò che ho appena accennato della scrittura ai Romani), debba degenerarsi fino alla vecchiaia e alla morte, mentre un semplice scarabocchio su tela o manufatto su marmo o pietra, fragile e precario prodotto da costui, può sopravvivergli e perpetuarsi quasi in eterno? Perché ciò che è bello e grande deve essere ciclico mentre il suo prodotto, banale e insignificante, debba sopravvivergli? Probabilmente ognuno di noi ha notato con tristezza che la vita è breve e che nessuno vuole invecchiare, ammalarsi e morire. “La vecchiaia non è poi così brutta se si pensa all’eternità” – Maurice Chevalier.
I plagiatori messianici ci imbottiscono di eternità; ma anche loro muoiono appesi alla loro presunzione!
Un altro fatto significativo è, che alcuni scienziati si propongono di giungere a questo risultato di vita eterna in maniera scientifica in questo nostro tempo. Fra Erode e i Farisei s’insinua ora anche la scienza a uccidere il vero ‘Messia’.
Qui appare, questa volta in maniera ingannevole, l’uomo che accosta i due viandanti sconsolati e sfiduciati sulla strada di Emmaus. Costoro sfruttano la ragione per cui molti credono che gli esseri umani dovrebbero poter vivere per sempre per il modo meraviglioso in cui siamo fatti. Per esempio, il modo in cui siamo stati formati nel grembo materno è strabiliante e miracoloso. Un eminente gerontologo ha scritto: “Dopo aver compiuto i miracoli che ci portano dal concepimento alla nascita e poi alla maturità sessuale e all’età adulta, la ‘natura’ preferì non ideare quello che parrebbe un meccanismo più elementare per perpetuare quei miracoli”.
Considerata la maniera miracolosa in cui siamo fatti, sorge quindi la domanda: “Perchè dobbiamo morire?” Altri Messia, altre speranze, altri pali edificati per crocifiggere tante illusioni. Sembrerebbe che qualcuno si sia proposto di distruggere l’opera di un munifico Creatore e non curarsi affatto d’altro con lo sviarci dalla vera ‘Fede’ che ci dona la speranza certa.
Quella semplice carezza, attraverso la percezione del mio cervello, mi ha pervaso l’intero corpo dandomi la gioia di ‘essere’, gustare il vero valore e la ragione di quell’ ‘essere’ scatenando, di conseguenza, domande inquiete e impietose in vista delle ‘rapide’ della banalità della vita umana che conducono inesorabilmente all’oblio eterno.
Sono tutte cose che derivano dalla stupida vanità per cui sono destinate a scomparire. Ognuno di noi, con il ‘libero arbitrio’, può edificarvi sopra la risposta! Oltre a ciò sentivo un senso inespresso di chi non vuole intendere la drammatica condizione dell’uomo carnale, che conosce il senso della realtà e che cerca segni di un’improbabile salvezza per volersi sottrarre alla tragica impenetrabile realtà della vita, con le sue tante difficoltà cercando tracce di una probabile risposta solo nel ‘miracolo’.
Le anonime masse multicolori continuano ad ondeggiare ancor oggi fino a quando il tempo concesso loro non giunge beffardo alla sua naturale fine e, come sempre, finiscono inghiottite nel nulla per poi essere dimenticate!
Fra tante espressioni di ‘saggi’ e ‘sapienti’ messianici di questo mondo, facendo visita a un vecchio contadino completamente analfabeta in un letto d’ospedale in attesa della morte per un cancro terminale alla prostata, con serenità e saggezza, tratta da una lunga e vissuta vita tra miserie e sofferenze, disse a un suo nipote: “Nacqui piangendo, vissi soffrendo; vorrei morire contento, ma mi accorgo che vado via come un lume spento. Ma se un giorno dovessi tornare e questa vita dovrei rifare… polvere sono e polvere vorrei restare.” Giuseppe Russo anni 88 morì una settimana dopo questa sua riflessione della sua lunga ma travagliata esistenza.
Sono le mie solite “bollicine di sapone” e… fuochi d’artificio, belle al loro apparire e immediatamente dopo a… finire, lasciando il buio e il vuoto dietro di loro.
“…a pensar come tutto al mondo passa, e quasi orma non lascia…” - Leopardi.
Alla vanità dell’illusione e della speranza non poniamo alcun limite.
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