DOMANDE E RISPOSTE SUL CREAZIONISMO

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Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:43
Dialoghi di F. De Angelis con M. Favareto e G. Briganti

CAP. 1 - GENESI: INTERPRETAZIONE LETTERALE O SIMBOLICA? Un confronto senza polemica fra F. De Angelis e M. Favareto, due credenti di orientamento diverso.

CAP. 2 - IL CONFRONTO CREAZIONISMO/CONCORDISMO VISTO DA UN MARXISTA. L’emergere di insospettate convergenze nel dialogo col prof. Giandomenico Briganti.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:45
CAP. 1
GENESI: INTERPRETAZIONE LETTERALE O SIMBOLICA?
Un confronto senza polemica fra F. De Angelis e M. Favareto,
due credenti di orientamento diverso


1. AFFERMARE, NON IMPORRE (MF- Marcello Favareto)

Caro Fernando, tu dici: "Vogliamo affermare, non imporre", ma quando un altro creazionista scrive che "in modo indiscutibile qualsiasi ipotesi concordista (cioè di accordo fra racconto biblico della creazione ed evoluzione) è biblicamente insostenibile", secondo te che cosa sta facendo? E quando si aggiunge che "il problema non può contemplare una pluralità di risposte, perché la fede nell'ispirazione divina della Bibbia non può che portarci ad una risposta e ad una sola", cosa intendi? A me sembra che si voglia dire che c'è solo un modo di intendere la creazione e chi non la pensa così non crede nell'ispirazione divina della Bibbia. Questo per me è dogmatismo bell'e buono, certamente inconsapevole, ma per ciò stesso più pericoloso. Ribadisco il mio rispetto ed il mio affetto per chi ha scritto quelle frasi, ma non sembra anche a te che si stia implicitamente definendo, come punto di fede essenziale, non solo l'atto creativo di Dio, ma il processo della creazione in 6 giorni di 24 ore? La pensi veramente così anche tu?

RISPOSTA AL PUNTO 1 (FDA - Fernando De Angelis)

Caro Marcello, questa tua pacata e rispettosa contestazione di un creazionismo che non cerchi di distorcere, vorrei tenerla sempre presente, per evitare quei pericoli che, nel corso della lettera, hai saputo ben segnalare e che sono frutto di serie e sofferte riflessioni. Ciò detto, rispondo con molta libertà e franchezza alle varie questioni che sollevi.
Quando interpreto Genesi 1 e considero 6 giorni creativi di 24 ore, con la comparsa di Adamo qualche migliaio di anni fa, non ho alcun problema biblico, perché tutto il resto della Scrittura si accorda con questa interpretazione. Ho problemi di altra natura (scientifici, storici) ma, a questo punto, ho fiducia che, come se ne sono risolti molti, anche gli altri si risolveranno. Corro il rischio di accontentarmi di false, superficiali, disoneste soluzioni e mi fa piacere che mi siano vicino fratelli che sono attenti a vagliare le risposte, ma chi non corre rischi nell'adottare una sua linea d’interpretazione?
Devo stare attento a distinguere ciò che credo da ciò che constato, ma non posso limitare il mio credere solo a ciò che posso constatare e, mentre quando sono a scuola insegno ciò che constato, quando sono in chiesa affermo ciò che credo, sulla base di quanto la Bibbia dice.
Quando ho riconosciuto in una persona un fratello in Cristo, non c'è sua stortura che mi consenta di ripudiarlo. Il concordista per me è, su quel punto, incoerente, debole, pericoloso per sé e per altri, ma affermare che la Scrittura dice in un modo e non dice in altri modi, non necessariamente è imposizione. Altrimenti anche tante altre convinzioni cristiane sarebbero imposizione.
Per me affermare e difendere il creazionismo non concordista è un doveroso servizio: alla fratellanza prima di tutto ed al mondo poi. Chi la pensa diversamente mi suscita spesso più affetto, più simpatia, più desiderio di stargli vicino che non chi mi applaude. Certo, quando qualcuno deride il creazionismo non concordista e diffonde pericolose dottrine e atteggiamenti verso la Scrittura, bisogna reagire proporzionatamente. Certo, corriamo il pericolo di dogmatismo e di esagerare certi aspetti della Rivelazione, ma il pericolo riguarda ogni dottrina, non solo il creazionismo.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:46
2. UNIFORMITA' DI METODO E DI GIUDIZIO
PER LE IPOTESI NOSTRE ED ALTRUI (MF)


Un chiarimento maggiore forse devo farlo sulla mia posizione e sullo scopo della mia lettera. Ho ripetuto più di una volta che non sono evoluzionista, né creazionista progressivo, né concordista o altro, semplicemente su questo tema "non sono"! Sono più che convinto che l'ipotesi evoluzionista resterà tale e sono, forse ingiustamente, felice quando emergono fatti che la smentiscono o la contraddicono. La mia critica, quindi, non va letta come una difesa di queste teorie, anzi... Però il fatto di demolire la tesi avversaria, o di metterne in evidenza le debolezze, non è assolutamente una garanzia che la nostra tesi sia di conseguenza giusta! Il mio impegno, quindi, è a far sì che dalla nostra parte si sia seri, corretti, obiettivi e leali. In questo senso soltanto, perciò, vanno lette le mie critiche.
Tu citi, a questo proposito, un versetto importantissimo: "Per fede comprendiamo che ... le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti" (Ebr. 11:3). E' su questa base che il cristiano si pone davanti alla natura per studiarla con la fiducia che il suo comportamento sia regolare e comprensibile, con la fede che il Signore non alteri in modo capriccioso le leggi e non falsifichi i risultati degli. È proprio questa fede, che non è ovvia in altre religioni o filosofie, che ha portato tanti credenti ad essere scienziati seri, pionieri della conoscenza!
Perché mai ora ci troviamo invece a fare battaglie di retroguardia? Non sto parlando delle critiche all'ipotesi evoluzionista, bensì del fatto che siamo chiamati ad essere seri e scrupolosi, per impedire le semplificazioni disoneste. Considero battaglie di retroguardia, ad esempio, propugnare la teoria della terra creata con l'apparenza dell'età, dove Dio smentirebbe se stesso, giocando a nascondino con gli uomini. E considero battaglie di retroguardia, anzi peggio, come disonestà intellettuale, quando – dopo aver giustamente criticato le ipotesi altrui – proponiamo la nostra soluzione non perché vi siamo portati dai risultati degli studi, ma per una nostra posizione preconcetta e non applichiamo a noi stessi il medesimo scrupolo critico che applichiamo invece agli altri.
È l'errore in cui, a mio parere e senza offesa, cadi anche tu quando dici: "Cosa c'è di strano se i credenti considerano vera la Bibbia e false le altre fonti in ciò che contrastano con essa?". Eccome se è strano! Non si fa scienza buttando dalla finestra i risultati che non ci piacciono! Se critichiamo, giustamente, gli evoluzionisti che scartano i reperti che non concordano con le loro ipotesi, come possiamo poi fare grossolanamente lo stesso?

RISPOSTA AL PUNTO 2 (FDA)

Quando dici che sul tema delle origini non hai una posizione, ma semplicemente "non sei", devi riconoscere che è una debolezza. Dove la Bibbia parla possiamo e dovremmo comprendere ciò che dice. Certo, si può anche essere convinti di un'idea sbagliata, ma il non averne è indubbiamente un fatto negativo.
Giustissimo che se Darwin ha torto non è detto che i suoi critici abbiano ragione.
Dici: "Il mio impegno è far sì che dalla nostra parte si sia seri, corretti, obiettivi e leali". Lo condivido totalmente, ma cerco di essere “obiettivo” soprattutto quando dialogo con dei non credenti, mentre dai credenti posso e devo aspettarmi un'adesione incondizionata al testo biblico. Nella chiesa mi astengo il più possibile da questioni culturali, perché desidero condividere con i fratelli di ogni estrazione ed orientamento il "non oltre" quel che è scritto (1Cor. 4:6); ma anche tutto ciò che è scritto.
Condivido il collegamento fra il credere in un Dio non capriccioso e l'attività scientifica.
"L'età apparente" può certamente essere una battaglia di retroguardia ed una facile (se non addirittura scorretta) scorciatoia, un suo uso sobrio, però, è connesso al creazionismo. La creazione presuppone discontinuità iniziale e non si possono applicare alla creazione appena ultimata gli stessi criteri di determinazione dell'età che è corretto applicare oggi. Anche qui, come spesso, ho la convinzione che dobbiamo muoverci fra pericoli contrapposti.
Quando mi dici: "Non si fa scienza buttando dalla finestra i risultati che non ci piacciono", esprimi un atteggiamento che condivido appieno, ma è proprio in un modo che gli somiglia che, consapevolmente o inconsapevolmente, si è sempre fatta scienza.
Certo, più le affermazioni scientifiche sono ponderate, più mi pesa buttarle dalla finestra, ma nel mio capire ciò che Dio mi dice nella sua Parola, voglio il meno possibile essere condizionato dalla scienza. Onestamente riconosco che ho qualche problema scientifico e storico, ma tantissimi di quelli che avevo quando ho cominciato a leggere la Bibbia si sono dissolti. Dico che ho qualche problema, ma credo che anche quelli si dissolveranno e prego che Dio ci dia sapienza, discernimento e fede per scoprirli.
Io non critico gli evoluzionisti per quello che credono, ma per quello che vogliono far passare per scienza. La fede evoluzionista va combattuta con armi spirituali. La falsa scienza evoluzionista con armi formalmente logiche, anche se pure quelle in fondo sono spirituali. Non voglio affermare dogmaticamente una scienza biblica, ma far capire che l'evoluzionismo è in larga parte religione, più che scienza, e che certe soluzioni scientificamente credibili (e ciò giustamente non significa vere) piuttosto che contrastare la Bibbia la rafforzano.
Il passato poi non lo possiede nessuno. Tutto ciò che noi constatiamo è nel presente ed il passato dobbiamo sempre più o meno immaginarlo sulla base dei nostri presupposti. L'evoluzione non è scienza, ma tutt'al più storia: una via di mezzo fra scienza e filosofia. Di tutto questo bisogna tener conto, quando ci troviamo davanti la "scienza" dell'evoluzione.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:47
3. SALTI DAL PIANO SPIRITUALE A QUELLO SCIENTIFICO (MF)

Gesù disse che lo Spirito è come il vento, soffia dove vuole. Spiegare i fattori che regolano i venti vuol forse implicare che lo Spirito non è più libero? Ce la dovremmo prendere con la meteorologia?
Non è mettendo in crisi le posizioni del mio interlocutore che voglio dimostrare la validità delle mie, anzi il mio scopo è solo quello di richiamare ad umiltà intellettuale, ad esaminare con rigore le proprie ipotesi prima ancora che quelle altrui.
L'errore che mi sembra si commetta e che mi lascia sinceramente sconcertato è il seguente. Per illustrare una verità spirituale si può fare un parallelo con una realtà naturale, quale modello per far capire qualcosa altrimenti inesprimibile (è certamente questo il caso delle parabole di Gesù); ma il messaggio che essa contiene è certamente di carattere spirituale e non ha lo scopo di trasferire delle informazioni sulla natura. Prendiamo la parabola del Seminatore: potremmo forse dedurne che era metodo agronomico del tempo seminare lungo la strada, sulle rocce, o nei rovi? Se ne deducessi un trattato di agronomia ebraica e se, in più, di fronte ad evidenze archeologiche che dimostrassero l'uso normale dei campi, io rifiutassi queste testimonianze perché in contrasto con le affermazioni inerranti di Gesù, sarei nel giusto? Eppure non è proprio quello che tu dichiari legittimo quando c'è contrasto tra la Bibbia e le altre fonti?
È pur vero che il parallelo fra Adamo e Gesù è più di un modello parabolico per Paolo, ma è pur sempre un parallelo: l'azione e l'opera di Cristo non vengono alterate dal fatto che il modello sia imperfetto, né possiamo modificare la natura per farla meglio corrispondere al suo parallelo spirituale. Ad esempio, se il legame di parallelismo fosse così totale e vincolante allora si dovrebbe anche concludere che, come la morte è automaticamente passata da Adamo a tutti gli uomini, così anche la salvezza di Cristo compete automaticamente a tutti. Ma forse non è proprio così...
Permettimi di dilungarmi ancora un po'. A mio parere a questo primo "errore" se ne aggiunge un altro essenziale a tutto il ragionamento: quello che ho chiamato errore esegetico. Il testo biblico parla di "peccato che è entrato nel mondo e per mezzo di esso la morte" e "la morte è passata a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato..." (Rom. 5:12) e ancora "come dunque con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini..." (Rom.5:18). Non è abbastanza chiaro che si parla di qualcosa che riguarda solo gli uomini e non la natura? Non è quindi arbitrario estendere l'idea della morte che entra nel mondo a causa del peccato anche alla natura? Addirittura, secondo me, in questi versetti si tratta soltanto della morte spirituale...
Ciò che mi spaventa di più è che venga così facile, naturale, spontaneo e logico fare questi salti tra piano spirituale e piano fisico, dedurre delle leggi per la fisica sulla base dell'interpretazione di testi che contengono un messaggio sostanzialmente spirituale.

RISPOSTA AL PUNTO 3 (FDA)

La contrapposizione fra ciò che è spirituale e ciò che è naturale o fisico, non è biblica, ma platonica e pagana; anche se è ben radicata nel cristianesimo di ogni tendenza. Se il mondo fisico e naturale è creazione di Dio, che c'è di strano nel considerare che le sue leggi riflettano il carattere di Dio?
Sono sempre più convinto che l'interpretazione cosiddetta "spirituale" della Bibbia è più un'esigenza dell'interprete che una necessità del testo. Quando sento dire che la realtà descritta non è vera (come dici tu parlando della parabola del seminatore), ma insegna una verità spirituale, in genere mi rendo conto che è stata mal interpretata la realtà descritta. Ed è quella deformata interpretazione ad essere irreale, non la Scrittura.
Sono nato in una famiglia di agricoltori e, durante la prima infanzia, ho vissuto in una situazione di tipo sostanzialmente medioevale. In autunno si caricavano dei sacchi di grano sul mulo e si andava a seminare. Erano sacchi generalmente rammendati tante volte e mi par di vedere ancora mio padre che chiudeva alla meglio qualche piccolo buco, rimproverando mia madre per non averli ricuciti con cura. Le case dei vari agricoltori erano riunite ed i campi da seminare spesso lontani. Il fatto che, via via, dei chicchi cadessero lungo la strada è strano per chi è nato e vissuto in città, ma non per chi ha avuto esperienza di quel mondo e non per un ebreo del tempo di Gesù! Allora non si seminava con la seminatrice, ma lanciando in aria manciate di grano. Non era raro che il campo confinasse con una strada e che ci fosse pure una siepe e, se si voleva seminare tutto il campo, bisognava rassegnarsi a far cadere un po' di chicchi (direttamente o di rimbalzo) anche sulla strada e nella siepe.
Noi creazionisti dobbiamo stare attenti alle scorciatoie, ma la scorciatoia che la cristianità ha maggiormente preso da duemila anni per annullare la Scrittura, è proprio questa "spiritualizzazione" della Bibbia.
Del creazionismo si parla in Italia in modo spesso frammentario e distorto, perciò aveva suscitato anche in me molti timori. Dopo una conoscenza più diretta, però, mi sono reso conto che sono fratelli in Cristo, che stanno combattendo anche per noi.
È vero, la Bibbia dice che il peccato di Adamo introdusse la morte nella specie umana. Non nomina esplicitamente gli animali e la natura. Però, come si fa a pensare che il peccato portò solo alla morte "spirituale"? "Polvere ritornerai" (Gen. 3:19) non fu una condanna? Se diciamo che Adamo fu creato mortale, non stiamo usando la Bibbia come luce del mondo, ma una certa scienza come luce della Bibbia.
È vero che non viene detto esplicitamente che gli animali divennero mortali dopo il peccato di Adamo e voglio rispettare questo silenzio della Scrittura, però devo tener presente il fatto che, nella Bibbia, la storia del re (l'uomo) e del suo regno (la Terra) sono in relazione stretta. Anche il suolo fu maledetto a causa del peccato di Adamo e cambiò la sua produzione a vantaggio di "spine e triboli" (Gen. 3:18). Il peccato, al tempo del diluvio, sconvolse anche la natura. Un qualche peso ha anche l'affermazione dell'apostolo Paolo che la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio insieme a noi (Rom. 8:19-23). Far dire alla Bibbia che gli animali erano immortali prima del peccato di Adamo accetto che sia un'applicazione non obbligatoria (ma neppure infondata). Però la Bibbia afferma esplicitamente che nessun animale era inizialmente carnivoro (Gen. 1:30) e per questo, fra le restaurazioni messianiche, è contemplato che il leone mangerà l'erba (Is. 11:7). Dire che Adamo era fisicamente mortale prima della caduta è un deformare la Bibbia.
Perché stare sulle difensive cercando di accontentare un mondo sempre più contrapposto a Dio? Anche in campo scientifico-culturale è possibile passare al contrattacco usando le loro stesse armi ed il loro stesso linguaggio: come fecero Paolo all'Areòpago (Atti 17:16ss), il profeta Daniele in Babilonia (Daniele 1:17-20) e Giuseppe in Egitto (Genesi 41:39ss).
Riconosco che l'approccio creazionista fa connessioni a volte opinabili fra testo biblico e scienza, ma una volta potati i rami secchi e quelli che ci sembrano incrinati, resta pur sempre una bell’albero. Io ci ho trovato riparo da tante frecce maligne che tendevano ad intimorirmi ed a farmi prendere la Bibbia con meno serietà. "Esaminate ogni cosa e ritenete il bene" (1Tess. 5:21) vale anche per il creazionismo. Accetto che non sia tutto oro colato, ma possiamo tutti giovarci (chi più, chi meno) di questa opera di difesa della Scrittura.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:48
4. BIBBIA E CONOSCENZA SCIENTIFICA (MF)

Il nucleo centrale del dissenso tra di noi, che però non impedisce il rispetto e l'amor fraterno reciproco, credo stia in ciò che tu affermi e che si riassume così:
a) la Bibbia è anche fonte scientifica;
b) se si minano le affermazioni bibliche di tipo storico o scientifico anche la dottrina ne è compromessa.
Non voglio dire che non condivido queste affermazioni, ma credo che dietro di esse abbiamo presupposti diversi, che ci portano a conclusioni diverse. Credo nella verità storica del racconto biblico; credo nell'intervento di Dio nella storia degli uomini; credo nell'intervento di Dio nella natura all'inizio e nel corso del tempo. Credo quindi che quando la Bibbia dice alcunché a proposito della natura dica sostanzialmente la verità. Ma non credo che lo faccia mai con lo scopo di informarmi sulla natura, né con uno scopo scientifico, perché non è questo il suo obbiettivo.
Inoltre c'è sempre un problema di linguaggio, di terminologia, di cultura del tempo che influisce necessariamente su come è espresso il messaggio. Ora, dal punto di vista spirituale, gli uomini non sono cambiati per niente da allora, quindi il messaggio è intellegibile anche oggi. I problemi spirituali sono sempre gli stessi e la nostra fonte di informazione è una sola: la Bibbia. Solo in parte si può dire che sia la stessa cosa per il suo contenuto scientifico, che dipende dalle conoscenze e dalle concezioni della natura di quel tempo. Un significato che trascenda il linguaggio ed il messaggio percepibile allora si potrebbe ipotizzare solo per le profezie. Dalla Bibbia, quindi, ci possiamo attendere informazioni scientifiche nei limiti delle conoscenze e della capacità di comprensione degli uomini ai quali il messaggio fu originariamente rivolto.
Che cosa fare quando l'informazione che ci proviene in qualche modo dalla natura sembra in contrasto con quella biblica? Se ho capito bene tu proponi di scegliere la fonte biblica e quindi, ne deduco, ti fermi alla conoscenza scientifica di quel tempo. E invece, mi dirai, tu scegli la conoscenza di oggi e butti a mare, e per sempre, l'informazione che proviene dalla Bibbia. Perché, una volta che si dà maggiore attendibilità alla conoscenza scientifica, questa diventa la chiave con cui leggere l'informazione biblica, che perde così ogni validità ed ogni valore autonomi: infatti essa viene accettata solo se concorda con la scienza, altrimenti viene buttata. Quindi è come se non esistesse più, perché non dà più un contributo originale, non dice più nulla. Resta soltanto il suo valore storico a testimonianza di quel che pensavano allora.
Ciò è effettivamente sconcertante per molti. Chi poi abbia poggiato la propria fede nella Parola di Dio per il fatto che essa afferma delle verità verificabili oggettivamente crederà, terrorizzato, di veder crollare la costruzione delle sue certezze, vedrà - come dici tu - compromessa anche la dottrina!
Non prendo alla leggera queste conclusioni. Sono tormenti che ho vissuto, sofferenze che ho portato dentro per diverso tempo. Quindi posso capire chi ci si trova davanti per la prima volta, ma non è il caso di nascondere la testa sotto la sabbia, bisogna guardare in faccia il problema e cercare delle vie di uscita.
Devo aggiungere qualche considerazione ulteriore per non dare l'idea che considero le affermazioni della scienza delle verità assolute e definitive. Infatti non è così. Quel che oggi sappiamo è parziale e in un certo senso provvisorio, potendo essere modificato da futuri sviluppi. C'è quindi sempre questo fondo di modestia, umiltà, provvisorietà, nella conoscenza scientifica (se qualche cosiddetto scienziato non ce l'ha, è patologia da curare e combattere, ma lasciamo questo tema scontato).

RISPOSTA AL PUNTO 4 (FDA)

Su questo punto credo che siamo d'accordo più di quanto pensiamo. Il travaglio per conciliare la nostra umanità con la divinità delle Scritture non ci ha portati molto lontani l'uno dall'altro.
Almeno in parte le tue preoccupazioni derivano da una mia non completa esposizione ed analisi. Per prima cosa bisogna dividere le informazioni storiche da quelle scientifiche. Mi pare che siamo d'accordo che la Bibbia sia vera anche sul piano storico e che quando ci parla dei vari re d'Egitto o d'Israele, ci parla di personaggi reali, vissuti nei tempi indicati. Il linguaggio usato ed i sistemi di datazione risentono di un metodo un po' diverso dal nostro, ma 70 anni per Daniele erano 70 anni grossomodo come per noi ed egli si trovò effettivamente nella corte del re di Babilonia.
Riguardo alla scientificità della Bibbia, distinguerei fra i primi capitoli della Genesi ed il resto. Accetto pienamente ciò che tu dici sul fatto che la Bibbia non ha l'intenzione di essere un testo scientifico, anche se Dio l'ha preservata dalle distorsioni di concezioni scientifico-idolatriche. Accetto benissimo che, nel dire "sole fermati" (Gios. 10:12), Giosuè usò un linguaggio comune (più che del tempo, infatti anche oggi diremmo così), perché non faceva lezione di astronomia, ma stava chiedendo a Dio un miracolo cosmico.
Ma vado anche oltre. Non mi convince affatto, per esempio, la diffusa interpretazione che Isaia riveli la sfericità della Terra quando dice che Dio "sta assiso sul globo della terra"(Is. 40:22). Il contesto non incoraggia per niente a pensare che Dio volesse sconvolgere l'impressione intuitiva che la terra sia piatta. Concordo pienamente con quanto suppongo tu pensi, cioè che questo passo, più che far vedere il miracolo della Rivelazione, faccia vedere la tendenza al miracolismo di noi uomini. La traduzione Concordata dice: "Egli siede sopra la volta della terra per cui gli abitanti sembrano locuste" e fa vedere meglio che la volta (o globo) cui si riferiva Isaia era quella del cielo, ben percepibile da tutti, piuttosto che quella terrestre.
Hai perfettamente ragione che dobbiamo resistere alla tentazione di ridurre la Scrittura a manuale tecnico-scientifico, ma ciò non è pienamente vero per i primi 11 capitoli della Genesi. Prima di tutto essi non sono strettamente scienza, ma più precisamente storia. Il racconto del diluvio (Genesi 6-10), per esempio, ha implicazioni scientifiche, ma si intreccia con una scienza che è più storia che scienza. Così dicasi per la Torre di Babele (Genesi 11) e, nota dolente, per i fondamentali primi 3 capitoli. Lo scontro di quest'ultimi con la scienza deriva per lo più dal fatto che la scienza è trabordata in storia, continuando a chiamarsi scienza.
Il più grande filosofo della scienza moderno (Popper) non riconosceva all'evoluzionismo (ed alla psicoanalisi) la qualifica di scienza: non è solo, permettimi lo sfogo, una fisima degli ottusi creazionisti americani! La scienza, cito Pasteur a braccio, non dovrebbe interessarsi delle origini e dei fini, ma indagare sulle leggi del presente, e sappiamo quanto questo atteggiamento dello scienziato francese (che teneva in alta considerazione il Vangelo) fu produttivo.
Redi scrisse che, secondo lui (che leggeva il testo biblico in ebraico) non erano sorte più specie da quando Dio aveva smesso di crearne; per aver mostrato questo egli viene indicato come l'iniziatore della Biologia moderna. E che dire di Linneo? La storia della Biologia, fatta dal famoso evoluzionista Pietro Omodeo italiano, fa vedere che i più grandi biologi sono stati creazionisti (P. Omodeo, Creazionismo ed evoluzionismo, Laterza, 1984).
Nei primi 11 capitoli della Genesi, Dio ci informa su come la creazione è stata da lui fatta e poi modificata a causa della ribellione dell'uomo. Qui le informazioni scientifiche hanno grande rilevanza teologica e non possono essere concordate con affermazioni supposte scientifiche che hanno lo scopo ultimo di distruggere quella teologia.
Se la realtà deriva da una materia eterna che Dio può soltanto plasmare, se gli esseri viventi e l'uomo sono imperfetti e mortali una deliberata scelta di Dio o come frutto del caso, non appare secondario e non è solo una questione scientifica. Se il racconto del Diluvio e della Torre di Babele sono reali o no, non è indifferente per chi ritiene la Bibbia ispirata (e ha dell'ispirazione un concetto alto). Quando si parla dei primi 11 capitoli della Genesi succede spesso che la "scienza" invada la teologia e molto meno che i creazionisti invadano la scienza (anche se pure noi non siamo senza macchia). I primi 11 capitoli della Genesi sono le colonne portanti di tutta la Bibbia e non se ne può cambiare la valenza scientifica senza compromettere la stabilità dell'intero edificio.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:49
5. QUALCHE ELEMENTO PER RICOSTRUIRE (MF)

Torniamo al nostro problema principale: come ricostruire il nostro castello crollato o barcollante? Non credo di avere una vera soluzione da offrire, ma due punti solidi penso che si possano mettere.

a) Il Vangelo non è rivolto solo ai savi e ai potenti, ma anche ai deboli, ai peccatori, ai piccoli fanciulli; quindi per credere non è necessario essere scienziati, né teologi o filosofi. Resta sostanzialmente vero che Dio si rivolge a tutti, quindi il messaggio deve essere comprensibile a tutti. L'insegnamento di Gesù non lascia dubbi in proposito. La sostanza del messaggio supera i tempi, le filosofie, le teologie, le scienze; ne deve essere in un certo senso indipendente. In ogni età dobbiamo renderlo attuale e significante per l'uomo, ma guai a confondere il messaggio con la cornice in cui lo stiamo mettendo. E viceversa, se ho una conoscenza sbagliata del mondo fisico, o una teologia non corretta, o semplicemente non ho una teologia perché sono ignorante, può tutto questo impedirmi di essere salvato, o di essere un fedele servitore di Cristo? Nel nostro rapporto con Dio quanto è veramente importante la nostra conoscenza intellettuale, se lo è mai?
Quindi, la rivelazione che Dio mi propone non è per rendermi più istruito e colto, o più intelligente, né per darmi una comprensione più ampia e corretta del mondo, anche se mi dà anche qualcosa del genere, ma me la dà come sottoprodotto, non come obiettivo principale. Il suo scopo, quindi, deve essere un altro.
In effetti, se rileggiamo i Vangeli con questo tipo di curiosità, vediamo che il messaggio di Gesù non è mai di tipo intellettuale, razionale, dottrinale o informativo, ma è sempre di tipo spirituale e morale. Perché il suo linguaggio è sostanzialmente parabolico quando parla, ad esempio, del Regno? Qualunque linguaggio umano è insufficiente a descriverlo, quello di allora come quello di oggi. Vedremo sempre come in uno specchio, parleremo di concetti, pronunceremo credi e principi dottrinali, ma in realtà continueremo a parlare per metafore ed immagini. Non illudiamoci di conoscere veramente! L'unica conoscenza a cui siamo chiamati è quella personale di Cristo, conoscenza che supera i limiti delle parole, dell'intelletto, della cultura.
Diciamo spesso che tutta la Bibbia guarda a Cristo, ma altrettanto spesso ce ne dimentichiamo e guardiamo alla Bibbia come ad una rivelazione di verità intellettuali, come fonte di informazioni, manuale di uso del mondo, carta geografica con cui viaggiare nella natura, occhiali con cui guardarla.
Con queste premesse è naturale che io veda con un certo sospetto le grandi costruzioni intellettual-dottrinali e che sia cauto con chi presume di conoscere la Volontà, i Piani, tutto il programma di Dio... con chi insomma ha una risposta ed una regola per tutto...

b) Passiamo ad un altro punto su cui poggiare una visione equilibrata. La scienza si interessa soltanto di fenomeni che possono essere riprodotti, verificati, misurati da più persone, in tempi diversi, in luoghi diversi. Tutto il resto, cioè comportamenti arbitrari perché regolati da fattori non tenuti sotto controllo, o influenzati da folletti, o da libere volontà o da altro e quindi non ripetibili, vengono classificati come casuali, o senza correlazione con i fattori presi in esame.
In quest'ambito l'ateo penserà di studiare aridi fenomeni in cui le relazioni di causa ed effetto sono proprietà degli oggetti in esame e il credente cercherà le stesse relazioni nella fiducia che Dio ha stabilito quelle leggi su basi solide, serie, non arbitrarie (Ebr. 11:3), perciò esse saranno rispettate nel corso dei suoi esperimenti, anche se Dio può violarle a suo piacimento in qualunque istante.
Se, per fare un esempio, sono roso dalla gelosia non disporrò di alcuna prova "scientifica" che possa dimostrare la fedeltà di mia moglie (mentre potrei verificarne eventualmente l'infedeltà); infatti qualunque cosa lei possa dire o fare potrà sempre essere da me interpretata come una sua simulazione, e quanto più farà per dimostrarmi affetto tanto più sospetterò che finga o mi inganni. Restano, perciò, non coperti dal metodo scientifico ampi settori della conoscenza e della vita dove devono essere usati altri strumenti. Non voglio qui certo dire che la rivelazione vada posta su un piano etereo, vago, senza contatti o influenza sull'uomo. Cristo è entrato nella storia, i fatti sono avvenuti, degli uomini hanno visto, udito, toccato e hanno testimoniato. È una testimonianza umana e storica, ma non possiamo pretendere che sia come un esperimento scientifico riproducibile oggi. Oggi si riproducono le conversioni, Dio interviene nella vita degli uomini e ciò costituisce per alcuni una testimonianza convincente, per altri una follia, ma non è proprio questa la pazzia della predicazione?
Naturalmente chi è abituato a constatare i "successi" della conoscenza scientifica e delle sue applicazioni è tentato di estendere i suoi metodi e principi al di là del campo di corretta competenza. E' ad esempio il caso, a detta anche di altri, delle cosiddette scienze umane, dove si rischia che l'uomo si ponga al di sopra del suo simile, che è fatto ad immagine di Dio, per osservarlo e studiarlo come un oggetto. Secondo alcuni anche scienze come Medicina o Biologia sono sul confine tra il giusto e l'illecito. Certamente non si descrive tutto l'uomo quando lo si analizza come se fosse una macchina (come molta della medicina moderna fa), ma di ciò molti medici sono assolutamente coscienti.

RISPOSTA AL PUNTO 5 (FDA)

In questa parte fissi due punti solidi. Elimino subito il secondo, riguardante una corretta visione della scienza, perché sono totalmente d'accordo. Sul primo punto, invece, vorrei soffermarmi un po'. In esso dici delle frasi che mi risvegliano atteggiamenti che ho dovuto sradicare con dolore. La mia massima aspirazione era di predicare con semplicità il Vangelo e curarmi di quelli che si convertivano, ma questo non sono riuscito a farlo. In più, facendo l'insegnante di Scienze Naturali e Geografia, non ho potuto evitare di farmi una cultura. Ho desiderato tante volte buttar via tutti i miei libri culturali, ma non ho potuto. Anzi, dovendo insegnare in modo diverso da come fanno i testi scolastici, sono stato costretto a fare per la scuola delle dispense (di linguaggio laico) per proporre visioni culturali poggianti su un più o meno celato retroterra biblico. Una serie di circostanze concatenate mi ha costretto a fondare insieme ad altri ed a presiedere i primi anni addirittura l'Associazione Culturale Evangelica “Daniele-Baltazzar”, con la direzione della collegata rivista “Proiezioni”! Nel mio intimo, però, resto anch'io un amante della semplicità del Vangelo.
Quanto sarebbe stato bello se, anziché trovarci a disquisire su come rapportarsi alla cultura, avessimo trovato un modo veramente efficace di portare il Vangelo nelle Università! Invece sembra che su questo si sia fatto poco. Dio però non ha fallito e porta avanti un suo piano. Comunque a noi non spetta fare gli strateghi, ma i soldati; così io, come soldato, riprendo a commentare il tuo scritto, al fine principale di individuare ed allargare una base comune, senza mascherare il dissenso, perché il nasconderlo non sarebbe gentilezza, ma rinuncia a risolverlo, resa, ipocrisia, compromesso, accordo alle spalle di Dio ed altro. Meglio la lotta cavalleresca che le ipocrisie.
Mi dici: "L'unica conoscenza a cui siamo chiamati è quella personale di Cristo, conoscenza che supera i limiti delle parole, dell'intelletto, della cultura". Penso che mi consenti pacificamente di aggiungere: "Ma che non fa a meno di parole ed intelletto".
È vero, "il messaggio di Gesù non è mai di tipo intellettuale". Nemmeno quello dell'apostolo Paolo quando parlava agli Ebrei, cioè al popolo di Dio (vedi discorso nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, Atti 13). Ma all'Areòpago? Lì non cita mai la Scrittura, ma solo un poeta pagano (Atti 17:16 e segg.). Sentii questo ragionamento diversi anni fa e mi disturbò, ma ora lo faccio anch'io. Se l'apostolo Paolo ha usato la cultura, allora essa ha un posto che non disturba il messaggio del Vangelo, anzi lo esalta. Vediamo allora di fare qualche considerazione che inquadri la cultura da un punto di vista biblico.
1) La cultura va usata con chi è stato da essa inquinato, è un disintossicante, non un ricostituente e non deve essere in qualche forma un obbligo per i credenti, i quali devono trovarsi in Cristo sulla base necessaria e sufficiente della sola Scrittura.
2) Dobbiamo andare fra le spine della cultura per aiutare chi c'è cascato dentro, ma non per rimanerci, bensì col traguardo di contemplare poi la bellezza della risurrezione (vedi Areòpago).
3) La cultura può essere utile come aperitivo (vedi ancora Areòpago), ma non deve contaminare il pasto, che deve essere costituito dalla non accomodante "pazzia della predicazione" (1Cor. 1:21).
4) Per chi è stato inquinato dalla cultura ed ha accettato il Vangelo, conservando dentro di sé timori e problemi che ostacolano la sua crescita spirituale, la cultura può essere un digestivo, ma anche qui non va confusa col pasto.
Gesù non fu mandato "che alle pecore perdute della casa d'Israele" (Matt. 15:24) e Pietro pure fu indirizzato ai Giudei: perciò potevano e dovevano fare a meno della cultura. Ma come apostolo dei gentili fu scelto un ebreo che era anche cittadino romano dalla nascita (una qualifica di alto rango, vedi Atti 22:25-29) e che ben conosceva quel mondo e quella cultura. Mosè fu mandato a parlare a Faraone, armato della sapienza e della potenza di Dio ma, non a caso, conosceva bene quella corte, della quale aveva in precedenza assorbito "tutta la sapienza" (Atti 7:22). Daniele combatté a Babilonia manifestando una fede semplice, concreta, e le sue armi furono armi spirituali. Ma anche in questo caso Dio gli fece rendere ben conto di "tutta la letteratura e sapienza" di quel popolo pagano (Dan. 1:17).
La cultura non è negativa in sé, anche se è molto più bello starsene fra il popolo di Dio per chinarsi insieme agli altri sulla bellezza della Scrittura. In questa società moderna, però, siamo sempre più immersi fra “neopagani” ed allora, se cultura deve essere, facciamola in modo che renda un servizio alla potenza e semplicità del Vangelo: ammetto che sembra una contraddizione, ma non lo fu per Mosè, né per Daniele e Paolo.
Viva la semplicità del Vangelo e la centralità di Cristo, perciò, anche se ci può essere uno spazio, al giusto posto, per la cultura.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:50
6. ANCORA SU EVOLUZIONE E CREAZIONE. CONCLUSIONE (MF)

Si dice, sostanzialmente, che non solo è importante il fatto che Dio abbia creato l'universo, come molti accettano, ma anche il modo in cui è avvenuta la creazione è quasi altrettanto importante: perché? Se capisco bene la ragione che adduci è che l'uso di un processo crudele, quale l'evoluzione mediante la selezione naturale del più adatto, non è degno di Dio e non si confà ai suoi caratteri. Cerchiamo di distinguere: se il processo fosse più gentile, ma comunque diverso da una creazione letterale di sei giorni, sarebbe più accettabile? Il modo è importante solo per i suoi aspetti morali? Se sì, capisco il problema. Ma vorrei farti osservare che stiamo portando ancora una volta la discussione su un piano diverso. Ammesso e non concesso che ci siano elementi probanti l'evoluzione, i nostri sentimenti non ci possono fare proprio nulla, sono ininfluenti. Solo qualora si dimostrasse che due ipotesi sono ugualmente valide e verificabili un criterio accessorio di giudizio pu• essere di carattere morale. Si potrebbe qui stabilire un parallelo con le due teorie della luce, corpuscolare ed ondulatoria, ma in questo caso si è preferito accettare di convivere con ambedue e non adottare un criterio arbitrario di scelta.
Il punto essenziale, comunque, a me pare che stia nel fatto che il problema venga radicalizzato tra due sole alternative: evoluzione cieca per mutazioni casuali e selezione naturale, oppure creazione letterale in 6 giorni di 24 ore, zero minuti e zero secondi, con in più, per buon prezzo, solo 4.000 anni fa.
Attaccarsi rigidamente a quest'ultima concezione ci fa essere anacronistici, ma questo non è necessariamente negativo: vivremmo nel 2.000 e useremmo tutti i suoi strumenti, ma quanto alla storia naturale della terra resteremmo fermi a quanto Mosè ricevette in proposito. Comunque non ci potremmo sottrarre alle evidenze della natura; dovremmo pur dire qualcosa dei fossili, del petrolio e di altro, ma qui per favore siamo seri, non arrampichiamoci sui vetri.
Non è nemmeno necessario attaccarsi all'alternativa evoluzionista, che è solo un'ipotesi, anzi qualcuno ha dimostrato che essa è statisticamente impossibile, a meno che non si introducano ipotesi aggiuntive non dimostrabili: spinta organizzatrice interna alla materia? Interventi creativi distinti e successivi? Pilotaggio di Dio a livello delle singole molecole nelle mutazioni? Quindi tutte le critiche alla teoria evoluzionista (lasciamo stare i ciarlatani dell'evoluzione) sono sante e necessarie.
Perché non possiamo fermarci a questo punto? Perché non cerchiamo di dare semmai anche noi il nostro umile, onesto contributo alla comprensione dei fenomeni e allo sviluppo della conoscenza, serbando in cuore un messaggio che ci viene dal profondo dei secoli, che ci è spiritualmente chiaro e tecnicamente da reinterpretare ogni giorno, alla luce di ciò che il Signore ci permette di capire della sua creazione? Il campo è aperto, lavoriamoci con fiducia, non facciamo battaglie di retroguardia, cerchiamo di adempiere al compito che il Signore ha affidato all'uomo!

Concludendo e riassumendo, secondo me la Bibbia ci trasmette un messaggio spirituale e globalmente storico; i fenomeni fisici, che non sono mai scopo primario del testo, vengono descritti con i limiti del linguaggio e della cultura dei suoi autori umani. Perciò l'informazione che questi testi ci possono trasferire viene attualizzata e resa leggibile oggi attraverso la conoscenza scientifica della natura. Quando ci sono contrasti tra le due letture si può solo sospendere il giudizio, in attesa che lo sviluppo della scienza e della comprensione dei testi ci porti qualche lume.
I problemi non ci devono comunque preoccupare, perché sono assolutamente marginali rispetto al messaggio di Dio.
È impegno dello scienziato credente controllare che ciò che viene proposto come conoscenza scientifica sia veramente tale e non mera ipotesi; è altresì suo impegno essere altrettanto serio nelle sue proposte di ipotesi alternative.
La conoscenza scientifica ha dei limiti che non può superare; l'uomo deve usare anche altre fonti ed altri strumenti per la complessità del suo sapere.
Il messaggio di Dio all'uomo è di tipo spirituale e morale, non informativo ed intelletuale; esso è rivolto a tutti, piccoli fanciulli ed ignoranti compresi.
La rivelazione è rivelazione del Vero, cioè Cristo, più che di una verità intellettuale, e la conoscenza a cui siamo chiamati è la conoscenza di Lui.

Marcello Favareto

RISPOSTA AL PUNTO 6. CONCLUSIONE (FDA)

Non me la prendo con i concordisti, ma col Golia evoluzionismo. Di fronte alla forza della sua propaganda e alla mancanza di strumenti da parte dei credenti, molti hanno dovuto subire. Perché ce l'ho tanto con l'evoluzionismo? Semplice, perché quando mi proposero di prendere sul serio la Bibbia, mi rifiutai dicendo che l'evoluzione dimostrava che la Scrittura andava presa in modo molto elastico.
Alfredo Terino, che essendo americano aveva evidentemente beneficiato del lavoro dei creazionisti di quel paese, mi mostrò logicamente che l'evoluzionismo aveva poca consistenza. Certo, la cosa più importante e difficile fu quella di superare, con l'aiuto dei credenti, gli ostacoli spirituali e morali, ma la grossa pietra di sbarramento dell'evoluzionismo non c'era più. Anzi, si era trasformata in un trampolino di lancio. Da allora il prendere alla lettera la Bibbia per me è stato un percorso obbligato ed una scommessa continua, ma anche una bella avventura.
Il Golia evoluzione ha costretto i credenti a rifugiarsi nelle caverne di un'interpretazione della Bibbia elastica, anzi elasticissima. Quando il campo di battaglia è signoreggiato da Golia (1Sam. 17), si può credere solo "spiritualmente" nella sovranità di Dio e in certe sue promesse. Golia fa subito pensare alla vittoria di Davide, ma nella Scrittura ci sono anche esempi di uomini retti che vengono uccisi (Abele, Gionathan, per non dire di Cristo stesso). Naturalmente onore anche a quelli! Certi eserciti superano i fossati riempiendoli con i primi che arrivano: anche quelli sono vincitori da onorare. Forse anche più.
Anche quelli che si rifugiarono nelle caverne per sfuggire a Golia e che nelle caverne conservarono in fondo al cuore il pensiero della sovranità di Dio e della verità totale della sua Parola, sono da onorare, perché non si sono arresi e perché hanno salvato il salvabile.
Tutto questo era vero finché il Golia Darwin signoreggiava, ma ora che è ferito a morte, come reagiamo? Vogliamo essere fra quelli che gli danno l'ultimo colpo? Vogliamo essere fra quelli che inseguono il suo spaurito esercito? O, avendo elaborato quella che chiamo una teologia delle caverne, vogliamo continuare a rimanere dentro, sulla difensiva? Il mio invito è di uscire fuori e dare battaglia, ma qualcuno teme che si possa anche questa volta perdere inutilmente la vita; teme che Golia non sia veramente moribondo. Chiedo che almeno simpatizzi per chi sta combattendo.
Alcuni però si sono affezionati alle caverne, altri nel passato hanno esortato alla prudenza ed a restare dentro, perciò continuano in quell’insegnamento per forza d’inerzia e per non essere sconfessati come "maestri". Si può comprendere, ma la vergogna vera non è aver esortato a stare rinchiusi, ma continuare a farlo quando è tempo di uscire! Ciascuno valuti e ciascuno rischi a suo modo, avrà tutta la mia simpatia e comprensione, ma fino a quando non supera il limite di Kore (cf. Num. 16). Si possono avere timori e dubbi nel cammino di fede e chi non ne ha? Ma quando si prendono i propri timori ed i propri dubbi e se ne fa una bandiera, ponendosi alla testa del popolo di Dio ed invitando ad essere seguiti per la strada che riporta indietro, non è più possibile essere trattati gentilmente. "Non siate in molti a far da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio", questo ammonimento di Giacomo (Giac. 3:1) non possiamo prenderlo sottogamba. In Israele non era obbligatorio combattere: chi non se la sentiva poteva starsene a casa (Deuteronomio 20:8); ma nemmeno era lecito aiutare il nemico.
Dici che se ci attacchiamo rigidamente ad intendere 6 giorni di 24 ore "resteremmo fermi a quanto Mosè ricevette". Tu non gli dai il significato che ha la frase presa isolatamente, ma mi chiedo se ti sei reso conto dell'enormità dell'espressione. Resteremmo?! Dobbiamo!! Anche se poi giustamente si deve anche dire qualcosa sui fossili e altro con serietà e senza arrampicarci sui vetri (e riconosco che noi creazionisti potremmo, dopo essere usciti da certe caverne, rifugiarci in altre). È vero, la scienza potrebbe mettere in crisi questa posizione. Se, per fare un esempio, Mosè avesse ordinato di mettere sulle ferite un po' di sterco equino (ricco di tetano!) come insegnavano i sacerdoti egiziani, avremmo serie difficoltà a credere che Mosè fosse ispirato da Dio. Ma il Levitico fa vedere la modernità e la scientificità delle disposizioni igieniche di Mosè ed allora la promessa "Io sono Javè che ti guarisce" (Es. 15:26) non è miracolistica, né irrazionale, anche se va oltre l'igiene e la ragione.
La fede biblica non è mai stata senza rischi. Se il Diluvio non fosse venuto (Gen.7), Noè... Se Abramo (Gen. 14) fosse stato ucciso quando fece guerra a quei diversi re... Se le acque del mar Rosso (Es. 14) si fossero chiuse un po' prima, o un po' dopo... Se il popolo d'Israele fosse morto tutto di sete nel deserto... Si potrebbe continuare all'infinito, ma concludiamo l'elenco con un'ultima domanda: "E se Pietro non avesse trovato i soldi nella bocca del pesce?" (Matt.17:27). Certo, dobbiamo correre i "rischi di Dio", non i nostri, ma una fede che non può essere smentita dai fatti, una fede eterea e disincarnata, non è quella biblica: assomiglia ad una superstizione, è fideismo, credulità, religione.
A scanso di equivoci, non credo che la tua fede sia credulità, tu e tanti altri avete una fede reale, ma potete non rendervi conto che, riducendo i rischi del vostro credere, vi avvicinate progressivamente alla religiosità che, come ben sai, è il contrario della fede. Confermo, affrettandomi a chiudere questa lunga lettera, che il modo che Dio ha usato nel creare, riflettendo il suo carattere, ha delle notevoli ripercussioni spirituali e morali. Un modo "più gentile" della selezione naturale rifletterebbe un Dio "più gentile" dei tardi imperatori romani, ma noi non dobbiamo immaginarci un Dio "più gentile", bensì pensare a Jahwèh, il Dio che non possiamo plasmare. La difficoltà di accettare lunghi periodi di tempo (al posto di 6 giorni di 24 ore e qualche migliaio di anni) sta nel fatto che, per farlo, dovrei alterare il significato delle parole della Scrittura ed introdurre criteri interpretativi micidiali. Se poi rifletto che lo sto facendo perché spinto da esigenze scientifiche, allora avallo il criterio che la Bibbia ha un'autorità inferiore alla scienza.
È assolutamente inconcepibile pensare ad una creazione che prosegua oltre la nascita di Adamo ed Eva: Dio finì di creare e vide che tutto era molto buono; da questo deriva che il male non viene da Lui. Le alternative sono essenzialmente due (evoluzionismo per mutazioni cieche, o creazionismo letteralista) perché ciascuna ha una sua logica interna che ne fa un sistema coerente. Il concordismo è una mescolanza di criteri contrapposti che tenta invano di salvare capre e cavoli, sciupando tutte e due.
Concludo proponendo una modifica ad una tua frase riassuntiva. Dici che il messaggio biblico "è spiritualmente chiaro e tecnicamente da reinterpretare ogni giorno alla luce di ciò che il Signore ci permette di capire". Potrei accettarla così modificata: "Ci è spiritualmente chiaro, tecnicamente chiaro solo su alcune questioni basilari e da reinterpretare ogni giorno alla luce di ciò che il Signore ci permette di capire.

Le tue osservazioni non sono state superficiali e sono, come dici, il frutto di un travaglio di una coscienza che non si è adagiata in facili soluzioni; il confrontarmi con esse è stato piacevole, utile e costruttivo.

Fernando De Angelis
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:52
CAP. 2
IL CONFRONTO CREAZIONISMO/CONCORDISMO
VISTO DA UN MARXISTA

L’emergere di insospettate convergenze
nel dialogo col prof. Giandomenico Briganti


1. CIÒ CHE SI FA È PIÙ INDICATIVO DI CIÒ IN CUI SI CREDE

Fernando De Angelis (D.). Col prof. Briganti, che ha insegnato filosofia nei Licei, ci conosciamo da lunga data e abbiamo sviluppato un dialogo su temi culturali vari, fra i quali la questione evoluzione/creazione. La prima domanda che desideriamo porre riguarda la sua collocazione culturale, il suo punto di vista generale nell’affrontare i problemi.

Giandomenico Briganti (B.) La risposta è difficile. Oggi è di moda proclamarsi aderenti all'una od all'altra delle numerosissime correnti filosofiche, ma a me sembra più giusto dire piuttosto che tipo di lotta si fa.

D. E qual è questa lotta?

B. La lotta nella quale mi sento impegnato è una lotta che, in termini generali, chiamerei di liberazione sociale e, specificatamente per l'oggi, di lotta anticapitalista.

D. Come punto di partenza, allora, c'è il marxismo?

B. Certamente, purché non si intenda per marxismo una delle etichette che più si conoscono. Oggi si parla di "marxismi" e c'è molta confusione sull'argomento. Sono nate anche delle "chiese marxiste", come lo è stata quella di Mosca, verso la quale mi sono sentito molto critico.

D. Marxista "eretico", dunque. B. In qualche modo, ma ripeto che c'è molta confusione. Gorbaciov, per esempio, ha definito il suo socialismo come una continuazione dell'opera di Cristo, una riproposta dei valori eterni di uguaglianza e di libertà. Discorso accattivante, ma in sostanza in che consiste? Ecco perché preferisco definirmi in concreto, piuttosto che in astratto. D'altronde nella Bibbia trovo che Dio si definisce come colui che ha liberato il popolo d'Israele dalla schiavitù d'Egitto; non si definisce in astratto, ma in concreto.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:53
2. QUESTIONI DI INTERESSE GENERALE NEL DIBATTITO CREAZIONE/EVOLUZIONE

D. Confesso che ho avuto una certa difficoltà a farti leggere il confronto fra me e Favareto sul creazionismo, perché mi sembrava qualcosa di interno ai credenti. Sono rimasto perciò sorpreso nel constatare una tua sensibile attenzione per le questioni poste. Puoi riassumerci quali elementi del dibattito, secondo te, possono essere di stimolo, curiosità, o interesse, per un “non praticante”?

B. Io ci ho trovato un dibattito aperto e sincero su temi molto impegnativi per qualsiasi ambiente: culturale, religioso o politico che sia. Ho notato che il modo di affrontare il problema non è fatto tanto di schermaglie generiche e ammiccanti, ma di molta sincerità nel dire: "Questo ho detto io e quest'altro hai detto tu". Mi ha interessato anche sul piano dell'approccio in qualche modo psicologico.
Da un punto di vista oggettivo il problema è ancora più interessante. La polemica sul testo, per esempio, è dibattuta in campo letterario; si discute se il testo debba essere letto in un modo o nell'altro, se debba essere visto letteralmente oppure in un'ottica di impianto generale e di impostazione storica: questioni, insomma, che riguardano tutti. Noto, però, che questi argomenti pochi gruppi (e spesso molto piccoli) hanno il coraggio di affrontarli direttamente; nelle grandi organizzazioni, in generale questi sono temi per "addetti ai lavori", o che non interessano nessuno! Le grandi "chiese" hanno da fare altre cose, sono molto occupate da problemi amministrativi, da interessi pratici e così via.
Entrando nello specifico, comunque, la contrapposizione fra letteralismo e concordismo è sì tipica e propria del contesto protestante, però quegli schemi possono essere benissimo applicati, oltre che alla Bibbia, anche ad un qualsiasi altro testo: per esempio, ad un programma politico. In questo, che è il mio caso, potrei dire che la contrapposizione diviene quella fra gli aderenti al programma e gli opportunisti, i quali ultimi accettano i principi ed il programma, ma poi valutano che le circostanze sono cambiate e propongono un adattamento elastico.
Sui grandi temi, il concordista è disposto a trovare piccoli accomodamenti, che non urtino un ambito scientifico, o psicologico od altro; invece il letteralista (con tutti i rischi che corre) se ne sta ancorato al testo. Dove il testo non è chiaro, ammesso che non sia chiaro, si pone il problema, ma dove è chiaro non si capisce perchè si debba discutere. Egli si attiene così ad un criterio che, nella mia ottica, è valido in sé, indipendentemente dalle conseguenze di fede, o di logica, o d'altro.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:54
3. L'ADESIONE ALLO "SPIRITO" NON SCAVALCA LA "LETTERA"

D. Se qualcuno vuole reinterpretare, dovrebbe piuttosto riscrivere qualcosa di diverso e non appoggiarsi ad una precedente formulazione, quando in sostanza la vuol cambiare.

B. Nel campo cattolico, per esempio, si fanno encicliche e documenti vari che citano la Bibbia, ma poi fanno un adattamento alle circostanze del momento che gli consente di eludere il testo. Tanto varrebbe mettere da parte la Bibbia, dandola per nota, ed andare oltre. Se il testo è una bussola, deve dare sempre la stessa indicazione.
Credo si sia capito che io mi sento vicino ad una posizione di tipo letteralista, ma ciò non significa che l'adesione alla lettera contrasti con l'adesione allo spirito. I due tipi di adesione devono coesistere.

D. D'altronde, se non si è fedeli alla lettera, a quale spirito si è fedeli? E' proprio l'adesione stretta al testo, quella che consente meglio di coglierne lo spirito. La fedeltà al solo spirito del testo, a volte diviene una fedeltà alle proprie convinzioni, al proprio spirito, che ci si è sforzati di vedere anche dove non c'è.

B. Il dibattito attuale degli "addetti ai lavori" nel campo dell'interpretazione testuale, per esempio, è giunto "scientificamente" a riconoscere che un autore si studia sul testo, senza fargli dire ciò che piace a noi, magari attraverso particolari aneddoti. Ciò che tu dici, perciò, non è una forzatura, ma un esito della critica più avveduta. e non è un tema estraneo al dibattito scientifico moderno. Nel tuo dialogo con Favareto ho notato che il richiamo alla scienza e al dibattito sui suoi fondamenti (epistemologia) è continuo e puntuale, e devo dire che lo condivido ampiamente.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:55
4. MARXISMO ED EVOLUZIONISMO

D. Ti ringrazio e passo ad un altro argomento, chiedendoti quale relazione c'è stata fra evoluzionismo e marxismo e che effetti ha prodotto questo intreccio di rapporti.

B. E' un problema molto vasto e non è facile riassumerlo, anche perchè esistono grossi equivoci, il più grande dei quali è rappresentato dalla convinzione che il marxismo abbia aderito totalmente all'evoluzionismo.
E' vero che Marx voleva dedicare un libro del Capitale a Darwin ma, come prima cosa, il rifiuto che ne ebbe non lo turbò molto. Più significativa è questa citazione di Engels ("Dialettica della natura". Introduzione): "Darwin non sapeva quale amara satira scrivesse sugli uomini, ed in particolare sui suoi compatrioti, quando dimostrava che la libera concorrenza, la lotta per l'esistenza, che gli economisti esaltano come il più alto prodotto storico, sono lo stato normale del REGNO ANIMALE. Solo un'organizzazione cosciente della produzione sociale, nella quale si produce e si ripartisce secondo un piano, può sollevare gli uomini al di sopra del restante mondo animale ... L'evoluzione storica rende ogni giorno più indispensabile, ma anche ogni giorno più realizzabile, una tale organizzazione. Essa segnerà la data iniziale di una nuova epoca". Questa citazione dimostra che, seppur ci fu un appoggio del marxismo all'evoluzionismo, non mancò una cosciente presa di distanza.
Naturalmente l'opera di Darwin fece epoca e ruppe gli schemi fissisti, dando spazio alla possibilità di cambiamento, e ciò venne visto con favore da Marx.

D. L'adesione di Marx al darwinismo, cioè, fu dovuta alla sua valenza anticlericale?

B. La necessità dell'anticlericalismo è bene espressa in un'altra citazione (da "Socialismo e Religione", di Lenin): "Le classi dominanti, in fondo, chiedono alla religione solo la difesa dei loro interessi terreni e spingono gli uomini a combattersi tra di loro su quel che li attende nell'altra vita, per poter continuare tranquillamente a sfruttarli in questa", da notare che Lenin accusa la religione, non la fede.
Quando nella Bibbia si parla di liberazione, non si parla solo di liberazione dal peccato, ma anche di liberazione materiale, mentre quando la religione è presa in mano dalle classi dominanti, tende a concentrarsi sulla liberazione dal peccato, vista come cuore del problema, evidenziando così influenze dal mondo greco. La Bibbia non conosce questa separazione anzi, operare questa separazione a mio parere è diabolico: non a caso "Diavolo" significa etimologicamente "il separatore".
Questa situazione di uso della religione a fini di conservazione è tipica dell'Ottocento, ma il marxismo non fa di ogni erba un fascio e, per esempio, individua in Lutero un uomo che in qualche modo ha aperto una via di progresso.

D. Mi è rimasta impressa questa frase attribuita a Marx: "Lutero è l'uomo col quale comincia la rivoluzione". Non c'è confronto fra il clero protestante (ma di clero non si dovrebbe parlare) e quello della Russia ortodossa degli zar. Quest'ultimo era molto coinvolto nella giustificazione di una società oppressiva e Lenin, per cercare di sbarazzarsene, prende in tutta fretta in mano l'arma dell'evoluzionismo darwiniano, anche se è un'arma un po' impropria ed a doppio taglio.

B. Sostanzialmente concordo.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:56
5. NON CESSARE DI DISCUTERE

D. Ricordo alcune tue considerazioni che facevano vedere come le correnti marxiste opportuniste, cioè quelle disposte al compromesso, sono state quelle che hanno più sottolineato il legame con l'evoluzionismo.

B. Si tratta di una questione abbastanza nota ed evidente. Queste correnti, però, non si preoccupano più di discutere di questi temi, considerandoli come facenti parte del dibattito generale della scienza. Chi oggi pretendesse di parlare della "Dialettica della natura", argomento come visto sopra affrontato da Engels, verrebbe considerato in tali ambienti come un mezzo pazzo, che ha voglia di parlare di argomenti troppo vasti e che, con la politica, non c'entrano niente.
I movimenti storici che hanno segnato un'epoca, invece, nel loro sorgere non si tirano indietro nei confronti di qualsiasi argomento, non c'è soggetto che non li riguardi e noto che voi protestanti non vi tirate indietro nei confronti dei temi generali, con la scusa che ci sono temi urgenti che ci interessano e ci coinvolgono di più.

D. Il movimento protestante evangelico, evidentemente, è anche un movimento di uomini, i quali, insieme ai lati positivi, conservano più o meno certe debolezze. Alcuni, per esempio, a causa di precedenti esperienze di contrasti e di liti, evitano di discutere non solo di profezie (notoriamente argomento principe di divisione) ma anche di teologia in genere. Credo che in questi casi, insieme con il riaprire un dibattito, bisogna anche mostrare un modo di farlo che sia costruttivo e utile alla collettività.
In generale, chi proviene dall'esterno è molto più portato a discutere, mentre il figlio di genitori credenti tende a privilegiare l'impegno fattivo.

B. Anche in altri ambienti avviene qualcosa di molto simile.
Roberto Carson
00mercoledì 10 marzo 2010 17:57
6. L'IMPORTANZA DI CREDERE IN UN'ARMONIA ORIGINARIA

D. Credere nella perfezione e nell'armonia originaria, che importanza ha, secondo te, per la cultura di oggi?

B. Credo che abbia un'importanza capitale. Il credere in una perfezione, o in un'armonia originaria, convince e obbliga a non arrendersi di fronte ai limiti della situazione esistente, spronando a ricercare ciò che si è perduto. Se c'era nel passato, può e deve esserci nel futuro.
Chi invece non si interessa delle origini, o non crede in un'armonia presente nel passato, diviene rinunciatario, adattandosi alla degradazione attuale.

D. Un sentito grazie all'amico Giandomenico che ci ha messo a sua disposizione la sua notevole preparazione culturale, dandoci così un punto di vista esterno. Ci ha fatto anche molto piacere aver potuto discutere sulla base di una fratellanza umana che ha potuto manifestarsi anche in presenza di una consapevole diversità sul piano religioso, dimostrando come sia possibile, in certi ambiti e fino ad un certo punto, trovare un linguaggio comune che riduca al minimo le incomprensioni.
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