Sono stato contattato per e-mail dal Sig. Giancarlo Apostoli, il quale, a seguito della lettura di alcuni argomenti sviluppati in questo forum, ha deciso di farmi pervenire alcune sue considerazioni in merito all'esegesi di Giovanni 1:1.
Riporto di seguito.
G.le Roberto,
si, la volevo contattare in merito al forum "Testimoni di Geova: Storia, Sociologia, Teologia" e in particolare alla traduzione più corretta, o che meglio esprime il pensiero dell'evangelista, di Gv 1,1. Mi sono inbattuto in una sua discussione con Barnabino e ho pensato di mandarle del mio materiale. Ad ogni modo la versione NM del 1967, come ritiene anche lei, è molto più chiara dell'attuale e rende bene il senso di ciò che voleva dire Giovanni.
Le mando virgolettate alcune mie considerazioni e un link dove ho trovato un intressante, chiaro ed esaustivo (a parer mio) commento a riguardo
«Nel nostro versetto Giovanni mette in rapporto due entità, due realtà ben distinte; Ð lÒgoj (il verbo) e tÕn qeÒn (il dio [1]). Ð lÒgoj , reso con verbo o parola (NM e altre) si riferisce a Gesù Cristo, mentre tÕn qeÒn lo si dice di Dio, Yahvè, il Padre di Gesù. Si noti anche che, mentre ambedue (dio e verbo) sono accompagnati dall’articolo, il secondo qeÕj invece non presenta articoli; questo non è un semplice dettaglio, ma è fondamentale per capire e comprendere il loro reciproco rapporto. Ecco cosa dice il Nolli circa l’articolo.
«L’articolo. Il suo uso è normale; perciò la sua presenza o assenza (a seconda si tratti di sostantivi concreti o astratti) aggiunge quelle sfumature che già sono proprie della lingua classica. Si tenga quindi presente che la sua presenza serve a rendere la cosa nota, determinata, isolata dalle altre in quanto singolo individuo. Al contrario la sua omissione o mancanza indica che la cosa viene riguardata non nella sua individualità, ma nella sua qualità e natura» [2]
Come appena accennato, in Gv 1,1 il termine qeÒn è richiamato due volte: la prima con l’articolo tÕn , mentre la seconda senza.
Il contesto
Felice scrive: «Nel versetto 1 si legge che la Parola era “in principio”, senza però specificare quale principio, cosicché questo lascia spazio al fatto che la Parola ebbe un inizio o che non c’era prima del principio”. [3] A ben vedere questo non è esatto anzi, è proprio tutto il contrario, vediamo:
1) 'En ¢rcÍ Ãn Ð lÒgoj : la formula in principio, che riprende le prime parole della Genesi, non riguarda l’inizio del tempo del mondo ma il principio assoluto, e con ciò viene affermata l’anteriorità del lÒgoj alla creazione. Non è superfluo ricordare che di per se è impreciso sostituire logos con Verbo o con Parola, perché nessuno dei due termini italiani rende il senso completo del greco logos, che, si sa, è “pensiero interiore manifestato”. Gesù è, infatti, – questo vuol dire Giovanni – il “concetto” che si forma nel Padre mentre contempla se stesso (i greci dicevano “interiore o proferito”); “generato” (per modum intellectus dice la nostra teologia), ricevendo l’esistenza – eterna come quella del Padre, e della stessa natura –, venendo preso dal Padre come modello nel creare (“tutte le cose vennero all’esistenza attraverso lui”); non semplicemente “per mezzo” ma modellate su di lui.
Dicendo “In principio erala Parola”, nessuno può capire che quell’era non è copula (manca infatti il predicato nominale), ma è predicato verbale, cioè “esisteva”; ed è questo che interessa e ci dice Giovanni: in quel principio di tutte le cose che cominciarono ad esistere per l’atto creatore di Dio, il logos “esisteva già”. E’ dunque preferibile dire: In principio, il logos già era.
Secondo la mens greca, il termine logos, non significa solo parola, ma fondamentalmente è la manifestazione di un’idea, la rivelazione di qualcosa. Logos, perciò significa anche pensiero, è la parola in quanto manifesta il pensiero. Ecco perché logos non è il portavoce di Dio, ma la Parola stessa di Dio, è Parola-Pensiero del Padre e viene generato da Lui, come il pensiero è generato dalla mente. Si tratta di una generazione spirituale di ordine intellettuale, concetto che i TdG non possono assolutamente capire, perché legato a una concezione puramente spirituale di Dio, loro che al contrario individuano Dio in modo primitivo e materialistico (“corpo spirituale con sensi di vista, udito… ecc”.). Ecco perché Gesù non può essere, come dicono i TdG, la prima creatura creata direttamente da Dio.
Dicendo il logos già era, si sottolinea che già non è un’aggiunta, è un elemento indispensabile a rendere – questo è tradurre – in altra lingua il pensiero di un autore. Come parafrasi ottima quella della New English Bible (NEB) “When all things began, the Word already was” (Quando tutte le cose incominciarono, la Parola già c’era), citata anche da Felice. [4]
2) Ð lÒgoj Ãn prÕj tÕn qeÒn : il lÒgoj era presso Dio e come tale è un essere distino da Dio stesso; qui nulla da dire: è la distinzione del Dio Verbo dal Dio Padre (è ciò che la teologia ecclesiale esprime con «persona». La distinzione «delle persone» non intacca l’unità di natura, di essere (vedi punto 3).
L’articolo tÕn davanti a qeÒn indica che non si tratta della divinità in genere, ma del Dio specifico degli Ebrei, Jahvè, Dio il Padre di Gesù. Il nome è visto nella sua individualità. Alla fine però si nota come qeÕj sia senza articolo:
3) kaˆ qeÕj Ãn Ð lÒgoj : g rammatica vuole che qeÕj (dio) sia predicato nominale di Ð lÒgoj , e perciò non indica il tÕn qeÒn in senso individuale (Jahvè, Dio il Padre), ma mette in risalto la natura e la qualità di Ð lÒgoj ; esprime la sua partecipazione alla natura divina e indica che lÒgoj possiede la natura divina pur non essendo il solo ad averla. [5] E’ l’appartenenza del Verbo alla vera divinità (è ciò che la teologia esprime con «natura»).
Cosa significa per Ð lÒgoj partecipare o possedere la natura divina? Vuol dire semplicemente essere Dio come tÕn qeÒn , pur essendo distinto da lui, come viene detto: Ð lÒgoj Ãn prÕj tÕn qeÒn ( il verbo era presso dio).
Scrive Felice: «Dato che il verbo era presso “il dio”, non poteva essere al tempo stesso “il dio” con il quale era: la logica stessa implica che una persona che è “con” un'altra sia anche un individuo diverso» [6]
Certo, ma è proprio qui il punto che Felice e i TdG non capiscono (vedi il punto 2): per analogia, il fatto che una persona (Pino) sia presso un’altra (Daniele), indica la presenza di due persone, due individui distinti: è logico che Pino non può essere allo stesso tempo Daniele e viceversa, ma entrambi sono accomunati dalla medesima natura umana (cioè sia Pino che Daniele sono uomini), come Ð lÒgoj e tÕn qeÒn , che pur essendo due esseri distinti sono della stessa natura divina (dio). Sono i concetti di natura e di persona che mancano; qui Giovanni con la grammatica veicola anche un insegnamento di fede: persone diverse medesima natura.
Quella quarantina di opere a cui accennavo prima sottolineano sostanzialmente proprio questo: nella distinzione delle persone, dei soggetti, si ha l’unità di natura, di essere.»
Ecco il link
www.scribd.com/doc/7438495/
[1] Per la lingua greca come anche per i codici del NT a noi pervenuti, non ci sono differenze tra minuscolo e maiuscolo; ciò invece può valere per la lingua italiana. Non ci deve quindi ingannare la traduzione “dio” con la minuscola quasi fosse di minore importanza.
[2] Gianfranco Nolli, Evangelo secondo Giovanni, Libreria Editrice Vaticana, 1986, XII
[3] La traduzione del Nuovo Mondo…, 255
[4] Cfr. G. Delling, in GLNT, I, 1280-1281 «colui che esiste fin da prima del tempo»; vedi anche Gino Bressan F.D.P., FRAGMENTA NE PEREANT, minuzie di filologia biblica, Roma 1995
[5] Nolli, Evangelo secondo…, 1
[6] La traduzione del Nuovo Mondo…, 255