L'esperto risponde: Giovanni 8:58

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Walter.Simoni
00domenica 31 maggio 2009 16:42
domanda:
Sono cattolico praticante. Nella mia Bibbia (versione CEI) leggo in Gv 8,58: "Rispose loro Gesù: 'In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono.'"
Nella sua traduzione, un testimone di Geova mi ha fatto leggere che al posto della forma verbale al presente (io sono), vi è la forma passata (io ero).
Dal momento che al di là della forma verbale, ci sia un chiaro riferimento a Es 3,15, perchè voi testimoni avete cambiato il senso proprio di "ego eimi" (Io Sono)? Non c'è un subdolo tentativo di voler demolire una verità pronunciata da Gesù, secondo la quale Padre e Figlio sono la stessa cosa, un solo Dio = Io Sono Colui che sono?


T.Pablo
________




biblista
00martedì 2 giugno 2009 16:03
Mentre la forma verbale corrispondente al greco “ego eimi”, nella nostra grammatica indica il tempo presente, ciò che “io sono” adesso/ora, nella grammatica greca, pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato.

Per questo motivo, la traduzione “ego eimi” nella forma passata “io ero” o “ io sono stato”, è tanto letterale quanto lo è la forma verbale al presente “io sono”. Ciò che determinerà la traduzione nel tempo più appropriato, è il contesto in cui viene usato “ego eimi”.

Quando la versione della CEI, traduce “ego eimi” con “Io Sono”, usando caratteri maiuscoli, inevitabilmente influenza il lettore verso un’interpretazione teologica.
Il versetto in questione, mette in relazione il tempo del verbo greco che traduce ‘io sono’, con l’avverbio greco “prin”, (it. prima), indicante anteriorità nel tempo. Il fatto che il tempo della forma verbale “ego eimi” sia al presente, ma in un contesto in cui vi è l’avverbio al passato, ciò indurrà il lettore a determinare la traduzione, nella forma verbale più idonea. Dire, perciò: “Prima che Abramo fosse, io sono”, nel contesto del ragionamento di Gesù, sarà come dire: “Prima che Abramo fosse, io ero”, oppure: “Prima che Abramo fosse, io sono stato”.

Quando Gesù, in Giovanni 8:58, usa la forma verbale “ego eimi”, quella non è la prima volta, poiché già molte altre volte aveva usato queste parole. In Giovanni, al capitolo 6, troviamo “ego eimi” ai versetti 35 e 48, quando Gesù dice: “Io sono il pane della vita”; anche al capitolo 10, ai versetti 7 e 9, dice: “Io sono la porta”; e ai versetti 11 e 14, usa “ego eimi”, quando dice: “Io sono il buon pastore”.
L’uso di questa forma verbale non era prerogativa esclusiva di Gesù, poiché era un termine usato comunemente. Lo troviamo, ad esempio, in Luca 1:19, dove si legge: “L’angelo gli rispose: ‘Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annunzio’”; lo troviamo anche in Giovanni 9:9, quando, parlando dell’uomo nato cieco e poi guarito, dice: ‘Alcuni dicevano: “E’ lui”; altri dicevano: “No, ma gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”’. Anche l’apostolo Pietro usò “ego eimi”, quando disse le parole che leggiamo in Atti 10:21 : “Eccomi, sono io quello che cercate”.

Nelle occasioni in cui Gesù usò il termine “ego eimi”, mai nessuno di fra i Giudei si fece avanti per ucciderlo, ma si limitarono a esprimere giudizi, a polemizzare per le sue parole, considerandolo un ciarlatano, infatti, quando Gesù parlò di sé come della ‘luce del mondo’ e guida per la vita eterna, gli dissero: “Tu dai testimonianza di te stesso: la tua testimonianza non è vera”. (Gv 8: 12-13)
Allo stesso modo, quando Gesù disse: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”(Gv 6:51), i Giudei non discussero tra di loro per il fatto che Gesù applicava a sé la forma “ego eimi”, ma l’oggetto della polemica erano le sue parole successive, il fatto che egli sostenesse di essere il pane che dà vita eterna, tanto che la scrittura, continuando, dice: “Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’”. (Gv 6:52) La questione non riguardava l’“ego eimi” pronunciato da Gesù, ma il fatto che i Giudei non avevano ancora capito chi fosse egli realmente. I Giudei conoscevano Gesù come figlio di Giuseppe e di Maria, di conseguenza, non capivano come potesse mai, un uomo nato di donna, sostenere d’essere venuto dai luoghi celesti, tanto che si chiesero: “Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?”.(Gv 6:42)
Ciò che fece scatenare l’ira incontrollata di alcuni tra i farisei, fu, senza dubbio, la risposta che Gesù diede loro, quando asserirono che “la sua testimonianza non è vera”. Per rispondere ai Giudei, Gesù fece appello alla Legge, che prevedeva la testimonianza di due persone, (Gv 8:17-18) e presentò la sua propria testimonianza, insieme a quella del Padre. Ma come avrebbero potuto accettare la testimonianza del Padre, che non avevano visto – infatti gli chiesero: “Dov’è tuo Padre?” (Gv 8:19) – se restavano ciechi davanti alla testimonianza di Gesù stesso, il quale aveva mostrato in molti modi, con le sue stesse azioni, d’essere il promesso Messia?

Quando, ad un certo punto, alcuni Giudei, menzionarono Abramo come loro antenato, vantando così la loro libertà dalla schiavitù, Gesù trovò in Abramo un argomento di conversazione in comune con i Giudei, e di forte legame emotivo per loro, così, rivolgendosi a questi, disse: “‘So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!’ Gli risposero: ‘Il nostro padre è Abramo’. Rispose Gesù: ‘Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro’. Gli risposero: ‘Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!’”. (Gv 8:37-41)

Le parole di Gesù furono molto forti, e replicò dicendo: “Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro”. (Gv 8:43-44) I Giudei vantavano Dio come loro Padre (v.41) e Abramo come loro fondamento genealogico, (v.33) ma Gesù fu molto esplicito nel dire loro che né Dio né Abramo avrebbero mai voluto l’uccisione di Cristo. Così li definì figli del diavolo. Risentiti per queste parole, i Giudei gli risposero: “Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: ‘Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte’. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi d’essere?”. (Gv 8:52-53)

Ecco, il nocciolo della questione: “Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto?... chi pretendi d’essere?” La questione non verteva, dunque, sull’eventuale identificazione di Cristo con YHWH, quindi, su un qualche collegamento di Giovanni 8:58 con Esodo 3:14.
Il problema che scatenò nei Giudei la follia omicida, non aveva alcuna relazione con l’espressione “ego eimi”. L’intero ragionamento, come si evince chiaramente da tutto il contesto, non riguardava l’identità di Gesù, ma il tempo trascorso dalla sua esisteva: se prima o dopo di Abramo. La domanda dei Giudei aveva relazione col tempo, con l’età di Gesù, infatti gli chiesero: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?”.
Da questo possiamo comprendere, dunque, che l’episodio in cui Gesù si espresse con le parole greche “ego eimi”, non aveva alcun legame con il nome di Dio o con l’identificazione di Gesù con Geova! Inoltre,la questione intorno all’“ego eimi” di Giovanni 8:58, non dev'essere compresa secondo una chiave di lettura teologica, ma sulla base del contesto in cui Gesù esprisse quelle parole.

Shalom

biblista



CieloSegreto
00domenica 28 febbraio 2010 17:37
“Non c'è un subdolo tentativo di voler demolire una verità pronunciata da Gesù, secondo la quale Padre e Figlio sono la stessa cosa, un solo Dio = Io Sono Colui che sono?”   Non posso commentare, ovviamente, a nome del traduttore che sceglie di tradurre con “io ero” il greco γ εμ (egò eimì), “io sono”, di Gv 8:58. Ma posso fare un’osservazione in merito al presunto abbinamento con Es 3:14 che dice: “Io sono colui che sono”. L’ebraico ha qui אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (eheyèh ashèr eheyèh), resa dalla LXX greca con γ εμι ν (egò eimì o on), “io sono colui che è (l’essente)”. Si tratta di una costruzione del tutto diversa da quella giovannea, per cui non è possibile un’identificazione. La costruzione identica a quella giovannea la troviamo in Es 6:2, dove l’ebraico ha אֲנִי יְהוָה (anì yhvh), “Io sono yhvh”; il verbo “sono” in ebraico non si usa, viene sottinteso; il greco della LXX ha  γ κριος (egò kǜrios), “io [sono] Signore”, senza “sono”, probabilmente per mantenersi fedeli all’ebraico. Tuttavia, in Es 3:6, il greco ha γ εμ (egò eimì), “io sono”, a fronte dell’ebraico אָנֹכִי אֱלֹהֵי אָבִיךָ  (anòchy elohè avìycha), “io sono Dio di tuo padre”; la forma anòchy (“io”, “io sono”) si usa al posto di anì (“io”) nelle proposizioni nominali e in quelle verbali per enfatizzare; il verbo “sono” è sempre sottinteso.      Sono in disaccordo con biblista e con le sue dichiarazioni. La lingua greca è una lingua molto precisa. L’espressione γ εμ (egò eimì) è assolutamente al presente. Non è vero che “pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato” (biblista). Il presente può indicare un’azione che perdura ancora dal passato al tempo presente, questo sì, ma mai indicare il tempo passato.     La parolina πρν (prin), “prima”, può essere avverbio, preposizione o congiunzione. Compare nella Bibbia 13 volte (Mt 1:18;26:34,75; Mr 14:30,72; Lc 2:26;22:61; Gv 4:49;8:58;14:29; At 2:20;7:2;20:16). La volta in cui la costruzione è più somigliante al nostro caso è sempre in Gv, in 14:19 che dice: “Ora ve l’ho detto prima che avvenga” (TNM). Qui il tempo del verbo è al passato: ερηκα (èireka), “ho detto”. È quindi specioso affermare, come fa biblista, che il prin influisca su un tempo presente per intenderlo al passato.   Ora, il contesto del passo giovanneo vede una discussione tra Yeshùa e i giudei in cui Yeshùa dice loro: “Abraamo, vostro padre, ha gioito nell'attesa di vedere il mio giorno” (v. 56). I giudei, stravolgendo le sue parole, ribattono: “Tu non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abraamo?” (v. 57). È a questo punto che Yeshùa afferma la frase che stiamo considerando in Gv 8:58. La frase completa è πρν βραμ γενσθαι γ εμ (prin Abraàm ghenèsthai egò eimì). Il verbo γενσθαι (ghenèsthai) è la forma media dell’aoristo infinito del verbo γνομαι (ghìnomai) che significa “sorgere, apparire (nella storia)”. Abraamo non vide ‘il giorno’ di Yeshùa, ma gioì nella sua attesa; Yeshùa non vide Abraamo (obiezione dei giudei). Yeshùa non nega che non ha visto Abraamo, ma spiega cosa intendeva: Prima che Abraamo apparisse nella storia, lui è, è già presente nella storia umana: Dio lo aveva in mente, era nel suo progetto.  
bruciolis
00domenica 28 febbraio 2010 18:15
Re:
CieloSegreto:

Non è vero che “pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato” (biblista). Il presente può indicare un’azione che perdura ancora dal passato al tempo presente, questo sì, ma mai indicare il tempo passato.



Alcune volte il Presente include anche un tempo passato (Mdv. 108), come quando il verbo esprime uno stato iniziato in precedenza ma che continua ancora, uno stato nella sua durata; come Gv. xv. 27 [ap' archès met' emoù estè], viii. 58 [prin Abraàm genèsthai egò eimi]". - A Grammar of the Idiom of the New Testament, di G. B. Winer, VII ed., Andover. 1897. P. 267.

a parte questo, da tutto il post non s'è ben capito se la TNM abbia tradotto correttamente o no.


F.Delemme
00domenica 28 febbraio 2010 18:32
Re:
CieloSegreto, 28/02/2010 17.37:

“Non c'è un subdolo tentativo di voler demolire una verità pronunciata da Gesù, secondo la quale Padre e Figlio sono la stessa cosa, un solo Dio = Io Sono Colui che sono?”   Non posso commentare, ovviamente, a nome del traduttore che sceglie di tradurre con “io ero” il greco γ εμί (egò eimì), “io sono”, di Gv 8:58. Ma posso fare un’osservazione in merito al presunto abbinamento con Es 3:14 che dice: “Io sono colui che sono”. L’ebraico ha qui אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (eheyèh ashèr eheyèh), resa dalla LXX greca con γώ εμι ν (egò eimì o on), “io sono colui che è (l’essente)”. Si tratta di una costruzione del tutto diversa da quella giovannea, per cui non è possibile un’identificazione. La costruzione identica a quella giovannea la troviamo in Es 6:2, dove l’ebraico ha אֲנִי יְהוָה (anì yhvh), “Io sono yhvh”; il verbo “sono” in ebraico non si usa, viene sottinteso; il greco della LXX ha  γ κύριος (egò kǜrios), “io [sono] Signore”, senza “sono”, probabilmente per mantenersi fedeli all’ebraico. Tuttavia, in Es 3:6, il greco ha γ εμί (egò eimì), “io sono”, a fronte dell’ebraico אָנֹכִי אֱלֹהֵי אָבִיךָ  (anòchy elohè avìycha), “io sono Dio di tuo padre”; la forma anòchy (“io”, “io sono”) si usa al posto di anì (“io”) nelle proposizioni nominali e in quelle verbali per enfatizzare; il verbo “sono” è sempre sottinteso.      Sono in disaccordo con biblista e con le sue dichiarazioni. La lingua greca è una lingua molto precisa. L’espressione γ εμί (egò eimì) è assolutamente al presente. Non è vero che “pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato” (biblista). Il presente può indicare un’azione che perdura ancora dal passato al tempo presente, questo sì, ma mai indicare il tempo passato.     La parolina πρίν (prin), “prima”, può essere avverbio, preposizione o congiunzione. Compare nella Bibbia 13 volte (Mt 1:18;26:34,75; Mr 14:30,72; Lc 2:26;22:61; Gv 4:49;8:58;14:29; At 2:20;7:2;20:16). La volta in cui la costruzione è più somigliante al nostro caso è sempre in Gv, in 14:19 che dice: “Ora ve l’ho detto prima che avvenga” (TNM). Qui il tempo del verbo è al passato: ερηκα (èireka), “ho detto”. È quindi specioso affermare, come fa biblista, che il prin influisca su un tempo presente per intenderlo al passato.   Ora, il contesto del passo giovanneo vede una discussione tra Yeshùa e i giudei in cui Yeshùa dice loro: “Abraamo, vostro padre, ha gioito nell'attesa di vedere il mio giorno” (v. 56). I giudei, stravolgendo le sue parole, ribattono: “Tu non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abraamo?” (v. 57). È a questo punto che Yeshùa afferma la frase che stiamo considerando in Gv 8:58. La frase completa è πρν βραμ γενέσθαι γ εμί (prin Abraàm ghenèsthai egò eimì). Il verbo γενέσθαι (ghenèsthai) è la forma media dell’aoristo infinito del verbo γίνομαι (ghìnomai) che significa “sorgere, apparire (nella storia)”. Abraamo non vide ‘il giorno’ di Yeshùa, ma gioì nella sua attesa; Yeshùa non vide Abraamo (obiezione dei giudei). Yeshùa non nega che non ha visto Abraamo, ma spiega cosa intendeva: Prima che Abraamo apparisse nella storia, lui è, è già presente nella storia umana: Dio lo aveva in mente, era nel suo progetto.  






Questo versetto è stato esaminato e commentato migliaia di volte.
E per migliaia di volte si sono dette sempre le stesse cose.

In questa pagina è presentato uno studio esegetico che ritengo pregevole ed esaustivo:

www.testimonidigeova.net/Giovanni%20858.htm
CieloSegreto
00domenica 28 febbraio 2010 18:42
Buciolis, non intendo davvero iniziare con te una nuova estenuante discussione. Però, per favore, applica bene quello che citi. Soprattutto leggilo bene: “Alcune volte il Presente include anche un tempo passato (Mdv. 108), come quando il verbo esprime uno stato iniziato in precedenza ma che continua ancora, uno stato nella sua durata” (G. B. Winer, A Grammar of the Idiom of the New Testament, VII edizione, Andover, 1897, pag. 267).    Qui non dice affatto che il tempo presente possa essere tradotto al passato, ma che “alcune volte il Presente include anche un tempo passato”. Esempio: Io sono contento (solo al presente); io sono contento sin da quando arrivai Gerusalemme (situazione passata che perdura nel presente). È quest’ultimo caso quello cui allude la grammatica. Ma se uso ciò per mettere al passato il verbo al presente, creo incongruenza. Nell’esempio: Io ero contento sin da quando arrivai Gerusalemme. Significherebbe che lo solo stato in passato ma al presente non lo sono. Così in Gv 15:27:   “Voi, a vostra volta, renderete testimonianza, perché siete stati con me da quando cominciai” (TNM). È una pessima traduzione. Il greco non lo ammette. Detta così, significa: Siete stati con me da quando cominciai, e ora? Lasciando intendere che non sono più con lui o che hanno intenzione di non stare più con lui. Il greco ha στ (estè), “siete”. Questo è il classico caso in cui, come dice la grammatica, “il Presente include anche un tempo passato” e “esprime uno stato iniziato in precedenza ma che continua ancora”. Come io avevo scritto nel mio commento: “Il presente può indicare un’azione che perdura ancora dal passato al tempo presente”.
bruciolis
00domenica 28 febbraio 2010 20:08
quindi, secondo te, quella della TNM sarebbe una pessima traduzione.
come tutte le altre che traducono allo stesso modo?



CieloSegreto, 28/02/2010 18.42:

“Voi, a vostra volta, renderete testimonianza, perché siete stati con me da quando cominciai” (TNM). È una pessima traduzione. Il greco non lo ammette. Detta così, significa: Siete stati con me da quando cominciai, e ora? Lasciando intendere che non sono più con lui o che hanno intenzione di non stare più con lui



detta così invece lascia intendere quanto:
siccome siete stati con me dall'inizio del mio ministero (perciò avete accumulata esperienza), quindi (siccome tra breve non ci sarò più, lo dice dopo, perciò non c'è bisogno di scervellarsi ), a quel punto sarete in grado di rendere testimonianza.
sai leggere l'italiano?
barnabino
00domenica 28 febbraio 2010 21:38
Caro T.Pablo,


Nella sua traduzione, un testimone di Geova mi ha fatto leggere che al posto della forma verbale al presente (io sono), vi è la forma passata (io ero).



La traduzione è corretta, in greco il presente non ha un valore durativo, in questo contesto con la determonazione temporale prin indica un'azione iniziata nel passato (prima che Abraamo esistesse) e che continua nel presente.

Il Blass-Debrunner par. 322,3 dice: "Non è propriamente perfettivo il presente nei casi in cui si vuole indicare il perdurare dell'azione o il suo ripetersi fino a tutto il momento presente (il momento del passato viene segnalato in questo caso da una determinazione temporale: Lc 13,7; Io 8,58; 2 Cor 12,19)". Nella grammatica di N. Basile (Sintassi storica del greco antico) a p. 355 si definisce questo genere di presente come praesens pro perfecto, cioè il presente perfettivo, detto anche di persistenza, "in quanto indica una azione iniziata e già compiuta nel passato ma i cui effetti si riflettono e permangono nel presente (= presente resultativo) o uno stato permanente nel presente conseguente ad azione passata (= presente stativo)".

Per esprimere questo aspetto del verbo il presente indicativo italiano non è la forma verbale più adatta, in italiano il concetto è correttamente espresso dall'indicativo imperfetto che descrive un avvenimento in corso ad un dato momento senza alcun riferimento al fatto che debba necessariamente essere concluso conlcuso nel presente. Quella è la forma verbale più vicina al senso del testo greco, che con una parafrasi potremmo rendere: "io ero (e continuo ad essere) da prima che Abraamo esistesse".


Dal momento che al di là della forma verbale, ci sia un chiaro riferimento a Es 3,15



In greco "ego eimi" non riconduce ad alcun riferimento a Esodo 3:15 poiché in quel passo "ego eimi" ha solo funzione di copula di "ho on" ("l'essente") con cui talvolta è indicato YHWH anche nel NT, ma di per sé "ego eimi" non ha alcun riferimento con il nome divino.

Shalom

CieloSegreto
00lunedì 1 marzo 2010 08:15
Provo, personalmente, a tirare le somme.   F. Delemme dice che “questo versetto è stato esaminato e commentato migliaia di volte”. E io mi domando perché mai, allora, sia stato riproposto. Lui aggiunge che “per migliaia di volte si sono dette sempre le stesse cose”. E io mi domando se sia possibile qui dire cose diverse, anzi: penso che sia impossibile farlo, dato che il vincolo religioso non lo permette. Delemme rimanda ad un link in cui si afferma che una simile “domanda poteva essere posta soltanto da chi non ha conoscenze di greco biblico”. E qui insorgo. Viene poi citato il punto 17 della Syntax of the Moods and Tenses in N.T. Greek di E. De Witt Burton, che tradotta recita: “Il presente dell’azione passata ancora in corso. Il presente indicativo accompagnato da un’espressione avverbiale indicante durata e riferito a un tempo passato è talvolta usato in greco e anche in tedesco per descrivere un’azione che, iniziando in un tempo passato, è ancora in corso nel tempo in cui se ne parla. L’idioma inglese richiede in tali casi l’uso del perfetto". E qui sta tutto il nocciolo della questione. Bruciolis non perde occasione di offendere e ripete a pappagallo parole altrui. Barnabino, sapientemente, propone di tradurre: “Ero (e continuo ad essere)”. Mi sembra sulla strada giusta, ma mi domando perché allora non tradurre direttamente con “io continuo a essere”, che rispetterebbe di più il testo greco; oppure, tradurre “io sono” mettendo una nota in calce che spieghi che si tratta di un presente che indica un’azione iniziata nel passato e che perdura (ciò sarebbe del massimo rispetto per il testo greco).    Una cosa mi colpisce: “L’idioma inglese richiede in tali casi l’uso del perfetto” (grammatica già citata). Non sono un esperto d’inglese, per cui prendo per buona questa autorevole dichiarazione. Ma mi domando cosa mai c’entri l’inglese con l’italiano. Perché è di traduzione italiana che stiamo parlando. Capisco allora come TNM possa avere qualche giustificazione a tradurre in inglese (ripeto: in inglese) al tempo perfetto, e così anche tutte le altre versioni citate (inglesi). Ma davvero non possiamo giustificare su questa base la traduzione italiana con l’imperfetto. Tutti, ma proprio tutti, in italiano capiamo che dire “io ero” presuppone che ora non lo sono più. Ciò che le grammatiche dicono (e che viene travisato) è che in greco quel tipo di presente ha un valore indicante un’azione iniziata nel passato e perdurante al presente. Stop. Nessuna grammatica greca al mondo dice che quel presente vada tradotto al passato. Se poi l’inglese lo richieda, ciò non intacca la nostra lingua.   Ora, voler continuare una guerra di parole a colpi di citazioni tolte dal contesto mi pare oltremodo strumentale. Forse qualcuno (o più di qualcuno) ha compreso perfettamente le mie osservazioni, ma mi domando se sia libero di sostenerle. Non credo che il vincolo religioso glielo permetta. D’altra parte, che speranza c’è che l’edizione italiana di TNM venga corretta? Davvero nessuna.   Come ultima riflessione, sempre personale, credo che la traduzione “io ero” sia speciosa tanto quanto quella di “Io Sono” (con le maiuscole) di CEI. Tutte e due tirano l’acqua al proprio mulino. Sarebbe invece così bello lasciare che la Scrittura s’interpreti con la Scrittura, senza ricorrere ad artifici di traduzione.
F.Delemme
00lunedì 1 marzo 2010 09:03
Re:
CieloSegreto, 01/03/2010 8.15:

Provo, personalmente, a tirare le somme.   F. Delemme dice che “questo versetto è stato esaminato e commentato migliaia di volte”. E io mi domando perché mai, allora, sia stato riproposto. Lui aggiunge che “per migliaia di volte si sono dette sempre le stesse cose”. E io mi domando se sia possibile qui dire cose diverse, anzi: penso che sia impossibile farlo, dato che il vincolo religioso non lo permette. Delemme rimanda ad un link in cui si afferma che una simile “domanda poteva essere posta soltanto da chi non ha conoscenze di greco biblico”. E qui insorgo. Viene poi citato il punto 17 della Syntax of the Moods and Tenses in N.T. Greek di E. De Witt Burton, che tradotta recita: “Il presente dell’azione passata ancora in corso. Il presente indicativo accompagnato da un’espressione avverbiale indicante durata e riferito a un tempo passato è talvolta usato in greco e anche in tedesco per descrivere un’azione che, iniziando in un tempo passato, è ancora in corso nel tempo in cui se ne parla. L’idioma inglese richiede in tali casi l’uso del perfetto". E qui sta tutto il nocciolo della questione. Bruciolis non perde occasione di offendere e ripete a pappagallo parole altrui. Barnabino, sapientemente, propone di tradurre: “Ero (e continuo ad essere)”. Mi sembra sulla strada giusta, ma mi domando perché allora non tradurre direttamente con “io continuo a essere”, che rispetterebbe di più il testo greco; oppure, tradurre “io sono” mettendo una nota in calce che spieghi che si tratta di un presente che indica un’azione iniziata nel passato e che perdura (ciò sarebbe del massimo rispetto per il testo greco).    Una cosa mi colpisce: “L’idioma inglese richiede in tali casi l’uso del perfetto” (grammatica già citata). Non sono un esperto d’inglese, per cui prendo per buona questa autorevole dichiarazione. Ma mi domando cosa mai c’entri l’inglese con l’italiano. Perché è di traduzione italiana che stiamo parlando. Capisco allora come TNM possa avere qualche giustificazione a tradurre in inglese (ripeto: in inglese) al tempo perfetto, e così anche tutte le altre versioni citate (inglesi). Ma davvero non possiamo giustificare su questa base la traduzione italiana con l’imperfetto. Tutti, ma proprio tutti, in italiano capiamo che dire “io ero” presuppone che ora non lo sono più. Ciò che le grammatiche dicono (e che viene travisato) è che in greco quel tipo di presente ha un valore indicante un’azione iniziata nel passato e perdurante al presente. Stop. Nessuna grammatica greca al mondo dice che quel presente vada tradotto al passato. Se poi l’inglese lo richieda, ciò non intacca la nostra lingua.   Ora, voler continuare una guerra di parole a colpi di citazioni tolte dal contesto mi pare oltremodo strumentale. Forse qualcuno (o più di qualcuno) ha compreso perfettamente le mie osservazioni, ma mi domando se sia libero di sostenerle. Non credo che il vincolo religioso glielo permetta. D’altra parte, che speranza c’è che l’edizione italiana di TNM venga corretta? Davvero nessuna.   Come ultima riflessione, sempre personale, credo che la traduzione “io ero” sia speciosa tanto quanto quella di “Io Sono” (con le maiuscole) di CEI. Tutte e due tirano l’acqua al proprio mulino. Sarebbe invece così bello lasciare che la Scrittura s’interpreti con la Scrittura, senza ricorrere ad artifici di traduzione.






Da quello che riesco a capire, il problema starebbe nella traduzione italiana dell'espressione greca "ego eimi". Mentre in inglese noi traduciamo "I have been" (Io sono stato) tempo perfetto indefinito (secondo la lingua inglese anche se nella lingua greca il tempo verbale greco "perfetto indefinito" non esiste).

Pertanto, direi di scremare tutto il discorso rispondendo solo ed esclusivamente alla scelta della TNM di tradurre il termine "ego eimi" al tempo passato.
Da quello che leggiamo, c'è una ragione per cui "eimi" viene unito ad un tempo passato. Qual è questa ragione? Questa estensione dal passato è giustificata al massimo senza stravolgerne l'espressione idiomatica?

Cerchiamo, senza affermazioni prive di significato, e senza offese personali, di sbrogliare questa matassa.
bruciolis
00lunedì 1 marzo 2010 09:13
Re:
CieloSegreto:

Bruciolis non perde occasione di offendere e ripete a pappagallo parole altrui.


quello che scrivo è mio.
se non capisci l'italiano, e, se leggi più sotto te lo dimostro anche in questo reply, non è certo colpa mia.


CieloSegreto:



Tutti, ma proprio tutti, in italiano capiamo che dire “io ero” presuppone che ora non lo sono più.



certo, se eri studente di greco, ora non lo sei più, dato che sei in pensione, ma, se sei professore di greco e tu dici: "io ero professore di greco prima che bruciolis frequentasse l'asilo" , questa tua affermazione: "Tutti, ma proprio tutti, in italiano capiamo che dire “io ero” presuppone che ora non lo sono più"
lascia il tempo che trova. (meno male che sei tu quello che insiste nel dire di leggere il contesto!!)
il punto è che prima che nascesse Abramo, Gesù esisteva già ed era vivo e vegeto mentre parlava, contrasta con la tua negazione dell'esistenza preumana di Gesù.


CieloSegreto
00lunedì 1 marzo 2010 09:27
F. Delemme, mi pare che tu abbia colto nel segno: occorre distinguere fra traduzione italiana e inglese. Lascio agli esperti d’inglese discutere sulla loro traduzione.    In italiano, comunque, nessuna grammatica greca autorizza a tradurre γ εμ (egò eimì) con l’imperfetto “io ero”. Al massimo, se il traduttore vuole essere preciso, può mettere una nota in calce spiegando che quell’εμ (eimì) al presente assume in greco il valore di un’azione iniziata nel passato e che perdura al presente. Ostinandosi a tradurre in italiano “io ero”, non c’è scampo: in italiano significa che ero e ora non sono più.    È ora che il buonsenso non stia più nascosto.    
CieloSegreto
00lunedì 1 marzo 2010 09:34
Bruciolis, la tua frase esemplificativa ("Io ero professore di greco prima che Bruciolis frequentasse l'asilo") per me che ho frequentato il Liceo Classico significa che lo ero e non lo sono più. Se volessi intendere che lo sono ancora, direi: Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo”.  
bruciolis
00lunedì 1 marzo 2010 09:57
Re:
CieloSegreto, 01/03/2010 9.34:

Bruciolis, la tua frase esemplificativa ("Io ero professore di greco prima che Bruciolis frequentasse l'asilo") per me che ho frequentato il Liceo Classico significa che lo ero e non lo sono più. Se volessi intendere che lo sono ancora, direi: Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo”.  



non è cosi perchè mentre parli, professore, lo sei ancora,
dato che a monte del discorso c'è una frasetta...
prima che...
cmq. posso essere (mi pare) daccordo con te che si sarebbe potuto
scrivere (per i più duri d'orecchi):
io ero [già esistene e lo sono ancora], perchè questo è il significato


CieloSegreto
00lunedì 1 marzo 2010 11:05
Bruciolis, fai un altro piccolo sforzo e vedrai che sarai d’accordo in tutto.   Riprendiamo la tua frase esemplificativa: "Io ero professore di greco prima che Bruciolis frequentasse l'asilo". Ora mettila, per favore, in ciascuno di questi casi: 1. Intendendo dire che non lo sono più; 2. Intendendo dire che lo sono ancora. Io, nel primo caso direi: "Io ero professore di greco prima che Bruciolis frequentasse l'asilo"; nel secondo caso: “Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo”. Ora prova tu a proporla nei due casi. E, mentre che ci sei, prova a mettere anche la frase di TNM (“prima che Abraamo fosse, io ero”) in modo che voglia dire 1. che io ero e non sono più, e 2. che io ero e lo sono ancora. Nel primo caso io direi: Prima che Abraamo fosse, io ero; nel secondo: Da prima che Abraamo fosse io continuo ad essere. Ora, prova tu.
bruciolis
00lunedì 1 marzo 2010 11:35
Re:
CieloSegreto:

Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo



se questo è il tuo italiano, allora io sono turco!

mio caro, prima che tu frequentassi l'asilo io ero [già]
professore di italiano.
se lo sono ancora (nel senso di lavoro), o se sono andato in pensione è irrilevante, se me lo si chiede, rispondo...

mentre è chiaro che quando Gesù risponde all'allegra compagnia
era vivo e vegeto; sta solo dicendo che quando è venuto al mondo
Abramo, lui lo era da millenni e avrebbe continuato ad esserlo!
cmq. sono contento che la pensi come me... almeno su qualcosa...



F.Delemme
00lunedì 1 marzo 2010 12:31
Re:
CieloSegreto, 01/03/2010 9.27:

F. Delemme, mi pare che tu abbia colto nel segno: occorre distinguere fra traduzione italiana e inglese. Lascio agli esperti d’inglese discutere sulla loro traduzione.    In italiano, comunque, nessuna grammatica greca autorizza a tradurre γ εμ (egò eimì) con l’imperfetto “io ero”. Al massimo, se il traduttore vuole essere preciso, può mettere una nota in calce spiegando che quell’εμ (eimì) al presente assume in greco il valore di un’azione iniziata nel passato e che perdura al presente. Ostinandosi a tradurre in italiano “io ero”, non c’è scampo: in italiano significa che ero e ora non sono più.    È ora che il buonsenso non stia più nascosto.    




Eimi è da considerarsi un presente che si estende dal passato? Per essere più chiari, eimi è da intendersi un punto di riferimento dal quale si estende?
O allora, eimi è da intendersi un inizio?
Gesù rivendica di essere in vita fin da prima della nascita di Abraamo?
Il contesto, immediato o più ampio, dovrà determinare se l'esistenza di Gesù abbia avuto inizio o no.
Mi preme precisare che obiettare al significato del testo greco sulle basi della grammatica inglese o italiana come si sta tentando di fare, è un errore. Siamo tutti d'accordo che abbiamo a che fare con un'espressione idiomatica greca e la lingua greca non ha lo stesso sistema verbale basato sui tempi come in italiano o inglese.
La Bibbia presenta qualche parallelo che ci permetta di fare delle comparazioni?
Il segreto sta in questo: comprendere l'espressione idiomatica.
Gesù disse "Io sono" perché eimi segnala che l'esistenza continua fino al tempo presente e quindi non sono una asserzione di preesistenza che va dal passato al presente?

Dopo sarà affrontata la questione relativa alla traduzione da parte della TNM "io ero" rispondendo alle domande:
Perché di questa scelta? La TNM è la sola che traduce così?
barnabino
00lunedì 1 marzo 2010 21:15
Caro Dalemme,


Eimi è da considerarsi un presente che si estende dal passato? Per essere più chiari, eimi è da intendersi un punto di riferimento dal quale si estende?



Il senso, come dice molto chiaramente il Blass-Debrunner, che è una delle più importanti grammatiche di greco del NT, è reso evidente dalla determinazione temporale "prin" (prima) che indica un'azione iniziata nel passato (prima che Abraamo esistesse) e che continua nel presente.

Riporto di nuovo quelle che scrive il Blass-Debrunner al par. 322,3 (e che per altro si può trovare in altre grammatiche): "Non è propriamente perfettivo il presente nei casi in cui si vuole indicare il perdurare dell'azione o il suo ripetersi fino a tutto il momento presente (il momento del passato viene segnalato in questo caso da una determinazione temporale: Lc 13,7; Io 8,58; 2 Cor 12,19)".


O allora, eimi è da intendersi un inizio?



L'azione del verbo (eimi, essere) è da intendersi iniziata PRIMA che Abraamo venisse all'esistenza e continua al momento in cui Gesù pronuncia la frase.


Gesù rivendica di essere in vita fin da prima della nascita di Abraamo?



Direi che questo è il senso più ovvio della frase pronunciata da Gesù, che destò il prevedibile scandalo dei suoi interlocutori: come poteva un uomo di trent'anni sostenere di essere più vecchio del padre Abraamo?

Shalom
barnabino
00lunedì 1 marzo 2010 21:31
Caro Bruciolis,

Hai perfettamente ragione, la frase "Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo" è errata. In italiano corretto si dovrebbe dire "io ero professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo".

Infatti come sanno anche i bambini dell'asilo con presente indicativo il momento dell'azione viene visto come contemporaneo al momento in cui si parla, dunque il presente indica generalmente un'azione che si svolge al momento dell'enunciazione e non prima. Viceversa con l'imperfetto l'azione è mostrata solo in un punto del suo svolgimento (prima di Abraamo) e non si specifica che sia conclusa (è appunto imperfetta) ma può continuare fino al presente. Questo è il senso di ego eimi in Giovanni 8,48 dove l'azione di essere inizia nel passato (Gesù "era" prima di Abraamo) e tale azione è imperfetta, non conclusa, al momento in cui parla.

Shalom
CieloSegreto
00martedì 2 marzo 2010 12:39
Barnabino ha perfettamente ragione quando cita il Blass-Debrunner al par. 322,3: "Non è propriamente perfettivo il presente nei casi in cui si vuole indicare il perdurare dell'azione o il suo ripetersi fino a tutto il momento presente (il momento del passato viene segnalato in questo caso da una determinazione temporale: Lc 13,7; Io 8,58; 2 Cor 12,19)". Ha altresì ragione nel concludere che “l'azione del verbo (eimi, essere) è da intendersi iniziata PRIMA che Abraamo venisse all'esistenza e continua al momento in cui Gesù pronuncia la frase.   Ha invece torto nel dare ragione a Brucilois affermando che la frase "Io sono professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo" è errata. Se in italiano dico: "Io ero professore di greco da prima che Bruciolis frequentasse l'asilo", sto dicendo che da prima che lui nascesse io lo era, ma ciò fa sorgere la domanda: E ora? Non è infatti detto che io lo sia ancora. Se, infatti, volessi dire che lo ero ma non lo sono più, come esprimerei questo fatto se non con l’imperfetto? Prevenendo l’obiezione che dovrei usare il passato prossimo (io ero stato), obietto a mia volte che ciò creerebbe ancor più confusione, potendosi intendere che lo ero strato prima che nascesse e che già non lo ero più quando nacque.   Barnabino dice che “con presente indicativo il momento dell'azione viene visto come contemporaneo al momento in cui si parla, dunque il presente indica generalmente un'azione che si svolge al momento dell'enunciazione e non prima”. Vero, ma non del tutto. Che il presente indichi un’azione al momento dell’enunciazione, non ci sono dubbi. Tuttavia tale azione può riferirsi non solo al presente, ma al perdurare nel presente. Se dico: “Io sono italiano da prima che Tizio nascesse”, sto dicendo che lo ero in passato (da prima che) e lo stono tuttora; ma se dico: “Io ero italiano da prima che Tizio nascesse” (frase che secondo Barnabino sarebbe errata), sto dicendo che lo ero in passato (da prima che), ma ora? Ora potrei avere la cittadinanza svizzera. Sbaglia ancora Barnabino che asserisce che “con l'imperfetto l'azione è mostrata solo in un punto del suo svolgimento  e non si specifica che sia conclusa (è appunto imperfetta) ma può continuare fino al presente”. Infatti, il passato indica di per sé un’azione conclusa. E cito dall’Accademia della Crusca (la massima autorità in lingua italiana): “L'uso dell'imperfetto si limita a fornire una descrizione focalizzata in un dato momento”; “usato per un'azione in un tempo indeterminato nel passato e considerata durante il corso del suo svolgimento (http://it.wikipedia.org/wiki/Imperfetto_indicativo). Il presente e l’imperfetto indicativo hanno in comune la caratteristica di esprimere entrambi azioni o situazioni in corso. Tutti e due si presentano infatti con i caratteri dell’incompletezza: una incompletezza che appare molto evidente  nel  caso del  presente (proprio perché si riferisce a un’azione colta  nel suo svolgersi) e  meno evidente forse nel caso  dell’imperfetto, perché parlando  di tempi passati qualunque azione appare  ovviamente conclusa(http://209.85.129.132/search?q=cache:Uyg2xKtccYUJ:www.scudit.net/mdimperfetto.htm+tempo+imperfetto&cd=5&hl=it&ct=clnk&gl=it).   Barnabino dice ancora bene spiegando che “questo è il senso di ego eimi in Giovanni 8,48 dove l'azione di essere inizia nel passato e tale azione è imperfetta, non conclusa, al momento in cui parla”. Infatti, il greco usa il presente e l’avverbio “prima che” (prin). Ma, per favore, non dite più che sia corretto tradurre quel presente con l’imperfetto. Ciò forse andrà bene per la lingua inglese, ma in italiano ne modifica sostanzialmente il significato.   Ottima mi pare la soluzione proposta da Roberto Carson: "Gesù disse loro: ‘Verissimamente vi dico: Io sono da prima che Abraamo fosse’". Questa traduzione è perfettamente conforme al testo greco. L’osservazione di Barnabino secondo cui “dovremmo aggiungere un ‘da’ che non c'è nel testo greco” è fuori luogo, perché l’avverbio greco πρν (prin) contiene già questo senso.
bruciolis
00martedì 2 marzo 2010 14:58
Consecutio temporum:
Impone che i verbi siano collegati tra di loro secondo schemi: il congiuntivo imperfetto richiede un tempo passato (modo e tempo che si preferisce)
Se si vuol indicare una seconda azione che avviene in questo momento si può usare sì il presente aggiungendo un altro verbo.

la frase "io sono professore prima che tu nascessi" non ha senso, suona male;
usando la preposizione "da" anche se suona male, è più sensata:
"io sono professore da prima che tu nascessi"
per indicare che l'azione si protrae nel tempo usando
un verbo all'indicativo imperfetto e un congiuntivo imperfetto
bisognerebbe dire:
prima che tu nascessi io ero professore e lo sono ancora.
se invece l'interlocutore lo sa che sei professore si potrebbe dire:
"prima che tu nascessi io ero già professore"
quell'ego eimi di Giovanni 8:58, mi sembra siamo daccordo sul
suo significato e che non ci sia bisogno di conoscere se l'azione
perdurava poichè Gesù era lui che parlava... semmai si potrebbe dire:
"prima che Abramo fosse, io [già] ero"
CieloSegreto
00martedì 2 marzo 2010 15:29
"Prima che Abramo fosse, io [già] ero" è una tradizione molto libera che non rispetta il testo greco: si mette all’imperfetto un verbo che nell’originale è al presente e si aggiunge un “[da]”. Molto meglio quella proposta da Carson: “Da prima [prin] che Abraamo fosse, io sono [egò eimì]”. Il presente greco indica un’azione presente al momento in cui si parla; l’avverbio prin (prima) indica che tale azione sta perdurando dal passato. È così semplice. Perché mai complicarsi la vita con un “io ero” che genera confusione e, soprattutto, non rispetta il testo biblico? Se l’obiettivo è quello di non ricollegarlo all’”io sono” esodiano, non è necessario forzare e piegare la grammatica greca (e poi quella italiana): la Bibbia si interpreta con la Bibbia stessa, e una semplice analisi mostrerà che i due “io sono” sono ben diversi tra loro. Inoltre, l’agiografo non aveva la preoccupazione di essere frainteso, tanto è vero che usa proprio il presente. Perché mai, allora, il traduttore dovrebbe preoccuparsi di far meglio dell’agiografo, usando l’imperfetto dove lui ha usato il presente?
barnabino
00martedì 2 marzo 2010 16:26
Caro Bruciolis,

Mi pare che non si riesca a capire la differenza tra il tempo e l'aspetto del verbo. In greco quello che chiamiamo "presente" non corrisponde esattamente al "presente" italiano e quindi di volta in volta, a seconda del contesto, è necessario che il traduttore italiano scelga la forma verbale italiana che più si avvicina a quella greca, non necessariamente perciò si dovrà rendere "eimi" con "sono" né è più letterale farlo se il presente indicativo non esprime correttamente l'aspetto del verbo greco.

Il tema del presente marca l'aspetto durativo o continuativo dell'azione vista nel suo svolgimento in un processo il cui compimento non interessa (da qui la dicitura imperfettivo, cioè non concluso). Secondo la grammatica dell'Aloni in genere in italiano si ricorre a delle perifrasi con verbi fraseologici come "stare" o "andare" uniti al gerundio: "continuare a", "essere solito" (es. "prima che Abramo esistesse io continuo ad essere" o "prima che Abraamo esistesse io ero ("sono" suona sgrammaticato secondo me) solito essere": brutte traduzioni ma che rendono l'idea del concetto).

Un'altra veneranda grammatica di greco, quella dello Smyth, dice: "il presente, quand'è accompagnata da un'espressione determinata o indeterminata del tempo passato [i.e. prima] è usato per esprimere un'azione iniziata nel passato e continuata nel presente". E vero che l'azione durativa "nel presente è resa dall'indicativo presente, nel passato dall'indicativo imperfetto" ma qui l'uso della determinazione temporale "prin" (prima) pone chiaramente l'azione durativa come iniziata nel passato, dunque è del tutto normale usare l'indicativo imperfetto, che in italiano esprime bene quell'aspetto, dato che nella nostra lingua risulta sgrammaticato indicare con il presente qualcosa accaduto prima di qualcos'altro descritto con il passato (prima che Abraamo esistesse). Mi pare ovvio che se la determinazione temporale greca prin (prima) coordina la relazione tra le due azioni presumiamo che l'azione del tempo al passato sia precedente nel tempo all'azione del tempo presente. Il verbo all'imperfetto non genera alcuna confusione, semplicemente esprime in modo non sgrammaticato un'azione che dal passato si estende fino al momento presente, come è normale nella lingua italiana. Ma questo non è un problema di greco, ma di italiano: come è espresso in italiano il senso durativo? La scelta dell’imperfetto vuole comunicare al lettore che per un certo periodo di tempo le due azioni si sono svolte parallelamente e non si sono interrotte.

Non è un caso che diverse versioni antiche, con sistemi verbali simili ai nostri, (ad esempio la Peshitta o altre) rendono "eimi" proprio con l'imperfetto.

Shalom
bruciolis
00martedì 2 marzo 2010 19:11
Re:

pienamente daccordo con Barnabino.
l'azione ha inizio nel passato (prima che Abramo fosse...)
congiuntivo imperfetto.
la consecutio temporum indica uno schema preciso:
il congiuntivo imperfetto richiede un tempo passato
nel caso specifico l'indicativo imperfetto calza anche perchè
l'azione a seguire non viene interrotta, è automatica, prosegue per forza di cose, poichè chi parla "continua a essere" .
io sono, anzi, Io Sono lasciamo che lo traducano versioni alle
cui basi c'è una teologia trinitaria da conservare.

CieloSegreto
00martedì 2 marzo 2010 19:22
Barnabino, quando dici che “in greco quello che chiamiamo ‘presente’ non corrisponde esattamente al ‘presente’ italiano”, è meglio che tu chiarisca che in ogni caso sempre di presente si tratta. L’aspetto verbale è rilevante, ma devi dire anche che sebbene il greco sia la lingua che meglio connota l'aspetto verbale, ciò non vale per l’indicativo. Il presente indicativo greco implica un'azione durativa; il presente ha in greco aspetto continuo o durativo. Per esprimerlo bene in italiano si può ricorrere ad un verbo aggiuntivo. Nel nostro caso: “Io continuo ad essere” per tradurre il presente eimì, come tu annoti richiamando la grammatica dell'Alon. Siamo perfettamente d’accordo quando spieghi che "il presente, quand'è accompagnata da un'espressione determinata o indeterminata del tempo passato [i.e. prima] è usato per esprimere un'azione iniziata nel passato e continuata nel presente" (Smyth).   Fin qui stiamo dicendo le stesse cose, tant’è vero che ammetti che “l'azione durativa ‘nel presente è resa dall'indicativo presente, nel passato dall'indicativo imperfetto’".   Poi però ti contraddici affermando che “è del tutto normale usare l'indicativo imperfetto, che in italiano esprime bene quell'aspetto, dato che nella nostra lingua risulta sgrammaticato indicare con il presente qualcosa accaduto prima di qualcos'altro”. Perché dici ciò? Dove è mai sgrammaticato dire “da prima che Abraamo venisse all’esistenza, io sono” o, se preferisci, “io continuo a essere”?Sentilo pure un’altra frase: Io sono italiano da prima che Tizio nascesse. Sbagli a dire che “il verbo all'imperfetto non genera alcuna confusione, semplicemente esprime in modo non sgrammaticato un'azione che dal passato si estende fino al momento presente”. E sai perché? Perché nella lingua italiana l'imperfetto indicativo è il tempo che esprime la durata o la frequente ripetizione di un'azione nel passato. Giacché tempo passato, possiede un valore deittico che gli consente di stabilire un momento di riferimento in cui l'azione in qualche modo si sta svolgendo. La distanza esistente tra il momento dell'enunciato e il momento dell'avvenimento è collocata dall’imperfetto sempre nel passato (cosa che nel passo giovanneo non è, perché perdura al presente). L’imperfetto descrive un modo di essere o un’azione nel passato; l’imperfetto è perfino usato al posto del passato prossimo per indicare un’azione conclusa (imperfetto storico). L'imperfetto, quale tempo verbale di aspetto imperfettivo, contiene in sé il carattere centrale di indeterminatezza, ma sempre riguardante il passato. L’imperfetto italiano coglie l'azione nel suo sviluppo, situandone durata o ripetizione nel passato: l'imperfetto esprime l'aspetto durativo di un'azione incompiuta, o meglio di "un'azione passata le cui coordinate (momento d'inizio, conclusione, ecc.) restano inespresse" (Serianni).   Precisato ciò, continuo a non comprendere questa ostinazione nel voler per forza tradurre il presente greco con l’imperfetto italiano, contro ogni evidenza grammaticale sia greca che italiana. È perfetta la traduzione suggerita da Carson: “Io sono da prima che Abraamo fosse”.   Barnabino, infine di prego di essere onesto. La tua affermazione che “diverse versioni antiche, con sistemi verbali simili ai nostri, (ad esempio la Peshitta o altre) rendono ‘eimi’ proprio con l'imperfetto”, è una dichiarazione falsa. La Peshitta è scritta in siriaco e in tale lingua appare “io sono” al presente, conformemente al greco. Tu fai riferimento a traduzioni inglesi dal siriaco. Non è onesto spacciarle come testo originale della Peshitta siriaca. Una di queste traduzioni in inglese ha:“Jesus said to them: Verily, verily I say to you, That before Abraham existed, I was” (The Syriac New Testament Translated into English from the Peshitto Version, di J. Murdock, VII ed., Boston e Londra, 1896). Tuttavia, un’altra versione inglese ha: “I say to you, Before Abraham was, I AM”.    Se poi nelle “versioni antiche” includi anche la Siriaca curetoniana, vale la stessa cosa. Il siriaco ha “io sono”, molte traduzioni inglesi “io ero”. - The Curetonian Version of the Four Gospels, a cura di F. Crawford Burkitt, vol. 1, Cambridge, 1904.
barnabino
00mercoledì 3 marzo 2010 01:06
Mi pare di aver spiegato in modo molto chiaro il motivo per cui la TNM rende l'aspetto durativo del verbo essere coordinato dalla determinazione temporale prin con l'imperfetto: Nella nostra lingua risulta sgrammaticato indicare con il presente qualcosa accaduto prima di qualcos'altro descritto con il passato, e qui prin coorrdina "eimi" con "ginomai". Poiché ginomai è un aoristo (che qui indica un passato) è più che normale usare l'imperfetto per "eimi", poiché l'azione di essere di Gesù è anteriore a "ginomai".


Io sono italiano da prima che Tizio nascesse



Si, ma abbiamo già detto che il "da" non c'è in greco. La TNM cerca di esprimere lo stesso concetto senza aggiungere alcuna parola al testo greco, solo esprimendo in italiano l'aspetto del verbo greco.


L’imperfetto descrive un modo di essere o un’azione nel passato



Appunto, l'azione di essere di Gesù è nel passato, prima che Abraamo esistesse. La scelta dell’imperfetto vuole comunicare al lettore che per un certo periodo di tempo le due azioni si sono svolte parallelamente e non si sono interrotte.


La tua affermazione che “diverse versioni antiche, con sistemi verbali simili ai nostri, (ad esempio la Peshitta o altre) rendono ‘eimi’ proprio con l'imperfetto”, è una dichiarazione falsa. La Peshitta è scritta in siriaco e in tale lingua appare “io sono” al presente, conformemente al greco



Anche qui il problema è cosa vuol dire "io sono" in siriaco, che asetto esprime in qule contesto, che dei traduttori la leggano in questo modo mi pare comunque indicativo, che ragione avrebbero di andare contro la versione tradizionale?

Shalom
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