PROFEZIE SU CRISTO: NOI CRISTIANI ESAGERIAMO

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Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:47
di Fernando De Angelis

Il Prof. Fernando De Angelis ha gentilmente concesso all'amministrazione del forum di pubblicare un suo studio che verrà esposto nei post successivi.

L'amministrazione del forum ringrazia sentitamente il Prof. De Angelis per la sua disponibilità.
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:47
L’esegesi dell’apostolo Pietro sui Salmi profetici 16 e 110. Liste ingannevoli delle profezie dell’Antico Testamento su Cristo. La Parola di Dio può essere profetica anche su ciascuno di noi. Uno scritto nato e cresciuto “in corso d’opera”.


1. INTRODUZIONE

Ho cominciato con l’interessarmi alla misteriosa citazione di Melchisedec fatta nel Salmo 110, mentre esaminavo i testi riguardanti quell’antico sacerdote (vedere a parte Melchisedec, un precursore trascurato). L’ispirazione del Salmo 110 mi appariva inizialmente come “extra umana”: cioè come se Davide, scrivendolo, fosse stato fuori di sé, con lo Spirito Santo che aveva completamente annullato la sua realtà umana. Questo però non è consueto nella Bibbia, dove Dio in genere ispira tenendo conto della situazione di chi scrive, senza portarlo fuori dalle circostanze personali e storiche che vive, ma facendogliele vedere sotto un’altra luce.
I Salmi 16 e 110 sembrano invece fare eccezione, tanto che gli Ebrei del tempo di Gesù si erano arresi di fronte ad espressioni che erano al di fuori del buon senso. Se il Messia è figlio di Davide, chiese provocatoriamente Gesù ai Farisei citando l’inizio del Salmo 110, perché Davide lo chiama “Signore”? (Matteo 22:41-46). Gesù mise in questo modo a nudo l’insufficienza di tutti quelli che vogliono ridurre la Parola di Dio ad un sistema ordinato e razionale, cioè al proprio livello, dimenticandosi che Dio è più grande di qualsiasi gabbia che ci illudiamo di costruirgli. Piuttosto che impegnarci a mettere ordine nella Parola di Dio, dobbiamo lasciare che sia essa a mettere disordine in noi, producendo continuamente un rinnovamento che ci faccia andare oltre le nostre illusorie certezze.
I Giudei non potevano obiettivamente capire certe espressioni dei Salmi 16 e 110. In queste situazioni, alcuni avevano l’abitudine di scartare i passi biblici che non capivano, altri invece mantenevano un’umiltà simile a quella dell’Eunuco, che si dispose ad ascoltare Filippo (Atti 8:30-39); o simile a quella dei due discepoli sulla via per Emmaus che, proprio perché perplessi, accettarono di ascoltare uno sconosciuto che cominciò col trattarli da «insensati e lenti di cuore» (Luca 24:25).
Con la venuta di Cristo si è chiarito il senso di ciò che è scritto nei due Salmi, però mi son chiesto come Davide poté scrivere parole così incomprensibili in quel momento ed una prima luce l’ho avuta considerando come Pietro li ha interpretati nel discorso che tenne a Pentecoste (Atti 2).
L’esame dei Salmi 16 e 110 ha richiesto una revisione dell’approccio generale alle profezie dell’Antico Testamento riguardanti Gesù. Ho prima considerato che noi cristiani spesso esageriamo, poi a forza di diminuire il numero delle “vere profezie” riguardanti Cristo… non ne è rimasta più quasi nessuna chiara e inequivocabile come noi vorremmo!
Siccome la Parola di Dio ci è stata data non solo per la nostra testa, ma soprattutto per la nostra vita, allora le conclusioni trovate ho cercato di applicarle nella pratica. L’incarnazione di Cristo significa che è divenuto simile a noi e che perciò possiamo essere simili a lui. Se la vita di Cristo era profetizzata, significa allora che è profetizzata anche la nostra? La convinzione espressa nell’ultimo paragrafo è che nella Bibbia ci sono profezie riguardanti anche uno qualsiasi di noi; ciò possiamo comprenderlo meglio se abbiamo più chiaro il modo nel quale fu profetizzata la vita di Gesù.
Insomma, questo scritto è il risultato di successivi inserimenti ritenuti via via necessari, non di un piano organico già chiaro all’inizio. Spero perciò che sia interessante, ma non cercateci la sistematicità.
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:48
2. L’ESEGESI DEL SALMO 16 FATTA DA PIETRO A PENTECOSTE

Nel Salmo 16 Davide aveva usato un’espressione che, facendo un’analisi interna al testo, portava a pensare che egli si ritenesse immortale o che sarebbe stato rapito in cielo con tutto il corpo, com’era successo ad Enoc (Genesi 5:24). Infatti c’è scritto: «Anche la mia carne dimorerà al sicuro; poiché tu non abbandonerai l’anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione» (Salmo 16:9-10). Il contesto è già preciso in sé, ma è rafforzato dal fatto che, nella mentalità ebraica, “anima” significa “persona nel suo complesso”: non ha cioè il significato greco di “parte incorporea”. Davide invece era poi normalmente morto e così il Salmo 16 metteva un po’ in crisi: perché bisognava tener fermo che quella era Parola di Dio, perciò era vera anche quando andava al di là della comprensione umana, ma i fatti sembravano smentirla. Una mezza via d’uscita poteva essere quella di ritenere che Davide pensò di essere risparmiato dalla morte in quel momento, ma non per sempre.
Un bel problema per i “dottori della Legge”, i quali ritenevano di saper bene cosa la Scrittura insegnasse “nel complesso”. Essi disprezzavano i semplici popolani che venivano attratti da Gesù, i quali secondo loro non conoscevano la Legge ed erano perciò maledetti (Giovanni 7:48). Un popolano come Pietro era invece riuscito a capire il Salmo 16, perché aveva intuito subito che Gesù era il Messia (Giovanni 1:40-42), cosa che il molto istruito Nicodemo fece fatica a comprendere (Giovanni 3:10) e che il gran maestro Gamaliele cominciò a sospettare solo quando Gesù se n’era già andato (Atti 5:33-40). Un altro punto di forza di Pietro era l’essere stato 40 giorni insieme a Gesù risorto (Atti 1:3), con l’indimenticabile incontro sulle rive del Mar di Galilea (Giovanni 21:1-18).
Insomma, la capacità esegetica di Pietro stava nel suo percorso esistenziale, che gli permetteva di guardare alla Parola scritta alla luce della Parola incarnata; mentre a Gamaliele il foglio della Parola scritta, sulla quale stava sempre curvo, gli aveva fino allora impedito di vedere una Parola incarnata che per tre anni gli era girata intorno.
Nella sua interpretazione (Atti 2:25-31), Pietro tiene presente il senso di identificazione fra capostipite e discendenti, che era comune nella mentalità ebraica: per Abramo non c’era infatti molta differenza se la Terra Promessa l’avrebbe ricevuta lui direttamente o la sua discendenza qualche secolo dopo (Genesi 13:14-15; 15:13-21). A volte anche l’apostolo Paolo ha tenuto presente questo senso di solidarietà fra il capostipite e la discendenza: per esempio identificando la “progenie di Abramo” con Cristo (Galati 3:16); oppure considerando come blocchi unici sia i discendenti di Adamo che quelli legati a Cristo (Romani 5:12-19).
Pietro, opportunamente, prima di affrontare l’interpretazione più opinabile del Salmo 16, rompe il ghiaccio iniziando il suo discorso con una profezia dal significato molto più chiaro, quella di Gioele 2:28-32 (Atti 2:15ss.). Anzi era stato Dio a rompere il ghiaccio in tre modi: 1) facendo udire un suono innaturale che chiamò a raccolta una moltitudine (vv. 2 e 6); 2) riempiendo di Spirito Santo gli apostoli e l’altro centinaio di persone che erano con essi (Atti 1:15; 2:4), con ciò dando loro un’esuberanza che li rendeva testimoni più credibili della risurrezione di Gesù; 3) infine facendo constatare il miracolo di sentire la Parola di Dio a ciascuno secondo la sua lingua (2:6ss.).
L’efficacia dell’esegesi di Pietro, insomma, non stava solo nel suo ragionamento, ma nel fatto che le sue parole erano in armonia con un’esplicita azione di Dio. L’esegesi di Pietro, perciò, non era una “formula magica” avente forza in sé, perché l’efficacia dell’evangelizzazione sta in una sinergia fra ciò che dice l’evangelista e ciò che Dio opera, come appare chiaramente in tutto il libro degli Atti degli Apostoli, che qualcuno non a caso chiama Atti dello Spirito Santo, essendo esso al centro del racconto fin dall’inizio (1:2,5,8,16; 2:4 e così via).
Pietro considera che Davide era un profeta e che perciò c’era in lui l’azione dello Spirito, azione che poteva manifestarsi anche senza che Davide ne fosse pienamente consapevole: proprio lo Spirito, allora, poteva aver inserito dei significati nascosti sotto quelli più letterali e apparenti. Qualcuno troverà disdicevole che Dio usi questi modi complicati per rivelarsi ma, quando c’è da comunicare qualcosa di lontano dalla comune esperienza umana, un’espressione chiara ed esplicita diviene incomprensibile, perciò inutile, o addirittura dannosa. Che il Messia doveva essere crocifisso e poi sarebbe risorto, per esempio, per gli apostoli risultò incomprensibile anche quando fu Gesù stesso a spiegarglielo (Luca 18:31-34): allora come Dio poteva dirlo chiaramente a Davide ed ai suoi contemporanei, senza metterli in gran confusione?
Il commento alla Scrittura di Pietro non va preso come se stesse facendo una teorica lezione di esegesi in una scuola biblica, ma come un discorso adatto ad un uditorio particolare: così adatto che ben tremila persone ne rimasero convinte (Atti 2:41). Riportiamo ora le parti essenziali di questo discorso di Pietro, il quale prima fa una lunga citazione del Salmo 16 comprendente «tu non lascerai l’anima mia nell’Ades e non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione», poi ne dà la seguente interpretazione (Atti 2):
29 Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi. 30 Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, 31 previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione. 32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni.
Pietro prosegue poi citando il Salmo 110, applicandoci i principi interpretativi che ha già chiarito e che perciò dà ormai per scontati, concludendo infine con grande sicurezza:
33 Egli dunque [Gesù], essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. 34 Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli stesso dice: “Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra, 35 finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi’”. 36 Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso.
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:48
3. UN POSSIBILE RETROTERRA DEL SALMO 110

Cercando qualche base umana dalla quale Davide poteva essere partito, per poi essere elevato dallo Spirito Santo così in alto, sono arrivato a fare un’ipotetica ricostruzione di come Davide abbia potuto scrivere un altro Salmo, il 110. A me la ricostruzione fattane sembra verosimile ed ora la esporrò, non perché pensi sia molto importante in sé, ma perché credo che sia necessario evitare il più possibile la “disincarnazione”.
Gesù è la Parola di Dio incarnata ed è evidente come il Diavolo cerchi in ogni odo di distruggere la vicinanza di Gesù con la comune umanità (vicinanza della quale è pieno il Vangelo). Qualcosa di simile può succedere con la Parola di Dio scritta, cioè la Bibbia, che può essere portata lontana da noi non solo negandone la divinità, ma anche sottacendone l’umanità. Se la Bibbia è frutto di un’ispirazione che ha annullato l’umanità di chi scriveva, allora diviene “extra umana”. Forse il mio tentativo di spiegazione non vi convincerà, spero però che vi convinca il pensiero che dobbiamo affermare non solo la natura divina della Parola (scritta o incarnata che sia), ma anche la sua natura umana.
Cominciamo col riportare le parti del Salmo 110 che risultano più difficili da capire:
1 Il Signore ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi». 2 Il Signore stenderà da Sion lo scettro del tuo potere […] 4 Il Signore ha giurato e non si pentirà: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec».
Come in altri casi, la luce si è accesa collegando ad una parte della Bibbia un’altra sua parte. Oltre quanto detto sopra sull’esegesi fatta da Pietro al Salmo 16, ciò che mi ha fatto vedere in una nuova luce il Salmo 110 è stato collegarlo con un’altra rivelazione, presumibilmente verificatasi in precedenza, ricevuta da Davide e riguardante suo figlio Salomone. Dio infatti disse a Davide che, con un provvedimento di assoluta eccezionalità, avrebbe adottato Salomone come suo figlio! (1Cronache 28:6).
Avere un proprio figlio adottato da Dio dovrebbe essere stato sconvolgente per Davide! Per immaginare qualcosa di simile, ho pensato ad un re d’Inghilterra il quale, non avendo figli, decide di adottarne uno di un suo devoto suddito. Avutone notizia, il suddito esplode di gioia e comincia a fantasticare di questo suo figlio che diventerà addirittura principe, ricevendone tutti gli onori ed i benefici. E pensa: «Diventerà istruito come un principe, incuterà rispetto come un principe, sarà un vero principe, insomma! Anche io e la mia famiglia saremo onorati ed abiteremo a corte. Vogliamo essere però dei sudditi rispettosi e, quando passerà il nostro figlio principe, daremo l’esempio di come si deve rispettare! Che gioia avere come mio principe un figlio!»
Suppongo che con motivazioni simili Davide sia arrivato a scrivere «Il Signore ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi”. Il Signore estenderà da Sion lo scettro del tuo potere». Lo ritrascriviamo cercando di cogliere più in dettaglio ciò che Davide potrebbe aver pensato: «Il Signore [Dio] ha detto al mio Signore [la mia progenie da lui adottata]: “Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi” [dato che Dio stesso si è associato al mio trono, a questo regno nessuno potrà resistere]. Il Signore estenderà da Sion lo scettro del tuo potere [il regno della mia progenie, che ha come centro il Tempio di Gerusalemme, diventerà sempre più grande]».
Un Figlio di Dio, poi, non ha certo bisogno del sacerdote e su di lui il Signore avrebbe riversato la grandezza dei suoi doni, perciò in quella sua progenie Davide poteva immaginare che si sarebbe concentrato il massimo di ciò che Dio aveva fatto per gli uomini. Quella progenie sarebbe stata sacerdotale, ma del grado più elevato (ecco perché Melchisedec). Se poi Dio non aveva fatto morire Enoc (Genesi 5:24), figuriamoci se avrebbe fatto morire quello che aveva adottato come Figlio (ecco forse perché sacerdote in eterno).
Insomma, immagino che pensieri di questo genere siano stati la base umana sulla quale ha poi agito lo Spirito Santo, facendo scrivere a Davide quello che sul momento era incomprensibile con la sola logica.
Questa figura di “cristo-re-figlio di Dio, manifestatasi la prima volta con Salomone, è al centro del Salmo 2, di autore ignoto. Ciò lo interpreto come un segno che la novità di questa figura non passò inosservata e rafforzerebbe così l’idea che Davide ne tenesse conto nello scrivere il Salmo 110. Un vago indizio, chiaramente, che ciascuno può liberamente valutare.
È vero che Pietro in Atti 2 applica il Salmo di Davide non a Salomone, ma a Gesù, questo però non cambia granché la questione. Già nell’interpretazione del Salmo 16, infatti, Pietro aveva trasferito a Gesù ciò che, nel contesto del Salmo, Davide riferisce a se stesso (v. seconda parte del mio punto 2). Mi spiego meglio, dopo che Pietro ha avallato l’identificazione fra Davide e il suo discendente Gesù, risulta ancor meno problematica quella fra Salomone figlio di Davide e Gesù figlio di Davide, tanto più se consideriamo che anche Salomone è dichiarato “figlio di Dio” (seppur solo adottivo).
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:49
4. PIETRO, GAMALIELE E PAOLO

I dodici apostoli erano in maggioranza degli umili pescatori, ma Gesù scelse proprio loro per radicare le fondamenta del suo insegnamento. I primi cinque capitoli degli Atti degli apostoli confermano l’efficacia di questa scelta. Poi, sulle basi gettate dai dodici apostoli, saranno soprattutto altri a far progredire l’opera (Stefano, Filippo, Barnaba e soprattutto Paolo).
Atti 5 termina col presentare Gamaliele (v. 34): un severo insegnante della Legge molto stimato che comincia ad intuire solo allora che forse il Messia è arrivato già. Se si fa un confronto a questo punto fra Pietro e Gamaliele, è evidente come Pietro vinca totalmente. Per completare la sua opera, però, Gesù poi utilizzerà proprio uno formatosi alla scuola di Gamaliele, cioè l’apostolo Paolo (Atti 22:3).
Pietro ebbe difficoltà a capire l’opera che Dio aveva affidata a Paolo e la Chiesa di Gerusalemme, nella quale Pietro aveva un ruolo centrale, inizialmente considerò Paolo non adatto come predicatore del Vangelo, rimandandolo a casa (Atti 9:26-30). Dopo qualche tempo fu però richiamato, perché era necessario nell’edificazione della prima Chiesa fatta da non ebrei, quella di Antiochia, di fronte alla quale non si sapeva bene come contenersi (Atti 11:25-26). Gli apostoli non erano però totalmente convinti della giustezza di ciò che stava facendo Paolo e allora andarono ad Antiochia per “correggerlo”, ricevendo però da Paolo un tal rimprovero che dovettero ripensarci (Galati 2:11-21).
Alla fine, comunque, Pietro si renderà conto che Paolo era un vero profeta mandato da Dio, riconoscendo di aver avuto difficoltà a comprenderlo (2Pietro 3:14-16). Anche nei Vangeli l’apostolo Pietro non appare come perfetto (Matteo 16:22-23; 26:69-75; Luca 5:8), ma c’è sempre stata in lui un’umiltà che lo ha fatto particolarmente amare da Gesù, che sapeva di essere amato da Pietro (Giovanni 21:15-17).
Per trasformare Pietro in un efficace testimone del Vangelo, Gesù aveva dovuto lavorarci molto. Anche per utilizzare Paolo l’opera di Gesù fu profonda (Atti 9:1ss.; Galati 1:1 a 2:2). Sapienti o non sapienti, insomma, abbiamo tutti bisogno di un’opera di Dio radicale; solo dopo possiamo essere dei servi utili, ma chi è umanamente più ricco ha più difficoltà ad accettare il cambiamento.
Se il Vangelo fosse un apprendimento intellettuale, sarebbe necessaria una buona scolarizzazione. Il Vangelo è invece una questione di vita vissuta (vedere le riflessioni sulla “Sana dottrina”) e allora è più avvantaggiato chi è allenato ad affrontare la realtà, mentre chi è abituato al mondo artificiale delle scuole, ha spesso bisogno di una “cura disintossicante”.
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:49
5. ELENCHI INGANNEVOLI DELLE PROFEZIE SU CRISTO

Dispiace doverlo ammettere, però l’elenco che noi cristiani facciamo delle profezie dell’Antico Testamento riguardanti Cristo, spesso e in larga parte è un inganno. A volte è un inganno inconsapevole, ma quando a fare l’elenco sono persone esperte e che scrivono libri, c’è da temere che l’inganno sia sostanzialmente voluto, anche se fatto “a fin di bene”. Gesù ha forse bisogno dell’inganno e se ne giova? L’uso distorto di una parte della Parola di Dio, poi, ne ostacola l’uso per il quale ci è stata data e questo non è un danno secondario. Vediamo allora in che consiste l’inganno.
Quando diciamo “profezia”, chi ascolta intende qualcosa che è stato annunciato prima che si verificasse. Ci sono però due tipi di annunci, molto diversi tra loro: c’è quello che è comprensibile da subito (cioè “a priori”) e quello che si comprende solo dopo che si è realizzato (cioè “a posteriori”). Per esempio, la prima profezia citata da Pietro a Pentecoste (quella di Gioele 2:28-32, vedere Atti 2:16-21) era chiara anche prima, cioè quando Gioele la proclamò, seppure non fossero chiari i tempi ed i modi della sua realizzazione. Invece la profezia sulla risurrezione del Messia (Salmo 16:10) e quella sulla sua divinità (Salmo 110:1), citate nello stesso contesto da Pietro (Atti 2:24-36), divennero chiare solo dopo la venuta di Gesù; anzi, dopo la sua risurrezione.
È vero allora che la risurrezione era stata predetta da una profezia dell’Antico Testamento? NO, se si vuole usare la parola “profezia” in modo non ingannevole. SÌ, se si precisa che era una profezia “a posteriori”, cioè che i profeti avevano scritto prima ciò che si comprese dopo.
C’è però un inganno ancor più radicale, che non è semplice spiegare e che è dovuto alla difficoltà che abbiamo di comprendere la mentalità ebraica, la quale considera profetico ciò che per noi non lo è. Noi ragioniamo di solito contrapponendo il passato con il presente e con il futuro; in ebraico invece la declinazione del verbo è uguale in tutti e tre i casi, perciò solo il contesto può far capire se si sta parlando del passato o del futuro. Per la Bibbia la contrapposizione che più conta non è quella passato/futuro, ma quelle giusto/sbagliato, vero/falso, divino/diabolico. Cominciamo ad affrontare la questione, allora, con qualche citazione biblica.
«La Parola di Dio permane in eterno» (Isaia 40:8; 1Pietro 1:23-25), Dio non cambia, non si “evolve” (Salmo 102:27), anche oggi è lo stesso Dio che parlò ad Abramo (Esodo 3:6; Luca 1:54-55; Atti 3:13). «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8). Tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo, in vista di Cristo e sussistono in Cristo (Colossesi 1:16-17): ne deriva che se qualcosa era in Cristo, è anche ora in Cristo e sarà anche alla fine in Cristo. Parallelamente, se qualcosa era nella Parola di Dio ieri, allora possiamo trovarla anche oggi e potrà essere presente anche domani.
I libri dell’Antico Testamento che noi chiamiamo storici (per esempio quelli dei Re), non a caso sono definiti dagli ebrei come profetici. Non solo perché solo i profeti sanno ciò che è veramente importante e ciò che durerà nel tempo, ma anche perché la storia raccontata, avendo come protagonista l’immutabile Dio, è anche un annuncio per il futuro. Ogni parola dell’Antico Testamento è perciò in qualche modo profetica e Gesù volle e vorrà adempierla fin nei dettagli (Matteo 5:17-18), non perché una volta adempiuta si possa poi mettere da parte, ma perché è sempre e tutta da adempiere continuamente.
Dopo le soprastanti precisazioni, dovrebbe essere chiaro che spesso dove l’ebreo Matteo vede delle profezie, quelle per noi in realtà non sono delle profezie. Per esempio, è evidente che per noi non c’era alcuna profezia che preannunciasse la cosiddetta “strage degli innocenti”, perché Geremia si riferisce chiaramente all’invasione ed alla deportazione d’Israele (Geremia 31:15). Per Matteo però (2:16-18), il fatto che qualcosa di simile fosse già successo, gli fa considerare la nuova strage come un riadempimento di quella precedente e perciò in qualche modo profetizzata. Secondo il nostro linguaggio, insomma, si tratta di un’applicazione profetica della storia, non di una vera profezia.
Se si vuol essere onesti, in conclusione, non si può mettere sotto una stessa etichetta realtà molto diverse, facendo credere che si tratti di una stessa categoria. Quelle che nel Nuovo Testamento, secondo una mentalità ebraica, sono considerate come profezie dell’Antico Testamento su Cristo, in base al nostro linguaggio vanno dunque suddivise in almeno quelle tre categorie che abbiamo sopra considerato:
1) profezie “a priori” (come quella sulla discesa dello Spirito Santo, vedere Atti 2:16-21 e Gioele 2:28-32).
2) profezie “a posteriori” (come quella sulla risurrezione, vedere Atti 2:24-32 e Salmo 16:10);
3) Applicazioni profetiche della storia biblica (come quella sulla “strage degli innocenti”, vedere Matteo 2:16-18 e Geremia 31:15).
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:50
6. QUASI NESSUNA PROFEZIA. O INFINITE

Per la nostra cultura, solo le profezie “a priori” sono delle vere profezie. A ben guardare, però, spesso nemmeno esse forniscono prove veramente oggettive. La profezia di Gioele sopra considerata, per esempio, non cita esplicitamente il parlare in altre lingue, non fissa una data precisa del suo adempiersi (ma un generico «ultimi giorni») e ci associa un sole «mutato in tenebre» che in quel momento non si è verificato, anche se un oscuramento di tre ore c’era stato durante l’agonia di Gesù (Luca 23:44-45).
Per fare un altro esempio, era chiaro a tutti che il Messia dovesse venire da Betlemme (Matteo 2:3-6), ma la profezia non indicava il giorno della nascita, né l’indirizzo preciso; ci fu allora il paradosso degli analizzatori di profezie che avevano capito bene le indicazioni della Parola di Dio e speravano di vederne la realizzazione, ma non furono loro ad accorgersi che il Messia era nato, bensì due categorie ritenute inadatte, ma aperte a ricevere una rivelazione particolare da Dio: cioè i Magi, che nemmeno appartenevano al popolo d’Israele, ed i pastori, costretti dalla loro professione ad una sorta di isolamento sociale e a non aver dimestichezza col leggere (Matteo 2:1-12; Luca 2:8-18).
Erode pure credette alla realizzazione della profezia, ma nemmeno lui potette giovarsene perché non la amava (Matteo 2:3,16). Siccome poi Gesù andò ad abitare lontano da Betlemme, cioè a Nazaret di Galilea (Matteo 2:23), chi gli era contrario argomentò che non poteva essere il Messia, perché «dalla Galilea non sorge profeta» (Giovanni 7:41-52). Insomma, anche quando l’interpretazione di una profezia è chiara, non è detto che ne sia facile l’applicazione. La Parola di Dio non ci è stata data per poter fare a meno di Dio, né possiamo capire le profezie e giovarcene col solo uso della ragione, cioè senza metterci in sintonia con lo Spirito di Dio.
Per non dilungarci, concludiamo questo paragrafo con due argomentazioni: una pro e l’altra contro l’efficacia delle profezie dell’Antico Testamento. Sono pochi oggi gli Ebrei che attendono da un momento all’altro la venuta del Messia, mentre al tempo di Cristo l’attesa era generalizzata (Matteo 2:3-5; 3:1-12; Luca 2:25-38; Giovanni 10:24; Atti 5:36-37) e ciò significa che le profezie dell’Antico Testamento avevano effettivamente fatto capire che il Messia sarebbe arrivato in quel periodo (per esempio, Daniele 9:24-27). Il fatto veramente incomprensibile e inaccettabile per tutti fu che il Messia dovesse essere crocifisso; negli stessi apostoli ciò produceva una grande confusione che nessuna profezia poté rischiarare, nemmeno quando era stato Gesù stesso a ripetergli più volte che sarebbe dovuto morire e poi risorgere (Luca 9:22,44-45; 10:31-34). Prima e dopo quei tre giorni di Gesù nella tomba, però, folle di Ebrei riconobbero in lui il Messia promesso e proprio sulla base dell’Antico Testamento (Giovanni 1:45; 5:39-47; 7:31,40; 8:30; 12:12-19; Atti 2:41; 4:4; 13:42-43; 28:23-24), mostrando che le profezie sul Messia furono ritenute da molti come così sicure da metterci in gioco la propria vita.
Quelle stesse profezie e quegli stessi fatti che erano per alcuni convincenti, per altri non lo erano assolutamente (Luca 19:36-39; Giovanni 5:15-16; 6:66-69; 7:12,40-43; 9:16; 10:19-20; 11:45-46). Agli apostoli, a Natanaele ed alla Samaritana, bastò poco per capire subito che Gesù era il Messia (Giovanni 1:34-49; 4:29,42). Invece il gran sapiente Nicodemo maturò lentamente quella convinzione (Giovanni 3:9; 7:50; 17:39), mentre la maggior parte della classe dirigente, come molti del popolo, ritennero che Gesù ed i suoi seguaci fossero qualcosa di assolutamente contrario a ciò che è scritto nell’Antico Testamento (Giovanni 5:18; 8:58-59; 10:30-33; Atti 4:16-18; 5:17-18; 7:57-58; 8:1; 12:1-3).
Da tutto ciò si può concludere che nell’Antico Testamento non c’erano profezie incontrovertibili, cioè che potessero convincere tutti. Parallelamente, non ci fu alcun miracolo in grado di far accettare Gesù da tutti. La moltiplicazione dei pani sembrò produrre un’adesione generalizzata, ma si trattò di un fenomeno superficiale e perciò di poca durata (Giovanni 6:26,66); mentre la risurrezione di un Lazzaro già in decomposizione, proprio perché fu convincente per molti, innescò in altri la decisione finale di uccidere Gesù! (Giovanni 11:45-53).
Prima di cercare, all’esterno di noi, profezie adempiutesi senza dubbio, bisogna che la Parola di Dio ci illumini all’interno: solo dopo che abbiamo confessato a Dio ciò che veramente siamo, solo dopo che ci sentiamo da lui accolti, i nostri occhi potranno vedere meglio le profezie. Altrimenti il nostro interiore confuso e distorto ci farà vedere tutto in modo confuso e distorto.
Dio ha scritto la sua Parola in modo che sia comprensibile a quelli che con il loro spirito si mettono in sintonia col suo Spirito (Daniele 12:10; Matteo 13:10-12; 2Corinzi 2:15-16). Chi crede, vede che in ogni pagina della Bibbia ci sono indicazioni per i giorni che vive, perciò considera in qualche modo profetica tutta la Bibbia. Per chi non è in sintonia spirituale con Dio, invece, ogni sua parola viene capita al contrario: avvenne ad Adamo ed Eva dopo aver peccato, avvenne poi anche a Caino (Genesi 3:1-19; 4:1-9) e nei tanti altri casi verificatisi in seguito.
Per le profezie, allora, succede come per l’esistenza di Dio. C’è chi guarda l’orizzonte e riflette: «Qualcuno dice che Dio esiste, ma chi l’ha veramente visto?». Poco più in là un altro guarda lo stesso orizzonte e riflette: «Ovunque lo sguardo giro, o immenso Dio ti vedo». Un’esperienza simile viene fatta quando un credente racconta quelli che considera senza dubbio come interventi di Dio nella sua vita: certi ascoltatori ne rimangono convinti, mentre per altri si tratta sempre di suggestioni che possono avere altre spiegazioni.
Roberto Carson
00domenica 13 settembre 2009 23:50
7. PROFEZIE DELLA BIBBIA SU “MARIO ROSSI”?

Il tema delle profezie è molto vasto, ma noi ci avviamo a concludere cercando di trarne qualche applicazione utile per il nostro cammino di fede. Nell’Epistola agli Ebrei (10:7) viene riferita a Cristo un’espressione contenuta in un altro Salmo di Davide (40:7-8): «Ecco io vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro. Dio mio desidero fare la tua volontà». Come abbiamo visto, si è disposti ad accettare anche troppo che la vita di Cristo fosse stata profetizzata nell’Antico Testamento (nel «rotolo del libro»), mentre si considera evidente che nella Bibbia non ci sia scritto niente su un qualsiasi Mario Rossi che la sta leggendo. Questo modo di ragionare, però, è tipico della “disincarnazione”, che svuota l’esempio di Gesù, considerato troppo diverso da noi. Davide invece ha riferito quell’espressione in prima battuta per se stesso e tutto il Nuovo Testamento ci invita ad imitare strettamente Gesù: «Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io» (Giovanni 13:15); «Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme» (1Pietro 2:21).
Gesù non vuole essere preso come uno che si esibisce in un circo per essere ammirato, ma come un allenatore sportivo che mostra quegli esercizi affinché siano poi rifatti da chi osserva. Ciò è dimostrato da una straordinaria affermazione di Gesù: «Chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori» (Giovanni 14:12). È un’affermazione che mette in crisi ma che ci fa del bene, perché è uno sprone a sperimentare sempre più la potenza e l’amore del Signore.
Chi disincarna Gesù, si trova poi in imbarazzo anche con l’apostolo Paolo, che aveva la convinzione di seguire Cristo così da vicino da proporsi come un esempio in tutto. Infatti scrive ai Corinzi: «Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo» (1Corinzi 11:1; cfr. anche 1Tessalonicesi 1:6); mentre nella lettera ai Filippesi specifica in modo inequivocabile: «Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele; e il Dio della pace sarà con voi» (Filippesi 4:9). Vogliamo rendere inarrivabile anche l’apostolo Paolo? Oppure scartiamo certe sue scomode affermazioni, dicendo che “non sempre” era ispirato da Dio? Credo che non possiamo giustificarci col dire che Cristo e Paolo facevano cose che noi non potremmo fare per principio. Gesù si è spogliato dei suoi privilegi divini per essere un vero uomo (Filippesi 2:5-8), accettando di usare quegli strumenti che anche noi possiamo usare (la Parola di Dio, la fede, la preghiera e la sottomissione alla volontà di Dio, per esempio). Se la mia fede non sposta le montagne, perciò, non è perché non ho i privilegi di Gesù, ma perché essa è più piccola di un granello di senape (Matteo 17:20).
Tornando a considerare la possibilità che la Bibbia parli anche di un qualsiasi Mario Rossi, devo dire che mi sono accorto presto che nella Parola di Dio c’era scritto di me. È successo leggendo Genesi 3, dove i miei progenitori Adamo ed Eva mostravano lo stesso mio impegno nel cercare scuse, attribuendo gli errori fatti a Dio e agli altri. Anche quando una persona decide di seguire Cristo, tende poi a conservare un po’ quel vizio delle scuse, anche se le traveste “cristianamente”. Comincia allora a dare la colpa delle proprie incoerenze ad un mondo malvagio nel quale dobbiamo pur vivere; oppure incolpa il “Principe di questo mondo” (cioè il Diavolo) che la farebbe da padrone (non accorgendosi del rischio di mettere il Diavolo al posto di Dio!). Se ciò non basta, dà la responsabilità alla propria “carne”, cioè al suo corpo, tranquillizzandosi col fatto che la Bibbia stessa dice che «la carne è debole» (Matteo 26:41; Romani 7:18-23), ma dimenticandosi che subito dopo la stessa Bibbia dice che può e deve essere dominata da uno Spirito forte (Matteo 26:52-54; Romani 8:5-11). Un’altra scusa a portata di mano è la famiglia: viene spontaneo attribuire le nostre difficoltà ed i nostri fallimenti al coniuge o ai genitori!
Anche lo scivolare del popolo di Dio verso il basso è però un pericolo profetizzato, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (ci limitiamo a Deuteronomio 31:29 e Atti 20:29-30) e conferma come ci sia abbondantemente scritto di noi, nella Bibbia. Se sappiamo leggere e se vogliamo vedere, insomma, troviamo sempre nella Bibbia uno specchio che ci mostra ciò che siamo in quel momento. Certo, vedere le nostre macchie non è piacevole, ma Gesù è pieno non solo di verità, ma anche di grazia (Giovanni 1:14) e se non gli nascondiamo le nostre debolezze, saprà trasformarle in forza (1Corinzi 6:11; Giacomo 1:22-25; 1Giovanni 1:8-9). L’impegno di Paolo gli produsse qualche guaio (2Corinzi 11:23-33), ma anche gioie impagabili (2Corinzi 3:1-3; 12:2-4) e lui ne fece un positivo bilancio finale (Filippesi 2:17-18; 2Timoteo 4:6-8). In ogni caso, non credo si possa seguir Cristo in pantofole.
Gesù, essendo senza peccato, evidentemente non meditava le Scritture per scoprire i suoi difetti, ma per esserne edificato. Anche per noi, perciò, la ricerca dovrebbe essere più orientata al positivo (è più facile eliminare il negativo introducendo il positivo, piuttosto che cercando di fare il vuoto). Per esempio, non è difficile trovare un personaggio biblico col quale abbiamo qualche somiglianza, sul lato del carattere o come ruolo fra il popolo di Dio; può essere allora molto incoraggiante constatare che anche la nostra storia presenta via via dei punti di contatto con quanto raccontato nella Bibbia.
Per fare un altro esempio, nella Bibbia è descritta la vita di alcune famiglie e certi aspetti non sarà difficile rintracciarli nella nostra stessa famiglia o in quelle degli amici. Quando siamo nella prova, infine, è di grande incoraggiamento l’esempio di Giobbe, non solo la sua sottomissione, ma anche le sue grida rivolte ad un Dio col quale erano amici e che poi non capisce più, un Dio che non si mostrerà poi offeso e che gli userà di nuovo benevolenza.
In conclusione, se le profezie riguardanti Cristo erano per lo più indirette e se siamo chiamati ad imitarlo, allora è lecito cercare nella Bibbia anche ciò che si adatta a noi: specie se lo Spirito Santo ce ne suggerisce un’applicazione particolare. Cercare se stessi nella Bibbia e cercare di mettere in sé la Bibbia può essere interessante e perfino divertente; se non ci avete ancora provato vi consiglio di cominciare, fiducioso che Dio vi aiuterà a continuare.
.:mErA:.
00lunedì 14 settembre 2009 13:01

I Giudei non potevano obiettivamente capire certe espressioni dei Salmi 16 e 110. In queste situazioni, alcuni avevano l’abitudine di scartare i passi biblici che non capivano


Questa diceria Cristiana non ha nessun fondamento. Gli Ebrei non hano mai scartato i passi di difficile comprensione, e sia nel Talud che negli scritti dei Maestri viene fornita una spiegazione dei Salmi 16 e 110, e alcune di queste interpretazioni risalgono addirittura a prima dell'esilio Babilonese.

Shalom.
Roberto Carson
00mercoledì 16 settembre 2009 23:52
Re:
.:mErA:., 14/09/2009 13.01:


I Giudei non potevano obiettivamente capire certe espressioni dei Salmi 16 e 110. In queste situazioni, alcuni avevano l’abitudine di scartare i passi biblici che non capivano


Questa diceria Cristiana non ha nessun fondamento. Gli Ebrei non hano mai scartato i passi di difficile comprensione, e sia nel Talud che negli scritti dei Maestri viene fornita una spiegazione dei Salmi 16 e 110, e alcune di queste interpretazioni risalgono addirittura a prima dell'esilio Babilonese.

Shalom.



Risposta del Prof. Fernando De Angelis:


Condivido in parte l'obiezione, perché certamente il Talmud non evita alcun passo biblico, anche se l'interpretazione che ne dà non sempre ha la stessa forza di convinzione. Quello che mi sembra esagerato è se si vuol dire che nessun ebreo ha mai schivato alcun passo della Bibbia. La mia argomentazione, poi, non raccoglie una "diceria" ma ho cercato di basarla sul Nuovo Testamento.
Ora, se mi è permesso, farei qualche divagazione. Mi ha fatto molto piacere che la prima domanda mi sia venuta da un ebreo, perché mi considero un cristiano "sionista". Infatti penso che Dio abbia ancora da realizzare molte profezie di benedizione verso gli Ebrei e per mezzo degli Ebrei, perciò guardo con fiducia e simpatia l'attuale Stato d'Israele. Spero poi che l'amico ebreo abbia colto anche qualche argomentazione che i cristiani considerano "filo-ebraica", perché più si considerano chiare le profezie dell'Antico Testamento, più risultano colpevoli quelli che non le hanno accolte.

Fernando De Angelis

.:mErA:.
00giovedì 17 settembre 2009 00:51
Mi dispiace deluderla, Prof. De Angelis, ma non sono un Ebreo.
Tuttavia, pur essendo un pagano di nascita, la mia fede è nell'Ebraismo.

Anche se dal mio precedente messaggio non si comprendeva, devo dire che ho apprezzato il suo testo e la sua evidente onestà.
Sono contento che sia un Cristiano "Sionista", e condivido con lei la speranza che si compiano le profezie sul popolo d'Israele. Che ciò avvenga presto e ai nostri giorni Amèn.

Per conoscere l'atteggiamento ebraico nei confronti della Bibbia è preferibile rifarsi a testi del Giudaismo, non al Nuovo Testamento, che pur essendo un "documento della nostra fede" (come disse il Rabbino Leo Baeck), è comunque una raccolta di testi talvolta molto critici ne confronti dell'Ebraismo dei Perushìm.
Nelle Yeshivot nessun passo della Bibbia viene lasciato perdere o evitato, anzi, ogni singola lettera delle Scritture viene ampiamente commentata e interpretata nei 4 livelli diversi di cui parla lo Zohar.

Shalom.
Roberto Carson
00mercoledì 23 settembre 2009 20:02
Re:
.:mErA:., 17/09/2009 0.51:

Mi dispiace deluderla, Prof. De Angelis, ma non sono un Ebreo.
Tuttavia, pur essendo un pagano di nascita, la mia fede è nell'Ebraismo.

Anche se dal mio precedente messaggio non si comprendeva, devo dire che ho apprezzato il suo testo e la sua evidente onestà.
Sono contento che sia un Cristiano "Sionista", e condivido con lei la speranza che si compiano le profezie sul popolo d'Israele. Che ciò avvenga presto e ai nostri giorni Amèn.

Per conoscere l'atteggiamento ebraico nei confronti della Bibbia è preferibile rifarsi a testi del Giudaismo, non al Nuovo Testamento, che pur essendo un "documento della nostra fede" (come disse il Rabbino Leo Baeck), è comunque una raccolta di testi talvolta molto critici ne confronti dell'Ebraismo dei Perushìm.
Nelle Yeshivot nessun passo della Bibbia viene lasciato perdere o evitato, anzi, ogni singola lettera delle Scritture viene ampiamente commentata e interpretata nei 4 livelli diversi di cui parla lo Zohar.

Shalom.



Risposta del Prof. Fernando De Angelis:

Caro mErA,
la chiamo con lo pseudonimo col quale si firma e che ho appena saputo... non potrebbe sceglierne un altro più ricordabile? Butto là la proposta di “Naaman”.
Le dico subito che non ho alcun interesse per l’ebraismo delle Yeshivot e tantomeno per quello dello Zohar, mentre ne ho molto per il cosiddetto Antico Testamento. Lì per lì non mi interessavano nemmeno i Perushìn, ma quando ho capito che si trattava dei Farisei c’è stato dentro di me tutto un ribollire (non è meglio usare un linguaggio più comune?).
Più di vent’anni fa sono capitato in una certa città e come di solito mi hanno chiesto di predicare. Scelsi come titolo “Fernando il Fariseo” e la volta successiva non mi chiesero di predicare. Abbiamo infatti difficoltà a riconoscere quei difetti che vengono loro attribuiti nel Vangelo e che sono intrecciati con i loro pregi.
I più informati sanno che il contrasto fra Gesù e i Farisei fu aspro perché in fondo avevano anche molte similitudini (viene detto “attrito di vicinanza”) ed è significativo come il Fariseo Paolo indicasse la sua fede cristiana come interna al Fariseismo (“Io sono fariseo, figlio di farisei; ed è a motivo della speranza e della risurrezione dei morti, che son chiamato in giudizio”, Atti 23:6). Certo, dal contesto emerge una certa “scaltrezza” dell’apostolo Paolo, ma la sua argomentazione non sarebbe stata convincente senza una base di verità. Chiudo rapidamente con tre flash.
Se i Giudei, ammaestrati da Mosè e dai profeti, avevano i difetti messi in evidenza dal Vangelo, figuriamoci quali distorsioni si potrebbero rintracciare altrove!
La critica del Nuovo Testamento verso i Giudei è spesso collegata col superamento dell’Antico Testamento, mentre essa è fatta proprio sulla base degli insegnamenti dell’Antico Testamento. Per esempio, la contestazione della rigidità nell’osservanza del sabato, Gesù la basa su citazioni tratte dall’Antico Testamento (Matteo 12:1-7) e dichiarò esplicitamente che non era venuto per abolire la Legge (Matteo 5:17).
Non ho difficoltà a riconoscere tendenze farisaiche in me e nella mia area di appartenenza, ma credo che si possano riscontrare facilmente in ogni ambiente religioso.
Grazie dell’ascolto. Shalom.

Fernando De Angelis



.:mErA:.
00mercoledì 23 settembre 2009 22:11
Rispondo al Prof. De Angelis.

Non pensavo che il mio pseudonimo, che è senza dubbio pessimo, potesse dare dei problemi.
Comunque le Yeshivot non sono altro che le scuole rabbiniche in cui fin dai tempi antichi si studiava il cosiddetto Antico Testamento, che a lei interessa molto.
Mi scuso per aver utilizzato il termine poco conosciuto "Perushim", ma la Chiesa ha caricato la parola "Farisei" di troppi significati negativi, per cui credo che l'originale Ebraico faccia più effetto.

La critica di Gesù ai Farisei dovrebbe essere letta alla luce del Talmud e degli scritti rabbinici. In questi ultimi si possono trovare parole ed insegnamenti praticamente identici a quelli del Nazareno e fondamentalmente diversi dallo "sterile legalismo" che secondo i Vangeli caratterizzava il Giudaismo Farisiaco.

Tornando all'argoento "profezie", nel Cristianesimo si crede generalmente che prima della venuta di Cristo gli Ebrei non capissero nulla di Melchisedek e delle predizioni Messianiche.
In realtà tutte le parole dei Profeti erano comprese e interpretate dai Maestri del Giudaismo, e persino Melchisedek, che nel suo articolo è descritto come una figura misteriosa, aveva per i Farisei un'identità ben nota e fin troppo chiara.
Shalom.
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