Sulla strada di Emmaus

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Roberto Carson
00mercoledì 29 luglio 2009 10:34
Dal nostro corrispondente dall'Australia, il Dott. Umberto Polizzi.
Riceviamo e pubblichiamo.

Un tragitto, una strada pietrosa che da Gerusalemme conduce ad Emmaus era ora percorsa da due discepoli del Messia. Apparivano confusi e scoraggiati. Sembrava loro di precipitare in un abisso senza speranza. Avevano vissuto la “tragedia” di un fatto sconvolgente che li aveva fatti precipitare nel pieno sconforto! Non capiscono come mai la tomba del Cristo, il Messia, era vuota, né credettero a ciò che avevano riferito le donne. Era in quella stessa domenica, che Cleopa e un altro discepolo percorrevano quel tragitto da Gerusalemme a Emmaus a circa undici chilometri di distanza.

Per strada, mentre ragionavano sugli avvenimenti del giorno, uno sconosciuto si unì a loro e chiese: “Che sono queste cose su cui dibattete fra voi mentre camminate?”
I discepoli si fermarono, con le facce tristi, e Cleopa risponse: “Dimori per tuo conto a Gerusalemme come forestiero e non sai le cose che vi sono accadute in questi giorni?”
“Quali cose?”- chiese lo sconosciuto.
“Le cose relative a Gesù il Nazareno”, risposero i due. “I nostri capi sacerdoti e i nostri governanti lo hanno consegnato alla sentenza di morte e lo hanno messo al palo. Ma noi speravamo che quest’uomo fosse colui che è destinato a liberare Israele”.
Cleopa e il suo compagno spiegarono gli sconcertanti avvenimenti del giorno, la notizia della visione soprannaturale di angeli e della tomba vuota, ma poi confessarono di essere perplessi riguardo al significato di queste cose. Lo sconosciuto li rimproverò dicendo:
“O insensati e tardi di cuore a credere tutte le cose pronunciate dai profeti! Non era necessario che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse nella sua gloria?”
Poi interpretò loro brani del testo sacro che si riferiscono al Cristo.
Infine i tre giunsero nei pressi di Emmaus, e lo sconosciuto fa come se viaggiasse oltre. Desiderosi di ascoltarlo ancora, i discepoli lo esortarono dicendo: “Rimani con noi, perché si avvicina la sera e il giorno è già declinato”. Egli rimase quindi a mangiare con loro. Quando lo sconosciuto pronunciò una preghiera e spezzò il pane e lo porse loro, essi capirono che in effetti era Gesù in un corpo umano materializzato. A questo punto, però, egli scomparve.
Ecco come mai lo sconosciuto sapeva tante cose! “Non ardeva il nostro cuore”, si chiesoro i due discepoli, “mentre egli ci parlava per la strada, quando ci apriva pienamente le Scritture?” Senza esitare, i due si alzarono e tornarono subito a Gerusalemme dove trovarono gli apostoli e quelli che si erano radunati con loro. Prima che Cleopa e il suo compagno potessero dire qualsiasi cosa, gli altri riferirono eccitati: “Di certo il Signore è stato destato ed è apparso a Simone!” Poi i due raccontarono come Gesù era apparso anche a loro. Salirono così a quattro le volte che Gesù apparve a discepoli diversi nell’arco della giornata.

Il tragitto di chi cade da un’altura possiamo definirlo il sentiero della tragedia!
L’annaspare convulso delle braccia e delle gambe in cerca di un provvidenziale ma disperato appiglio di uno che cade nel vuoto, racchiude, in quei gesti, un dramma inespresso con le parole, ma maggiormente più evidente dai quei movimenti disperati.
Capita, nei sentieri impervi della vita, provare simili sensazioni. Ma quei due discepoli di Cristo, che confabulavamo sulla via che li avrebbe portati a Emmaus cercavano di ritrovare una dimensione di equilibrio perduta da un tragico evento.
( Vicenda narrata nel vangelo di Luca cap. 24 versi da 13 a 50)
Dimensione tragica creata da un immaginario che traeva le sue radici nell’insita aspirazione dell’uomo terreno che si prospetta in un progetto infinito di vita eterna.
“ Dio ha fatto ogni cosa bella a suo tempo; egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità…” Ecclesiaste 3: 11 (Bibbia- Ricciotti -catt.).
Era stato fugato dai loro cuori il concetto dell’eternità. Il Messia, da costoro tanto amato e da altri tanto odiato, era giunto ad un suo primo epilogo; epilogo di tragedia terrena annunciata da testimonianze antiche di secoli. Il profeta Isaia ne tracciò la sua vita terrena e ne fece una lunga trattazione profetica. Parla, il profeta, della imprevedibile potenza (braccio) di Dio che si manifesta nella morte apparentemente ignominiosa del Messia.
Leggo Isaia cap. 53 versi da 3 a 12 Bibbia S. Garofalo:
“ 3 Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, familiare con il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, disprezzato, così che non l’abbiamo stimato.
4 Pertanto egli ha portato i nostri affanni, egli si è addossato i nostri dolori e noi lo abbiamo ritenuto come un castigato, percosso da Dio e umiliato.
5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il nostro castigo salutare si abbattè su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
6 Noi tutti vagavano smarriti come un gregge, ognuno di noi seguiva la propria strada; Jahve ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
7 Maltrattato, si è umiliato, non ha aperto la bocca come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, non ha aperto la bocca. .
8 Attraverso il tormento e il giudizio fu strappato via: chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu tolto dalla terra dei vivi, per l’iniquità del mio popolo fu percorso a morte.
9 Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né si fosse trovato inganno nella sua bocca.
10 Ma a Jahve è piaciuto prostrarlo con dolori, poiché offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza longeva, la volontà di Jahve si effettuerà per mezzo suo.
11 Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquietà.
12 Pertanto io gli darò in premio la moltitudine, dei potenti egli farà bottino, perché si è offerto da sé alla morte e perché fu computato fra gli empi. Egli portò il peccato di molti, per gli scellerati intercedette.”-
La fine ingloriosa su di un palo di Colui che aveva posto nei suoi discepoli la speranza di vita eterna, ora poneva loro dei forti interrogativi per cui la fede dei suoi discepoli vacillava in un grande dilemma: “Era o non era il vero Messia?” É la Fede che crea la speranza.
L’apostolo Paolo di Tarso definisce la ‘ ‘fede’ come una sicura aspettazione di cose sperate benché non vedute…’ - Ora erano senza più la ‘speranza’ quella che un tempo era stata sospinta dalla forte fede. Prima di relazionare questo dramma ai nostri tempi è bene entrare nel suo contesto affinché si possa creare la giusta atmosfera e confrontarla con il nostro presente.
“Ora, i discepoli, vivevano una realtà diversa, una realtà di morte concretizzata da quel corpo intriso di sangue aggrumato privo di vita; quel sangue che non avrebbe mai dovuto spargersi perché rappresentava per loro la loro stessa esistenza; esistenza di vita eterna promessa in quei tre anni e mezzo di predicazione e di esaltazione dell’eternità. Il ‘Messia’ era lì, ‘morto’! Il “Redentore promesso” appeso al legno. Erano meditazioni che oscuravano il cuore e sconvolgevano le menti di coloro che erano stati testimoni di quei tragici e luttuosi avvenimenti. I loro progetti si dissolvevano nella delusione; le loro speranze erano conseguentemente appese a quello strumento di supplizio dove vi era quel Corpo con lo squallore della morte”.
“ Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?”. ” Chiese poco tempo prima Gesù ai suoi apostoli “- “Alcuni dicono: è Giovanni il Battista; altri Elia; altri Geremia od uno dei profeti”. Dice loro: “ ma voi, chi dite che io sia?”. Rispose allora Simon Pietro:” Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente”. (Bibbia mons. Garofalo -Matteo cap. 16: 16)
La dimensione della tragedia era incontenibile; erano stati testimoni degli atti di prodigio di quell’Uomo, di quel Figlio di Dio e che ora, con quel grumo di sangue, aveva prodotto in loro la sensazione del vuoto. Le loro menti brancolavano nel frastuono delle grida di coloro che avevano auspicato e poi realizzato quella fine cruenta, la fine di Costui, il Cristo, come un malfattore scelto a un brigante di strada per la condanna a morte con un marchio d’infamia, mentre un vuoto spirituale abissale ancor più profondo di quello prodotto dalla svanita speranza si apriva dinanzi a loro in quella pietrosa strada che conduce a Emmaus.
Di generazione in generazione quel vissuto sulla strada di Emmaus si rinnova in continuazione. Viviamo in un mondo aperto ad ogni tipo di dramma. Ognuno di noi cerca una sua dimensione nello spazio vuoto che lo avvolge con il proporsi una propria identificazione nel grande progetto della Creazione. Siamo attratti dal bello e dalla buona musica, dalla poesia e dai bei tramonti, sappiamo amare e siamo amati, alcuni sono attratti da dogmi fantastici o dal disperato movente della reincarnazione…per un possibile futuro fino a volersi coinvolgere nel tutto, quando poi quel tutto risulta vanità!
La giovinezza è un apostolato gioioso. Il Messia è nei nostri entusiasmi giovanili che ci danno esultanza; ci propongono un futuro eterno perché anche il respiro del giovane infonde entusiasmo agli elementi materiali di cui è composto. E il tempo si svolge inesorabile verso lidi a volte infidi e minacciosi. Con il tempo che trascorre a volte lineare e a volte confuso, cominciamo a perdere la giovanile visione che anima il nostro spirito: lentamente il nostro Messia si affloscia su di un palo e il suo sangue si aggruma. La speranza svanisce e il soggetto che è in noi precipita nel vuoto senso della vanità. É il momento di appellarsi a qualcosa che ci impone riflessione per poi aggrapparsi alla speranza che abbia il sapore della certezza. Abbiamo bisogno di ‘Fede’!
Mentre lo spirito mi rende testimonianza delle cose tristi della vita, l’Uomo della speranza vestito di abiti luminosi mi si affianca in quel mio turbinoso cammino. Costui mi si accosta e cammina con me, ma i miei occhi accecati dalle banalità del mondo con i suoi affanni, sono trattenuti dal riconoscerLo. “ Che sono queste cose su cui si dibatte il tuo spirito?” -mi disse lo sconosciuto. Mi fermai con la faccia triste; i solchi del tempo su di essa erano ora più marcati. Poi, mi rivolsi a Costui e gli risposi:
“ Dimori per tuo conto in questo sistema di cose come forestiero e non sai le cose che vi sono accadute in questi ultimi tempi?” (In paragone a Luca 24: 18)
Non è mai stata un’abitudine di mia moglie quella di tirar fuori il braccio da sotto le coperte verso le sette del mattino e passarmi la sua mano calda e piena di tenerezza sulla mia fronte aggrottata dalle tempestose meditazioni quando ero giunto quasi alla fine di un dialogo con il mio buon Dio.
Vorrei che si considerasse non di un semplice soliloquio, che l’età in cui sto vivendo è quasi d’obbligo, ma di un vero dialogo fatto di angosciose domande, domande simili a quelle che si ponevano quei due viandanti sulla strada che conduce a Emmaus, dove le risposte erano tutte attorno a me, solo che a discernerle dovevo dare fondo alla mia sensibilità e alla mia esperienza costruita da tanti anni nel soffrire.
La sera precedente mi ero soffermato alla televisione dove veniva documentata la storia di sette papi; tanti quanti ne avevo conosciuti nei miei trascorsi anni di vita. Ognuno per proprio conto e per il suo proprio tempo era un ‘Messia’. Speranze di pace e benedizioni ‘Urbi et Orbi’ ma il mondo si inclinava sempre più verso il basso, verso un’ineluttabile disastro.
Moltitudini di persone erano presso la Basilica di S. Pietro a Roma a giubilare l’elezione di questo o di quel sommo pontefice. L’apparizione di questi in tiara e paramenti sacri, genuflessione di miriadi di fedeli, dove, con la mia fantasia, a valle dei tempi ormai così lontani mi portava a vederli sempre più vicini al suolo quasi a scomparire come se fossero inesorabilmente inghiottiti in esso. Le immagini si rinnovavano, poi, per la morte dello stesso pontefice, quasi come quel Messia al palo, con atteggiamenti popolari diversi, ma tutti con la medesima conclusione: sparire nel gran ventre di ‘madre terra’ e creare un gran vuoto nella ‘speranza’. E, l’apice faticosamente raggiunto, innesca un processo di ritorno verso il basso, per poi riiniziare un’ulteriore parabola che si completa con la medesima massa di persone atone e piene di sconforto. “Ora non ci sono più! Tiare, paramenti sacri, bastoni pastorali, sovrani con corone scintillanti di diademi e dittatori impettiti seguiti da alti dignitari quasi da Erode e Pilato, mentre altri erano in atteggiamenti umili, genuflessi al passaggio di costoro.
Cortei di una miriade di povera gente precedute da quelle di grado più elevato, componevano una medesima massa ondeggiante e multicolore che sembrava volesse seguire qualcosa…! Un Messia osannato?- Forse, che in fondo alla storia non appartiene più a nessuno”. Riflessioni senza dubbio crudeli che non mi lasciavano alcun agio e conforto, se non quello della rassegnazione dei senza speranza senza discutere.
“Dio è morto!” Il tema è attuale! ‘Il Messia lo abbiamo visto appeso al legno privo di vita’, dicevano i due viandanti sulla strada di Emmaus. Le televisioni organizzano dibattiti e tutte giungono alla medesima conclusione: “Abbiamo ucciso Dio”! Siamo ora sbigottiti a confabulare sulla provverbiale strada di Emmaus. Se nella forma di libero arbitrio ognuno può ucciderLo o meno, così non avviene in me anche se ciò potrebbe recare impopolarità alla mia immagine ed essere relegato nelle stantie fosse di uomo d’altri tempi e quindi retrogrado, perché il ‘mondo’, il ‘sistema di cose’ nell’attuale globalizzazione, non ha più Dio! Ma io ho fede attraverso le cose create. La Creazione attesta che il mio Messia è vivo! Sì! Nella lettera apostolica di Paolo ai Romani al capitolo 1 e al verso 20 trovo il mio conforto. In essa è scritto:
“Sì, gli attributi invisibili di lui, l’eterna sua potenza e la sua divinità, sin dalla creazione del mondo si possono intuire, con l’applicazione della mente, attraverso le sue opere.” Romani 1:20- Bibbia di mons. S. Garofalo.
Mi domando: Perché ciò che è indiscutibilmente creato da Dio, cioé l’uomo,(e di questo sono fortemente convinto mediante ciò che ho appena accennato della scrittura ai Romani) debba degenerarsi fino alla vecchiaia e alla morte, mentre un semplice scarabocchio su tela o manufatto su marmo o pietra, fragile e precario, prodotto da costui mortale, può sopravvivergli e perpetuarsi quasi in eterno? Perché ciò che è bello e grande deve essere ciclico mentre il suo prodotto, banale e insignificante, debba sopravvivergli? Probabilmente ognuno di noi ha notato, con tristezza, che la vita è breve e che nessuno vuole invecchiare, ammalarsi e morire.
“La vecchiaia non è poi così brutta se si pensa all’eternità” –Maurice Chevalier- I plagiatori messianici ci imbottiscono di eternità, ma anche loro muoiono appesi al ‘palo’ della loro presunzione! Un altro fatto significativo è che alcuni scienziati si propongono di giungere a questo risultato di vita eterna in maniera scientifica in questo nostro tempo. Fra Erode e i Farisei s’insinua ora anche la scienza a uccidere il vero ‘Messia’ Qui appare, questa volta in maniera ingannevole, l’uomo che accosta i due viandanti sconsolati e sfiduciati sulla strada di Emmaus. Costoro sfruttano la ragione per cui molti credono che gli esseri umani dovrebbero poter vivere per sempre per il modo meraviglioso in cui sono stati fatti. Per esempio, il modo in cui siamo stati formati nel grembo materno è strabiliante e miracoloso. Un eminente gerontologo ha scritto:
”Dopo aver compiuto i miracoli che ci portano dal concepimento alla nascita e poi alla maturità sessuale e all’età adulta, la ‘natura’ preferì non ideare quello che parrebbe un meccanismo più elementare per perpetuare quei miracoli”. Considerata la maniera miracolosa in cui siamo fatti, sorge quindi la domanda:” Perché dobbiamo morire?” Altri Messia, altre speranze, altri pali edificati per affiggere tante illusioni. Sembrerebbe che qualcuno si sia proposto di distruggere l’opera di un munifico Creatore e non curarsi affatto d’altro con lo sviarci dalla vera ‘Fede’ che ci dona la speranza certa.
Quella semplice carezza mattutina, attraverso la percezione del mio cervello, mi pervase l’intero corpo dandomi la gioia di ‘esistere’, gustare il vero valore e la ragione di quell’ ‘essere’ scatenando, di conseguenza, domande inquiete e impietose in vista delle ‘rapide’ della banalità della vita umana che conducono inesorabilmente all’oblio eterno.
Sono tutte cose che derivano dalla stupida vanità per cui sono destinate a scomparire. Ognuno di noi, con il ‘libero arbitrio’, può edificarvi sopra la risposta! Oltre a ciò, sentivo un senso inespresso di chi non vuole intendere la drammatica condizione dell’uomo carnale, che conosce il senso della realtà e che cerca segni di un’improbabile salvezza per volersi sottrarre alla tragica impenetrabile realtà della vita con le sue tante difficoltà cercando tracce di una probabile risposta solo nel ‘miracolo’. Le anonime masse multicolori continuano ad ondeggiare ancor oggi fino a quando il tempo concesso loro non giunge beffardo e, come sempre, finiscono inghiottite nel nulla per poi essere dimenticate!
Fra tante espressioni di ‘saggi’ e ‘sapienti’ messianici di questo mondo, facendo visita a un vecchio contadino completamente analfabeta in un letto d’ospedale in attesa della morte per un cancro terminale alla prostata, con serenità e saggezza, tratta da una lunga e vissuta vita tra miserie e sofferenze, disse a un suo nipote:
“Nacqui piangendo; vissi soffrendo; vorrei morire contento, ma mi accorgo che vado via come un lume spento. Ma se un giorno dovessi tornare e, questa vita dovrei rifare… polvere sono e polvere vorrei restare.”
(Giuseppe Russo anni 88 morì una settimana dopo questa sua riflessione della sua lunga ma travagliata esistenza).
Queste sono le mie solite “bollicine di sapone” e… fuochi d’artificio, belle al loro apparire e immediatamente dopo a… finire, lasciando il buio e il vuoto dietro di loro.
“…a pensar come tutto al mondo passa, e quasi orma non lascia…”- Leopardi.
Alla vanità dell’illusione e della speranza non poniamo alcun limite.
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