00 11/07/2009 20:05
La soluzione al problema della origine della vita non è certo raggiungibile adagiandosi su di un testo arcaico e ridicolizzando le pretese (e le speranze) della scienza di capire gradualmente ciò che c’è da ancora capire.
Nel coso degli anni ho avuto l’accortezza di comperare e leggere, prima di intervenire in qualunque dibattito, innumerevoli libri di religione e sulla religione, soprattutto libri scritti da religiosi e teologi.
Una delle cose che più mi ha interessato in queste letture è capire come in passato venivano controbattute ipotesi scientifiche che oggi neanche la stessa chiesa rifiuta più. Faccio un esempio banale: la natura e le proprietà dell’anima, ivi incluse il ragionamento e la memoria, che nessun teologo ha accettato fino a pochi decenni fa come dipendenti dalla materia, fino al giorno in cui nessuno ha potuto più controbattere le evidenze scientifiche.
Lo stesso problema si è posto con la genetica, ed oggi si pone con l’evoluzionismo.
Non è certo argomentanto ‘razionalmente’ che si può sconfiggere l’ipotesi evoluzionistica, ma solo con i fatti ed i dati concreti.
Certo è, tanto per cominciare, che la scienza ha sempre saputo trovare la spiegazione ‘materiale’ di cose che la religione ha ostinatamente definito eccedenti le proprietà della materia; per i teologi il pensiero e la memoria non potevano essere il prodotto del cervello, allo steso modo di come la bile è il prodotto del fegato (questo è un classico paragone apologetico).
Ma le cose non stanno così, ed oggi nessun prete si appella più al vecchio ritornello.
Cosa c’entra questo con l’evoluzionismo? C’entra nel senso che non basta dire che il gioco delle probabilità è contro l’ipotesi della generazione spontanea della vita, occorre una dimostrazione contraria della sua impossibilità, che non c’è. Come sostiene Dawkins (vedasi: L’orologiaio cieco) l’ipotesi che la vita sia cominciata con una reazione casuale non è neanche quantificabile: purtuttavia tutto ciò è avvenuto una volta e questo è bastato ad innescare quella serie di eventi che avrebbero portato alla’vita’; eventi che non partono da una reazione ‘biotica’ o ’vitale’ in ambiente ‘prebiotico’, ma da un livello fisico-chimico più elementare. I miei interlocutori sapranno bene che fino a metà dell’Ottocento si riteneva esistesse in chimica un limite invalicabile fra l’inorganico e l’organico; poi questo limite fu abbattuto con la sintesi in laboratorio dell’urea, che non aveva bisogno per essere prodotta di un ambiente ‘biotico’, nonostante la sua presunta natura ‘vitale’.
La vita non è nata con degli organismi, ma con ‘oggetti’ ben diversi; aggregati di sabbie, piccole molecole aggregatesi in complessi plurimolecolari, e così via, fino alla acquisizione della capacità di ‘moltipicarsi’ come strutture ben definite (Dawkins dimostra che ciò è valido anche per le sabbie).

Le teorie scientifiche (a differenza di quelle teologico-razionali) non nascono dal sentimento, ma cercano di collegare e spiegare le evidenze. Le varie tappe ‘evolutive’ (gli approfondimenti) della teoria dell’evoluzione non sono tentativi maldestri di salvare una costruzione preconcetta. Ogni nuova ‘fase’ della teoria fa salvo quanto finora vi è di solido e riformula quanto non collima più con i dati osservazionali; è aperta a qualunque correzione, senza alcun preconcetto (salvo magari quelli personali di qualche studioso).
Catalano sostiene che la teoria dell’evoluzione ”non è falsificabile in quanto ogni futuro esperimento o scoperta essendo organica, a priori, a questa teoria, non consente ad uno sperimentatore neutrale di giudicare tra essa teoria ed una teoria rivale”. Si tratta di una accusa a mio avviso senza fondamento. A tutt’oggi non esiste nessuna teoria scientifica alternativa; né il creazionismo può essere ritenuto ‘teoria alternativa’, in quanto i suoi assunti non consentono in alcun modo di spiegare i fatti biologici.
Contrariamente a quanto obiettato, la teoria dell’evoluzionismo è assolutamente falsificabile; lo dimostra appieno il fatto che sia stata più volte modificata e migliorata in alcuni suoi aspetti; non altrettanto falsificabile è invece il creazionismo.
Certamente “Darwin riteneva che i fossili mancanti si sarebbero trovati in futuro”. Si è sbagliato? Non direi. Pensava a ciò con l’intelligenza del suo tempo. Non poteva prevedere il futuro!
Infatti i fossili si sono trovati, e sono fossili viventi. I fossili che Darwin non poteva minimamente immaginare sono le sequenze di DNA, presenti in tutti i viventi, che hanno consentito finora la costruzione di un abbastanza minuzioso albero genealogico che parte dal cosiddetto LUCA (l’antenato comune ancestrale di tutti i viventi) ed arriva fino a noi. Resta da definire come si è arrivati a LUCA, ma anche qui sembra solo questione di tempo.
Lo studio del DNA rende pressoché inutile, in termini interpretativi generali, la ricerca dei fossili intermedi, che al più sarà un giorno (quando ne avvenisse il ritrovamento) solo ‘confermativa’ della teoria attuale.
Le ‘testimonianza di una transizione macroevolutiva’ probabilmente già esistono. Oggi sappiamo infatti che piccole variazioni di un singolo gene hanno effetti pleiotropi, ovvero su molti organi e tessuti, un poco come succede nella matematica dei frattali, dove cambiare solo una cifra porta a forme assolutamente diverse dall’originale.
Il guaio è che ci ostiniamo a cercare macrodifferenze in organismi molto differenziati, mentre invece queste macrodifferenze probabilmente si sono generato ben prima nella catena evolutiva, in organismi molto meno differenziati ma già con un ricchissimo patrimonio genetico comune al nostro (e predecessore del nostro).

Il discorso sugli organi vestigiali, non può essere affrontato su di una base così semplicistica. Innanzitutto è opportuno ribadire che l’uomo non è l’evoluzione della scimmia, ma piuttosto la scimmia e l’uomo hanno una origine comune, il che è ben diverso.
Gli organi vestigiali nell’uomo sono molti di più di quelli citati: il cervello è pieno di formazioni che sono molto più sviluppate ed attive nei pesci o in altri mammiferi (ad esempio quelle del bulbo olfattivo, o altre parti dell’archiencefalo). Nell’uomo è presente anche una coda rudimentale, e le anomalie di sviluppo embrionale possono produrre strutture somiglianti a quelle di altri animali (ad esempio la fusione dei due tratti escretori di urine e feci che da luogo alla ‘cloaca’). Se tutto questo avviene in fisiologia ed in patologia è proprio perché certi piani di sviluppo del corpo sono comuni ad uomo ed animali, o possono riemergere in conduzioni patologiche (cosa che non sarebbe possibile se uomo ed aninali avessero statuto ‘ontologico’ diverso ed incompatibile).
In ogni casi non è affatto vero che l’appendice non serve a nulla, in quanto essa è una delle strutture del sistema immunitario presenti nell’intestino, non indispensabili ad una vita normale, ma non per questo privi di una qualche funzione.

Sostiene ancora Catalano: “Certo su alcune questioni è legittimo sperare nell’accrescimento del sapere scientifico per accertare la verità; ma questa speranza è estensibile proprio a tutti gli argomenti?”
Ecco un’altra argomentazione ‘logico-razionale’ che non porta da nessuna parte. Posso portare la prova di centinaia di testi in cui questa frase era utilizzata in altri ambiti: dalla struttura dell’universo, alla generazione dei viventi, alle attività dell’anima, e così via). Affermazione seccamente smentita dall’incremento delle conoscenze scientifiche. Chi avrebbe mai potuto pensare che l’uomo sarebbe andato sulla luna, che avrebbe generato dei viventi in provetta?
Ancora Catalano: “se invece fosse letteralmente e razionalmente impossibile trovare una spiegazione scientifica a certi fenomeni, in primis quello dell’origine della vita, perché gli algoritmi pongono dei limiti alla nostra conoscenza? Il fatto che si brancoli nel buio per l’abiogenesi da che cosa dipende?”. Altra affermazione preconcetta. Per quello che riguarda l’abiogenesi, oggi ne sappiamo sicuramente molto più di una volta. Il problema è di prospettiva: qualcuno vorrebbe forse vedere direttamente prodotta in vitro una cellula vivente. Ma la vita comincia molto prima: anche un virus, pur essendo una forma vivente sui generis, è già fin troppo complesso per essere posto al limite della abiogenesi. Lo stesso un fago, che è semplice porzione di un virus. Occorre andare molto più in là; ma non è vero che la scienza non sia stata capace fino ad oggi di capire. Manca il risultato definitivo? E’ solo una questione di tempo.

Catalano: “quando affrontiamo la questione dell’origine della vita allora l’evoluzionista cambia atteggiamento e dice: no, se la probabilità non è matematicamente zero allora l’evento è potuto accadere. Hai ragione sul piano squisitamente matematico, ma a questo punto ti chiedo : se il mio è un atto di fede nel Creatore, il tuo cos’è? non è forse un atto di fede ancora più assoluta nel Dio-Caso?”.
Ne ho già scritto prima, l’evento pressoché improbabile è potuto accadere proprio perché comunque poteva accadere. Ma quale è l’alternativa? Quella suggerita dalla fantasia di qualche poeta o scriba, che nulla prova ma nega tutto il resto?

Secondo l’immagine scientifica della natura il mondo è molto più complesso di quanto profanamente si immagini. Faccio un banale esempio: nelle cellule umane esistono degli organelli chiamati mitocontri che provvedono alle reazioni di ricambio energetico. Sono parte di noi stessi, ma in realtà sostanzialmente non ci appartengono, giacchè non li genera il nostro DNA. Si tratta infatti di veri e propri batteri che il nostro organismo ha incorporato. Sapete spiegarmi qual è il limite fra queste due creature (l’uomo ed il batterio) che per il creazionismo dovrebbero essere assolutamente separate ontogeneticamente e fisicamente? E che dire dei tanti virus (o dei tanti pezzi di virus) incorporati nel nostro patrimonio genetico, parte di noi stessi eppure simbionti?

f. d’alpa