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Testimoni di Geova: Storia, Sociologia, Teologia

La Trinità

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    ortodox
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    00 02/07/2009 00:22
    Re: Re: Re: Re:
    (SimonLeBon), 01/07/2009 21.15:


    Effettivamente mi riferivo a grammatiche di greco del NT. Le due che ho consultato dicono entrambe, in sintesi, che "the present participle usually indicates that the action signified by the participle is contemporary with the time of the main verb of the sentence, whether that time is past, present or future".
    Non vedo nè intravvedo l'idea di continuità che gli vorresti dare tu.



    La grammatica infatti era giusta. Eri tu che l'avevi intesa male, senza offesa. Come capisci da te stesso l'azione indicata dal participio è contemporanea non a quando Giovanni scrive ma al tempo del verbo principale. Il tempo di cui si parla, infatti, è quello in cui Gesù "ha fatto conoscere Dio". L'azione riferita dal participio (cioè "l'essere nel seno del Padre") è dunque contemporanea al tempo di ἐξηγήσατο (aoristo, "rivelò"). Come vedi risulta ancora più chiaro che Gesù, pur essendo nel seno del Padre, lo ha rivelato mentre si era manifestato nella carne. A dire il vero è un po' più complesso di così, la sfumatura del greco è molto più marcata. Ma se non conosci il greco non so come fartela apprezzare, mi dispiace.



    Non vedo come conciliare le due cose. Dunque quali termini filosofici utilizzo' Giovanni, a parte il "logos" del prologo.



    I verbo "essere" e "divenire" sono comunissimi in Platone (ad esempio nel Timeo) e Aristotele e giù a scendere in tutta la filosofia greca fino al neoplatonismo. Basta leggere qualche testo e la cosa salta subito agli occhi. Inoltre la struttura metrica dell'Inno si richiama ai celebri Inni Omerici in onore del DIo. Qui si parla invece del Logos. Anche gli Inni Omerici sono facilmente reperibili.



    Beh, come detto, o si rifaceva all'AT oppure alla filosofia greca classica. Mi parrebbe davvero paradossale sostenere che anche l'AT si rifacesse anch'esso alla filosofia greca.
    Ma per non divagare, mi sembra un po' esagerato imperniare la propria lettura attorno alle forme del "semplice" verbo essere.
    Il "vino nuovo", nel caso ci fosse, richiederebbe una spiegazione nuova e dettagliata. Quel che tu ipotizzi è una rivoluzione copernicana rispetto alla mentalità ebraica tradizionale e anche rispetto all'AT stesso.
    Questa spiegazione manca in toto nella Scrittura.



    Perchè? Non poteva rifarsi a tutte e due le cose? Quello che ho detto è che stava riferendo cose nuove (l'incarnazione del Logos) partendo dal VT e usando un linguaggio nuovo (il greco). Non ci vedo alcuna contraddizione. Del resto l'incarnazione del Logos non è cosa che si trovi agevolmente nel VT. La rivoluzione copernicana mi sembra l'abbia fatta proprio Giovanni (e Gesù).

    Saluti
    ortodox


    Simon




    [Modificato da ortodox 02/07/2009 00:23]
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    barnabino
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    00 02/07/2009 11:28
    Forse dobbiamo intendere cosa intendeva dire Giovanni, un ebreo che parlava a proseliti ebrei, quando parlava di essere nel "seno del padre" invece di disquisire troppo in dettaglio sui tempi dei verbi, cosa di per sé sempre un pò controversa.

    Essere nel seno di qualcuno di per sé non indica un'unità ontologica, ma solo un'intimità molto stretta, non necessariamente di tipo "spaziale". Voglio dire, un ebreo che per secoli identificava il Padre con Geova, a nessuno comparabile, difficilmente poteva percepire quell'espressione come identità ontologica tra Dio (ho theos) e un'altro essere. Poteva già essere difficile accettare l'idea di un essere che è divenuto uomo, e che è stato vicino all'impurità, potesse avere un certo grad di "intimità" con Dio. E d'altronde il seguito è chiaro: Giovanni non pretende che Dio fosse venuto sulla terra, dice piuttosto che il Logos lo ha "spiegato" ce lo ha "raccontato".

    In pratica Giovanni ci dice che Gesù anche sulla terra, anche nella sua condizione più umiliante, non perse quella sua intima relazione cha aveva con il Padre.

    Shalom
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    ortodox
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    00 02/07/2009 23:05
    Re:
    barnabino, 02/07/2009 11.28:

    Forse dobbiamo intendere cosa intendeva dire Giovanni, un ebreo che parlava a proseliti ebrei, quando parlava di essere nel "seno del padre" invece di disquisire troppo in dettaglio sui tempi dei verbi, cosa di per sé sempre un pò controversa.



    Caro barnabino, Giovanni era sì un ebreo ma scriveva in greco per cristiani di lingua e cultura greca. E non greci qualunque, oltretutto. Come ben sai Giovanni scrisse il suo Vangelo a Efeso, probabilmente per i cristiani di quella comunità. Se provassi a riflettere su questo, ti renderesti conto di molte cose, soprattutto in relazione al suo modo peculiare di usare il greco.



    Essere nel seno di qualcuno di per sé non indica un'unità ontologica, ma solo un'intimità molto stretta, non necessariamente di tipo "spaziale".



    Infatti non è di tipo spaziale, Dio non è "spaziale" come non è "temporale". La comunione col Padre avviene nella dimensione dell'eternità in cui il Verbo permane eternamente nel seno del Padre qualunque cosa esso sia ( e che comunque per noi rimane inconoscibile).



    Voglio dire, un ebreo che per secoli identificava il Padre con Geova, a nessuno comparabile, difficilmente poteva percepire quell'espressione come identità ontologica tra Dio (ho theos) e un'altro essere. Poteva già essere difficile accettare l'idea di un essere che è divenuto uomo, e che è stato vicino all'impurità, potesse avere un certo grad di "intimità" con Dio. E d'altronde il seguito è chiaro: Giovanni non pretende che Dio fosse venuto sulla terra, dice piuttosto che il Logos lo ha "spiegato" ce lo ha "raccontato".



    Ma per un greco era invece semplicissimo capire questi concetti, soprattutto nel modo e con il linguaggio usati da Giovanni. E come ti dicevo, è proprio ai greci che il Vangelo si rivolge.



    In pratica Giovanni ci dice che Gesù anche sulla terra, anche nella sua condizione più umiliante, non perse quella sua intima relazione cha aveva con il Padre.



    Concordo pienamente.
    Saluti
    ortodox

    [Modificato da ortodox 02/07/2009 23:06]
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    (SimonLeBon)
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    00 02/07/2009 23:44
    Re:
    Buonasera,

    Ortodox:

    La grammatica infatti era giusta. Eri tu che l'avevi intesa male, senza offesa. Come capisci da te stesso l'azione indicata dal participio è contemporanea non a quando Giovanni scrive ma al tempo del verbo principale. Il tempo di cui si parla, infatti, è quello in cui Gesù "ha fatto conoscere Dio". L'azione riferita dal participio (cioè "l'essere nel seno del Padre") è dunque contemporanea al tempo di ἐξηγήσατο (aoristo, "rivelò"). Come vedi risulta ancora più chiaro che Gesù, pur essendo nel seno del Padre, lo ha rivelato mentre si era manifestato nella carne. A dire il vero è un po' più complesso di così, la sfumatura del greco è molto più marcata. Ma se non conosci il greco non so come fartela apprezzare, mi dispiace.



    A dire il vero ti avevo chiesto di portarmi esempi di questo tipo di costruzione che sosterrebbero la tua tesi della continuità temporale.
    Di per sè infatti andrebbe tradotto "che era", ma di fatto praticamente ogni traduzione che ho consultato ha scelto il presente.
    Evidentemente Girolamo è in buona compagnia.
    Ad ogni modo sto' cercando io stesso alcuni costrutti simili, per verificare la tua affermazione.


    Ortodox:

    I verbo "essere" e "divenire" sono comunissimi in Platone (ad esempio nel Timeo) e Aristotele e giù a scendere in tutta la filosofia greca fino al neoplatonismo. Basta leggere qualche testo e la cosa salta subito agli occhi. Inoltre la struttura metrica dell'Inno si richiama ai celebri Inni Omerici in onore del DIo. Qui si parla invece del Logos. Anche gli Inni Omerici sono facilmente reperibili.



    Beh i "verbi" essere e divenire non sono "termini" in senso stretto.
    Trattandosi del verbo essere, non occorre scomodare la filosofia greca nè Platone: è probabilmente il verbo piu' comune a questo mondo, in qualunque lingue ed in qualunque scritto di ogni tipo!
    Sul "divenire" si puo' forse discutere, anche se non è un termine, ma il tuo argomento mi sembra quantomeno discutibile e soggettivo.

    Ortodox:

    Perchè? Non poteva rifarsi a tutte e due le cose? Quello che ho detto è che stava riferendo cose nuove (l'incarnazione del Logos) partendo dal VT e usando un linguaggio nuovo (il greco).


    Il riferimento a Mosé è praticamente diretto, oltre che logico, altri riferimenti che tu supponi andrebbero evidenziati e non dati per scontati. Il linguaggio invece non era per niente nuovo, visto che la LXX esisteva già a suo tempo da almeno 200 anni.

    Ortodox:

    Non ci vedo alcuna contraddizione. Del resto l'incarnazione del Logos non è cosa che si trovi agevolmente nel VT. La rivoluzione copernicana mi sembra l'abbia fatta proprio Giovanni (e Gesù).



    Noto una differenza fondamentale: l'incarnazione del Logos è esplicita nel discorso di Giovanni, non occorre trarre alcuna deduzione propria o andare per esclusione. E' un'affermazione scritturale molto chiara, ed è il tipo di chiarezza che ci si aspetterebbe per un concetto davvero nuovo.
    L'esistenza parallela e contemporanea di una persona in due forme è invece una deduzione tua, non basata in alcun modo da affermazioni esplicite, bensi' su una tua lettura delle forme verbali del verbo essere.
    Spero che tu le abbia approfondite dovutamente, prima di trarre le tue conclusioni.

    Simon
    [Modificato da (SimonLeBon) 02/07/2009 23:44]
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    ortodox
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    00 03/07/2009 09:45
    Re: Re:
    (SimonLeBon), 02/07/2009 23.44:


    A dire il vero ti avevo chiesto di portarmi esempi di questo tipo di costruzione che sosterrebbero la tua tesi della continuità temporale.
    Di per sè infatti andrebbe tradotto "che era", ma di fatto praticamente ogni traduzione che ho consultato ha scelto il presente.
    Evidentemente Girolamo è in buona compagnia.
    Ad ogni modo sto' cercando io stesso alcuni costrutti simili, per verificare la tua affermazione.



    E a dire il vero te ne avevo portato uno molto significativo, Esodo 3,14 della versione LXX. Il participio del verbo essere compare pari pari come in Giovanni ed ha lo stesso significato di "colui che è", "colui che esiste", senza bisogno di aggiungere altro.



    Beh i "verbi" essere e divenire non sono "termini" in senso stretto.
    Trattandosi del verbo essere, non occorre scomodare la filosofia greca nè Platone: è probabilmente il verbo piu' comune a questo mondo, in qualunque lingue ed in qualunque scritto di ogni tipo!
    Sul "divenire" si puo' forse discutere, anche se non è un termine, ma il tuo argomento mi sembra quantomeno discutibile e soggettivo.



    Che ovvietà! Ma io parlavo dell'uso di questi verbi che viene fatto in Giovanni. Ad esempio l'uso in senso assoluto come in 1,1 ("In principio il Verbo era", senza bisogno di dire "cosa" era!).



    L'esistenza parallela e contemporanea di una persona in due forme è invece una deduzione tua, non basata in alcun modo da affermazioni esplicite, bensi' su una tua lettura delle forme verbali del verbo essere.
    Spero che tu le abbia approfondite dovutamente, prima di trarre le tue conclusioni.



    Se leggessi i miei post avresti già notato che ho sottolineato come questa interpretazione non sia mia ma appartenga alla Tradizione, dai Padri Apologeti in giù, passando per i Cappadoci, gente che conosceva il greco sicuramente meglio di me e di te e che leggeva i testi praticamente come erano scritti senza bisogno di traduzione. Mi pare di tutto rispetto come bibliografia.

    Non mi è chiara invece la tua idea rispetto a questo passo. Mi interesserebbe capire anche il tuo punto di vista.

    Saluti
    ortodox


    [Modificato da ortodox 03/07/2009 09:51]
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    Spener
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    00 03/07/2009 11:12

    questa interpretazione non sia mia ma appartenga alla Tradizione, dai Padri Apologeti in giù



    Caro Ortodox,
    seguo sempre con interesse quanto scrivi. Permettimi però di non concordare con quanto affermi qui sopra. Infatti, come riportato in qualsiasi buon manuale di Patrologia, praticamente tuta la patristica prenicena è affetta da un subordinazionismo che, alla luce del dogma niceno, non può non considerarsi eretico.

    Saluti
    Spener
    --
    Omnia adversus veritatem de ipsa veritate constructa sunt
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    (SimonLeBon)
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    00 03/07/2009 12:42
    Re: Re: Re:
    Buondi'

    SimonLeBon:

    A dire il vero ti avevo chiesto di portarmi esempi di questo tipo di costruzione che sosterrebbero la tua tesi della continuità temporale.
    Di per sè infatti andrebbe tradotto "che era", ma di fatto praticamente ogni traduzione che ho consultato ha scelto il presente.
    Evidentemente Girolamo è in buona compagnia.
    Ad ogni modo sto' cercando io stesso alcuni costrutti simili, per verificare la tua affermazione.



    Ortodox:

    E a dire il vero te ne avevo portato uno molto significativo, Esodo 3,14 della versione LXX. Il participio del verbo essere compare pari pari come in Giovanni ed ha lo stesso significato di "colui che è", "colui che esiste", senza bisogno di aggiungere altro.



    Beh, forse non mi ero spiegato bene o forse non mi hai capito. Prima di balzare all'indietro fino all'esodo, se fossi in te mi assicurerei prima di aver capito l'uso che Giovanni stesso fa del participio presente del verbo essere.
    Esodo 3:14 oltretutto, vado a memoria, non riporta nemmeno la stessa costruzione temporale. "Ego eimi ho on" è infatti del tutto al presente e non conterrebbe in alcun modo l'idea di passato.
    Questo è invece l'argomento del nostro discutere.

    SimonLeBon:


    Beh i "verbi" essere e divenire non sono "termini" in senso stretto.
    Trattandosi del verbo essere, non occorre scomodare la filosofia greca nè Platone: è probabilmente il verbo piu' comune a questo mondo, in qualunque lingue ed in qualunque scritto di ogni tipo!
    Sul "divenire" si puo' forse discutere, anche se non è un termine, ma il tuo argomento mi sembra quantomeno discutibile e soggettivo.



    Ortodox:

    Che ovvietà! Ma io parlavo dell'uso di questi verbi che viene fatto in Giovanni. Ad esempio l'uso in senso assoluto come in 1,1 ("In principio il Verbo era", senza bisogno di dire "cosa" era!).



    Non comprendo il tuo problema. Se dico che nel 1987 c'era ancora il mio cane Leo, qualcuno dovrebbe intendere che mi sto' dando alla filosofia platonica?

    SimonLeBon:

    L'esistenza parallela e contemporanea di una persona in due forme è invece una deduzione tua, non basata in alcun modo da affermazioni esplicite, bensi' su una tua lettura delle forme verbali del verbo essere.
    Spero che tu le abbia approfondite dovutamente, prima di trarre le tue conclusioni.



    Ortodox:

    Se leggessi i miei post avresti già notato che ho sottolineato come questa interpretazione non sia mia ma appartenga alla Tradizione, dai Padri Apologeti in giù, passando per i Cappadoci, gente che conosceva il greco sicuramente meglio di me e di te e che leggeva i testi praticamente come erano scritti senza bisogno di traduzione. Mi pare di tutto rispetto come bibliografia.



    Quello che intendevo dire è molto semplici, cioè che il testo (nemmeno quello greco) non lo esplicita in alcun modo.
    Posso prendere nota che la "tradizione" avvio' a posteriori il discorso delle due nature parallele, ma queste idee richiesero centinaio di anni per formarsi e sono essenzialmente etranee all'immediato contesto ebraico.

    Ortodox:

    Non mi è chiara invece la tua idea rispetto a questo passo. Mi interesserebbe capire anche il tuo punto di vista.

    Saluti
    ortodox



    Pensavo di avere già esposto il mio punto di vista.
    Da un lato vedo uno sdoppiamento dei tempi, passato e presente, che corrispondono a due situazioni fisiche diverse.
    Una seconda possibilità è che il discorso sia figurato e che il "seno di Abraamo" rappresenti una posizione di favore presso Dio. In questo caso la consecutio temporum sarebbe praticamente irrilevante.
    Ritengo entrambe queste spiegazioni piu' semplici della tua e come tali, in assenza di altri elementi, anche decisamente preferibili.

    Simon
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    ortodox
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    00 03/07/2009 14:50
    Re:
    Spener, 03/07/2009 11.12:


    questa interpretazione non sia mia ma appartenga alla Tradizione, dai Padri Apologeti in giù



    Caro Ortodox,
    seguo sempre con interesse quanto scrivi. Permettimi però di non concordare con quanto affermi qui sopra. Infatti, come riportato in qualsiasi buon manuale di Patrologia, praticamente tuta la patristica prenicena è affetta da un subordinazionismo che, alla luce del dogma niceno, non può non considerarsi eretico.

    Saluti
    Spener



    Caro Spener, anche per me è un piacere immenso discutere conte perchè hai sempre dimostrato enorme sensibilità, oltre che grande educazione e serietà in ogni discussione che abbiamo avuto.

    Quello che tu ritieni eretico o "non armonico", come scrivi nell'altro forum, credo derivi da un fenomeno che tendi molte volte a non considerare. La Patristica e poi i Concili testimoniano un lungo percorso evolutivo di idee e interpretazioni che ad un certo punto furono sistematizzate e alle quali fu dato un assetto definitivo (questo più o meno è sempre stato il fine ultimo di ogni Concilio). L'esigenza dei Concili nasceva infatti soprattutto dal fatto che le idee centrali della fede cristiana venissero di volta in volta messe in dubbio da eretici vari, quali Ario. Da qui l'esigenza di sistematizzare in modo condiviso da tutti i partecipanti al Concilio, cioè in molti casi dell'intera Chiesa (Concilio Ecumenico).

    Da quanto detto consegue che ci possono essere, e sicuramente ci sono, posizioni diverse fra i Padri lungo i 300 anni preniceni, riguardo a specifiche problematiche quali la preghiera e il modo di pregare. Ma questo disaccordo non c'è mai riguardo alle idee centrali, quali la Trinità, che pur essendo state espresse in modo compiuto a Nicea e Costantinopoli, trovano sempre e comunque il conforto dei Padri che da Giustino in giù si dedicarono all'argomento.

    Detto questo non capisco cosa tu voglia intendere quando parli di subordinazionismo. Ti riferisci alla subordinazione del Figio al Padre? Un esempio forse sarebbe opportuno.

    Saluti
    ortodox

    [Modificato da ortodox 03/07/2009 14:55]
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    ortodox
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    00 03/07/2009 15:11
    Re: Re: Re: Re:
    (SimonLeBon), 03/07/2009 12.42:


    Beh, forse non mi ero spiegato bene o forse non mi hai capito. Prima di balzare all'indietro fino all'esodo, se fossi in te mi assicurerei prima di aver capito l'uso che Giovanni stesso fa del participio presente del verbo essere.
    Esodo 3:14 oltretutto, vado a memoria, non riporta nemmeno la stessa costruzione temporale. "Ego eimi ho on" è infatti del tutto al presente e non conterrebbe in alcun modo l'idea di passato.
    Questo è invece l'argomento del nostro discutere.



    Quello che volevo sottolineare io, invece, è l'uso di Esodo: la traduzione del versetto, infatti, è "io sono l'essente, colui che è" senza aggiungere altro. Non è che Dio sia qualcosa, semplicemente esiste, è, ha vita in sè.

    Ora, il linguaggio di Giovanni (o di chi scrisse l'Inno al Logos) riprende questa falsa riga, utilizzando i verbi dell'essere e del divenire in modo assoluto. "In principio il Logos era". Dice inoltre che "In lui era la Vita". Vedi cosa intendo quando parlo di linguaggio filosofico? Ma forse non hai letto il Timeo o il Protagora. Se lo facessi probabilmente capiresti cosa intendo.

    Ora la forma ὁ ὢν che si trova pari pari in Esodo e in GIovanni deve farci riflettere. A ben guardare, da come Giovanni si esprime, essa potrebbe anche essere tradotta come segue:

    "L'unigenito Dio, colui che è, nel seno del Padre" ( con la virgola prima di "seno")

    individuando in tal modo come l'unigenito "esiste in sè" oltre a stare anche nel seno del Padre. Questa è l'altra sfumatura di cui ti parlavo.

    Se comunque sei interessato ad altri versetti simili specificamente in Giovanni, ne trovi in abbondanza nell'Apocalisse, dove Dio è detto essere.

    ὁ ὢν καὶ ὁ ἦν καὶ ὁ ἐρχόμενος (colui che è, che era e che viene) (Ap. 1,8)

    Nota soprattutto in questo versetto che l'ordine dei tempi non è rispettato (era, è, viene). Prima si dice che Dio è "colui che è" riferendosi alla dimensione dell'eternità. Dio rimane sempre "essente" per sua stessa natura, al di là del tempo. Dopo si specifica "che era e che viene" in relazione alla dimensione temporale umana. Nota inoltre come gli stessi attributi riferiti a Dio in questo versetto, vengono ugualmente riferiti al Logos in altri.

    Spero di averti chiarito a sufficienza.

    Saluti
    ortodox
    [Modificato da ortodox 03/07/2009 15:13]
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    Walter.Simoni
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    00 03/07/2009 15:45
    Re: Re: Re: Re: Re:

    Quello che volevo sottolineare io, invece, è l'uso di Esodo: la traduzione del versetto, infatti, è "io sono l'essente, colui che è" senza aggiungere altro. Non è che Dio sia qualcosa, semplicemente esiste, è, ha vita in sè.



    Non credo proprio che Geova avesse bisogno di confermare la sua esistenza! Nessuno, neanche i demòni, ha mai messo in dubbio l'esistenza dell'Onnipotente! Egli è e sarà... per sempre e da sempre!

    La ragione per cui Dio spiegò a Mosè il significato del suo Nome, è perchè tanto lui quanto il popolo d'Israele che doveva abbandonare il certo per l'incerto, avevano bisogno di sicurezza. Dove e in chi avrebbero trovato la forza e il coraggio di lasciare i cocomeri, l'aglio e le cipolle d'Egitto, per dirigersi lungo il deserto, senza alcuna meta precisa? Chi avrebbe assicurato loro cibo e acqua durante il loro pallegrinare sulle dune infinite del deserto?
    Ecco la ragione per la quale Dio ritenne necessario spiegare loro il significato del suo eccelso nome: GEOVA, ovvero: Eiè aser eiè = Ego eimì = IO SARO' (e non "Io Sono!). Grammaticalmente è: "sarò ciò (o colui) che sarò".
    Mentre la forma verbale corrispondente al greco “ego eimi”, nella nostra grammatica indica il tempo presente, ciò che “io sono” adesso/ora, nella grammatica greca, pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato.
    la traduzione “ego eimi” nella forma passata “ io ero” o “ io sono stato”, è tanto letterale quanto lo è la forma verbale al presente “io sono”. Naturalmente, ciò che determinerà la traduzione nel tempo più appropriato, è il contesto in cui viene usato “ego eimi”.
    Il contesto di Esodo verte per la spiegazione di cui sopra.

    Shalom


    Walter Simoni

    walter.simoni@yahoo.it
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    ortodox
    Post: 309
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    00 03/07/2009 16:25
    Re: Re: Re: Re: Re: Re:
    Walter.Simoni, 03/07/2009 15.45:


    Quello che volevo sottolineare io, invece, è l'uso di Esodo: la traduzione del versetto, infatti, è "io sono l'essente, colui che è" senza aggiungere altro. Non è che Dio sia qualcosa, semplicemente esiste, è, ha vita in sè.



    Non credo proprio che Geova avesse bisogno di confermare la sua esistenza! Nessuno, neanche i demòni, ha mai messo in dubbio l'esistenza dell'Onnipotente! Egli è e sarà... per sempre e da sempre!

    La ragione per cui Dio spiegò a Mosè il significato del suo Nome, è perchè tanto lui quanto il popolo d'Israele che doveva abbandonare il certo per l'incerto, avevano bisogno di sicurezza. Dove e in chi avrebbero trovato la forza e il coraggio di lasciare i cocomeri, l'aglio e le cipolle d'Egitto, per dirigersi lungo il deserto, senza alcuna meta precisa? Chi avrebbe assicurato loro cibo e acqua durante il loro pallegrinare sulle dune infinite del deserto?
    Ecco la ragione per la quale Dio ritenne necessario spiegare loro il significato del suo eccelso nome: GEOVA, ovvero: Eiè aser eiè = Ego eimì = IO SARO' (e non "Io Sono!). Grammaticalmente è: "sarò ciò (o colui) che sarò".
    Mentre la forma verbale corrispondente al greco “ego eimi”, nella nostra grammatica indica il tempo presente, ciò che “io sono” adesso/ora, nella grammatica greca, pur scrivendosi nella forma presente, può voler esprimere anche il tempo passato.
    la traduzione “ego eimi” nella forma passata “ io ero” o “ io sono stato”, è tanto letterale quanto lo è la forma verbale al presente “io sono”. Naturalmente, ciò che determinerà la traduzione nel tempo più appropriato, è il contesto in cui viene usato “ego eimi”.
    Il contesto di Esodo verte per la spiegazione di cui sopra.

    Shalom






    Caro Walter, non so in quale grammatica il presente ἐγὼ εἰμί possa significare "io ero" o "io sarò". In ogni caso io non stavo parlando di ἐγὼ εἰμί ma di ὁ ὢν che compare in Esodo (LXX) e in Giovanni. Oltretutto in Esodo 3,14 Dio non solo "spiega" il suo nome ma lo "rivela" a Mosè per la prima volta. Segno che prima era sconosciuto. Interessante, grazie per il suggerimento.

    Saluti
    ortodox

    [Modificato da Walter.Simoni 05/07/2009 14:18]
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    Spener
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    00 03/07/2009 17:01


    Quello che tu ritieni eretico o "non armonico", come scrivi nell'altro forum, credo derivi da un fenomeno che tendi molte volte a non considerare. La Patristica e poi i Concili testimoniano un lungo percorso evolutivo di idee e interpretazioni che ad un certo punto furono sistematizzate e alle quali fu dato un assetto definitivo (questo più o meno è sempre stato il fine ultimo di ogni Concilio). L'esigenza dei Concili nasceva infatti soprattutto dal fatto che le idee centrali della fede cristiana venissero di volta in volta messe in dubbio da eretici vari, quali Ario. Da qui l'esigenza di sistematizzare in modo condiviso da tutti i partecipanti al Concilio, cioè in molti casi dell'intera Chiesa (Concilio Ecumenico).



    Caro Ortodox,
    quanto affermi offre una visione un po’ “ridotta” degli avvenimenti (l’aggettivo più adeguato con qualsiasi altro interlocutore sarebbe stato “semplicistica” ma sono certo che questo non è il tuo caso).
    Infatti, è vero che la sistematica è una scienza “viva” e che ha sempre caratterizzato il percorso di fede di ogni credente (sono solito affermare che “ciò che non si muove, è semplicemente morto”) ma offrire la visione di un quadro che, alla stessa stregua di un “puzzle”, ha necessitato unicamente della sistematizzazione dei singoli “tasselli”, non corrisponde al quadro storico della cristianità prenicena. Molti di questi “tasselli” semplicemente non fanno parte di quel “quadro” dipinto a Nicea. E non c’è modo di incastrarceli.


    Da quanto detto consegue che ci possono essere, e sicuramente ci sono, posizioni diverse fra i Padri lungo i 300 anni preniceni, riguardo a specifiche problematiche quali la preghiera e il modo di pregare. Ma questo disaccordo non c'è mai riguardo alle idee centrali, quali la Trinità,



    Vedi, io credo vi sia una necessità di spiegarsi sui termini. La Trinità è il dogma definito a Nicea, non prima. Il Padre della Chiesa preniceno che pensava in termini che successivamente sarebbero stati letti in chiave nicena, semplicemente non era trinitario ma ha subito una rilettura in chiave trinitaria.
    Questo tipo di visioni anacronistiche sono un pericolo noto e sentito dagli storici.
    Oltre ciò, non tutti i termini (come dicevo prima) sono passibili di una rilettura: bisogna semplicemente prendere atto che, per alcuni di questi, la loro distanza dal “Dogma” è irriducibile.

    L’esempio di Origene è tipico: egli afferma che non si può pregare il Figlio, ma che le preghiere vanno rivolte solo al Padre.
    Qui c’è poco da sistematizzare. Non è un caso se Origene fu addirittura scomunicato.


    che pur essendo state espresse in modo compiuto a Nicea e Costantinopoli, trovano sempre e comunque il conforto dei Padri che da Giustino in giù si dedicarono all'argomento.



    Anche in questo caso, è veramente difficile sistematizzare la nozione di “dio secondo” di Giustino nella successiva teologia nicena. Bisogna semplicemente prendere atto che egli fu un subordinazionista.
    Si può tuttalpiù affermare l'esistena di un concetto di "Trinità verticale" che comunque, alla luce delle formulazioni nicene, sarebbe (ed è) eretica.


    Detto questo non capisco cosa tu voglia intendere quando parli di subordinazionismo. Ti riferisci alla subordinazione del Figlio al Padre? Un esempio forse sarebbe opportuno.



    Molti (non che tu ne faccia parte) sembrano non riuscire a comprendere che la differenza fra subordinazionismo ontologico e subordinazionismo funzionale o economico è una differenza anacronistica quando applicata alla teologia prenicena. Non è un caso se i manuali di Patristica inseriscono il subordinazionismo preniceno fra le eresie.

    Un caro saluto
    Spener


    [Modificato da Spener 03/07/2009 17:03]
    --
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    00 03/07/2009 20:11
    Re:
    Caro Spener comprendo benissimo il tuo punto di vista e ti ringragio di aver compreso che la mia visione non è semplicistica ma che la mia risposta riduttiva era esclusivamente dettata dall'ambito specifico in cui si muove la nostra discussione. Un forum infatti non è il luogo ideale per discutere di un argomento così ampio e variegato. Bisognerebbe farlo di persona e lo stesso ci vorrebbero mesi o forse anni prima di riuscire ad arrivare a qualcosa.

    Voglio però portarti alcune riflessioni sulle quali forse potremo appuntare la nostra attenzione. Sono contento che sia stato tu per primo ad introdurre nella discussione i due piani dell'ontologia e dell'economia. Come ben sai questa differenza è essenziale in relazione a molte questioni dottrinali, non ultima quella del filioque, ma anche nell'esame di autori preniceni. Prendiamo il caso di Giustino: pur non avendo pienamente chiara questa differenza tuttavia il suo subordinazionismo è del tutto relativo all'economia della Trinità mentre, se ricordi bene quello che ti scrissi nell'altro forum, la sua concezione dell'unità di essenza fra le persone (o almeno fra il Padre e il Figlio) non può essere messa in dubbio (il fuoco dal fuoco) e non contrasta minimamente con la formulazione di Nicea, che anzi molto deve al Trifone.

    Del resto la concezione niceno-costantinopolitana stessa della Trinità, almeno nella sua formulazione originale, che la Chiesa Ortodossa ritiene ancora valida, riconosce la subordinazione economica del Figlio ("generato dal Padre") e dello Spirito ("che procede dal Padre") al Padre, unica Persona che rimane ingenerata e in-procedente ma unica vera origine della divinità rispetto alle altre due. Il Padre nella visione ortodossa rimane l'origine e la sorgente della Divinità e delle altre due Persone, le quali però continuano ad essere portatrici della sua stessa natura.

    L'altra osservazione che vorrei sottoporti riguarda l'ispirazione. Nessuno ha mai detto che i Padri della Chiesa siano ispirato dallo Spirito singolarmente. Ma l'azione dello Spirito si manifesta nell'intera opera dei Padri e dei Concili. Il Concilio in particolare, se pensato come manifestazione visibile di tutta la Chiesa, rappresenta nella visione ortodossa l'ultimo strumento di definizione e promulgazione della volontà dello Spirito. Senza comprendere questo inevitabilmente ogni singolo passo di ogni singolo autore che non rientri o sembri non rientrare nell'ottica delle promulgazioni conciliari sembrerà eretico quando invece non è altro che un tassello di una lunga e complessa discussione il cui risultato finale è quello che tu sai. Gli scritti dei Padri devono essere considerati come un lungo "Concilio" nei quali ognuno riporta la sua idea e interpretazione, fino alla definizione e promulgazione finale.

    Ti ripeto però che le idee centrali non sono in discussione. Se le esamini attentamente esse legano Giustino con Atanasio senza soluzione di continuità. Ma di questo possiamo sempre discutere e anzi la mia gioia diventa piena quando incontro persone della tua sensibilità con cui affrontare questi argomenti, che come puoi ben immaginare mi stanno molto a cuore. La mia fede ortodossa, infatti, è ancora in formazione e il discuterne in questo modo non può far altro che giovare alla mia conoscenza. Ti invito quindi a proseguire un dialogo che spero sia fruttuoso per entrambi.

    Saluti
    ortodox
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    (SimonLeBon)
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    00 03/07/2009 23:18
    Re:
    Buonasera,

    (SimonLeBon), 03/07/2009 12.42:


    Beh, forse non mi ero spiegato bene o forse non mi hai capito. Prima di balzare all'indietro fino all'esodo, se fossi in te mi assicurerei prima di aver capito l'uso che Giovanni stesso fa del participio presente del verbo essere.
    Esodo 3:14 oltretutto, vado a memoria, non riporta nemmeno la stessa costruzione temporale. "Ego eimi ho on" è infatti del tutto al presente e non conterrebbe in alcun modo l'idea di passato.
    Questo è invece l'argomento del nostro discutere.



    ortodox:

    Quello che volevo sottolineare io, invece, è l'uso di Esodo: la traduzione del versetto, infatti, è "io sono l'essente, colui che è" senza aggiungere altro. Non è che Dio sia qualcosa, semplicemente esiste, è, ha vita in sè.

    Ora, il linguaggio di Giovanni (o di chi scrisse l'Inno al Logos) riprende questa falsa riga, utilizzando i verbi dell'essere e del divenire in modo assoluto. "In principio il Logos era". Dice inoltre che "In lui era la Vita". Vedi cosa intendo quando parlo di linguaggio filosofico? Ma forse non hai letto il Timeo o il Protagora. Se lo facessi probabilmente capiresti cosa intendo.



    Ho due cose da farti notare. La prima sono due ricorrenze della stessa forma verbale all'interno degli scritti di Giovanni stesso:

    Gv. 3,31 ο ων εκ της γης εκ της γης εστιν και εκ της γης λαλει
    Gv. 6,46 ει μη ο ων παρα [του] θεου

    Mi e ti chiedo, quali discorsi filosofici si dovrebbero imperniare su questo modo di esprimersi che mi sembra a questo punto abbastanza tipico di Giovanni.
    Tutte le traduzione che ho consultato, in ogni lingua, rendono con la relativa al presente, praticamente senza eccezione. Tu cosa ne dici?

    ortodox:

    Ora la forma ὁ ὢν che si trova pari pari in Esodo e in GIovanni deve farci riflettere. A ben guardare, da come Giovanni si esprime, essa potrebbe anche essere tradotta come segue:

    "L'unigenito Dio, colui che è, nel seno del Padre" ( con la virgola prima di "seno")

    individuando in tal modo come l'unigenito "esiste in sè" oltre a stare anche nel seno del Padre. Questa è l'altra sfumatura di cui ti parlavo.

    Se comunque sei interessato ad altri versetti simili specificamente in Giovanni, ne trovi in abbondanza nell'Apocalisse, dove Dio è detto essere.

    ὁ ὢν καὶ ὁ ἦν καὶ ὁ ἐρχόμενος (colui che è, che era e che viene) (Ap. 1,8)



    Come ho già scritto a piu' riprese, prima di uscire dal contesto del libro stesso mi preoccuperei di analizzare quello. Se non dovessimo trovare ricorrenze della stessa forma, allora la tua osservazione sarebbe giustificata. Dal momento che le abbiamo trovate, il tuo ragionamento, pur rispettabile, passa in secondo piano.
    Sulla traduzione al relativo sono d'accordo, mentre la tua interpretazione ontologica mi pare possibile ma non certo obbligata.

    ortodox:

    Nota soprattutto in questo versetto che l'ordine dei tempi non è rispettato (era, è, viene). Prima si dice che Dio è "colui che è" riferendosi alla dimensione dell'eternità. Dio rimane sempre "essente" per sua stessa natura, al di là del tempo. Dopo si specifica "che era e che viene" in relazione alla dimensione temporale umana. Nota inoltre come gli stessi attributi riferiti a Dio in questo versetto, vengono ugualmente riferiti al Logos in altri.

    Spero di averti chiarito a sufficienza.

    Saluti
    ortodox



    Non avvierei questo discorso prima di aver concluso il primo. Penso ci sia ancora sufficiente carne al fuoco, al momento.

    Simon
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    00 04/07/2009 19:43
    Re: Re:
    (SimonLeBon), 03/07/2009 23.18:


    Ho due cose da farti notare. La prima sono due ricorrenze della stessa forma verbale all'interno degli scritti di Giovanni stesso:

    Gv. 3,31 ο ων εκ της γης εκ της γης εστιν και εκ της γης λαλει
    Gv. 6,46 ει μη ο ων παρα [του] θεου

    Mi e ti chiedo, quali discorsi filosofici si dovrebbero imperniare su questo modo di esprimersi che mi sembra a questo punto abbastanza tipico di Giovanni.
    Tutte le traduzione che ho consultato, in ogni lingua, rendono con la relativa al presente, praticamente senza eccezione. Tu cosa ne dici?



    Caro Simon, ma io non ho parlato mai di discorsi filosofici da imperniare su questa o quell'espressione, soltanto dell'utilizzo di un linguaggio filosofico che come tu stesso dici è tipico di Giovanni. Anche in questi due versi che riporti è chiarissimo, come puoi tu stesso verificare. Giovanni infatti dice "chi è dalla terra" e "chi è dal cielo" e non "chi viene dalla terra" o "chi viene dal cielo". Dice ancora "chi è da Dio" che non significa solo "provenire" in senso spaziale, ma anche nascita e generazione da Dio. Ancora una volta l'uso del verbo essere è tipico del linguaggio filosofico, da Parmenide in giù, soprattutto in relazione all'ontologia degli enti. Ma se non leggi questi autori come potrai mai rendertene conto? Non capisco le tue obiezioni quando quello che ti sto dicendo ormai da qualche post è chiarissimo. Se non vuoi leggere Platone e Aristotele, almeno leggi i commenti al Vangelo di Giovanni e poi fammi sapere.



    Come ho già scritto a piu' riprese, prima di uscire dal contesto del libro stesso mi preoccuperei di analizzare quello. Se non dovessimo trovare ricorrenze della stessa forma, allora la tua osservazione sarebbe giustificata. Dal momento che le abbiamo trovate, il tuo ragionamento, pur rispettabile, passa in secondo piano.
    Sulla traduzione al relativo sono d'accordo, mentre la tua interpretazione ontologica mi pare possibile ma non certo obbligata.



    Ma è proprio nel contesto del libro che ci stiamo muovendo, analizzandone il linguaggio. E proprio le citazioni che hai trovato (ma ce ne sono altre, come già detto) dimostrano un particolare uso di un greco tipico. Questo sempre tenendo presente l'ambiente in cui l'opera fu composta e i destinatari. Spero tu abbia capito a cosa mi riferisco.

    Saluti
    ortodox

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    (SimonLeBon)
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    00 04/07/2009 22:30
    Re: Re:
    Ortodox:

    Caro Simon, ma io non ho parlato mai di discorsi filosofici da imperniare su questa o quell'espressione, soltanto dell'utilizzo di un linguaggio filosofico che come tu stesso dici è tipico di Giovanni.



    Penso che questo sia il punto nodale della discussione: tu vedi un linguaggio filosofico in un participio presente del verbo essere, io invece noto che ogni volta che Giovanni lo usa, i traduttori rendono il verbo al presente. D'altra parte Giovanni usa molto piu' spesso l'indicativo.

    Ortodox:

    Anche in questi due versi che riporti è chiarissimo, come puoi tu stesso verificare. Giovanni infatti dice "chi è dalla terra" e "chi è dal cielo" e non "chi viene dalla terra" o "chi viene dal cielo". Dice ancora "chi è da Dio" che non significa solo "provenire" in senso spaziale, ma anche nascita e generazione da Dio. Ancora una volta l'uso del verbo essere è tipico del linguaggio filosofico, da Parmenide in giù, soprattutto in relazione all'ontologia degli enti.



    Ergo, secondo te, Giovanni ci sta insegnando che la terra genera persone umane, cosi' come Dio lo fa con quelle spirituali?

    Ortodox:

    ... Ma se non leggi questi autori come potrai mai rendertene conto? Non capisco le tue obiezioni quando quello che ti sto dicendo ormai da qualche post è chiarissimo. Se non vuoi leggere Platone e Aristotele, almeno leggi i commenti al Vangelo di Giovanni e poi fammi sapere.



    Puo' essere che l'uso che faccio dei verbi essere ti abbia già raccontato tutte queste cose di me. [SM=g27986]
    Ad ogni modo, apprezzo i tuoi argomenti, ma dovresti fare lo sforzo di sostenerli con citazioni precise, non con affermazioni vaghe.

    Ortodox:

    Ma è proprio nel contesto del libro che ci stiamo muovendo, analizzandone il linguaggio. E proprio le citazioni che hai trovato (ma ce ne sono altre, come già detto) dimostrano un particolare uso di un greco tipico. Questo sempre tenendo presente l'ambiente in cui l'opera fu composta e i destinatari. Spero tu abbia capito a cosa mi riferisco.

    Saluti
    ortodox



    Con tutto il rispetto, le citazioni le ho trovate io. Tu hai parlato di altri testi biblici che possono eventualmente aiutare la ricerca in un contesto piu' allargato.

    Finora il modo di tradurre Gv.1,18 (pressochè univocamente col presente indicativo) è contrario alla grammatica classica, almeno per come la conosco io. Dando un'occhiata anche agli altri versetti che ti ho citato e trovando sempre univocamente il presente, mi fa pensare non ad un uso ontologico ma allo sganciamento del participio dal verbo principale. Mi sembra che Giovanni usi il participio per rendere una frase relativa, sempre al presente.

    In riferimento ad un tuo post precedente sul verbo essere al presente ti cito la mia grammatica:

    "D'altra parte per lo stesso presente indicativo la nozione di <<tempo presente>> è vaga ed elastica, e sconfina facilmente nel passato e nel futuro (exo significa "sono venuto", quindi "giungo"; eimi, in attico, significa sempre "andro'"). Inoltre il presente indicativo esprime spesso cio' che è permanente e vale per tutti i tempi, tanto è vero che ricorre nelle massime, nelle sentenze, nei proverbi. Esempio:

    esti Theos "Dio esiste" (vale per il presente, il passato e il futuro".

    A questo riguardo mi aspetterei di trovare l'indicativo usato sempre anche per "ho logos".

    Saluti,
    Simon
    [Modificato da (SimonLeBon) 04/07/2009 22:31]
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    00 04/07/2009 23:07
    Re: Re: Re:
    Caro Simon, mi sa che non ci siamo proprio capiti io e te. Proverò a spiegarti ma dubito a questo punto di riuscire. Il fatto che qualcuno traduca in un modo o nell'altro è assolutamente irrilevante ai fini del nostro discorso. Ti ho detto all'inizio che i verbi greci sono infinitamente più sottili ed espressivi di quelli italiani e che essendo l'italiano più limitato del greco molto spesso non riesce a cogliere la sfumatura originale. Quindi lascia stare le traduzioni: quello che bisogna considerare è il verbo greco originale, come hai fatto la prima volta con il participio.

    Detto questo, se avessi la bontà di volerti leggere qualche testo di Platone (ad esempio il Timeo, ti basta mezza giornata per leggerlo, o il Parmenide, un paio d'ore) capiresti da te, senza bisogno che ti aggiunga altro, che il linguaggio di Giovanni è molto simile a quello platonico nel'uso dei verbi, nell'impiego di termini come Logos, di espressioni quali "in lui era la vita" o "divenne carne" oppure "egli era la luce degli uomini" o del verbo essere in senso assoluto come nell'incipit "in principio il Logos era"! Ma basterebbe anche il solo sostantivo "Logos" per far capire anche a un cieco da quale ambito culturale Giovanni ha mutuato il suo modo di esprimersi. Niente di tutto ciò avviene ad esempio in Matteo, il cui greco è fortemente formulare e risente molto più di quello di Giovanni del modo di esprimersi tipico dell'AT.

    Detto questo, non capisco quale sia il tuo problema nel riconoscere questo dato di fatto. Se non concordiamo su questo mi sembra perfettamente inutile proseguire questa discussione, scusami.

    Saluti
    ortodox
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    (SimonLeBon)
    Post: 861
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    00 04/07/2009 23:29
    Re: Re: Re: Re:
    ortodox, 7/4/2009 11:07 PM:

    Caro Simon, mi sa che non ci siamo proprio capiti io e te. Proverò a spiegarti ma dubito a questo punto di riuscire.

    ...

    Detto questo, non capisco quale sia il tuo problema nel riconoscere questo dato di fatto. Se non concordiamo su questo mi sembra perfettamente inutile proseguire questa discussione, scusami.

    Saluti
    ortodox



    Caro Ortodox,
    ti ringrazio per il tuo sforzo esplicativo. In generale trovo poco convincente un argomentare di tipo "vatti a leggere" questo o quello.
    Potrebbe forse funzionare se il Timeo fosse un testo di matematica, ma ci sono casi eclatanti dove nemmeno quelli hanno funzionato.

    Mi leggero' il Timeo e staro' attento a notare se anche Platone usa il verbo essere e parla del logos.

    Da parte tua mi interesserebbe sapere se l'uso peculiare del termine "logos" o del verbo essere, che ti appassiona tanto, è ripartito in modo omogeneo in tutti gli scritti di Giovanni oppure se riguarda principalmente il "prologo".
    In aggiunta non mi dispiacerebbe sentire la tua risposta su Gv.3,31, cioè se Giovanni ci sta insegnando che la terra genera effettivamente esseri umani, un po' alla stregua della magna mater. Non te lo sto' chiedendo con spirito polemico, solo mi sembra una diretta conseguenza della tua lettura.

    Saluti,
    Simon
    [Modificato da (SimonLeBon) 04/07/2009 23:34]
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    ortodox
    Post: 309
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    00 05/07/2009 11:03
    Re: Re: Re: Re: Re:
    (SimonLeBon), 04/07/2009 23.29:

    [
    In generale trovo poco convincente un argomentare di tipo "vatti a leggere" questo o quello.
    Potrebbe forse funzionare se il Timeo fosse un testo di matematica, ma ci sono casi eclatanti dove nemmeno quelli hanno funzionato.



    Caro Simon, non è che io voglia rimandarti a leggere libri cercando di evadere la tua risposta, solo che se si parla di un certo argomento bisogna avere cognizione di causa altrimenti mi sembra superfluo continuare a discutere. Se io ti dico che Giovanni usa un certo linguaggio, prima di negarlo dovresti per lo meno conoscere di quale tipo di linguaggio si tratta, tu che ne dici? Visto che hai deciso saggiamente di seguire il mio consiglio, leggiti anche gli scritti Stoici, che del Logos fecero bandiera. Così avrai un quadro più completo.



    Da parte tua mi interesserebbe sapere se l'uso peculiare del termine "logos" o del verbo essere, che ti appassiona tanto, è ripartito in modo omogeneo in tutti gli scritti di Giovanni oppure se riguarda principalmente il "prologo".



    Se non ricordo male il termine Logos compare solo nel prologo del Vangelo di Giovanni. Si pensa infatti che il prologo non sia Giovanneo ma che fosse frutto di una traduzione orale, raccolta dall'Apostolo e inserita nel suo Vangelo con qualche riadattamento. Si tratterebbe in questo caso di un Inno dei primi cristiani molto più antico del Vangelo stesso.



    In aggiunta non mi dispiacerebbe sentire la tua risposta su Gv.3,31, cioè se Giovanni ci sta insegnando che la terra genera effettivamente esseri umani, un po' alla stregua della magna mater. Non te lo sto' chiedendo con spirito polemico, solo mi sembra una diretta conseguenza della tua lettura.



    Ancora una volta ci stiamo muovendo su piani diversi: io parli di uso della lingua e tu parli di significato. E' ovvio che "essere dalla terra" non significa essere generato dalla terra stessa, ma probabilmente è detto in contrasto con chi "è dal cielo" per distinguere chi è nato dalla materia e chi ha origine celeste. Ma questo nessuno lo mette in dubbio. Quello che volevo sottolineare è solo il modo peculiare in cui Giovanni esprime il concetto utilizzando il verbo essere.

    Temo però che queste digressioni linguistiche ci abbiano condotto lontano dal nostro punto di partenza, che era quello della Trinità per gli ortodossi. In base a Giov. 1,18 ti avevo mostrato come Gesù fosse contemporaneamente vero Dio ("nel seno del padre") e vero Uomo nel momento in cui rivelò il Padre che nessuno aveva mai conosciuto prima. Non ho capito se concordi con la spiegazione grammaticale del participio e della contemporaneità delle azioni in quel verso che tu stesso riportavi dalla tua grammatica.

    Saluti
    ortodox

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    Spener
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    00 05/07/2009 13:49


    Un forum infatti non è il luogo ideale per discutere di un argomento così ampio e variegato. Bisognerebbe farlo di persona e lo stesso ci vorrebbero mesi o forse anni prima di riuscire ad arrivare a qualcosa.



    Condivido.
    A dire il vero non nascondo un po’ di invidia nei confronti tuoi, di Barnabino e di molti altri, che riuscite a ritagliare una considerevole parte del vostro tempo libero per poter postare sui vari forum.
    Io quando inizio qualche discussione seria, me ne pento subito dopo a motivo del fatto che so già in partenza di non poter dedicarle il tempo che meriterebbe.
    Se noti, infatti, il più delle volte mi limito a qualche “colpetto” qua e qualche altro là.
    Inserisco questo mio ultimo commento, poi ti leggo e mi sgancio. Tanto sappiamo entrambi che difficilmente cambieremo idea; questo non perché i rispettivi argomenti siano carenti in qualcosa ma perché, in vero, la nostra “ricerca” l’abbiamo già fatta spendendo anni sui testi e raggiungendo conclusioni che ci hanno ragionevolmente convinto e formato.


    Sono contento che sia stato tu per primo ad introdurre nella discussione i due piani dell'ontologia e dell'economia.



    Certo, perché (come tutti i buoni giocatori di scacchi) avevo previsto la tua “mossa”. [SM=g27988]

    A dire il vero è abbastanza consueto che affrontando con i TdG il concetto di subordinazione si finisca col discutere sulla differenza fra il piano ontologico e quello economico. Questo perché, il più delle volte, si dà per scontato che il TdG confonda i due piani.
    Ma quando *io* parlo di subordinazione prenicena intendo quel tipo di subordinazione che alla luce del dogma risulterebbe eretico. La distinzione fra subordinazione economica e subordinazione ontologica è stata formulata (meglio forse il termine “focalizzata”) solo dopo il dogma per armonizzare alcune “anomalie”. Ed è indubbio che le armonizzi. Il dubbio casomai è sull’anacronismo insito in tale armonizzazione. Ma questa è un’altra questione che richiederebbe pagine e pagine di discussioni.


    Prendiamo il caso di Giustino: pur non avendo pienamente chiara questa differenza tuttavia il suo subordinazionismo è del tutto relativo all'economia della Trinità



    Non concordo. E, anche se certo non è rilevante, posso dire di essere in buona compagnia. David Runia, ad esempio, concorda nel vedere nella cristologia di Giustino la presenza di un “secondo Dio”. Come certo saprai, non è un caso se Giustino non identifica mai il Cristo con il termine di “ho theos”, riservandolo solo al Padre. E’ vero che per Giustino il logos esisteva dall’eternità in mente dei, ma ciò non significa che gli attribuisse consistenza ontologica. Difatti, lo stesso Visonà, afferma che, in Giustino, il Figlio “sembra assumere sussistenza propria solo in quanto ‘emesso’ dal Padre in vista della creazione”.

    Giustino sosteneva, inoltre, che il Cristo Logos andava onorato “al secondo posto dopo l’immutabile ed eterno Dio”.
    E’ chiaro che in Giustino si va molto oltre la subordinazione economica. Se fosse solo questa, tu oggi, trinitario, dovresti poter fare tue le stesse identiche espressioni. Puoi tu dire che, alla luce del dogma niceno, che Cristo va “adorato/onorato al secondo posto” ?
    Per quanto riguarda Trifone, poi, Giustino dice che il Cristo “è un Dio diverso dal Creatore”. Egli afferma che Gesù è un altro dio “rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro, intendo, per numero, non per distinzione di pensiero”.

    Cristo e il Creatore Padre hanno lo stesso pensiero, dice Giustino, ma sono due dei (non dice due persone ma due dei) diversi per numero. Più chiaro di così, c’è solo il sole di mezzogiorno. [SM=g28004]

    Il tipo di subordinazione che caratterizzo tutti i Padri preniceni, andava molto oltre alla semplice subordinazione economica. Essi assegnavano al Logos un “grado di divinità” minore rispetto a quella che assegnavano al Padre.

    E questo è assolutamente “eretico” se letto a posteriori secondo i termini niceani. Qui non si tratta di subordinazione economica ma ontologica, si tratta di un minor grado di divinità assegnata al Figlio!
    Del resto, per tornare ad Origene, lo stesso McGrath concorda nell’affermare che “Origene ha impostato una tradizione che distingue fra la piena divinità del Padre, e una divinità di grado minore del Figlio”.
    Tateo (giusto per fare un nome) riscontra lo stesso tipo di subordinazionismo anche in Ippolito, maestro (?) di Origene. Non è un caso se, mentre Ippolito accusava Callisto di sabellianesimo, Callisto accusava Ippolito di diteismo.
    Potremmo continuare a lungo, ma il “succo” è che limitandoci ad una subordinazione di tipo economico non riusciremmo a cogliere la portata di certi insegnamenti sub apostolici e patristici. (come l’esempio di Origene rivolto a convincere i cristiani che il solo legittimo destinatario delle preghiere deve essere il Padre, e giustificando questa presa di posizione attraverso ragionamenti che tendono a distinguere i due déi nella sostanza).


    L'altra osservazione che vorrei sottoporti riguarda l'ispirazione. Nessuno ha mai detto che i Padri della Chiesa siano ispirato dallo Spirito singolarmente … Gli scritti dei Padri devono essere considerati come un lungo "Concilio" nei quali ognuno riporta la sua idea e interpretazione, fino alla definizione e promulgazione finale.



    Se imposti il tuo ragionamento su questa linea, allora mi trovi perfettamente d’accordo. I Padri non erano ispirati e poterono dire e insegnare delle benemerite sciocchezze fino a quando, a Nicea, con la guida sello “Spirito Santo” non si fece chiarezza delineando i termini della questione. Questo è un ragionamento che posso accettare, quand’anche senza condividerlo.

    Ma capisci che è molto diverso dall’affermare che i Padri della Chiesa erano trinitari (ho sentito anche questo) o che tutto ciò che insegnavano sarebbe stato successivamente accolto nella formulazione del dogma.

    Per il trinitario, essi contribuirono a quel dibattito che finì con lo sfociare a Nicea. Anche se molti studiosi sono convinti esattamente del contrario, cioè vedono nell’arianesimo(!!) lo sviluppo naturale della cristologia prenicena. Ma anche qui, le cose da dire sarebbero molte.

    Adesso vado a rispondere ad un altro thread e poi torno nell’oblìo per un po’ di tempo (ti leggo ovviamente).

    Ciao
    Spener
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