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Alcuni articoli sull'argomento.


L’abisso tra l’uomo e la scimmia
Una recente analisi del DNA di scimpanzé e oranghi (scimmie antropomorfe), nonché di altre scimmie e macachi, ha rivelato che la loro costituzione genetica non è così simile a quella dell’uomo come una volta pensavano gli scienziati. “Non piccole, ma grandi differenze nel DNA separano le scimmie dagli uomini e fra loro”, dice la rivista inglese New Scientist. Confrontando il materiale genetico, si nota che “in tutto il cromosoma ci sono estese parti in meno e altre in più”, spiega Kelly Frazer della Perlegen Sciences, la compagnia californiana che ha condotto questa ricerca. New Scientist ha definito le differenze un “profondo abisso [che] divide le scimmie da noi”.

“Fossili dirottati”
Così titolava il quotidiano francese Le Monde riferendo che un paleontologo in India “per 20 anni . . . sembra aver ingannato i suoi colleghi riguardo alla provenienza di fossili che sottoponeva loro perché li valutassero”. Il “dirottamento” sarebbe consistito nell’inviare loro fossili ottenuti negli Stati Uniti, in Africa, in Cecoslovacchia e nelle Isole Britanniche pretendendo che fossero stati scoperti sui monti dell’Himalaya. Questo scienziato ha pubblicato oltre 300 articoli sui suoi ritrovamenti. La frode è stata smascherata da uno scienziato australiano tramite la rivista scientifica britannica Nature. Questi si è chiesto ‘com’è potuto accadere che una tale quantità di ritrovamenti dubbi siano stati accettati per tanto tempo senza essere messi in discussione’.

Secondo Le Monde, una ragione potrebbe essere il codice di omertà a cui ubbidiscono molti membri della comunità scientifica. L’articolo faceva notare che questo “dirottamento” di fossili ha “reso inutilizzabili praticamente tutte le cognizioni accumulate [nel corso degli scorsi 20 anni] sulla geologia dell’Himalaya”.

Ovviamente, questo nuovo caso di frode scientifica non getta dubbi sull’intero mondo della scienza. Ciò nonostante, esso dimostra ancora una volta che quando gli argomenti della paleontologia vengono messi in contrasto con l’infallibile accuratezza del racconto biblico spesso non sono altro che ciò che l’apostolo Paolo chiamò “le contraddizioni della ‘conoscenza’ che non è conoscenza affatto”. — 1 Timoteo 6:20, The New Jerusalem Bible.

Fossile fasullo

“Da 116 anni ornava le sale del Museo Nazionale del Galles a Cardiff: era lo scheletro fossile di un predatore che 200 milioni di anni fa viveva nei mari del Giurassico”, dice il quotidiano britannico The Guardian. “Poi i conservatori di Cardiff hanno deciso che era ora di dare una bella spazzolata ai resti dell’ittiosauro (rettile carnivoro marino)... e si sono accorti di essere stati ingannati”. “Dopo aver tolto cinque strati di vernice abbiamo scoperto che si trattava di un falso costruito ad arte”, ha detto Caroline Buttler, soprintendente del museo. “Erano stati messi insieme parti di due tipi di ittiosauro e pezzi abilmente contraffatti”. Anziché eliminarlo, il museo lo esporrà come esempio di fossile fasullo.

Storia di una frottola scientifica

TOMÁS SERRANO, un anziano contadino spagnolo dal volto segnato dalle intemperie, era convinto da molti anni che la sua fattoria, in Andalusia, nascondesse qualcosa di unico. Il suo aratro spesso portava alla luce strane ossa e denti che senz’altro non appartenevano al bestiame locale. Ma quando parlava in paese dei suoi ritrovamenti, nessuno gli dava molto peso, almeno non prima del 1980.

Quell’anno arrivò un’équipe di paleontologi per fare ricerche nella regione. Ben presto essi scoprirono un vero e proprio tesoro di fossili: ossa di orsi, elefanti, ippopotami e di altri animali, tutte concentrate in una piccola zona che doveva essere stata una palude che si era prosciugata. Fu nel 1983, però, che il prolifico sito fece la sua comparsa nella cronaca internazionale.

Era stato scoperto da poco un piccolo ma singolare frammento di cranio. Fu proclamato “il più antico resto umano ritrovato in Eurasia”. Alcuni scienziati calcolarono che avesse da 900.000 a 1.600.000 anni, per cui si aspettavano che determinasse “una rivoluzione nello studio della specie umana”.

Il fossile che aveva suscitato tutto questo entusiasmo fu battezzato “uomo di Orce”, dal nome del villaggio in cui fu scoperto, nella provincia spagnola di Granada.

I giornali parlano dell’“uomo di Orce”

L’11 giugno 1983 il fossile fu presentato al pubblico in Spagna. Eminenti scienziati spagnoli, francesi e britannici si erano già pronunciati a favore della sua autenticità, e ben presto sarebbe arrivato l’appoggio della classe politica. Un mensile spagnolo annunciò con entusiasmo: “La Spagna, e specialmente Granada, ha il primato dell’antichità nel macrocontinente eurasiatico”.

Com’era fatto realmente l’“uomo di Orce”? Gli scienziati dissero che era emigrato da poco dall’Africa. Questo fossile particolare, fu detto, apparteneva a un giovane di circa 17 anni alto un metro e mezzo. Probabilmente era un cacciatore e un raccoglitore che forse non aveva ancora imparato ad usare il fuoco. Probabilmente aveva già sviluppato una rudimentale forma di linguaggio e di religione. Si nutriva di frutti, cereali, bacche e insetti, oltre che degli occasionali resti di animali uccisi dalle iene.

Dubbi sull’identificazione

Il 12 maggio 1984, solo due settimane prima di un seminario internazionale sull’argomento, nacquero seri dubbi sull’origine del frammento. Dopo aver asportato meticolosamente i depositi calcarei dall’interno del cranio, i paleontologi scoprirono una sconcertante “cresta”. I crani umani non possiedono una cresta del genere. Il seminario fu rimandato.

Il quotidiano madrileno El País titolò: “Seri indizi che il cranio dell’‘uomo di Orce’ appartenga a un asino”. Infine, nel 1987, un articolo scientifico scritto da Jordi Augustí e Salvador Moyà, due paleontologi che avevano preso parte alla scoperta iniziale, dichiararono che gli esami radiografici avevano confermato che il fossile apparteneva a una specie equina.

Perché si sono ingannati?

Questo clamoroso insuccesso si verificò per diversi motivi, tutti estranei al metodo scientifico. È raro che la sensazionale scoperta di antenati dell’uomo rimanga esclusivo appannaggio degli scienziati. Gli uomini politici colsero la palla al balzo, e il fervore nazionalistico eclissò il rigore scientifico.

Un consigliere regionale preposto alla cultura dichiarò che era un onore per l’Andalusia “essere teatro di una scoperta così importante”. Quando in alcuni ambienti vennero espressi dubbi sulla scoperta, le autorità regionali andaluse affermarono con vigore che “i resti erano autentici”.

Un fossile così insignificante (del diametro di circa 8 centimetri) acquista enorme importanza anche perché mancano le prove a sostegno della presunta evoluzione dell’uomo. Nonostante le piccole dimensioni del fossile, l’“uomo di Orce” fu acclamato come “il più grande ritrovamento della scienza paleontologica degli ultimi tempi, nonché l’anello mancante tra l’uomo tipicamente africano (Homo habilis) e l’uomo più antico di tutto il continente eurasiatico (Homo erectus)”. Bastarono una fertile immaginazione e fantasie pseudoscientifiche per aggiungere tutti i dettagli circa l’aspetto e il modo di vivere dell’“uomo di Orce”.

Circa un anno prima della scoperta dell’“uomo di Orce” il responsabile dell’équipe scientifica, il dott. Josep Gibert, aveva avanzato delle ipotesi sulle sorprese che la zona avrebbe senza dubbio riservato. “Si tratta di una delle più importanti concentrazioni del Quaternario inferiore in Europa”, affermò. E anche dopo che fu rivelata la vera natura del fossile, il dott. Gibert insistette nel dire: “La comunità scientifica internazionale crede fermamente che nella zona di Guadix-Baza [dove fu rinvenuto il frammento] prima o poi si scoprirà un fossile umano che ha più di un milione di anni, e quella sarà senz’altro una grande scoperta”. Questo significa davvero credere in quello che si desidera!

“Il compito della scienza è quello di scoprire la verità”

Uno degli scopritori dell’“uomo di Orce”, il dott. Salvador Moyà, ha ammesso onestamente a Svegliatevi!: “Per il dott. Jordi Agustí e per me è stato molto difficile accettare che il fossile non era umanoide. Tuttavia, il compito della scienza è quello di scoprire la verità, anche se questa può non piacerci”.

La controversia sorta a proposito dell’“uomo di Orce” illustra quanto sia difficile per la paleontologia scoprire la verità riguardo alla cosiddetta evoluzione dell’uomo. Nonostante decenni di scavi, non sono stati portati alla luce resti autentici dei presunti antenati scimmieschi dell’uomo. Anche se questo può non piacere ad alcuni scienziati, non potrebbe darsi che la scarsità di prove valide indichi che l’uomo in realtà non è un prodotto dell’evoluzione?

Un osservatore imparziale potrebbe ben chiedersi se altri famosi “uomini-scimmia” siano più reali di quanto non si sia rivelato l’“uomo di Orce”. Come la storia ha ampiamente dimostrato, la scienza può condurre l’uomo alla verità, ma gli scienziati non sono affatto immuni da errori. Questo vale soprattutto quando pregiudizi politici, filosofici e personali oscurano una questione, e quando con così poco si vuole spiegare così tanto



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it