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2. EPISTOLA DI PAOLO A TITO

Nell’esaminare i sopraccitati passi dell’apostolo Paolo, cominceremo da quello più esplicito, cioè Tito 2:1-10:
1 Ma tu esponi le cose che sono conformi alla sana dottrina: 2 i vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, sani nella fede, nell’amore, nella pazienza; 3 anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre nel bene, 4 per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, 5 a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata. 6 Esorta ugualmente i giovani a essere saggi, 7 presentando te stesso in ogni cosa come esempio di opere buone, mostrando nell’insegnamento integrità, dignità, 8 linguaggio sano, irreprensibile, perché l’avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire contro di noi. 9 Esorta i servi ad essere sottomessi ai loro padroni, a compiacerli in ogni cosa, a non contraddirli, 10 a non derubarli, ma a mostrare sempre lealtà perfetta, per onorare in ogni cosa la dottrina di Dio, nostro Salvatore.
Agli apostoli stava soprattutto a cuore proclamare la dottrina che Gesù era il Messia promesso a Israele, cioè il Salvatore, credendo nel quale si era perdonati dei propri peccati e perciò riappacificati con Dio (Atti 2:38; 10:43; 13:38). La liberazione dal peccato non riguardava solo le conseguenze (condanna eterna da parte di Dio), ma anche una concreta liberazione dalla sua potenza, nel senso che in una persona che si dichiarava salvata da Gesù, doveva vedersi anche una vita rinnovata dall’obbedienza al Signore Gesù: non che si richiedesse al cristiano di essere immediatamente perfetto, ma era essenziale che fosse un testimone credibile (Filippesi 3:12; 2Pietro 1:5-8; 1Giovanni 2:1-6).
Il messaggio su Gesù si sarebbe diffuso solo se i cristiani avessero mostrato un’unità al loro interno basata sull’amore dell’uno per l’altro (Giovanni 13:35; 17:21). Era perciò essenziale che ogni cristiano accogliesse l’altro, anche quando si avevano opinioni diverse (Romani 14).
Il brano dell’Epistola a Tito sopra riportato, non solo comincia e finisce dichiarando esplicitamente di voler salvaguardare la sana dottrina, ma ripete il proposito anche nel corso dell’esposizione (vedere parti sottolineate). Invitando ad usare un comportamento molto elevato, che è certamente più impegnativo di qualche discorso ben organizzato. È quando si opera in contrasto col professarsi seguace di Cristo, insomma, che si distrugge la dottrina fondamentale che il cristiano proclama. Essere di sana dottrina, secondo Tito 2:1-10, è in conclusione incentrato su un’etica (all’ebraica) che si collega a quella di Cristo, non sull’uso di particolari parole di riferimento (cioè alla greca), come poi si prese presto a fare, innescando continue dispute teologiche fra cristiani.
L’altro passo della lettera di Paolo a Tito che abbiamo segnalato (Tito 1:7-9) riguarda l’insediamento di vescovi nelle varie città, da farsi solo quando si individuavano cristiani aventi precise caratteristiche, incentrate anche in questo caso sull’etica:
7 Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, come amministratore di Dio; non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto, 8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, temperante, 9 attaccato alla parola sicura, così come è stata insegnata, per essere in grado di esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono.



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