4. L’EPISTOLA AGLI EBREI SVELA IL MISTERO
Con l’Epistola agli Ebrei la nebbia si dirada, perché non solo viene dato un senso ai precedenti passi riguardanti Melchisedec, ma i punti chiariti consentono di aver luce anche da altri aspetti del Nuovo Testamento.
L’Epistola agli Ebrei è molto importante per la teologia cristiana finale ed in essa si parla di Melchisedec in capitoli che costituiscono uno snodo fondamentale dell’Epistola (capp. 5-7). Le tematiche affrontate sono molto vaste e su alcune contiamo di soffermarci in un altro studio. Qui ci interessa particolarmente l’inizio del cap. 7 (vv. 1-10), dove si fa una dettagliata analisi di Melchisedec, ciò prima e dopo aver ribadito che il sacerdozio di Gesù è «secondo l’ordine di Melchisedec» (5:6,10; 6:20; 7:11,17). Riportiamo integralmente i primi dieci versetti del cap. 7:
1. Questo Melchisedec, re di Salem, era sacerdote del Dio Altissimo. Egli andò incontro ad Abraamo, mentre questi tornava dopo aver sconfitto dei re, e lo benedisse. 2. E Abraamo diede a lui la decima di ogni cosa. Egli è anzitutto, traducendo il suo nome, re di giustizia; e poi anche re di Salem, vale a dire re di pace. 3. È senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fin di vita, simile quindi al Figlio di Dio. Questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno. 4. Pertanto considerate quanto sia grande costui al quale Abraamo, il patriarca, diede la decima del bottino! 5. Ora, tra i figli di Levi, quelli che ricevono il sacerdozio hanno per legge l’ordine di prelevare le decime dal popolo, cioè dai loro fratelli, benché questi siano discendenti di Abraamo. 6. Melchisedec, invece, che non è della loro stirpe, prese la decima da Abraamo e benedisse colui che aveva le promesse! 7. Ora, senza contraddizione, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. Inoltre, qui, quelli che riscuotono le decime sono uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. In un certo senso, nella persona d’Abraamo, Levi stesso, che riceve le decime, ha pagato la decima; perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abraamo. (Ebrei 7:1-10).
Uno degli aspetti più rilevanti, e che sconvolge molte teologie che circolano, è che il nuovo sacerdozio di Gesù… è tipologicamente più antico di quello che c’era, cioè quello di Aronne. Ciononostante i commenti abbondano nel sottolineare le grandi novità venute con Gesù, sorvolando spesso su ciò che collega Gesù con quanto lo precede. La teologia, insomma, è poco incline a prendere atto che Gesù, avendo come precursore Melchisedec, restaura in qualche modo i tempi pre-abramici.
Un altro aspetto sconvolgente è che Abramo, ai suoi tempi, non era la persona spiritualmente più elevata. Eppure Abramo è universalmente definito come “il Padre della fede”, come se la fede cominciasse con lui e non ci fosse fuori di lui! Ignorando, come abbiamo visto, non solo Melchisedec, ma anche Abele, Enoc e Noè (Ebrei 11:4-7). Per inciso, Dio cambiò il nome di Abramo in Abraamo, per sottolinearne la missione universale (Genesi 17:4-5): al di fuori delle citazioni bibliche, però, usiamo solo il nome di Abramo.
Venendo ad altri aspetti, Melchisedec viene strettamente associato alla giustizia ed alla pace, due caratteristiche strettamente riferibili anche a Gesù. Giovanni Battista annunciò un Messia che avrebbe fatto trionfare la giustizia (Matteo 21:32), in sintonia con una profezia di Isaia (Isaia 42:4, citato da Matteo 11:20); mentre la stessa Epistola agli Ebrei riprende un’altra profezia simile (Ebrei 1:9; Salmo 45:7). Certo, nella sua prima venuta Gesù non ha fatto trionfare la giustizia nel mondo, come ci si aspettava, ma quella parte del suo programma è solo rinviata, non abolita (2Pietro 3:13).
Isaia annunciò che il futuro Messia sarebbe stato anche «Principe della pace», indicandolo in modo del tutto simile a Melchisedec, «re di Salem», cioè «re di Pace». Su questo aspetto di Gesù, comunque, ci siamo soffermati sottolineando alcuni suoi collegamenti con Salomone, un antenato che si caratterizzò per la “shalom” (“pace” nel senso di “pienezza”), sia nel nome Salomone che nel tipo di regno (vedere, a parte, il capitolo su Gesù “Figlio di Davide”, par. 6).
Ebrei 7:3 è forse un’analisi oggettiva di Genesi 14:17-20? Coloro ai quali lo scrittore si rivolge capiscono subito che non si sta facendo un’analisi di Genesi 14, ma se ne sta dando un’interpretazione tipologica, che vede in Melchisedec un simbolo del Messia. Ciò è chiarito dal fatto che Melchisedec viene subito definito «senza padre, senza madre», mentre in Genesi 14 non c’è niente che lo faccia pensare come diverso da un uomo normale.
In Ebrei 7, insomma, non si vuol far capire che Melchisedec sia piovuto dal cielo, ma che di lui erano state descritte solo quelle caratteristiche che lo avrebbero fatto rassomigliare poi a Gesù (descrizione evidentemente guidata da chi già sapeva tutta la storia!). In altre parole, in Genesi 14 troviamo un Melchisedec reale, mentre lo scrittore di Ebrei proietta su di lui Gesù e mescola volutamente le due persone, in un’operazione che a noi può sembrare non corretta, ma che è tipica della mentalità ebraica, come si può vedere nel Salmo 16, nel quale sembra proprio che Davide parli di sé, invece Pietro (Atti 2) spiega che stava profetizzando del Messia (vedere lo studio “Profezie su Cristo”). Certamente ci colpisce di più quando una profezia si capisce prima della sua realizzazione, ma in certi casi sarebbe per noi difficile capire in anticipo e allora a volte Dio fa il contrario: cioè prima ci racconta un fatto con nascosti significati profetici, che scopriamo solo quando poi la profezia si realizza. Spesso la “applicazione a posteriori” è un adattamento necessariamente non preciso, ma nel caso di Melchisedec e di altri casi (come Isaia 53) la corrispondenza è tale che ci fa vedere come effettivamente la venuta di Gesù sia stata programmata «prima della creazione del mondo» (1Pietro 1:20; Giovanni 17:24).
L’incontro fra Abramo e Melchisedec può sembrare occasionale, ma la sfumatura precisata in Ebrei 7:4 («la decima del bottino») stimola a vedere quell’incontro in un’altra luce: prima bisogna però precisare qualcosa su Mosè.
Diverse prescrizioni date da Mosè erano in qualche modo presenti anche prima di lui (vedere, altrove, il capitolo su Giobbe e la fede prima di Mosè) e la pratica di dare la decima al sacerdote può essere annoverata fra di esse. Tanto più che poi anche Giacobbe, nipote di Abramo, mostra di aver conoscenza della pratica della decima, anche se non è detto con precisione come poi Giacobbe la mise in pratica (Genesi 28:22).
Insomma, era stato Dio a dare la vittoria ad Abramo, come gli ricorda Melchisedec (Genesi 14:20), e l’offerta della decima era il modo col quale Abramo mostrava la sua riconoscenza. In Genesi 14 si ha l’impressione che sia stato Melchisedec ad andare da Abramo, ma dal contesto si ricava che in ogni caso l’incontro avvenne sulla base di un codice di comportamento condiviso e che perciò la presenza a quei tempi di sacerdoti del tipo di Melchisedec aveva i caratteri di un’istituzione, piuttosto che essere un’eccezione. Dato che, dopo l’Epistola agli Ebrei, quanto è detto di Melchisedec in Genesi acquista nuova luce, sarà bene riesaminare di nuovo quei versetti.
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