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Testimoni di Geova: Storia, Sociologia, Teologia

MELCHISEDEC, UN PRECURSORE TRASCURATO

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    Roberto Carson
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    00 13/09/2009 23:42
    di Fernando De Angelis

    Il Prof. Fernando De Angelis ha gentilmente concesso all'amministrazione del forum di pubblicare un suo studio che verrà esposto nei post successivi.

    L'amministrazione del forum ringrazia sentitamente il Prof. De Angelis per la sua disponibilità.



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    Roberto Carson
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    00 13/09/2009 23:43
    La figura dell’antico sacerdote Melchisedec suscita un fascino pieno di mistero. Il mistero però è più voluto che vero. Una figura da capire meglio perché ogni cristiano, in quanto partecipe del sacerdozio di Gesù, appartiene all’“ordine di Melchisedec”.


    1. UN’ALTRA BARRIERA DA ABBATTERE

    La Bibbia è una storia strettamente concatenata, perciò le si fa violenza se ci mettiamo nel mezzo delle barriere che separano una parte dalle radici che l’hanno generata. Della pagina bianca aggiunta arbitrariamente fra Malachia e Matteo ci siamo occupati altrove, notando come sia necessario recuperare il contesto ebraico (cioè dell’Antico Testamento) per comprendere meglio Gesù.
    La barriera della quale ci occuperemo ora (e in modo più specifico in altra sede, trattando di Gesù “Figlio di Abramo”) è più insidiosa perché non esplicita, essendo come un invisibile velo posto nel nostro pensiero. È perciò più difficile eliminarla, eppure anch’essa chiude gli orizzonti e limita la comprensione di come si è sviluppata la vicenda biblica.
    La storia del popolo di Dio, come la storia della fede e della salvezza, si fanno tutte solitamente cominciare con Abramo, innalzando di fatto un muro dietro colui che è erroneamente definito il “Padre della fede”: erroneamente perché la fede c’era anche prima di Abramo (per esempio in Abele, Enoc e Noè, cfr. Ebrei 11:4-7) ed al suo tempo c’èra anche chi gli era spiritualmente superiore, cioè Melchisedec (Genesi 14:17-20; Ebrei 7:1-10). Paolo definisce Abramo «Padre di tutti noi» (Rom 4:11:16), riferendosi sia ai credenti circoncisi (Ebrei) che a quelli incirconcisi (Gentili) ed effettivamente in quel momento lo era diventato. Invece al tempo di Melchisedec non lo era ancora, ma poi Dio continuò a seguire Abramo e lo fece diventare un popolo al suo servizio, mentre della grandezza di Melchisedec si perdono le tracce. Insomma, credo vada bene definire Abramo come “Padre dei credenti di oggi e del futuro”, ma definirlo “Padre della fede” induce in errore.
    Forse Melchisedec viene schivato perché, tenendone adeguatamente conto, saltano i consueti schemi d’interpretazione della Bibbia e molti libri di teologia andrebbero riscritti. Si tende allora ad ignorare questo personaggio, avvolgendolo in una nube piena di mistero: anche se l’Epistola agli Ebrei, e il Nuovo Testamento in generale, il mistero lo hanno sostanzialmente sciolto. Per comprendere meglio la questione, è utile ripercorrerla dall’inizio.



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    00 13/09/2009 23:43
    2. MELCHISEDEC È TRASCURABILE NELLA STORIA DI ABRAMO?

    Melchisedec compare e scompare in soli quattro versetti situati nel mezzo di una storia, quella di Abramo, che si può tranquillamente raccontare (e viene raccontata) saltando quello che appare come un inciso secondario, una specie di curiosità messa lì quasi per caso:
    17 Come Abramo se ne tornava, dopo aver sconfitto Chedorlaomer e i re che erano con lui, il re di Sodoma gli andò incontro nella valle di Sciave, cioè la valle del re. 18 Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino. Egli era sacerdote del Dio Altissimo. 19 Egli benedisse Abramo, dicendo: “Benedetto sia Abramo dal Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra! 20 Benedetto sia il Dio Altissimo, che t’ha dato in mano i tuoi nemici!” E Abramo gli diede la decima di ogni cosa. (Genesi 14:17-20).

    Che significato ha avuto Melchisedec per Abramo? Sembra che vada solo a confortarlo e benedirlo dopo una cruciale battaglia. Che tipo di sacerdote era Melchisedec? Gli altri sacerdoti avevano soprattutto a che fare con i sacrifici animali, mentre Melchisedec pose al centro il pane e il vino, non riallacciandosi nell’Antico Testamento a nessuna figura precedente o posteriore, dato che non contempla figure simili nemmeno Mosè, che sul sacerdozio si dilunga molto.
    Insomma, quello di Melchisedec sembra un inciso misterioso del quale nessuno poi tiene conto. Fino a quando Davide, un millennio dopo, andrà proprio a ripescare Melchisedec, proiettandolo in avanti!



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    00 13/09/2009 23:44
    3. UN LAMPO DI DAVIDE INFITTISCE LA NEBBIA

    Il Salmo 110, di Davide, certamente riguardava il futuro Messia («Il Signore stenderà da Sion lo scettro del tuo potere», v. 2), eppure gli studiosi del tempo di Gesù lo evitavano accuratamente. Sapevano infatti che il Messia doveva essere discendente ed erede di Davide (Salmo 132:11; Luca 1:32), ma Davide comincia il Salmo chiamandolo «Signore», in una frase oscura che sembra un gioco di parole: «Il Signore ha detto al mio Signore». Poco dopo Davide aggiunge un’altra frase anch’essa piena di mistero: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec» (v. 4).
    Su Melchisedec si avevano idee confuse, ma questa aggiunta di Davide faceva lo stesso effetto di quando si va in macchina di notte e c’è la nebbia: se si aumenta la luce accendendo i fari abbaglianti, la strada si vede ancora di meno. Comprensibile allora come questo Salmo mettesse in imbarazzo e fosse schivato anche dagli esperti (Matteo 22:43-46).
    Melchisedec, poi, anche in questo caso compare improvvisamente e scompare subito dopo. Infatti i grandi profeti (che sono posteriori a Davide), pur interessandosi spesso al futuro Messia, ignoreranno totalmente Melchisedec. «E se lo hanno ignorato loro», poteva comprensibilmente concludere un ebreo del tempo di Gesù, «posso trascurare anch’io questo personaggio sul quale, anche volendo, non si capisce molto».
    Pure il Nuovo Testamento trascura a lungo Melchisedec. Non se ne fa cenno nei Vangeli e neppure nelle predicazioni riportate negli Atti. Quando la teologia cristiana si era per lo più delineata, però, ancora una volta irrompe inaspettatamente Melchisedec, in un’Epistola agli Ebrei che non è certamente fra le prime scritte e che (un po’ di mistero resta sempre) è l’unica a non dichiarare in modo esplicito chi ne è l’autore umano.
    Passiamo perciò a considerare l’Epistola agli Ebrei, senza approfondire un Salmo 110 che suscita diverse domande e sul quale è opportuno fare un commento in separata sede.



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    4. L’EPISTOLA AGLI EBREI SVELA IL MISTERO

    Con l’Epistola agli Ebrei la nebbia si dirada, perché non solo viene dato un senso ai precedenti passi riguardanti Melchisedec, ma i punti chiariti consentono di aver luce anche da altri aspetti del Nuovo Testamento.
    L’Epistola agli Ebrei è molto importante per la teologia cristiana finale ed in essa si parla di Melchisedec in capitoli che costituiscono uno snodo fondamentale dell’Epistola (capp. 5-7). Le tematiche affrontate sono molto vaste e su alcune contiamo di soffermarci in un altro studio. Qui ci interessa particolarmente l’inizio del cap. 7 (vv. 1-10), dove si fa una dettagliata analisi di Melchisedec, ciò prima e dopo aver ribadito che il sacerdozio di Gesù è «secondo l’ordine di Melchisedec» (5:6,10; 6:20; 7:11,17). Riportiamo integralmente i primi dieci versetti del cap. 7:
    1. Questo Melchisedec, re di Salem, era sacerdote del Dio Altissimo. Egli andò incontro ad Abraamo, mentre questi tornava dopo aver sconfitto dei re, e lo benedisse. 2. E Abraamo diede a lui la decima di ogni cosa. Egli è anzitutto, traducendo il suo nome, re di giustizia; e poi anche re di Salem, vale a dire re di pace. 3. È senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fin di vita, simile quindi al Figlio di Dio. Questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno. 4. Pertanto considerate quanto sia grande costui al quale Abraamo, il patriarca, diede la decima del bottino! 5. Ora, tra i figli di Levi, quelli che ricevono il sacerdozio hanno per legge l’ordine di prelevare le decime dal popolo, cioè dai loro fratelli, benché questi siano discendenti di Abraamo. 6. Melchisedec, invece, che non è della loro stirpe, prese la decima da Abraamo e benedisse colui che aveva le promesse! 7. Ora, senza contraddizione, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. Inoltre, qui, quelli che riscuotono le decime sono uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. In un certo senso, nella persona d’Abraamo, Levi stesso, che riceve le decime, ha pagato la decima; perché egli era ancora nei lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abraamo. (Ebrei 7:1-10).
    Uno degli aspetti più rilevanti, e che sconvolge molte teologie che circolano, è che il nuovo sacerdozio di Gesù… è tipologicamente più antico di quello che c’era, cioè quello di Aronne. Ciononostante i commenti abbondano nel sottolineare le grandi novità venute con Gesù, sorvolando spesso su ciò che collega Gesù con quanto lo precede. La teologia, insomma, è poco incline a prendere atto che Gesù, avendo come precursore Melchisedec, restaura in qualche modo i tempi pre-abramici.
    Un altro aspetto sconvolgente è che Abramo, ai suoi tempi, non era la persona spiritualmente più elevata. Eppure Abramo è universalmente definito come “il Padre della fede”, come se la fede cominciasse con lui e non ci fosse fuori di lui! Ignorando, come abbiamo visto, non solo Melchisedec, ma anche Abele, Enoc e Noè (Ebrei 11:4-7). Per inciso, Dio cambiò il nome di Abramo in Abraamo, per sottolinearne la missione universale (Genesi 17:4-5): al di fuori delle citazioni bibliche, però, usiamo solo il nome di Abramo.
    Venendo ad altri aspetti, Melchisedec viene strettamente associato alla giustizia ed alla pace, due caratteristiche strettamente riferibili anche a Gesù. Giovanni Battista annunciò un Messia che avrebbe fatto trionfare la giustizia (Matteo 21:32), in sintonia con una profezia di Isaia (Isaia 42:4, citato da Matteo 11:20); mentre la stessa Epistola agli Ebrei riprende un’altra profezia simile (Ebrei 1:9; Salmo 45:7). Certo, nella sua prima venuta Gesù non ha fatto trionfare la giustizia nel mondo, come ci si aspettava, ma quella parte del suo programma è solo rinviata, non abolita (2Pietro 3:13).
    Isaia annunciò che il futuro Messia sarebbe stato anche «Principe della pace», indicandolo in modo del tutto simile a Melchisedec, «re di Salem», cioè «re di Pace». Su questo aspetto di Gesù, comunque, ci siamo soffermati sottolineando alcuni suoi collegamenti con Salomone, un antenato che si caratterizzò per la “shalom” (“pace” nel senso di “pienezza”), sia nel nome Salomone che nel tipo di regno (vedere, a parte, il capitolo su Gesù “Figlio di Davide”, par. 6).
    Ebrei 7:3 è forse un’analisi oggettiva di Genesi 14:17-20? Coloro ai quali lo scrittore si rivolge capiscono subito che non si sta facendo un’analisi di Genesi 14, ma se ne sta dando un’interpretazione tipologica, che vede in Melchisedec un simbolo del Messia. Ciò è chiarito dal fatto che Melchisedec viene subito definito «senza padre, senza madre», mentre in Genesi 14 non c’è niente che lo faccia pensare come diverso da un uomo normale.
    In Ebrei 7, insomma, non si vuol far capire che Melchisedec sia piovuto dal cielo, ma che di lui erano state descritte solo quelle caratteristiche che lo avrebbero fatto rassomigliare poi a Gesù (descrizione evidentemente guidata da chi già sapeva tutta la storia!). In altre parole, in Genesi 14 troviamo un Melchisedec reale, mentre lo scrittore di Ebrei proietta su di lui Gesù e mescola volutamente le due persone, in un’operazione che a noi può sembrare non corretta, ma che è tipica della mentalità ebraica, come si può vedere nel Salmo 16, nel quale sembra proprio che Davide parli di sé, invece Pietro (Atti 2) spiega che stava profetizzando del Messia (vedere lo studio “Profezie su Cristo”). Certamente ci colpisce di più quando una profezia si capisce prima della sua realizzazione, ma in certi casi sarebbe per noi difficile capire in anticipo e allora a volte Dio fa il contrario: cioè prima ci racconta un fatto con nascosti significati profetici, che scopriamo solo quando poi la profezia si realizza. Spesso la “applicazione a posteriori” è un adattamento necessariamente non preciso, ma nel caso di Melchisedec e di altri casi (come Isaia 53) la corrispondenza è tale che ci fa vedere come effettivamente la venuta di Gesù sia stata programmata «prima della creazione del mondo» (1Pietro 1:20; Giovanni 17:24).
    L’incontro fra Abramo e Melchisedec può sembrare occasionale, ma la sfumatura precisata in Ebrei 7:4 («la decima del bottino») stimola a vedere quell’incontro in un’altra luce: prima bisogna però precisare qualcosa su Mosè.
    Diverse prescrizioni date da Mosè erano in qualche modo presenti anche prima di lui (vedere, altrove, il capitolo su Giobbe e la fede prima di Mosè) e la pratica di dare la decima al sacerdote può essere annoverata fra di esse. Tanto più che poi anche Giacobbe, nipote di Abramo, mostra di aver conoscenza della pratica della decima, anche se non è detto con precisione come poi Giacobbe la mise in pratica (Genesi 28:22).
    Insomma, era stato Dio a dare la vittoria ad Abramo, come gli ricorda Melchisedec (Genesi 14:20), e l’offerta della decima era il modo col quale Abramo mostrava la sua riconoscenza. In Genesi 14 si ha l’impressione che sia stato Melchisedec ad andare da Abramo, ma dal contesto si ricava che in ogni caso l’incontro avvenne sulla base di un codice di comportamento condiviso e che perciò la presenza a quei tempi di sacerdoti del tipo di Melchisedec aveva i caratteri di un’istituzione, piuttosto che essere un’eccezione. Dato che, dopo l’Epistola agli Ebrei, quanto è detto di Melchisedec in Genesi acquista nuova luce, sarà bene riesaminare di nuovo quei versetti.



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    Roberto Carson
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    5. ANCORA SU GENESI 14:17-20

    «Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino» (v. 18).

    Che strano questo Melchisedec. Gli altri sacerdoti avevano al centro i sacrifici animali (Ebrei 9:22), mentre nel suo incontro con Abramo non c’è traccia di quei sacrifici con i quali si cercava il perdono di Dio. Melchisedec pose al centro il pane e il vino, che seppure erano usati anche da altri, in quel contesto occupano eccezionalmente tutta la scena e trasmettono la visione di un Dio che va oltre il peccato e che si dispone ad accogliere nell’amicizia di una tavola apparecchiata. Difficile a quei tempi capire che prospettiva avessero quei simboli, ma è anche difficile per noi capire quale sapienza e quale conoscenza di Dio c’era a quei tempi.
    Poi verrà Gesù e comincerà a manifestarsi pubblicamente proprio intorno alla tavola imbandita per le nozze di Cana, dove volle che non mancasse il vino (Giovanni 2:1-11). Gesù finirà la sua missione ancora intorno ad una tavola di amicizia: quella dell’ultima cena, nella quale (benché nella cena pasquale ci fosse molto altro) pose al centro proprio il pane ed il vino, lasciati addirittura come segni per ricordarsi di lui fino al suo ritorno (Luca 22:14-20; 1Corinzi 11:23-26).
    Certo, per due millenni Melchisedec è stato avvolto nel mistero, ma ora che il mistero è stato svelato, ora che Melchisedec si è rivelato come un precursore di Cristo, perché continuare a tenerlo in disparte?

    «Egli era sacerdote del Dio Altissimo» (v. 18).

    Non bastava dire che era “sacerdote di Dio”? Perché la precisazione “Altissimo”? Per lungo tempo non ci ho fatto caso, ma quell’aggiunta è di grande significato. Prima però è bene chiarire un dettaglio: Altissimo con la “A” maiuscola o con la “a” minuscola? Non si può fare appello all’originale ebraico perché veniva scritto in lettere tutte maiuscole. È perciò una scelta del traduttore e, su quattro Bibbie consultate, due hanno la maiuscola e due la minuscola. Anche chi usa la minuscola, però, in successivi contesti simili (Daniele 7:17-27 e Luca 1:35, sui quali torneremo tra poco) adotta poi la maiuscola, riconoscendo che “Altissimo” è uno dei nomi di Dio. La costante preferenza per la maiuscola ci sembra perciò non arbitraria, comunque non incide sul senso complessivo dei ragionamenti che faremo.
    Nella Bibbia, Dio viene indicato con diversi nomi, che ne mettono in rilievo i suoi vari aspetti. In Genesi 1 si usa il nome generico “Dio”, mentre da Genesi 4 in poi prevale per lo più Jahvè, tradotto in genere con “Signore”: una traduzione che però fa perdere a quel nome la sua singolarità e ne confonde l’uso fattone nella Bibbia, che lo adotta soprattutto per indicare il Dio che si relaziona col suo popolo. Per rendere chiaro che Jahvè e Dio sono la stessa persona, nei capitoli intermedi (Genesi 2 e 3) la Bibbia usa i due nomi accoppiati, cioè “Dio Jahvè”.
    Che il Dio Altissimo di Melchisedec sia l’unico e vero Dio, però, non è determinato principalmente dal nome scelto (perché i nomi potrebbero essere usati in modo distorto), ma dalla essenziale caratteristica di Dio ricavabile da Genesi 1 e che viene subito dopo esplicitata: «Padrone del cielo e della terra». Altre traduzioni hanno “Creatore” al posto di “Padrone”, comunque può essere veramente padrone dei cieli e della terra solo chi li ha creati: non a caso Dio viene spesso definito come “Creatore e Signore del cielo e della terra”, con “Signore” che ha un significato simile a “Padrone”.
    È interessante l’espressione che usa subito dopo Abramo, il quale parlando col re di Sodoma dichiara: «Ho alzato la mia mano a Jahvè, il Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra». Alzare la mano era un gesto che si accompagnava alla preghiera. È significativo che Abramo usi prima il nome col quale Dio si relaziona con lui (Jahvè), poi quello col quale si relazionava col suo interlocutore e che aveva usato Melchisedec (Altissimo), togliendo ogni dubbio sul Dio del quale si stava parlando indicandone la caratteristica essenziale (“padrone [creatore] del cielo e della terra”). In ogni modo, usando il nome “Dio Altissimo”, Abramo si identificava spiritualmente con Melchisedec.
    Non è un caso che nel libro di Daniele, scritto in contesto non ebraico, il nome “Altissimo” sia molto usato (Daniele 4; 7:17-27). Il fatto che Melchisedec usi “Altissimo”, insomma, spinge a collocarlo al di fuori di quella “linea della promessa” che parte da Adamo, passa per Abramo e arriva a Cristo. Il sacerdozio di Melchisedec, cioè, sembra ricollegarsi a quella spiritualità universale derivata da Noè e che era presente nel contesto dal quale emergerà poi Abramo. Dato che la “linea della promessa” era anche su base genealogica, che Melchisedec non ne faccia parte si può anche ricavare dalla genealogia di Abramo (Genesi 11) e da quella di Gesù (Matteo 1).
    Abramo non è perciò estraneo a ciò che lo precede, anche se poi Dio, attraverso lui, comincerà un programma nuovo. Un programma proprio nuovo? Oppure attraverso Abramo Dio vuole recuperare un’universalità perdutasi con la frammentazione dell’umanità sotto la Torre di Babele? Non è forse in Abramo che Dio vuol benedire (e implicitamente riunire) “tutte le famiglie della terra”? (Genesi 12:3). Recuperando così quella spiritualità universale della quale Melchisedec è uno degli ultimi esponenti descritti e che sarà poi rilanciata da Gesù, la cui opera salderà la particolarità ebraica di Abramo con l’universalità di Melchisedec: prima a Pentecoste, dove si cominciano ad abbattere le barriere linguistiche (Atti 2:5-11), poi con la Chiesa di Antiochia e con la decisione di immettere nel popolo di Dio anche i non circoncisi (Atti 11:19-21; 15:22-29). Ora però stiamo allargando troppo il discorso, mentre ancora c’è altro da dire sul nome “Altissimo”.
    Stando alla “Chiave Biblica” che uso, è Melchisedec ad indicare per primo Dio come “Altissimo” e abbiamo visto che, subito dopo, lo fa anche Abramo. Quel nome viene poi ripreso da Giacobbe (Genesi 49:25) e, nell’Antico Testamento, viene usato una ventina di volte: soprattutto nei Salmi e, come già visto, nel libro di Daniele (Salmo 7:17; 9:2; 91:9; 97:9; Ecclesiaste 5:8; Isaia 14:14; Osea 7:16).
    Nel Nuovo Testamento viene riportato “Altissimo” poche volte e solo nei due scritti di Luca: in Atti 7:48 è Stefano a farne uso; nel Vangelo lo usa una volta Gesù e tre volte è presente nel primo capitolo. Significativo è il contesto nel quale lo usa Gesù: «Amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi» (Luca 6:35). I Giudei del tempo si sentivano figli di Abramo e figli di Dio (Matteo 3:9; Giovanni 8:33,41), con la tendenza a solidarizzare fra loro ed a mettere una barriera verso l’esterno (Giovanni 4:9; Atti 10:28). Gesù non negò che bisognasse fare del bene ai propri simili (cioè agli amici); Dio però non è soltanto il Dio di Abramo ma anche il Dio di Melchisedec, cioè il Dio di tutti: allora l’appello a fare del bene ai propri nemici ed ai nemici di Dio è più appropriato farlo nel nome dell’Altissimo, piuttosto che nel nome di Jahvè.
    L’uso più significativo che nel Nuovo Testamento si fa di “Altissimo” lo fa però l’angelo che parla a Maria: «Tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre […] Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio» (Luca 1:30-35).
    Proprio la parsimonia che nella Bibbia si fa nell’uso di “Altissimo” ne esalta la rilevanza. Gesù ribadì che la sua opera era inizialmente circoscritta al popolo d’Israele (Matteo 10:5-6; 15:24), ma alla fine del Vangelo invitò a diffonderla a tutti i popoli (Matteo 28:19). Già nel Vangelo, comunque, si aprì volentieri ai Samaritani ed ai pagani, non dimenticandosi di essere “Figlio dell’Altissimo” (Giovanni 4; Marco 7:26-30; Luca 7:1-10; 10:25-37).
    Giovanni Battista fu annunciato come «profeta dell’Altissimo» (Luca 1:76) e ciò rafforza quanto messo sopra in rilievo.
    La Parola di Dio non è fatta per essere osservata dall’esterno, ma per farci riflettere su come può interferire nella nostra vita: vediamo allora una semplice applicazione che possiamo farne.



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    6. I CRISTIANI, SACERDOTI SULLA LINEA DI MELCHISEDEC

    Un fondamento della Riforma di Lutero è che i cristiani sono “tutti sacerdoti”: prima di tutto perché, essendo in qualche modo membra del “corpo di Cristo” (1Corinzi 12:27), non abbiamo bisogno di mediatori che ci colleghino a Cristo.
    Non siamo però sacerdoti solo per noi stessi, ma anche verso coloro che non appartengono ancora a Cristo, offrendo non sacrifici di animali, ma una testimonianza di lode a Dio (Ebrei 13:15), contribuendo così a proclamare il Vangelo a tutti i popoli (Matteo 28:19).
    Quando un cristiano considera che partecipa al sacerdozio di Cristo, però, in genere pensa ai sacerdoti “secondo l’ordine di Aronne”, i quali svolgevano il loro servizio nel tempio. Eppure il culto cristiano è incentrato sui simboli del pane e del vino, che sono gli stessi usati da Melchisedec.
    Il Dio del quale un cristiano parla non è (o non dovrebbe essere) un Dio che vuole discutere dei nostri peccati, ma è un Dio che ha già risolto la questione del peccato con l’espiazione fattane da Gesù sulla croce, invitandoci ad andare così come siamo alla tavola di Cristo risorto, purché desiderosi di essere trasformati sul modello di Gesù. Non è solo una questione di ritualità e di dottrina, però, perché anche nell’esperienza concreta si vede che il messaggio del Vangelo si trasmette nel modo migliore proprio nella condivisione di una tavola: quella di chi annuncia il Vangelo o quella di chi lo riceve.
    I cristiani, insomma, che se ne rendano conto o no, partecipano di un sacerdozio “secondo l’ordine di Melchisedec” ed è anche per questo che abbiamo voluto soffermarci su questo antico sacerdote più di quanto solitamente si fa. Ricollegandoci con Melchisedec ci sentiamo partecipi di un tempo molto antico, che però ha percorso un lungo tratto ed ora si proietta con Cristo nelle profondità del futuro.




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