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I CATARI


I Catari, cioè i puri (dal greco kataros, puro), ricevettero in Francia il nome di Albigesi perché ebbero ad Albi in Provenza la loro sede più importante. Erano dualisti: per loro il mondo materiale era stato creato da Jehovah, il Dio malvagio dell’Antico Testamento, per cui tutto il Male starebbe nella materia. Il Bene invece nasce dal Dio buono del Nuovo Testamento, Gesù Cristo, Padre delle creature spirituali. Si trattava per loro di due divinità nettamente distinte e per tale motivo erano antitrinitari. L’età precristiana la chiamavano “l’età dell’ignoranza” e quella cristiana “l’età della conoscenza”, rivelata da Gesù Cristo agli uomini.
La natura stessa di Gesù Cristo era per essi puramente spirituale, nonostante avesse avuto apparenza umana, e perciò non poteva né soffrire né morire in croce. Sulla croce era morto un altro. Il loro ministro Bonafos insegnava che “sulla croce Cristo era stato rappresentato da un ladrone, colpevole quanto gli altri due che gli stavano a fianco. E per questo non c’è in quel supplizio niente di rivoltante, perché quello che rappresentava Gesù pagava per i suoi errori personali”. La salvezza dunque non starebbe nel Riscatto della croce, che non ci sarebbe stato, ma nel mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù Cristo, che aveva spiegato come liberarsi dalla tirannia del corpo per tornare ad essere puri spiriti.
Ripudiavano la messa, le intercessioni per i morti, la confessione auricolare e il culto dei santi. Negavano l’eucaristia perché Cristo era solo spirito e non poteva materializzarsi nell’ostia, che è materia e quindi una creazione dello Spirito del Male. Praticavano però la fractio panis.
Nel mondo materiale, nel quale viviamo, non ci sarebbe nulla di buono. Per tale motivo i Catari erano casti e rifiutavano il matrimonio e la procreazione, poiché la riproduzione non era altro per loro che l’imprigionamento di un’anima eterna e spirituale in un corpo materiale. I Catari erano animisti come gli Induisti, i Buddisti e gli Scintoisti. Per loro ogni corpo, anche animale, ospitava un’anima. Erano perciò vegetariani e rifiutavano ogni cibo di origine animale, compreso il latte e le uova. Ogni tanto facevano dei digiuni.
Si dividevano in Perfetti e Credenti. Questi ultimi non erano tenuti a far pubblica professione di fede né dovevano osservare le rigorose pratiche dei Perfetti. La castità, ad esempio, era obbligatoria solo per i Perfetti, cioè per il clero militante. I Credenti, se non ce la facevano a resistere, potevano avere rapporti sessuali purché non si sposassero e non procreassero. I Credenti però erano indispensabili per il mantenimento dei Perfetti, i quali erano venerati in quanto avevano ricevuto il consolamentum, la redenzione dalla materia ottenuta dopo due anni di dure prove. Avevano una gerarchia complicata: erano suddivisi in Chiese federate, ognuna delle quali aveva a capo un vescovo, alle cui dipendenze c’erano dei diaconi, che viaggiavano di regione in regione per predicare e per presiedere alle riunioni religiose.
Il divieto di uccidere per qualsiasi motivo valeva per i Perfetti anche in caso di legittima difesa. Perciò erano costretti a servirsi di guardie del corpo.
Credevano nella trasmigrazione delle anime e vestivano di nero perché portavano il lutto alla propria anima condannata all’inferno di questa vita terrena.
La via della salvezza consisteva, come per tutti i dualisti, nel liberarsi dalle spire della materia durante numerose reincarnazioni fino alla riunione completa con la divinità della Luce. Per tale motivo, come i Druidi, alcuni Perfetti si lasciavano morire di fame o di freddo per bruciare le tappe della vita terrena. Lo stesso era accaduto in India con il Giainismo. Il loro distacco dal mondo materiale prevedeva la rinuncia ad ogni possedimento e a ogni forma di ricchezza. Benché non stimassero il lavoro manuale, tuttavia eccelsero come agricoltori e artigiani e la Provenza dovette in gran parte a loro la propria eccezionale prosperità.
Poiché la Chiesa di Roma aveva accettato ricchezze e potere, i Catari ritenevano che si fosse schierata dalla parte del Male e quindi aveva perduto ogni autorevolezza in materia di purificazione delle anime.
Gli Albigesi, eretici schierati contro Roma, ottennero la protezione del Conte Raimondo VI di Tolosa e di molti altri nobili della Linguadoca, che facevano leva sull’eresia catara per rafforzare la loro autonomia dal re di Francia. Ma nel 1148, al Concilio di Reims, i nobili della Guascogna e della Provenza che avevano protetto gli eretici furono scomunicati.
Nel 1163, al Concilio di Tours, fu emesso un editto nel quale si ordinava di imprigionare gli Albigesi e di confiscare i loro beni e di usare la forza contro gli eretici.
Dal 1181 al 1182 fu inviato un esercito crociato contro gli eretici in Linguadoca, con scarsi risultati.
Innocenzo III pensò di combattere l’eresia con un movimento simile a quello cataro ma ben piantato nell’ortodossia romana. Incaricò di questo compito l’Ordine dei Cistercensi, di cui il frate francese Bernardo di Chiaravalle (1091 – 1153) era il primo abate nel monastero di Clairvaux. I Cistercensi erano adatti perché predicavano l’ascetismo e l’estasi. Per questo motivo Bernardo di Chiaravalle prima di morire riconobbe “che non vi era nulla di più cristiano di questi eretici”. Nella lotta ai Catari si distinse Arnaldo di Citeaux, il superiore dell’Ordine, detto “l’abate degli abati”. Ma i Cistercensi fallirono nell’impresa e allora Innocenzo III cercò un antagonista più aggressivo. Lo trovò in Domenico di Guzman (1175-1221), fondatore dei Domenicani, che nel 1206 lo inviò a predicare agli Albigesi, ma che fu da loro respinto. Anzi gli fu detto che la Chiesa di Roma, che lui rappresentava, era la Babilonia dell’Apocalisse.
Iniziarono in quegli anni numerosi e vivaci dibattiti sulla pubblica piazza anche tra Catari e Valdesi, che cominciavano allora ad affermarsi.
Nel 1207 il legato pontificio Pietro di Castelnau fu inviato dal Papa al Conte Raimondo VI di Tolosa per convincerlo ad abbandonare i Catari, di cui seguiva le idee, e di opporsi a loro perseguitandoli. Per tutta risposta il 15 gennaio 1208 un sicario del Conte lo assassinò. Innocenzo III reagì ordinando una crociata composta da ventimila cavalieri e da duecentomila fanti. A capo della spedizione fu posto Simone di Montfort, detto “l’atleta di Dio”.
A suo fianco c’era il legato pontificio Arnoldo, rimasto famoso per aver ordinato lo sterminio indiscriminato dei ventimila catari di Beziers. A chi prima dell’attacco gli fece notare che tra loro c’erano fedeli cattolici rispose: “Ammazzateli tutti. A riconoscere i suoi ci penserà il Signore.”
La guerra fu una lotta tra il re di Francia Filippo Augusto e i Conti di Tolosa. Alla fine della crociata le vittime non si contarono. I nobili che avevano combattuto a fianco degli Albigesi vennero spogliati delle loro terre, che andarono ad arricchire la corona di Francia: la Provenza venne inglobata nel regno.
Al IV Concilio Lateranense del 1215 papa Innocenzo III creò il Tribunale dell’Inquisizione affidandolo ai vescovi. Le repressioni si intensificarono. Domenico di Guzman fu chiamato “Malleus Haereticorum” perché volle che si punisse col rogo non solo gli Albigesi adulti ma anche i loro bambini qualora avessero compiuto i sette anni di età.
Molti catari, piuttosto che rinnegare la propria fede, abbandonarono la Francia, disperdendosi per l’Europa. Terminata la crociata militare, nel 1229 Gregorio IX fece dell’Inquisizione un’istituzione direttamente dipendente dal Papa, ma solo dal 1231, dopo l’approvazione di Federico II, fece accendere i roghi in tutti i paesi dell’Impero. Federico II e Manfredi, che non erano certo settari, approvarono la persecuzione degli eretici per delitto di lesa maestà temendo che fossero dei potenziali sovvertitori dell’ordine costituito.
Nel 1236 Gregorio IX affidò l’Inquisizione ai Domenicani. Nel 1246 Innocenzo IV ne estese la competenza ai Francescani.
Intorno al 1250 il nome “Albigesi” sparì definitivamente dalla Francia. Comparve però in Italia, dove molti di loro si rifugiarono.
La crociata contro gli Albigesi spinse anche i Trovatori a fuggire in Italia. I Signori del sud della Francia, che si erano trovati coinvolti nella lotta contro questa eresia, furono in gran parte uccisi, persero i loro domini e le loro Corti furono disperse. I Trovatori, la cui poesia e le cui canzoni erano fiorite in Provenza, trovarono rifugio in Italia, specialmente alla Corte di Federico II. Questi cantori, che usavano in Francia la lingua del volgo (volgare), insegnarono alla Corte di Federico II a fare altrettanto servendosi di un siciliano raffinato. Lo stesso Federico II componeva versi in lingua volgare, ma più di ogni altro il figlio Enzo. Quando questi fu fatto prigioniero dai bolognesi compose nella lingua parlata dal popolo delle poesie malinconiche per esprimere la tristezza causata in lui dal carcere in cui era venuto a trovarsi. Questi versi piacquero al bolognese Guido Guinizelli e lo ispirarono a comporre la canzone “A cor gentil repara sempre amore”, che divenne il manifesto dello Stil Novo.
Ma torniamo ai Catari rifugiati in Italia. Un loro covo fu la cittadella arroccata di Sirmione, sul lago di Garda, dove furono benevolmente accolti dal vescovo Lorenzo. Una spedizione militare guidata da Alberto Della Scala, appartenente alla nota famiglia veronese, assediò e sconfisse i Catari di Sirmione. Li catturò e li fece bruciare vivi nell’arena di Verona il 13 febbraio 1278.
Perfino negli Stati della Chiesa quei Catari erano andati a insediarsi. Intervenne l’Inquisizione per fare piazza pulita. Per esempio, nel circondario di Orvieto fu dato ordine di abbattere tutte le torri e i castelli dove avevano trovato ospitalità.

GLI ARNALDISTI


Arnaldo nacque a Brescia intorno al 1090. Quando nella sua città era un giovane monaco agostiniano brillò talmente negli studi che i suoi superiori lo mandarono a Parigi alla scuola di Pietro Abelardo (1079-1142), il grande pensatore e razionalista, promotore del Concettualismo, che negli argomenti religiosi poneva la ragione al di sopra dell’autorità della tradizione. Pietro Abelardo aveva scritto un libro intitolato “Sic et non”, in cui aveva messo in luce le contraddizioni presenti nel pensiero dei Padri della Chiesa, aprendo la via alla critica dei testi patristici. Fu avversato da Bernardo di Chiaravalle in un dibattito decisivo al Concilio di Sens del 1141. Entrambi videro chiaramente dove sarebbe andato a parare questo conflitto di principi. Se fosse prevalso quello di Bernardo, l’autorità della tradizione sarebbe stata l’unica guida della coscienza del cristiano e perfino l’appellarsi a fatti storici sarebbe stato tradimento ed eresia. Se fosse prevalso quello di Abelardo, i cristiani avrebbero raggiunto una visione modernista, sviluppando dottrine del tutto incompatibili con l’autorità della tradizione. Questo fu l’inizio della lotta fra Ultramontanismo e Modernismo. Abelardo fu dichiarato eretico e ridotto al silenzio in un monastero.
Buona parte delle sue idee devono avere profondamente influenzato Arnaldo. Ma mentre Abelardo era un filosofo, Arnaldo era un predicatore e un politico. Baronio infatti lo chiamò “il padre delle eresie politiche”. Sosteneva che la proprietà delle terre non spettasse alla Chiesa ma allo Stato, a servizio della società intera. Con ciò non usciva dall’ortodossia, perché si basava su un canone del papa Pasquale I (817-824), caduto nell’oblio. Arnaldo, profondamente colpito dalla corruzione della Chiesa, si oppose alla mondanità del clero e predicò l’ideale apostolico per un rinnovamento della Chiesa stessa, che la riportasse alla santità e alla purezza delle origini. Dichiarò che la Chiesa non avrebbe dovuto avere possedimenti ma vivere di lavoro e di offerte volontarie, perché chiamata allo spirito e non alla carne. Diceva: “Non deve il popolo avere i sacramenti dai cattivi sacerdoti né comunicare ad essi i suoi peccati, ma piuttosto confessarseli l’un l’altro”.
Arnaldo fu un modello di vita perché praticava quel che predicava e i suoi sermoni scossero e divisero la popolazione lombarda, tanto che Innocenzo II al Concilio lateranense del 1139 prese contro di lui e i suoi seguaci delle misure preventive: Arnaldo fu accusato di incitare i laici contro il clero e venne bandito dall’Italia come scismatico, ma non fu condannato come eretico.
Si rifugiò a Parigi, dove si guadagnò da vivere insegnando teologia, ma anche lì, subito dopo aver cominciato a predicare le sue idee, fu obbligato ad andarsene. Fuggì a Zurigo, dove Bernardo di Chiaravalle lo denunciò come eretico, dichiarando che le sue parole erano miele ma la sua dottrina veleno e aggiungendo: “Mangia solo il pane del demonio e beve soltanto il sangue delle anime”.
Arnaldo, tre secoli prima di Lorenzo Valla, aveva ritenuto un falso la donazione di Costantino. Chiese che l’imperatore Corrado III di Svevia venisse a Roma per istituire con il popolo un Comune indipendente dal papa, desiderando la completa separazione della Chiesa dallo Stato. Morto Corrado III ripeté l’invito a Federico Barbarossa, ignorando i propositi di quest’ultimo contro l’autonomia dei Comuni in Italia.
Nel 1145 giunse a Roma per partecipare alla creazione del Comune repubblicano della città, del quale divenne il capo.
Nello stesso anno il papa Lucio II era morto per aver ricevuto una sassata alla testa mentre attaccava, con l’aiuto del normanno Ruggero, i repubblicani asserragliati in Campidoglio. Bernardo di Chiaravalle scrisse subito ai romani: “Pecorelle smarrite, tornate al vostro Pastore, al vostro Vescovo! Illustre città di eroi, torna a riconciliarti con Pietro e con Paolo, tuoi principi veri!”. Bernardo morì nel 1153 senza essere stato ascoltato dal popolo di Roma.
Nel 1155 Federico Barbarossa, sceso in Italia nell’anno precedente, dopo aver distrutto alcuni Comuni (Tortona, Asti e Chieti) ed essere stato incoronato a Pavia come re d’Italia, marciò su Roma per porre fine al Comune. Si era intanto meritato l’appellativo di “sterminatore di città”. Anche a Roma riuscì nel suo intento e consegnò Arnaldo da Brescia al papa inglese Adriano IV, il quale aveva condannato a morte il monaco come eretico e aveva scomunicato la città di Roma insorta contro di lui. Arnaldo venne impiccato, il suo cadavere fu arso infilzato in uno spiedo e le sue ceneri vennero disperse nel Tevere. Aveva circa sessantacinque anni. Federico ottenne subito come premio dal Papa la corona imperiale.
Gli Arnaldisti o Eretici lombardi continuarono la sua opera per qualche anno, ma da che furono banditi come eretici dal Concilio di Verona del 1184 scomparvero. Non avevano un’organizzazione vera e propria: rappresentando piuttosto una tendenza del pensiero religioso che rimase molto diffusa nell’Italia settentrionale.


GLI UMILIATI


Sulla metà del XII secolo Giovanni da Meda, un paese vicino a Milano, fondò nella capitale lombarda il movimento degli Umiliati e per questo venne in seguito canonizzato. Gli Umiliati non erano eretici: per lo più si trattava di lanaioli desiderosi di vivere secondo i dettami del Vangelo in povertà e in umiltà. Le loro sedi furono Milano e altre città della Lombardia. Non insorgevano contro la corruzione del clero né contro gli errori della Chiesa di Roma. Dicevano che la perfezione cristiana poteva essere ricercata con l’esercizio delle proprie attività e quindi sostenevano l’obbligo del lavoro manuale. Si riunivano in comunità formate da uomini e donne che convivevano nella continenza. Era un terz’ordine francescano ante litteram.
Sul finire del XII secolo si formò tra di loro una corrente ereticale che si aggregò ben presto ai Poveri Lombardi, cioè ai Valdesi Italiani. Ciò valse loro la scomunica del papa Lucio III al Concilio di Verona del 1184. Da allora vissero nella clandestinità finché la maggioranza confermò la propria obbedienza ai vescovi e ottenne nel 1199 da Innocenzo III la reintegrazione nella Chiesa e il permesso di predicare, purché lo facessero contro gli eretici. Gli Umiliati assunsero allora le caratteristiche di un ordine monastico e vi affluirono persone di ogni ceto, anche di elevata estrazione sociale. Innocenzo III li chiamò “Umiliati ortodossi” per distinguerli da quelli eretici o “falsi Umiliati” e li divise in tre ordini: laico, monastico e clericale.
Come tutti i movimenti cattolici da poveri divennero ricchi e le loro comunità si trasformarono in cenacoli di gaudenti. Nel XVII secolo erano ormai ridotti a pochi: 170 persone che disponevano di circa cento conventi! Il Cardinale Carlo Borromeo gli sciolse. Non l’avesse mai fatto! Rischiò di rimanere vittima di un attentato.


I VALDESI

Pietro Valdo era un ricco mercante di Lione, che si convertì a Cristo nel 1168. A sue spese fece tradurre nella lingua provenzale interi libri della Bibbia, imparò a leggere, lesse “ Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi” (Matteo 19:21). Subito distribuì i suoi beni ai poveri e indennizzò coloro cui credeva di aver fatto torto. L’arcivescovo di Lione gli impose di smettere di predicare il Vangelo con tanto di spiegazione delle Sacre Scritture al popolo. Allora Valdo non predicava alcunché di eretico, ma solo la povertà evangelica e la rinuncia a qualsiasi forma di ricchezza. Sicuro di essere nel giusto, Valdo non obbedì e fu espulso dalla città insieme ai suoi seguaci.
Nel 1179, durante il III Concilio lateranense, Valdo si presentò con una delegazione dei suoi davanti al papa Alessandro III. Questi approvò la loro povertà e concesse al solo Valdo il permesso di predicare in quanto ancora di provata fede cattolica. Non permise, invece, l’istituzione di un nuovo ordine pauperistico perché la delegazione valdese presentò al pontefice non una regola ma versetti biblici tradotti in lingua volgare. Valdo e i suoi tornarono baldanzosi a Lione, ma ne vennero nuovamente espulsi dall’irriducibile arcivescovo, che sentiva tra loro puzzo di eresia.
La concessione papale cessò quando i Valdesi furono scomunicati come eretici da papa Lucio III al Concilio di Verona del 1184.
Valdo, infatti, aveva maturato una maggiore conoscenza della verità biblica fino a ritenere che i veri eretici fossero i cattolici. Il papa fu accusato di essere a capo dell’eresia e dell’omicidio dei Saraceni, con una chiara condanna delle crociate. Vedeva nella ricca Chiesa di Roma la Babilonia dell’Apocalisse e nel papa l’Anticristo. Credette che ogni cristiano laico fosse anche sacerdote e per tale motivo i valdesi si confessavano a vicenda. Non fece ribattezzare i suoi ma ogni credente doveva studiare la Scritture e poi riceveva l’ordinazione sacerdotale con l’imposizione delle mani da parte di un anziano. Rinnegò il Purgatorio, la confessione, le indulgenze, le intercessioni da parte della Vergine e dei Santi per i defunti ecc. Diceva che la santità non si raggiungeva per mezzo delle pratiche liturgiche o tramite i riti, ma solo mediante le opere individuali.
La canonizzazione dei Santi era avvenuta per la prima volta circa un secolo prima, nel 955, ad opera di papa Giovanni XV. La Bibbia chiama santi tutti veri seguaci di Cristo, consacrati nella Sua morte.
Le indulgenze, con le quali si riduceva il tempo di punizione per le anime del Purgatorio, erano state concesse per la prima volta nell’anno 850 da papa Leone IV a coloro che salivano la “Scala Santa” a Roma sulle proprie ginocchia. La vendita delle indulgenze iniziò nel 1190, al tempo di Valdo, e continuò fino alla Riforma. Valdo si schierò contro un simile traffico e sarà appunto la protesta contro di esso che causerà la Riforma nel XVI secolo. San Pietro, infatti, rifiutò la somma di denaro offertagli da Simon Mago per acquistare i doni di Dio.
La dottrina del Purgatorio e quindi le preghiere per i defunti, che nell’aldilà si starebbero purificando dei propri peccati, costituiscono delle credenze molto antiche. Se ne trovano tracce nell’antico Egitto, in Persia, nello Zoroastrismo, in Grecia nelle opere di Platone (Fedone), in Roma (l’Eneide di Virgilio) e quindi nel Cattolicesimo. Il Purgatorio fu insegnato da Agostino, che era neo-platonico; poi fu confermato da papa Gregorio Magno (c.582), che ci mise il fuoco. Successivamente il cardinale Pietro Damiano (+1072) ci aggiunse il ghiaccio. Tommaso d’Aquino ne espose i particolari nella Summa Theologica. Fu riconosciuto dogma di fede al Concilio di Lione (1274) e poi confermato al Concilio di Firenze nel 1439. Il dogma fu difeso al Concilio di Trento.
Nel 1205, in un sinodo valdese tenuto a Milano, ci fu lo scontro tra due grandi vecchi: Valdo da una parte e Giovanni da Ronco dall’altra. Quest’ultimo voleva a tutti i costi che Valdo lo eleggesse preposto a vita, ma lui si rifiutò. La disputa che ne seguì scandalizzò molti Valdesi italiani, che tornarono in grembo alla Madre Chiesa. Nacquero così i Poveri Cattolici o Riconciliati, che furono approvati come ordine da Innocenzo III al IV Concilio lateranense del 1215, quando il papa impose il dogma della transustanziazione e l’obbligo della confessione auricolare.
Il Ronco formò invece la setta dei Poveri Lombardi, sempre valdese ma separata da quella ultramontana. Predicava che i preti cattolici dovevano sposarsi, che dovevano mantenersi col lavoro e non essere mantenuti dalla comunità. I preti corrotti, secondo lui, non potevano amministrare i sacramenti: se uno faceva la comunione e il sacerdote ufficiante era un poco di buono, questa non era valida.
La predicazione di Valdo e dei suoi seguaci, prima limitata alla Francia e all’Italia, si estese alla Svizzera, all’Austria, alla Germania, all’Ungheria, alla Polonia, alla Moravia e alla Boemia. Valdo fu coadiuvato da Giovanni Viveto e da Ugo Speroni. Quest’ultimo guidava un gruppo da lui detto degli Speronisti. Valdo, dopo aver predicato per mezza Europa, morì in Boemia nel 1217.
Il papato reagì in due modi al Valdismo: il primo fu la persecuzione.
Nel 1208 Innocenzo III decise di nominare alcuni vescovi francesi e austriaci come suoi legati nella lotta al movimento valdese. Nello stesso tempo l’imperatore Ottone IV di Brunswick intimò al vescovo di Torino di espellere i valdesi dalla sua diocesi. I Valdesi si rifugiarono allora nelle valli alpestri, a Torre Pellice. Il secondo fu quello di contrapporgli un movimento pauperistico simile ma cattolico. Per tale motivo nel 1210 Innocenzo III approvò il Francescanesimo.
Nel 1223 il nuovo papa, Onorio III, confermò l’Ordine francescano dei frati minori. Egli sostenne con Federico II l’assimilazione del delitto di eresia a quello di lesa maestà.
Il Concilio di Tolosa (1229) vietò la traduzione della Bibbia in lingua volgare e la mise nell’Indice dei libri proibiti. Chi l’avesse doveva consegnarla al vescovo entro otto giorni perché fosse data alle fiamme. Se si rifiutava, veniva accusato di eresia.
Tea.
[Modificato da Roberto Carson 07/11/2009 17:56]