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4. LA SPIRITUALITÀ DI GIOBBE

1:1. «Temeva Dio e fuggiva il male». Non dice «Faceva il bene e fuggiva il male», perché ciò che ci fa essere graditi a Dio è la fede, cioè qualcosa che sta alla base del comportamento e che è in sintonia col timore di Dio. Di Noè, per esempio, vien detto che “trovò grazia” (Gen 6:8), non che meritasse in sé stesso la benevolenza di Dio.
1:5. Giobbe offriva olocausti come mezzo per il perdono dei peccati, era perciò sacerdote come Noè (Gen 8:20) ed aveva la tipica teologia biblica sul sacrificio espiatorio.
1:7. Satana compare e agisce secondo lo stile di Gen 3.
1:10. Vedere nella prosperità una benedizione di Dio percorre tutta la Bibbia e l’accento sul bestiame è tipico dell’epoca patriarcale (Abramo, Giacobbe).
1:21; 2:10; 12:13 a 13:2; 19:6-8. «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», riflette la ferma convinzione di Giobbe sulla sovranità di Dio e sul fatto che nulla sfugge alla sua volontà; anche quando permette che operi il Diavolo, Dio resta il Signore dell’universo ed a lui spetta l’ultima parola; questi concetti, fortemente e ripetutamente ribaditi nel libro di Giobbe, sono ben evidenti anche nel resto della Bibbia.
2:3. Giobbe è un giusto che soffre ingiustamente e constata che «la terra è data in balìa dei malvagi» (9:24; 16:11): ciò evidentemente contrasta con la signoria di un Dio buono e perciò Giobbe ne rimane scandalizzato. Egli è preso da questa contraddizione (cfr. anche 21:7-21; 24:1-4; 24:22-23), ma il tema è ben presente ovunque nella Bibbia, a cominciare da Abele e per finire col prevalere temporaneo di Satana descritto nell’Apocalisse (capp. 12-13), passando per Davide che scrive “Perché mi hai abbandonato?” (Sal 22), parole riprese addirittura da Cristo (Mt 27:46). Seppure la sofferenza del giusto sia il tema prevalente del libro di Giobbe, emergono qua e là altre questioni tipiche della Bibbia (vedere sotto), perciò il libro risulta una specie di condensato.
6:10. «Non ho rinnegato le parole del Santo». Questa espressione fa riferimento ad una rivelazione di Dio che evidentemente era conosciuta, senza però che ci si riferisca ad uno specifico testo scritto.
6:15. «I fratelli miei si sono mostrati infidi» (cfr. anche 19:19). Il tema dell’abbandono da parte dei fratelli (di sangue o di fede) fa pensare a Giuseppe (Gen 37), a Davide (1 Sam 17:28; 23:1-12) a Gesù (Gv 7:5; Mr 14:50) ed a Paolo (2 Tim 4:16). Ancora una volta troviamo in Giobbe dei temi che percorrono tutta la Bibbia, cioè sia prima che dopo Mosè.
7:21. Giobbe è cosciente di essere un peccatore e che Dio può perdonare i peccati: quello che non accetta è di essersi comportato particolarmente male, cioè di essere più peccatore di altri.
9:9; 10:18; 12:10; 26:7-14; 28:25-26. Giobbe ribadisce continuamente che Dio è il diretto Creatore di tutto.
12:4. «Invocavo Dio e egli mi rispondeva». Dio era per Giobbe un amico, come per Abramo (Is 41:8); anche Gesù lo era per i suoi discepoli (Gv 15:15). La fede di Giobbe era basata su un rapporto personale e diretto con Dio, perciò non sopportava quello che gli appariva come un tradimento.
13:18; 19:25-27; 23:6; 27:6. Giobbe ha una certezza assoluta che Dio non può condannarlo: come potrebbe essere così sicuro, nel suo spirito, se non fosse per la presenza in lui dello Spirito di Dio? (Cfr. Rom 8:16).
23:11-12. Per Giobbe la fede era seguire le orme di Dio, la via di Dio, i comandamenti di Dio: un linguaggio del tutto affine a quello del Nuovo Testamento (1 Pt 2:21; Gv 14:6,15; Eb 10:20). Comandamenti che Giobbe aveva ricevuti dalle “labbra” e dalla “bocca” di Dio!
29:1-25. In questo capitolo Giobbe descrive la sua etica prima della prova e ciò può considerarsi una sintesi di quello che poteva essere il “noachismo”:
3. Dio era per lui una luce fra le tenebre.
4. Sentiva che Dio vegliava come un amico sulla sua casa.
8-9. Era circondato da grande stima da parte di tutti.
11, 22, 23. Apprezzatissime le sue parole (simile a Salomone).
14-16. Sapeva unire la giustizia e la rettitudine con l’essere compassionevole e protettore dei deboli (non s’inorgogliva delle sue virtù).
18-20. Era fiducioso nell’avvenire, sicuro che a Dio piacesse il suo operare luminoso, che investiva l’intera società e che intendeva sempre più allargare.
23-24. Tutto questo operare era fatto con grande pace, così il suo volto risplendeva ed il solo vederlo rincuorava gli scoraggiati.
25. La sua influenza non era solo sul piano morale, ma era trattato come un re. Interessante, a questo proposito, come anche Melchisedec fosse sacerdote, re e profeta. In Abramo pure, avendo egli combattuto e vinto diversi re (Gen 14), può essere rintracciata l’unione di queste caratteristiche che poi troveremo separate (per esempio, fra Saul e Samuele), ma che sembra fossero tipiche delle più elevate personalità dell’epoca patriarcale. Anche in Cristo convergono di nuovo le tre caratteristiche di re, profeta e sacerdote.
31:1,39. Anche nel cap. 31 Giobbe descrive la sua etica, che continua ad avere un chiaro sapore neotestamentario.
1,9. Era ricco e stimato, ma verso le donne irreprensibile, non solo nel comportamento, ma anche con gli occhi.
13-15. Quando c’era qualche contrasto con un suo dipendente, non approfittava della sua posizione di forza, riconoscendo un’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio. Forse per questo pensava che anche Dio non avrebbe approfittato della sua forza per schiacciare la contestazione che gli rivolgeva.
16-21. Era un sostegno per poveri, vedove e orfani, astenendosi dalle contese con questi ultimi, contro i quali avrebbe potuto far pesare il suo prestigio sociale.
24-25. Non idolatrava le proprie ricchezze, cioè non poneva in esse la sua fiducia.
26-27. Nemmeno si faceva tentare dall’adorazione di sole e luna, il culto dei quali sarebbe stato certamente meno impegnativo ed eticamente poco vincolante.
29-32. Notevole il suo estendere la propria compassione anche ai nemici e agli stranieri (come sono antiche certe novità di Cristo!).
33. Senza coprire i propri errori, nemmeno quelli del cuore: perché viveva davanti a Dio e voleva piacere a lui, più che agli uomini, avendo capito che sarebbe stato sciocco fare il “sepolcro imbiancato” (cfr. Mt 23:27).
39. Generoso con i dipendenti.
42:2. Giobbe alla fine riconosce che Dio è più grande di lui e che perciò non può chiamarlo in giudizio, accettando che Dio può dare un senso anche a ciò che ci appare senza senso.
42:7-8. Dio riconosce che Giobbe era migliore dei suoi amici, verso i quali si comporterà da sacerdote.




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