00 17/12/2009 22:24
Risposta a Siracusa:

In questo articolo, voglio esaminare la kénosi di cui parla Paolo in Filippesi 2:5-11, ove si legge: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo: il quale pur vivendo ad immagine di Dio non volle per rapina farsi uguale a Dio, ma annichilì sé stesso prendendo la forma di uno schiavo. Fatto pari a un uomo e trovato d’aspetto come un uomo, si abbassò, divenendo ubbidiente sino alla morte.”



Mi chiedo chi ha tradotto il passo in questo modo, rendere morphè con immagine, non va affatto bene, ma ne riparleremo in seguito...



Secondo il contesto, con questa parenési, l’Apostolo invita i Filippesi a sviluppare uno spirito umile, evitando l’esaltazione al di sopra degli altri. Così presenta loro il modello di umiltà e sottomissione per eccellenza, colui che, pur essendo in “forma” di Dio, (‘essendo di natura divina’ – secondo la versione CEI), non pretese d’essere uguale a Dio, né cercò di rapinare l’uguaglianza con Dio.



Interpretazione arbitraria che non tiene conto delle diverse possibilità traduttive del passo, del resto se cita la CEI come fa a dire che avere la natura di Dio non significa essere uguale a Dio?
Ecco come rende la CEI del ‘74: "Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;"

Quindi l'uguaglianza non è certo messa in dubbio secondo questa traduzione.



Una tra le versioni bibliche, che a mio avviso presenta una giusta chiave di lettura più verosimile, è la Bibbia Concordata, che al versetto 6 dice: “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”. Secondo questa traduzione, Gesù, pur essendo uguale a Dio nella forma (morphè), non pensò di diventarlo interamente, cosa che per lui sarebbe stata una “harpagmon”, un’azione avida, una rapina, un furto, una sottrazione indebita.



Ma non credo proprio!
In questo caso "essere uguale a Dio" ricopre il ruolo proprio del Padre, da non raggiungere avidamente, ma comunque da poter raggiungere umilmente, come mostrato in seguito divenendo egli "il Signore di tutti".



Anche se Gesù era in “forma di Dio”, nel senso che era “Dio” secondo il significato biblico del termine,



Siracusa prende per scontato che in 1000 anni di storia gli scrittori biblici ebbero la stessa teologia, questo si chiama fondamentalismo, che ci sia stata una evoluzione teologica nel rapportarsi con Dio è evidente e scontato a qualsiasi studioso biblico.



non considerò “l’essere come Dio”, una coeguaglianza intera con il Padre, ma ciò che lo stesso termine intende, è un’uguaglianza nella forma d’esistenza, nell’aspetto visibile, esteriore, nella figura o sembianza divina, spirituale.



Oh mio Dio, come può un essere spirituale avere una forma visibile, esteriore, una sembianza divina?
Mi domando se Siracusa creda veramente che Dio abbia una figura esterna! Tenga presente che egli è puro spirito "a chi mi potete assomigliare?" "Dio è spirito" dice la scrittura, nessuna forma esteriore quindi!
Io non capisco proprio come si possa anche solo pensare che morphê in quel contesto sia la forma esteriore, anche perché c'è subito dopo una contrapposizione tra l'essere "in forma di Dio" e l'assumere la condizione di servo. E poi, che forma esteriore potrebbe mai avere Dio? Come gli si può attribuire una forma che lo circoscriva o un aspetto? Non ha confini, non ha un esterno che lo delimiti e che gli dia una “forma” nel senso moderno del termine.
Morphê in greco ellenistico e nelle discussioni di natura filosofico-teologica è sinonimo di eidos, cioè indica la struttura interna di qualcosa. Il riferimento ovvio è ad Aristotele. Chiunque abbia dei ricordi anche solo liceali di storia del pensiero ellenistico sa benissimo che cosa si intenda con questo termine dopo Aristotele. Ovviamente qui non si tratta di cadere nella trappola “filosofia e anti-filosofia”, come se volessimo affermare che Paolo sia stato aristotelico, ma di dire che nel lessico usato per le questioni di teologia, a causa dell’influsso della scuola aristotelica, in greco ellenistico la morphê di qualcosa è l’eidos di qualcosa, la struttura organizzatrice interna che si riflette ANCHE all’esterno."

Analizziamo meglio cosa si intende con morphè:

[Friberg lexicon] morfè,, h/j, h` (1) form, external appearance; generally, as can be discerned through the natural senses (MK 16.12); (2) of the nature of something, used of Christ's contrasting modes of being in his preexistent and human states form, nature (PH 2.6, 7)

[UBS] morfè,, h/j f nature, form

E' ovvio che nei riguardi dell'essere divino, con morphè si debba intendere la natura e non certo una forma esteriore, perchè ovviamente non cell'ha!



Proprio come ‘Dio è uno spirito’ (Gv 4:24), allo stesso modo Gesù è uno spirito! “Essere come Dio” appare dunque sinonimo di “era in forma di Dio” o “come Dio”: ‘della stessa morphè o forma divina del Padre’. L’uguaglianza con Dio, era solo dal punto di vista della morphè, della forma corporea.



No comment! Si contraddice da solo in maniera eloquente!


Leggendo il contesto del passo biblico in questione, si nota che il soggetto è Dio Padre, il quale pone Gesù in una posizione più alta, per la ragione che ha saputo rinunciare umilmente alla sua posizione celeste per divenire uomo e soffrire allo scopo di redimere l’umanità. Così Dio premia il Figlio, dandogli una gloria maggiore; e il fatto che lo abbia posto in una posizione più alta, è da intendersi: ‘ad eccezione della propria’. Dico questo perché, quando Paolo in 1 Corinti 15:27 applica al Figlio di Dio le parole “tutto ha posto sotto i piedi di lui” (Salmo 8,7), egli eccettua Dio, concludendo: “quando avrà assoggettato a lui tutte le cose, allora il Figlio stesso farà atto di sottomissione a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” ».(Bas Van Iersel Concilium 3, 1982)
Così, ciò a cui Gesù rinuncia facendosi uomo, non è tanto l’uguaglianza con Dio, quanto la posizione celeste che occupava in forma divina.
A differenza di Adamo, anch’egli fatto a immagine di Dio, il quale volle divenire uguale a Dio per rapina, disobbedendogli ed auto-elevandosi, (vedi Gn 3:5-22: “ora l’uomo è divenuto come uno di noi” = un dio), al contrario, Cristo, (il secondo Adamo), non volle rapire l’uguaglianza a Dio, bensì, gli rimase ubbidiente e accettò l’umiliazione di farsi uomo fino alla morte. Del resto, quando Paolo incoraggiò i Filippesi ad avere ‘il medesimo sentimento di Cristo’ (Fil 2:2), presenta loro un paradigma, esortandoli a imitare l’umiltà di Gesù, che non era certo quella di “non reputare rapina l’essere uguale a Dio”, come traduce, ad esempio, la versione Diodati (ediz. del 1973), espressione contraddittoria, sulla base del ragionamento che fa l’Apostolo. L’invito all’imitazione di Cristo, fatto ai Filippesi, era per incoraggiarli a sviluppare quel sentimento di umiltà, tipico di Gesù, al quale non passò mai per la testa, anche il solo pensiero d’essere uguale a Dio!



E così si vanno a farsi benedire tutti gli studi che sono stati fatti riguardo la kenosi negli ultimi 2000 anni!
Siracusa non tiene conto delle diverse sfumature che possono scaturire da questo passo, egli accetta solo la sua visione, facendo credere che le altre non possono proprio essere possibili, ma prendere una simile posizione vuol dire essere presuntuosi, "io ho la verità e gli altri sbagliano certamente" non significa nulla, tutto deve essere soppesato e studiato attentamente, bisogna provarle le affermazioni, e non è certo esponendo il suo punto di vista che le altre posizioni perdono di valore:

cercherò di spiegarne velocemente alcune:
Il grande biblista R. Bultmann scrive:




Di parere simile è il Anche il Gillièron (LTB, 92) il quale dice:
«Nell’inno di Fil 2,6-11, uno dei più antichi testi cristiani conosciuti, Cristo viene presentato come spogliatosi della forma di Dio che era la sua, per assumere la forma di servo (Fil 2,6s); il significato della parola forma dipende dall’interpretazione che si dà dell’inno; se si vede il destino del Cristo preesistente poi incarnato, la parola indica l’essere, l’essenza, la natura di Cristo = il Cristo era di natura divina, ed ha assunto la natura umana; se si vede, più probabilmente, la rinuncia fatta da Gesù, nel corso del suo ministero, ad ogni trionfalismo messianico, la parola allora indica il suo modo di esistenza, la sua condizione = pur potendo pretendere di essere uguale a Dio, Cristo ha deciso di comportarsi come un servo che ha ubbidito fino alla morte»

La Sacra Bibbia di mons. Garofalo in 3 volumi aggiunge al riguardo:
«Il senso, in sostanza, è che Cristo non tenne o non aspirò alle prerogative divine (uguaglianza con Dio) alle quali aveva pure diritto in forza della sua natura. Naturalmente si tratta di rinuncia a manifestarle all’esterno»

A proposito di questa interpretazione è utile leggere quanto scritto dal professor Dennis Ray Burk, Jr:

"Propongo che se l'autore avesse inteso mettere sullo stesso piano le due frasi avrebbe potuto semplicemente dichiarare "benche' egli esistesse nella forma di Dio, egli non riguardo' essere nella forma di Dio come una cosa da essere afferrata". Tuttavia, il solo fatto che l'autore scelga di usare una fraseologia differente indica che egli desidera denotare realta' differenti, non quelle sinonime (o equivalenti). La questione si presenta allora in quanto a come questa frase possa essere teologicamente intellegibile; come puo' questa interpretazione avere senso dato che (morfè theou) si riferisce alla essenza preesistente di Cristo come divinita'? Non dovrebbe l'uguaglianza di Cristo con Dio (ton einai isa theon) essere considerata solo un'altro modo di riferirsi alla sua essenza preesistente come divinita'? La risposta all'ultima questione e' "NO" se noi consideriamo la possibilita' che "forma di Dio" si riferisce all'essenza, mentre "essere uguale a Dio" si riferisce alla funzione. Se questo e' il significato del testo, allora le due frasi non sono sinonime: benche' il Cristo fosse una vera divinita', egli non usurpo' il ruolo del Padre. Se HARPAGMOS sia capito stando all'analisi di cui sopra, allora Cristo si dice non aver rapito(rubato) o afferrato l'uguaglianza con Dio.
Benche' egli stesso fosse una vera divinita' eistente nella forma di Dio, non tento' di afferrare quest'altro aspetto che lui stesso non possedeva - cioe' l'uguaglianza con Dio (il padre).
Al contrario, Cristo svuoto' se' stesso. Questo svuotamento consistette nel prendere la forma di un umile servo e nel farsi a somiglianza di uomo. Percio' il contrasto tra i versi 6 e 7 si fa molto chiaro. Cristo, la seconda persona della trinita', non tento' di rapire/rubare il ruolo proprio della prima persona della Trinita', al contrario, Cristo abbraccio' quei doveri che erano stabiliti per la seconda persona, prendere la forma di un servo e rendersi a somiglianza di uomo...
Credo che questa interpretazione apra per noi la strada per vedere una ortodossa subordinazione del figlio nei confronti di DIO Padre. Benché il Padre e il Figlio siano uno nella loro essenza (che e' esistere entrambi nella forma di Dio), essi sono distinti nelle loro persone. In accordo al piano predeterminato del Padre, egli invia il Figlio nel mondo come un uomo e come un servo. Il Figlio non prova ad abdicare il suo ruolo afferrando uguaglianza funzionale con il Padre. Al contrario, il Figlio ubbidisce al Padre ed entra nella storia umana. In questa sequenza di eventi,vediamo che il Figlio non solo obbedisce al Padre nella sua incarnazione ma anche che egli obbedisce al Padre da tutta l'eternità'. Per questo motivo, se il Figlio non fosse obbediente al Padre e se non fosse distinto dal Padre nella sua persona (e perciò nel suo ruolo e funzione), allora la redenzione sarebbe stata impossibile, il Figlio mai avrebbe obbedito al Padre e non ci sarebbe mai stata una incarnazione...
Proprio come il Padre e il Figlio sono uno in essenza (ossia, sono entrambi divinità) ma distinti nelle loro Persone, così c'e' una realtà corrispondente nelle relazioni terrene fra uomini e donne. Per esempio, sebbene si ordini alle mogli di mantenere un ruolo di obbedienza ai loro mariti (1 Pietro 3:1), mariti e mogli redenti sono uno nella loro posizione davanti a Dio; sono eredi simili della grazia di vita (1 Pietro 3:7). Non c'e' qui ineguaglianza essenziale, ma solo una funzionale. In questa comprensione'uomo non e' superiore in valore o significato su sua moglie, più che il Padre lo sia su Cristo. Al contrario, il mantenimento dei ruoli stabiliti da Dio e'in fin dei conti una cosa molto gloriosa (Filippesi 2:11)"

Siracusa e i testimoni obiettano che avendolo il padre "sovranamente innalzato" cosa poteva dargli più di quello che aveva prima di incarnarsi, se egli era già Dio come lui?
A questa domanda lascio rispondere Robertson nel suo commentario:

«Qui soltanto nel N.T. a causa dell'umiliazione volontaria del Cristo, Dio lo ha innalzato al di sopra o oltre la condizione di gloria che ha goduto prima dell'incarnazione. Che gloria Cristo ha dopo l'Ascensione che non ha avuto prima in cielo? Cosa ha ripreso in cielo che lui non abbia portato? Chiaramente la sua umanità. È "ritornato al cielo" il Figlio dell'Uomo come pure il Figlio di Dio» - Robertson's Word Pictures of the New T.

Per quanto riguarda invece l'altra obiezione riguardo l'esempio di umiltà menzionato da Paolo prima dell'inno e ci chiede che umiltà manifestò Cristo se egli era già uguale a Dio, la risposta è già stata data, egli avrebbe potuto rimanere nella sua condizione di vero Dio, ma scelse di svuotarsi di questa unica posizione per farsi anche uomo e in questo stato decise di non avvalersi del suo essere anche Dio per proprio tornaconto personale, non è questa umiltà?
Se egli fosse stato invece una creatura, cosa ci sarebbe stato di così eccezionale nel “non voler rapinare il farsi uguale a Dio”?
Avrebbe potuto mai una creatura diventare "uguale a Dio"? Uguale al suo creatore?



Martin Werner, (1887-1964), professore all’Università di Berna dal 1927 al 1957, in un suo libro commenta la scrittura di Filippesi dicendo: “In questo caso l’apostolo si serve di un concetto di trasformazione della figura. Egli ha cura di esprimere in tal modo il delicato nesso: il sopraterreno, preesistente Cristo si è privato della sua «divina» (cioè celeste) «figura», la ha permutato nella figura di uno schiavo... Ciò significa che egli è apparso in forma simile a quella di un uomo e che in tutto il suo aspetto è divenuto uguale a un uomo (Filippesi 2, 6 ss.); perciò Dio lo ha mandato «in una figura simile alla carne del peccato» (Romani 8, 3) … In Dio non c’è mutamento. L’idea appare esplicita perfino nel Nuovo Testamento (Giacomo 1, 17). Se il Cristo celeste fosse stato uguale a Dio per natura, sarebbe stato impossibile, per quella mentalità, l’avvento di Cristo in terra, così come sarebbe stato impossibile ammettere la stessa cosa per Dio Padre… il Dio trascendente e assoluto, che secondo I Timoteo 6,16 nessuno ha visto e nessuno potrà mai vedere.” [WERNER - Le Origini Del Dogma Cristiano, pag. 150, 151]



Martin Werner insieme a Emile Boismard vanno a braccetto con Dan Brown, se vogliamo leggere un romanzo vanno benissimo, ma se vogliamo studiare seriamente è meglio leggere altro!
Bisognerebbe poi parlare di come interpretare harpagmon: Cosa da afferrare o cosa da trattenere? (res rapienda o res retinenda) della forma attiva e della forma passiva... ma penso che quanto sopra sia sufficiente per chi vuole approfondire il passo in maniera seria.


Saluti
[Modificato da amico di oreste 17/12/2009 22:27]