00 22/01/2010 18:00
5. LA COLLOCAZIONE DELLA TRINITÀ NEL NUOVO TESTAMENTO

È necessario non solo che una dottrina sia biblica, ma anche che sia collocata nel posto assegnatole dalla Bibbia e che sia espressa in modi biblici. Sono convinto che la Trinità sia una dottrina biblica, ma credo che la cristianità ne parli a volte in modo non biblico e, soprattutto, che la collochi in una posizione molto diversa da quella che ha nel Nuovo Testamento. Il discorso è complesso e bisogna perciò prenderlo alla larga.
Oggi la Bibbia si trova facilmente e i quattro Vangeli viaggiano spesso insieme. Agli inizi della Chiesa, invece, il Vangelo ha cominciato a trovare una sua formulazione in forma orale e ciascuna delle quattro redazioni scritte (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) è stata concepita come autonoma e sufficiente in sé. È convinzione comune che la predicazione degli apostoli si basasse sulle parti comuni ai tre “sinottici” (Matteo, Marco e Luca), mentre il Vangelo di Giovanni sarebbe posteriore, per un uso interno alla Chiesa più che per l’esterno e dove, anziché molti fatti e pochi discorsi (come nei sinottici), ci sono pochi fatti ma ben commentati.
Dei tre sinottici, Marco è il più corto e la gran parte di quel che contiene si trova anche negli altri due. Probabilmente è stato il primo ad essere scritto e poi gli altri hanno aggiunto qualcosa, però mi affascina più la tesi opposta, cioè quella di un Marco intento a togliere dal Vangelo di Matteo tutto ciò che non è essenziale e che potrebbe essere poco comprensibile da un normale cittadino romano.
In ogni caso, un cristiano deve credere che nel Vangelo di Marco ci sia tutto l’essenziale... e in esso quasi non c’è traccia esplicita della divinità di Cristo! Negli altri due sinottici il passo più significativo è quello sulla nascita di Gesù da Maria vergine, notizia che Marco salta completamente.
Quando Gesù chiese agli apostoli cosa pensassero di lui, Matteo riporta così la risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16:16). In Luca scompare “Figlio”, con Pietro che rispose: «Il Cristo di Dio» (Luca 9:20). Marco semplifica ancora ed ha solo: «Tu sei il Cristo» (Marco 8:29).
Certo, non è marginale il fatto che tutti e tre i Sinottici concludano la loro storia con Gesù che, dietro pressione del Sinedrio, accetta di dichiararsi Figlio di Dio. L’episodio è così riportato da Marco: «Il sommo sacerdote lo interrogò e gli disse: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?” Gesù disse: “Io sono; e vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra della Potenza, venire sulle nuvole del cielo”. Il sommo sacerdote si stracciò le vesti e disse: “Che bisogno abbiamo di testimoni? Voi avete udito la bestemmia. Che ve ne pare?” Tutti lo condannarono come reo di morte» (Marco 14:61-64). Questo passo nel Vangelo di Marco è fondamentale, ma va comunque notato che è posto alla fine e che quell’affermazione di Gesù fu utilizzata soprattutto come pretesto; infatti non era per quello che avevano deciso di uccidere Gesù, ma andarono alla ricerca di qualche giustificazione dopo averne decretato la morte per altre motivazioni.
La conclusione mi pare inevitabile, anche se può stupire non pochi cristiani: la dottrina della divinità di Gesù non è una parte centrale del Vangelo!
La storia scritta nei Vangeli prosegue negli Atti degli apostoli: mi sono accorto solo recentemente quanto gli Atti siano centrali per tutta la teologia del Nuovo Testamento (spero di poterne fare presto un breve commento). Questo libro fa vedere come nasce e in che cosa si caratterizza la Chiesa, mostrando come si entra a far parte del “popolo di Gesù”... e negli Atti la divinità di Gesù è marginale e pressoché assente nelle varie predicazioni!
Ai 3.000 ebrei che furono battezzati il giorno di Pentecoste (Atti 2:41) e agli altri 2.000 che si aggiunsero poco dopo (Atti 4:4), così come al non ebreo Cornelio ed ai molti che erano con lui (Atti 10:24), fu semplicemente annunciato che accettando Gesù si era perdonati dai propri peccati (Atti 2:38; 3:19; 10:43). Dio non considerò riduttivo questo semplice messaggio e lo avallò donando lo Spirito Santo a quelli che lo accolsero, i quali furono subito battezzati (Atti 2:41; 10:44-47) ed entrarono così a far parte della Chiesa, senza presumibilmente aver mai sentito parlare della divinità di Gesù, dottrina che per loro era poi facilmente comprensibile, avendo in se stessi lo Spirito Santo ed avendo sperimentato il perdono per mezzo di Gesù. Insomma, come si sa, una teoria si apprende più facilmente quando se ne è fatta esperienza e, per i primi cristiani, l’esperienza della Trinità veniva prima della teologia della Trinità.
L’Epistola di Paolo ai Romani è universalmente considerata come un trattato completo di teologia cristiana e neppure qui ci si sofferma sulla divinità di Gesù.
Qualcuno potrebbe far notare che non è un male se la Chiesa ha poi valorizzato un’importante verità come quella della divinità di Gesù. Il fatto è che, quando si mette al centro qualcosa che non c’era, significa che si è tolto dal centro qualcosa che c’era e nella Bibbia è ispirata anche la posizione delle varie dottrine. Nel Nuovo Testamento della Trinità si tende a parlarne dopo la conversione e non troviamo che fosse al centro di controversie fra credenti: anche noi perciò dovremmo fare altrettanto.
Non a caso ha cominciato la Chiesa costantiniana a convocare i Concili Ecumenici (Nicea, 325) e ad incentrarli sulla Trinità, mettendo in un angolo la semplicità del perdono in Cristo, dall’essere ciascuno dimora dello Spirito Santo e dall’accogliersi l’un l’altro con amore (Giovanni 13:34-35): senza accapigliarsi (o peggio uccidersi!) per una sottile e filosofica diversità d’opinione, come esortava a fare pure Paolo (Romani 14).

Siccome la Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) risulta più difficile, allora è meglio cominciare da quella che chiameremo la “Duità” (cioè il rapporto di Gesù col Padre), cercando di attenerci strettamente e semplicemente al Nuovo Testamento, cioè tralasciando quelle speculazioni che hanno l’obiettivo di chiarire ciò che la Scrittura non chiarisce, ma che finiscono per confondere anche ciò che nella Parola di Dio è chiaro.



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