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4. LA DIVINITÀ DI GESÙ IN ALTRI PASSI DEL NUOVO TESTAMENTO

Il prostrarsi davanti a Gesù. Prostrarsi davanti ad una persona aveva un significato vario. Lo faceva un servo nei confronti del suo signore (Matteo 18:26), come pure un suddito verso il re (1Re 1:53; Matteo 27:29). In certe circostanze poteva essere un gesto di adorazione, per questo non ci si doveva prostrare davanti alle immagini (Esodo 20:15), mentre tutti gli abitanti della Terra lo faranno verso Dio (Salmo 66:4). Proprio per evitare il pericolo di idolatria, Pietro non accetta il prostrarsi di Cornelio davanti a lui (Atti 10:24-26), né l’angelo accetta un simile gesto da parte di Giovanni (Apocalisse 19:10; 22:8-9).
Se si prende un solo episodio nel quale qualcuno si prostra davanti a Gesù, si può anche non essere obbligati a vederci un’adorazione, ma certamente il racconto in Matteo 14:32-33 lascia pochi dubbi: «Quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Veramente tu sei Figlio di Dio!”». Ci sono diversi altri episodi nei quali ci si prostra davanti a Gesù (Matteo 2:11; 8:2; 15:25; 20:20; Giovanni 9:38) e, significativamente, lo fanno anche le legioni dei demoni (Marco 5:1-13). Colpisce che Gesù accetti sempre e pienamente tali gesti, evidentemente perché non considera che sia un pericolo l’adorarlo.
Dio dichiara: «Non c’è Salvatore fuori di me [...] io sono Dio, e non ce n’è alcun altro [...] Ogni ginocchio si piegherà davanti a me» (Isaia 45:21-23). Di fronte a chi ben conosceva questo passo di Isaia, proclamare che fuori di Gesù «non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati» (Atti 4:12) ha un rilievo particolare. Paolo, poi, da un lato cita il passo di Isaia (Romani 14:11), dall’altro dichiara che «ogni ginocchio» si piegherà nel nome di Gesù e lo riconoscerà Signore (Filippesi 2:10-11).
Come al solito, insomma, verso Gesù c’è una spinta ad esaltarlo senza che siano posti quei limiti che gli antitrinitari pongono, ma che nel Nuovo Testamento non ci sono. Tutto ciò, comunque, è ancora più chiaro nei sottostanti passi di Apocalisse.

Atti 20:28: «Lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue».
Qui la divinità di Gesù compare in un discorso di Paolo fatto ad “anziani” e viene introdotto quasi incidentalmente ma, paradossalmente, in modo più forte che altrove. La soprastante espressione, infatti, ha senso solo se fra Gesù e il Padre c’è una vera identità di natura, perché è evidente che il sangue per acquistare la chiesa non lo ha versato direttamente il Padre, ma il Figlio, che perciò viene considerato come avente lo stesso sangue del Padre: cosa si potrebbe dire di più per affermare una identità di natura fra Padre e Figlio?

Atti 21:13-14: Paolo disse ai suoi amici: «”Io sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E, poiché non si lasciava persuadere, ci rassegnammo dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore”».
Il credente prega al Padre dicendo “Sia santificato il tuo nome” (Matteo 6:9); può allora spendere la propria vita per il nome di Gesù solo se i due nomi formano un’unità. Quel “Sia fatta la volontà del Signore” si riferisce chiaramente a Gesù, essendo stato così definito immediatamente sopra. Il credente è però chiamato a fare la volontà di Dio (Colossesi 1:9; Ebrei 10:36; 1Pietro 4:2; 1 Giovanni 2:17) e perciò c’è anche qui una significativa sovrapposizione fra Gesù e il Padre. Tanto più significativa perché, nelle molte predicazioni a non credenti riportate in Atti, la divinità di Gesù è pressoché assente; mentre è chiaramente implicita nei due passi soprastanti che, non a caso, riportano dialoghi di Paolo con credenti.

Filippesi 2:5-11: «Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio [...] spogliò se stesso, prendendo forma di servo [...] facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato [...] affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio [...] e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore».
In fondo non c’è niente di nuovo in questo passo, ma è rilevante perché si dovrebbe trattare non tanto di uno scritto di Paolo, ma della citazione di un inno ben conosciuto dai primi cristiani. L’inno è una sintesi mirabile che parte da quando Gesù era «in forma di Dio» prima dell’incarnazione, poi ha abbassato la sua posizione – non la sua natura – tornando infine alla gloria originaria («Gesù Cristo è il Signore»), in un alternarsi di funzioni, ma rimanendo sempre la stessa persona. Sul significato di “Signore/signore” contiamo di tornarci in seguito.

Ebrei 1:1-10: «Dio [...] ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è lo splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza [...] a quale degli angeli ha mai detto: “Tu sei mio Figlio, oggi io t’ho generato”? e anche: “Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio”? [...] Tutti gli angeli di Dio lo adorino [...] Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani».
Tutto il capitolo 1 di Ebrei ha come soggetto Gesù e perciò si riferiscono a lui anche le ultime espressioni sopra riportate e che altrove vengono riferite esplicitamente al Padre. Non staremo ad analizzare le varie parti, perché sono espresse chiaramente anche in altri versetti che abbiamo visto o che vedremo, sottolineiamo qui solo la gran luce che proviene dall’insieme delle varie caratteristiche riferite a Gesù. In ogni caso, l’autore di Ebrei non teme certamente che si possa esagerare nel “rendere omaggio” a Gesù, concetto ancor più ricavabile dall’Apocalisse (come si vedrà).

Apocalisse 5:11-13: «E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono [...] Essi dicevano a gran voce: “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. E tutte le creature [...] dicevano: “A colui che siede sul trono, e all’Agnello, siano la lode, l’onore la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli”».
In precedenza era stato scritto: «I ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono [...] dicendo: “Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza: perché tu hai create tutte le cose”».
Lo stesso tipo di lode viene rivolto al solo Dio Padre (“Colui che siede sul trono”), poi al solo Gesù, poi a Dio Padre e Gesù insieme. Se questa non è adorazione, se questa non è sia distinzione che unità, se queste parole di Apocalisse non convincono, tanto meno convinceranno le mie.

Apocalisse 1:17. Gesù dice a Giovanni: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo».
Apocalisse 2:8: «Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita».
Apocalisse 22:12-16: «Ecco, sto per venire [...] Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine [...] Io, Gesù».
In precedenza c’è scritto: «“Io sono l’alfa e l’omega”, dice il Signore Dio, “colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”» (1:8).
Ci sono due alfa e due omega? Due primi e due ultimi? La scelta non è fra essere logici o essere illogici, ma fra essere pazzi e essere empi, fra accettare la pazzia di Dio che è più saggia degli uomini (1Corinzi 1:25) o annullare la Parola di Dio per mettere al suo posto le nostre divagazioni.



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