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6. “SIGNORE”, UN NOME CONDIVISO DA GESÙ COL PADRE.

Nell’Antico Testamento il Dio unico e creatore è indicato con più di un nome. Alcuni sono nomi generici usati e usabili anche al di fuori del contesto ebraico (per esempio, Altissimo, Signore), mentre il nome più specifico del Dio che ha cura del popolo d’Israele è indubbiamente Jahvè (“Io sono”, cioè il cosiddetto Tetragramma di Esodo 6:3).
Nella traduzione Riveduta Luzzi, in uso fra gli evangelici, Jahvè era di solito tradotto con “Eterno”, mentre altri hanno scelto di tradurre “Signore”. Leggendo queste traduzioni non si può essere sicuri su quale fosse il termine originale sottostante, che a volte è utile conoscere per meglio comprendere il senso di alcune frasi.
Dal 1994, in sostituzione della Luzzi, si è diffusa la traduzione Nuova Riveduta, nella quale ogni nome di Dio ha una traduzione specifica e Jahvè è tradotto con SIGNORE o DIO, ma usando sempre e in esclusiva il maiuscolo per tutta la parola. Ho apprezzato molto questa scelta, che è una forma di rispetto per l’originale.
Qualcuno però, direi giustamente, vorrebbe che si fosse più aderenti ancora all’originale, conservando il senso e il suono di quello che in ebraico risultava essere un nome proprio. C’è chi, notoriamente, usa “Geova” e chi una delle plausibili traslitterazioni delle quattro consonanti ebraiche che compongono il Tetragramma (YHWH), fra le quali io – quando ne ho necessità – come avete visto ho scelto Jahvè.
La prima volta che il problema della traduzione del Tetragramma si è posto con eccezionale rilevanza è quando l’Antico Testamento è stato tradotto in greco dai mitici “Settanta”, circa due secoli prima di Cristo. Lì fu scelto di tradurre il Tetragramma con “Signore”, che è una traduzione opinabile, ma che comunque rispecchia uno dei nomi di Dio più presenti nell’Antico Testamento (“Adonai”). La traduzione dei Settanta era molto conosciuta al tempo degli apostoli i quali, quando hanno scritto il Nuovo Testamento in greco, potevano scegliere se usare la traduzione dei Settanta oppure approntarne una nuova e più fedele all’originale: di fatto, nelle citazioni dell’Antico Testamento riportate nel Nuovo, gli apostoli hanno seguito la versione dei Settanta.
Chi accetta l’ispirazione divina del Nuovo Testamento deve perciò accettare anche le citazioni tratte dalla Settanta e non può argomentare le sue ragioni come se fossero migliori di quelle di Dio; il quale, presumibilmente, ha ritenuto che si dovesse privilegiare la comprensibilità della sua Parola, piuttosto che una fedeltà formale che non è mai completamente possibile in una traduzione. A Pentecoste d’altronde (Atti 2) ci fu la riprova che Dio sa farsi comprendere non solo nella lingua di Abramo e di Mosè, ma anche nei vari dialetti del mondo.
Nel Nuovo Testamento, in genere “Signore” sta a indicare Gesù, ma quando è inserito in una citazione dell’Antico Testamento in genere indica Jahvè; se però quella citazione è applicata a Cristo, allora può anche indicare Cristo stesso (che è come se venisse chiamato Jahvè!).
Insomma, la situazione è inestricabile, perché il contesto non indica sempre chiaramente quale significato dare a “Signore”, ma per gli scrittori del Nuovo Testamento sembra che non fosse un problema e questo perché consideravano inestricabile la connessione fra Dio Padre e Gesù.

Proseguiamo l’argomento facendo una rapida carrellata su come è usato “Signore” nell’Epistola ai Romani.
In genere le Epistole all’inizio non usano un imprecisato “Signore”, ma quando introducono il termine lo accompagnano con la specificazione che con ciò vogliono indicare Gesù: «Gesù Cristo, nostro Signore» ... «dal Signore Gesù Cristo» (Romani 1:4,7).
Dopo Romani 1:7 il discorso si incentra su “Dio”, termine col quale si indica il Padre o la Deità nel suo complesso (cioè la Trinità). In 4:8 c’è però una citazione di Salmo 31:2 e, mentre nel Salmo c’è Jahvè, in Romani c’è «Beato l’uomo al quale il Signore non addebita il peccato».
Dalla fine del capitolo 4 l’Epistola ai Romani si incentra sull’opera di Gesù e così c’è più volte “Signore” abbinato a lui (4:24; 5:1,11; 6:23; 7:25; 8:39). Tutto procede in modo chiaro fino al cap. 9, dove ci sono due citazioni dell’Antico Testamento (vv. 28-29) riportate con “Signore” e che, nell’originale, hanno “Signore Jahvè degli eserciti” e “Jahvè”.
Dal cap. 10, invece, le cose si complicano, come nei vv. 9-13 che ora trascriviamo:
9Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato [...] 11Difatti la Scrittura dice: «chiunque crede in lui, non sarà deluso». 12Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, essendo esso lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. 13Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.
“Signore di tutti” si riferisce a Gesù, essendo poco sopra definito “Signore”. Anche “Chiunque crede in lui”, stando nel mezzo, si riferisce a Gesù e lo conferma il fatto che la frase è tratta da un passo da Isaia (28:16) che Pietro applica a Cristo (1Pietro 2:6). Il “Signore di tutti” continua logicamente ad essere Gesù, “ricco verso tutti quelli che lo invocano”, perciò il nome da invocare per essere salvati è ancora quello di Gesù.
Qui però c’è una particolarità non da poco, perché l’ultima frase è tratta da Gioele 2:32, dove è scritto: «Chiunque invocherà il nome di Jahvè sarà salvato». Non è allora solo una questione di nomi, ma anche di sostanza: Paolo invita ad invocare Gesù per essere salvati, attribuendo a Gesù una capacità di ascolto e salvifica posseduta solo da Jahvè. Stefano tutto ciò lo aveva ben capito e, mentre stava morendo, «invocava Gesù e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”» (Atti 7:59).
In 10:16, 11:3, 11:34, 12:19, 14:11 e 15:11, ci sono citazioni dell’Antico Testamento nelle quali c’è “Jahvè” e che sono riportate da Paolo come al solito, cioè con “Signore”.
Da 11:36, andando un po’ fuori tema, si può ricavare un indizio dell’unità Padre-Figlio; c’è infatti scritto: «Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose», con un contesto che indica come quel “lui” si riferisca a Dio. L’indizio viene fuori se si confronta questo versetto con Colossesi 1:15-18, dove ci sono espressioni “parallele” sul Figlio: tutte le cose, infatti, sono state create «per mezzo di lui», «in vista di lui» e «sussistono in lui», «affinché in ogni cosa abbia il primato».
In 12:11 c’è un «servite il Signore» che, come al solito, dovrebbe essere applicato a Cristo, anche in considerazione del fatto che Paolo, all’inizio dell’Epistola, si è definito «servo di Cristo Gesù». In 6:22, però, scrive ai credenti che essi sono divenuti «servi di Dio» e allora sembrerebbe che ci sia un’alternativa, ma la situazione è simile a quella di chi entra in una rotatoria: da qualsiasi parte provenga, gira sempre nello stesso senso. Infatti Cristo ci porta al Padre e il Padre ci porta a Cristo, in una circolarità continua. Meglio ancora, il Padre e Gesù sono così vicini e in sintonia di volontà, che non è possibile parlare all’uno separatamente dall’altro, come quando si hanno davanti due fidanzati che si tengono stretti e non è possibile parlare all’uno separatamente dall’altro.
Nel cap. 14 c’è un intreccio dal quale si capisce... che Dio non ritiene opportuno spiegarci meglio o che noi non siamo in grado di capire oltre un certo limite o che è meglio che ci rendiamo conto che adesso possiamo capire solo «in parte» (1Corinzi 13:12). Trascrivo i versetti che contengono “Signore”, ma ormai non c’è più tanto bisogno di commentarli:
4Egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi [...] 6Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio [...] 8Perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. 9Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. 10[...] tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; 11infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua darà gloria a Dio» [...] 14Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso.
Leggendo “Signore” all’inizio capisco “Gesù”, poi divento un po’ incerto, ma il v. 9 getta luce anche sul retro e identifica chiaramente “il Signore” con Cristo. Poi si nomina Dio due volte (vv. 10 e 11) e nel mezzo si fa un collegamento con l’Antico Testamento, nel quale “Signore” dovrebbe allora significare “Jahvè”, per poi applicare nuovamente “Signore” a Gesù in modo esplicito. Ripeto solo una constatazione già fatta: non si nota nessun timore di avvicinare troppo Gesù al Padre.
Gli ultimi quattro versetti nei quali “Signore” è associato a Gesù (15:6; 15:30; 16:18; 16:20) sono intercalati da altri versetti dove c’è solo “Signore” e che perciò viene spontaneo riferire a Gesù (16:2; 16:8; 16:11-12; 16:22).
La parola “Signore”, insomma, aveva a quei tempi un significato molto esteso. In uno stesso passo del Vangelo (Matteo 18:21-27), per esempio, Gesù è chiamato “signore” da Pietro e poi con “signore” viene indicato il padrone del servo spietato (nell’originale, come detto, non si usava la maiuscola a inizio parola). Anche oggi si può applicare ad un qualsiasi “signor Luigi” che partecipa ad un programma televisivo, fino a riferirsi chiaramente a Dio (specie se è con l’articolo determinativo, cioè “il Signore”). Un modo veramente appropriato, allora, per indicare Gesù, che venne giustamente considerato come pienamente umano («il falegname», Marco 6:3), ma anche «dichiarato Figlio di Dio con potenza» (Romani 1:4).

In conclusione, a Gesù viene attribuito in modo prioritario (anche se non esclusivo) uno dei nomi di Dio dell’Antico Testamento, cioè l’ebraico Adonai, che ha lo stesso significato di Signore, poi esteso dai Settanta anche come traduzione di Jahvè, in una versione dell’Antico Testamento adottata di fatto come “canonica” dagli ebrei di lingua greca, che nelle Sinagoghe erano tanto più prevalenti su quelli di lingua ebraica quanto più ci si allontanava da Gerusalemme. Dire perciò in quel contesto che Gesù era “il Signore” era proclamarne chiaramente la divinità!
Nell’Antico Testamento il nome specifico di Jahvè impediva ogni commistione con le divinità degli altri popoli; tradurlo perciò “Signore” ne fa perdere la specificità e la funzione. Perché Jahvè ha permesso questa perdita? Per me la risposta è che ora c’è un nuovo nome che svolge la stessa funzione ed è quello di Gesù. Abbiamo più sopra visto che Paolo (commento ad Atti 21:13) era pronto a morire per il nome di Gesù: un nome che, non a caso, viene accuratamente evitato negli accomodanti incontri “inter-religiosi”, nei quali si pone al centro un vago e indistinto Dio al quale ognuno può attribuire le caratteristiche che vuole.



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