00 18/02/2010 18:03
Devo dire che mi piace questo scambio intelligente di informazioni.SimonLeBon. L'ipotesi che l'originale sia stato redatto in ebraico resta un ipotesi, è vero, ma ha buone probabilità. Non va dimenticato che la fonte di Marco fu Pietro. Fatto sta che correggendo la lezione sulla sottostante parola ebraica, l’incredibile “duemila” diventa il più ragionevole “in gruppo”. Dice bene .:mErA:.: “È  probabile però che gli autori dei sinottici abbiano attinto da una fonte comune, e questa potrebbe essere stata aramaica o ebraica. Chissà”.   .:mErA:.. Vero, innumerevoli semitismi che in greco non significano nulla, se tradotti in aramaico acquisiscono significato. Qui tuttavia non si tratta di un semitismo, ma di una cattiva lettura dovuta probabilmente ad un manoscritto ormai consumato.   SimonLeBon. Anche l’ipotesi di un precedente testo ebraico limitato a Matteo, rimane pur sempre un’ipotesi. Tu dici che “una delle spiegazioni dei semitismi è la lingua madre degli autori, che esclude lo scritto originale ebraico”, ma proprio la lingua madre degli agiografi (che era l’ebraico, essendo loro tutti giudei) dovrebbe essere una probabilità a favore e non a esclusione di uno scritto originale ebraico. Considera poi un altro aspetto su cui pochi riflettono: le Scritture Greche sono sì scritte in greco, ma pensate in ebraico.   Oreste. Tu domandi come mai i porci (che erano considerati animali impuri) sono presenti in così gran numero. Come giustamente nota Barnabino,  le città della Decapoli erano di cultura greca, ma va aggiunto che erano soprattutto abitate da pagani. In ogni caso, duemila porci sarebbero davvero troppi!    Volete sapere una cosa curiosa? C’è nel racconto anche un sarcasmo molto fine – dettato dalla combinazione degli eventi - che l’ebreo del tempo poteva cogliere e gustare con soddisfazione. Come è noto, in Israele la carne di maiale non poteva essere consumata (Dt 14:8; Lv 11:7) e l’allevamento di maiali era severamente vietato in tutta Israele (BQ 7,7). “Maledetto l’uomo che alleva maiali!” recitano M 64b e Sotah 49b. Questo era un principio basilare assolutamente incontestabile. Non solo. Il maiale era anche simbolo dei nemici di Israele: “Un cinghiale dai boschi continua a mangiarla [la vigna del Signore, Israele]” (Sl 80:13, TNM). Gli ebrei contemporanei di Yeshùa usavano il richiamo al porco per riferirsi all’odiato impero romano. Al tempo di Yeshùa era la X Legione Fretense che assicurala la pax romana  ricorrendo brutalmente alla spada. Sarà anche buffo, ma tale legione romana aveva come mascotte proprio un cinghiale. Ma non basta. I soldati romani spesso integravano il loro misero rancio militare con carne di maiale rastrellata nei villaggi greci della Decapoli. Questo spiega anche come potessero esserci dei maiali nella zona di Gerasa (proprio nella Decapoli), abitata da pagani, e come potessero esserci “quelli che li custodivano” (v. 14). Possiamo immaginare allora l’effetto che doveva fare ad un ebreo sentire le parole “porci” e “legione”, specialmente a quei giudei che aspettavano ansiosamente “uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano” (Lc 1:71). Quando quindi Yeshùa ammoniva: “Non gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt 7:6), gli ebrei capivano benissimo che la sapienza della Toràh non doveva essere sprecata per i pagani e soprattutto per i romani.