00 18/02/2010 19:52

Volete sapere una cosa curiosa? C’è nel racconto anche un sarcasmo molto fine – dettato dalla combinazione degli eventi - che l’ebreo del tempo poteva cogliere e gustare con soddisfazione. Come è noto, in Israele la carne di maiale non poteva essere consumata (Dt 14:8; Lv 11:7) e l’allevamento di maiali era severamente vietato in tutta Israele (BQ 7,7). “Maledetto l’uomo che alleva maiali!” recitano M 64b e Sotah 49b. Questo era un principio basilare assolutamente incontestabile. Non solo. Il maiale era anche simbolo dei nemici di Israele: “Un cinghiale dai boschi continua a mangiarla [la vigna del Signore, Israele]” (Sl 80:13, TNM). Gli ebrei contemporanei di Yeshùa usavano il richiamo al porco per riferirsi all’odiato impero romano. Al tempo di Yeshùa era la X Legione Fretense che assicurala la pax romana ricorrendo brutalmente alla spada. Sarà anche buffo, ma tale legione romana aveva come mascotte proprio un cinghiale. Ma non basta. I soldati romani spesso integravano il loro misero rancio militare con carne di maiale rastrellata nei villaggi greci della Decapoli. Questo spiega anche come potessero esserci dei maiali nella zona di Gerasa (proprio nella Decapoli), abitata da pagani, e come potessero esserci “quelli che li custodivano” (v. 14). Possiamo immaginare allora l’effetto che doveva fare ad un ebreo sentire le parole “porci” e “legione”, specialmente a quei giudei che aspettavano ansiosamente “uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano” (Lc 1:71). Quando quindi Yeshùa ammoniva: “Non gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt 7:6), gli ebrei capivano benissimo che la sapienza della Toràh non doveva essere sprecata per i pagani e soprattutto per i romani.


Tutto ciò è molto interessante, avevo letto la stessa interpretazione in un libro di Pinchas Lapide.
A volte il Vangelo sembra proprio una voce ebraica.
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