00 26/02/2010 09:40
Re:
CieloSegreto, 25/02/2010 12.30:

Gv 17: 4,5 – Occorre capire prima una regola fondamentale dell’ermeneutica biblica: presso gli ebrei biblici le astrazioni non avevano senso; il linguaggio semitico ed ebraico (e quindi biblico) è un linguaggio concreto. Si prendano, ad esempio, gli emblemi usati da Yeshùa durante l’ultima cena. Chi legge all’occidentale, alla lettera, rasenta il ridicolo trasformando quei simboli in vera carne e sangue. Bene traduce TNM che ha “significa” al posto del consueto “è”. Nel passo giovanneo Yeshùa sta dicendo – messo in occidentale: ‘Glorificami con la gloria che avevi in mente per me prima che il mondo fosse”. Questa però è astrazione, rifiutata dagli ebrei, per cui si rende concreta la frase dicendo “con la gloria che avevo”. Anche la Legge e il Tempio, per fare alcuni esempi, gli ebrei dicevano che erano già in cielo presso Dio. Noi occidentali diremmo che li aveva in mente (astrazione), gli ebrei dicevano che erano presso Dio (pensiero concreto). Gv 8:58 – "Gesù disse loro: ‘Verissimamente vi dico: Prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero’”. Non “io reo”, come citi, ma “io sono” (γ εμ, egò eimì). Yeshùa viene prima di Abraamo, non in senso cronologico, ma per importanza. Dio aveva in mente lui, Yeshùa, per la redenzione di ogni cosa. Così, quando si dice che “bevevano al masso di roccia spirituale che li seguiva, e quel masso di roccia significava il Cristo” (1Cor 10:4, TNM), s’intende dire che se gli ebrei furono salvati nel deserto lo devono a Yeshùa perché furono salvati in vista di lui.




Onestamente, la tua conclusione mi sembra molto forzata e studiata a modo per deviare una dichiarazione chiara ed esplicita fatta da Gesù stesso.
Non puoi prendere per allegoriche o letterarie, non letterali, le dichiarazioni che trovi scomode perchè non sostengono la tua tesi.
Walter Simoni

walter.simoni@yahoo.it