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3. LO SPLENDORE DI GIOBBE PRIMA DELLA PROVA (CAP. 29).

Giobbe 29: «Potessi tornare … come nei giorni in cui Dio mi proteggeva, quando … alla sua luce io camminavo nelle tenebre … quando Dio vegliava amico sulla mia tenda … I giovani, al vedermi, si ritiravano, i vecchi si alzavano e rimanevano in piedi … L’orecchio che mi udiva mi diceva beato … Salvavo il misero che gridava aiuto e l’orfano che non aveva chi lo soccorresse … la giustizia era il mio vestito e io il suo … Ero l’occhio del cieco, il piede dello zoppo; ero il padre dei poveri, studiavo a fondo la causa dello sconosciuto. Spezzavo la ganascia al malfattore … Dicevo: “Morirò nel mio nido … la mia gloria sempre si rinnoverà” … Ero come un re … come un consolatore in mezzo agli afflitti».
Giobbe non solo era un giusto, ma nel suo contesto era come un rappresentante della giustizia. Non era però una giustizia che si inorgogliva della sua rettitudine, perché era piena di compassione e di soccorso pratico per gli sfortunati, anche se erano degli sconosciuti! Giobbe accresceva la sua ricchezza non a danno degli altri, ma beneficandone l’intera società. Non si curava solo degli aspetti pratici, ma sapeva anche dire la parola giusta al momento opportuno. Tutto ciò gli faceva pensare che Dio avrebbe continuato a benedirlo e a far prosperare la sua vita.
Il dramma di Giobbe, perciò, è il dramma di un mondo nel quale i migliori vengono sopraffatti e Dio non li protegge, come Giobbe ben esprime nel cap. 30.



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