5. QUALCHE ELEMENTO PER RICOSTRUIRE (MF)
Torniamo al nostro problema principale: come ricostruire il nostro castello crollato o barcollante? Non credo di avere una vera soluzione da offrire, ma due punti solidi penso che si possano mettere.
a) Il Vangelo non è rivolto solo ai savi e ai potenti, ma anche ai deboli, ai peccatori, ai piccoli fanciulli; quindi per credere non è necessario essere scienziati, né teologi o filosofi. Resta sostanzialmente vero che Dio si rivolge a tutti, quindi il messaggio deve essere comprensibile a tutti. L'insegnamento di Gesù non lascia dubbi in proposito. La sostanza del messaggio supera i tempi, le filosofie, le teologie, le scienze; ne deve essere in un certo senso indipendente. In ogni età dobbiamo renderlo attuale e significante per l'uomo, ma guai a confondere il messaggio con la cornice in cui lo stiamo mettendo. E viceversa, se ho una conoscenza sbagliata del mondo fisico, o una teologia non corretta, o semplicemente non ho una teologia perché sono ignorante, può tutto questo impedirmi di essere salvato, o di essere un fedele servitore di Cristo? Nel nostro rapporto con Dio quanto è veramente importante la nostra conoscenza intellettuale, se lo è mai?
Quindi, la rivelazione che Dio mi propone non è per rendermi più istruito e colto, o più intelligente, né per darmi una comprensione più ampia e corretta del mondo, anche se mi dà anche qualcosa del genere, ma me la dà come sottoprodotto, non come obiettivo principale. Il suo scopo, quindi, deve essere un altro.
In effetti, se rileggiamo i Vangeli con questo tipo di curiosità, vediamo che il messaggio di Gesù non è mai di tipo intellettuale, razionale, dottrinale o informativo, ma è sempre di tipo spirituale e morale. Perché il suo linguaggio è sostanzialmente parabolico quando parla, ad esempio, del Regno? Qualunque linguaggio umano è insufficiente a descriverlo, quello di allora come quello di oggi. Vedremo sempre come in uno specchio, parleremo di concetti, pronunceremo credi e principi dottrinali, ma in realtà continueremo a parlare per metafore ed immagini. Non illudiamoci di conoscere veramente! L'unica conoscenza a cui siamo chiamati è quella personale di Cristo, conoscenza che supera i limiti delle parole, dell'intelletto, della cultura.
Diciamo spesso che tutta la Bibbia guarda a Cristo, ma altrettanto spesso ce ne dimentichiamo e guardiamo alla Bibbia come ad una rivelazione di verità intellettuali, come fonte di informazioni, manuale di uso del mondo, carta geografica con cui viaggiare nella natura, occhiali con cui guardarla.
Con queste premesse è naturale che io veda con un certo sospetto le grandi costruzioni intellettual-dottrinali e che sia cauto con chi presume di conoscere la Volontà, i Piani, tutto il programma di Dio... con chi insomma ha una risposta ed una regola per tutto...
b) Passiamo ad un altro punto su cui poggiare una visione equilibrata. La scienza si interessa soltanto di fenomeni che possono essere riprodotti, verificati, misurati da più persone, in tempi diversi, in luoghi diversi. Tutto il resto, cioè comportamenti arbitrari perché regolati da fattori non tenuti sotto controllo, o influenzati da folletti, o da libere volontà o da altro e quindi non ripetibili, vengono classificati come casuali, o senza correlazione con i fattori presi in esame.
In quest'ambito l'ateo penserà di studiare aridi fenomeni in cui le relazioni di causa ed effetto sono proprietà degli oggetti in esame e il credente cercherà le stesse relazioni nella fiducia che Dio ha stabilito quelle leggi su basi solide, serie, non arbitrarie (Ebr. 11:3), perciò esse saranno rispettate nel corso dei suoi esperimenti, anche se Dio può violarle a suo piacimento in qualunque istante.
Se, per fare un esempio, sono roso dalla gelosia non disporrò di alcuna prova "scientifica" che possa dimostrare la fedeltà di mia moglie (mentre potrei verificarne eventualmente l'infedeltà); infatti qualunque cosa lei possa dire o fare potrà sempre essere da me interpretata come una sua simulazione, e quanto più farà per dimostrarmi affetto tanto più sospetterò che finga o mi inganni. Restano, perciò, non coperti dal metodo scientifico ampi settori della conoscenza e della vita dove devono essere usati altri strumenti. Non voglio qui certo dire che la rivelazione vada posta su un piano etereo, vago, senza contatti o influenza sull'uomo. Cristo è entrato nella storia, i fatti sono avvenuti, degli uomini hanno visto, udito, toccato e hanno testimoniato. È una testimonianza umana e storica, ma non possiamo pretendere che sia come un esperimento scientifico riproducibile oggi. Oggi si riproducono le conversioni, Dio interviene nella vita degli uomini e ciò costituisce per alcuni una testimonianza convincente, per altri una follia, ma non è proprio questa la pazzia della predicazione?
Naturalmente chi è abituato a constatare i "successi" della conoscenza scientifica e delle sue applicazioni è tentato di estendere i suoi metodi e principi al di là del campo di corretta competenza. E' ad esempio il caso, a detta anche di altri, delle cosiddette scienze umane, dove si rischia che l'uomo si ponga al di sopra del suo simile, che è fatto ad immagine di Dio, per osservarlo e studiarlo come un oggetto. Secondo alcuni anche scienze come Medicina o Biologia sono sul confine tra il giusto e l'illecito. Certamente non si descrive tutto l'uomo quando lo si analizza come se fosse una macchina (come molta della medicina moderna fa), ma di ciò molti medici sono assolutamente coscienti.
RISPOSTA AL PUNTO 5 (FDA)
In questa parte fissi due punti solidi. Elimino subito il secondo, riguardante una corretta visione della scienza, perché sono totalmente d'accordo. Sul primo punto, invece, vorrei soffermarmi un po'. In esso dici delle frasi che mi risvegliano atteggiamenti che ho dovuto sradicare con dolore. La mia massima aspirazione era di predicare con semplicità il Vangelo e curarmi di quelli che si convertivano, ma questo non sono riuscito a farlo. In più, facendo l'insegnante di Scienze Naturali e Geografia, non ho potuto evitare di farmi una cultura. Ho desiderato tante volte buttar via tutti i miei libri culturali, ma non ho potuto. Anzi, dovendo insegnare in modo diverso da come fanno i testi scolastici, sono stato costretto a fare per la scuola delle dispense (di linguaggio laico) per proporre visioni culturali poggianti su un più o meno celato retroterra biblico. Una serie di circostanze concatenate mi ha costretto a fondare insieme ad altri ed a presiedere i primi anni addirittura l'Associazione Culturale Evangelica “Daniele-Baltazzar”, con la direzione della collegata rivista “Proiezioni”! Nel mio intimo, però, resto anch'io un amante della semplicità del Vangelo.
Quanto sarebbe stato bello se, anziché trovarci a disquisire su come rapportarsi alla cultura, avessimo trovato un modo veramente efficace di portare il Vangelo nelle Università! Invece sembra che su questo si sia fatto poco. Dio però non ha fallito e porta avanti un suo piano. Comunque a noi non spetta fare gli strateghi, ma i soldati; così io, come soldato, riprendo a commentare il tuo scritto, al fine principale di individuare ed allargare una base comune, senza mascherare il dissenso, perché il nasconderlo non sarebbe gentilezza, ma rinuncia a risolverlo, resa, ipocrisia, compromesso, accordo alle spalle di Dio ed altro. Meglio la lotta cavalleresca che le ipocrisie.
Mi dici: "L'unica conoscenza a cui siamo chiamati è quella personale di Cristo, conoscenza che supera i limiti delle parole, dell'intelletto, della cultura". Penso che mi consenti pacificamente di aggiungere: "Ma che non fa a meno di parole ed intelletto".
È vero, "il messaggio di Gesù non è mai di tipo intellettuale". Nemmeno quello dell'apostolo Paolo quando parlava agli Ebrei, cioè al popolo di Dio (vedi discorso nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, Atti 13). Ma all'Areòpago? Lì non cita mai la Scrittura, ma solo un poeta pagano (Atti 17:16 e segg.). Sentii questo ragionamento diversi anni fa e mi disturbò, ma ora lo faccio anch'io. Se l'apostolo Paolo ha usato la cultura, allora essa ha un posto che non disturba il messaggio del Vangelo, anzi lo esalta. Vediamo allora di fare qualche considerazione che inquadri la cultura da un punto di vista biblico.
1) La cultura va usata con chi è stato da essa inquinato, è un disintossicante, non un ricostituente e non deve essere in qualche forma un obbligo per i credenti, i quali devono trovarsi in Cristo sulla base necessaria e sufficiente della sola Scrittura.
2) Dobbiamo andare fra le spine della cultura per aiutare chi c'è cascato dentro, ma non per rimanerci, bensì col traguardo di contemplare poi la bellezza della risurrezione (vedi Areòpago).
3) La cultura può essere utile come aperitivo (vedi ancora Areòpago), ma non deve contaminare il pasto, che deve essere costituito dalla non accomodante "pazzia della predicazione" (1Cor. 1:21).
4) Per chi è stato inquinato dalla cultura ed ha accettato il Vangelo, conservando dentro di sé timori e problemi che ostacolano la sua crescita spirituale, la cultura può essere un digestivo, ma anche qui non va confusa col pasto.
Gesù non fu mandato "che alle pecore perdute della casa d'Israele" (Matt. 15:24) e Pietro pure fu indirizzato ai Giudei: perciò potevano e dovevano fare a meno della cultura. Ma come apostolo dei gentili fu scelto un ebreo che era anche cittadino romano dalla nascita (una qualifica di alto rango, vedi Atti 22:25-29) e che ben conosceva quel mondo e quella cultura. Mosè fu mandato a parlare a Faraone, armato della sapienza e della potenza di Dio ma, non a caso, conosceva bene quella corte, della quale aveva in precedenza assorbito "tutta la sapienza" (Atti 7:22). Daniele combatté a Babilonia manifestando una fede semplice, concreta, e le sue armi furono armi spirituali. Ma anche in questo caso Dio gli fece rendere ben conto di "tutta la letteratura e sapienza" di quel popolo pagano (Dan. 1:17).
La cultura non è negativa in sé, anche se è molto più bello starsene fra il popolo di Dio per chinarsi insieme agli altri sulla bellezza della Scrittura. In questa società moderna, però, siamo sempre più immersi fra “neopagani” ed allora, se cultura deve essere, facciamola in modo che renda un servizio alla potenza e semplicità del Vangelo: ammetto che sembra una contraddizione, ma non lo fu per Mosè, né per Daniele e Paolo.
Viva la semplicità del Vangelo e la centralità di Cristo, perciò, anche se ci può essere uno spazio, al giusto posto, per la cultura.
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