È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva

LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
25/01/2010 23:50

C. Dal Logos a Gesù, non viceversa.

Giovanni 1 è una specie di aggiornamento di Genesi 1: ambedue infatti cominciano il racconto con «Nel Principio» e poi danno chiarimenti sulla creazione. A quel “principio” ambedue fanno solo un cenno, perché il loro intento è di far comprendere la realtà del momento, che per Giovanni è Gesù, senza il quale «neppure una delle cose fatte è stata fatta» (v. 3).
Abbiamo già visto come Giovanni passi da un concetto che poteva essere compreso dalla cultura greca (il Logos), a quella concretezza ebraica che irrompe con «e il Logos è stato fatto carne» (v. 14). Quando si discute di Trinità si fa invece spesso un percorso esattamente opposto a quello proposto da Giovanni, cioè si parte da Gesù per poi cercare di capire meglio il Logos che c’era all’inizio, ponendosi prioritariamente la domanda su che rapporto c’era nel passato eterno fra il Padre e “la Seconda persona della Trinità”. Inevitabile che si finisca per smarrirsi, rendendo confuso anche ciò che nella Bibbia è chiaro; perché a volte, più che essere sbagliate le risposte, non sono bibliche le domande, con le quali si vorrebbe mettere il naso in quelle cose non rivelate che appartengono solo a Dio e non a noi (Deuteronomio 29:28).
La Trinità è stata rivelata dopo la nascita di Gesù ed in modi ebraici, cioè semplici e concreti. Discutere sui rapporti Padre-Figlio prima dell’incarnazione e con termini filosofici tratti dalla cultura greca, perciò, potrebbe essere una forma di ribellione alla Parola di Dio, disastrosa anche quando non è avvertita come tale. Cercheremo allora di capire ebraicamente ciò che l’ebreo Giovanni voleva dire in alcuni passaggi cruciali del suo Vangelo.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
25/01/2010 23:50

D. La “Duità” a partire da un versetto.

Giovanni 1:1: «in principio era la parola e la parola era presso dio, anzi la parola era dio».
Abbiamo visto che l’uso delle maiuscole dipende dai presupposti del traduttore e per cercare di essere obiettivi abbiamo ripreso nuovamente la trascrizione messa a punto precedentemente.
Il Vangelo di Giovanni ha una struttura “a cerchi concentrici”, piuttosto che progressiva. Così cerca di dire tutto l’essenziale già dal primo versetto, per poi ribadire i concetti espressi in Giovanni 1:1 nel corso dell’intero Vangelo: sarebbero perciò ben chiari anche se cancellassimo quell’inizio. Anziché insisterci troppo, allora, è meglio chiarirne brevemente il significato e poi continuare con gli altri passi dello stesso Vangelo, dopo i quali è più facile rendersi conto di ciò che vogliono dire quelle parole iniziali che, obiettivamente, un po’ enigmatiche lo sono.
Come dirà poi (v.14), “parola” (logos) sta per “Gesù" e Giovanni vuol trasmettere essenzialmente tre concetti.
-Primo concetto: Gesù c’era “fin dal principio”.
-Secondo concetto: Gesù era “presso Dio” (o “con Dio”) e perciò era una persona separata da Dio.
-Terzo concetto: Gesù era egli stesso “Dio” (evidentemente non nel senso di persona, ma di sostanza).
Il primo concetto è largamente condiviso, perché nel Nuovo Testamento è più volte affermato che tutte le cose sono state create per mezzo di Gesù, che perciò era presente dal principio (per esempio, Colossesi 1:16 e Ebrei 1:2). Tralasceremo perciò di ribadire il primo concetto; invece ci soffermeremo sul secondo e sul terzo concetto, che sono il cuore della dottrina trinitaria e che possono sembrare in contrasto fra loro.
Abbiamo provato a fare una lettura “oggettiva” dei successivi passi del Vangelo di Giovanni ed essa ci pare confermi l’analisi di Giovanni 1:1 fatta: sta ora a chi legge il valutare se siamo stati veramente oggettivi.

Giovanni 10:30: «Io e il Padre siamo uno».
La sintesi operata da Giovanni all’inizio del Vangelo la ripete concentrandosi sul secondo e sul terzo concetto espressi in 1:1. Oltre a ribadire la distinzione fra le due persone («Io e il Padre»), ribadisce anche la loro unità di sostanza («siamo uno»), aggiungendo la motivazione di questa unità, data dal rapporto di Padre-Figlio. Un rapporto di paternità non adottivo come quello con Salomone (1Cronache 17:13), ma generativo; come per altro Giovanni aveva già anticipato nel Prologo: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come da unigenito dal Padre» (1:14).
La subordinazione di una moglie al marito e di un figlio al padre (Efesini 5:22 e 6:1) non significa certo che ci sia una diversità di natura fra di loro, condividendo tutti quella umana ed essendo tutti “immagine di Dio”. Nemmeno la diversità di conoscenza intacca l’unità di sostanza fra un padre e un figlio.
Dato allora che la dottrina trinitaria afferma che Gesù e il Padre sono due persone distinte (seppur formanti una sola Deità), si dimostra di non aver capito bene quando ci si illude di contrastare la Trinità mostrando che Gesù è una persona diversa dal Padre, oppure notando che è sottomesso al Padre e che non conosce alcune cose che invece il Padre sa (come si può ricavare da Giovanni 14:28 e Matteo 24:36).

Giovanni 5:18: «Per questo i Giudei più che mai cercavano d’ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio»
Giovanni 8:58-59: «Gesù disse: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono”. Allora essi presero delle pietre per tirargliele»
Giovanni 10:33: «I Giudei gli risposero: “Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”»
In questi tre passi i Giudei cercano di uccidere Gesù perché interpretano le sue parole come un farsi uguale a Dio. Se Gesù fosse stato un “antitrinitario” avrebbe replicato che avevano capito male, invece rafforza quella loro interpretazione affermando che tutti dovranno onorare il Figlio, cioè lui stesso, «come onorano il Padre» (5:23), invitandoli a riconoscere che il Padre è in lui e lui è nel Padre (10:38), concetto poi ribadito più direttamente agli apostoli in 14:9-10 (vedere sotto).

Giovanni 14:9-10: «Gesù gli disse: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici ‘Mostraci il Padre’? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me?”»
È vero che i Giudei erano scandalizzati dal fatto che Gesù si dichiarasse Figlio di Dio per natura, ma non tutti; perché anche gli apostoli, i discepoli e le folle che seguivano Gesù appartenevano all’ebraismo e non si scandalizzarono. Insomma è un certo modo di essere ebreo che è incompatibile con la Trinità, ma fin dall’inizio ci sono stati Ebrei che l’hanno ritenuta compatibile.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
25/01/2010 23:51

4. LA DIVINITÀ DI GESÙ IN ALTRI PASSI DEL NUOVO TESTAMENTO

Il prostrarsi davanti a Gesù. Prostrarsi davanti ad una persona aveva un significato vario. Lo faceva un servo nei confronti del suo signore (Matteo 18:26), come pure un suddito verso il re (1Re 1:53; Matteo 27:29). In certe circostanze poteva essere un gesto di adorazione, per questo non ci si doveva prostrare davanti alle immagini (Esodo 20:15), mentre tutti gli abitanti della Terra lo faranno verso Dio (Salmo 66:4). Proprio per evitare il pericolo di idolatria, Pietro non accetta il prostrarsi di Cornelio davanti a lui (Atti 10:24-26), né l’angelo accetta un simile gesto da parte di Giovanni (Apocalisse 19:10; 22:8-9).
Se si prende un solo episodio nel quale qualcuno si prostra davanti a Gesù, si può anche non essere obbligati a vederci un’adorazione, ma certamente il racconto in Matteo 14:32-33 lascia pochi dubbi: «Quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Veramente tu sei Figlio di Dio!”». Ci sono diversi altri episodi nei quali ci si prostra davanti a Gesù (Matteo 2:11; 8:2; 15:25; 20:20; Giovanni 9:38) e, significativamente, lo fanno anche le legioni dei demoni (Marco 5:1-13). Colpisce che Gesù accetti sempre e pienamente tali gesti, evidentemente perché non considera che sia un pericolo l’adorarlo.
Dio dichiara: «Non c’è Salvatore fuori di me [...] io sono Dio, e non ce n’è alcun altro [...] Ogni ginocchio si piegherà davanti a me» (Isaia 45:21-23). Di fronte a chi ben conosceva questo passo di Isaia, proclamare che fuori di Gesù «non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati» (Atti 4:12) ha un rilievo particolare. Paolo, poi, da un lato cita il passo di Isaia (Romani 14:11), dall’altro dichiara che «ogni ginocchio» si piegherà nel nome di Gesù e lo riconoscerà Signore (Filippesi 2:10-11).
Come al solito, insomma, verso Gesù c’è una spinta ad esaltarlo senza che siano posti quei limiti che gli antitrinitari pongono, ma che nel Nuovo Testamento non ci sono. Tutto ciò, comunque, è ancora più chiaro nei sottostanti passi di Apocalisse.

Atti 20:28: «Lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue».
Qui la divinità di Gesù compare in un discorso di Paolo fatto ad “anziani” e viene introdotto quasi incidentalmente ma, paradossalmente, in modo più forte che altrove. La soprastante espressione, infatti, ha senso solo se fra Gesù e il Padre c’è una vera identità di natura, perché è evidente che il sangue per acquistare la chiesa non lo ha versato direttamente il Padre, ma il Figlio, che perciò viene considerato come avente lo stesso sangue del Padre: cosa si potrebbe dire di più per affermare una identità di natura fra Padre e Figlio?

Atti 21:13-14: Paolo disse ai suoi amici: «”Io sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. E, poiché non si lasciava persuadere, ci rassegnammo dicendo: “Sia fatta la volontà del Signore”».
Il credente prega al Padre dicendo “Sia santificato il tuo nome” (Matteo 6:9); può allora spendere la propria vita per il nome di Gesù solo se i due nomi formano un’unità. Quel “Sia fatta la volontà del Signore” si riferisce chiaramente a Gesù, essendo stato così definito immediatamente sopra. Il credente è però chiamato a fare la volontà di Dio (Colossesi 1:9; Ebrei 10:36; 1Pietro 4:2; 1 Giovanni 2:17) e perciò c’è anche qui una significativa sovrapposizione fra Gesù e il Padre. Tanto più significativa perché, nelle molte predicazioni a non credenti riportate in Atti, la divinità di Gesù è pressoché assente; mentre è chiaramente implicita nei due passi soprastanti che, non a caso, riportano dialoghi di Paolo con credenti.

Filippesi 2:5-11: «Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio [...] spogliò se stesso, prendendo forma di servo [...] facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato [...] affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio [...] e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore».
In fondo non c’è niente di nuovo in questo passo, ma è rilevante perché si dovrebbe trattare non tanto di uno scritto di Paolo, ma della citazione di un inno ben conosciuto dai primi cristiani. L’inno è una sintesi mirabile che parte da quando Gesù era «in forma di Dio» prima dell’incarnazione, poi ha abbassato la sua posizione – non la sua natura – tornando infine alla gloria originaria («Gesù Cristo è il Signore»), in un alternarsi di funzioni, ma rimanendo sempre la stessa persona. Sul significato di “Signore/signore” contiamo di tornarci in seguito.

Ebrei 1:1-10: «Dio [...] ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è lo splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza [...] a quale degli angeli ha mai detto: “Tu sei mio Figlio, oggi io t’ho generato”? e anche: “Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio”? [...] Tutti gli angeli di Dio lo adorino [...] Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani».
Tutto il capitolo 1 di Ebrei ha come soggetto Gesù e perciò si riferiscono a lui anche le ultime espressioni sopra riportate e che altrove vengono riferite esplicitamente al Padre. Non staremo ad analizzare le varie parti, perché sono espresse chiaramente anche in altri versetti che abbiamo visto o che vedremo, sottolineiamo qui solo la gran luce che proviene dall’insieme delle varie caratteristiche riferite a Gesù. In ogni caso, l’autore di Ebrei non teme certamente che si possa esagerare nel “rendere omaggio” a Gesù, concetto ancor più ricavabile dall’Apocalisse (come si vedrà).

Apocalisse 5:11-13: «E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono [...] Essi dicevano a gran voce: “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. E tutte le creature [...] dicevano: “A colui che siede sul trono, e all’Agnello, siano la lode, l’onore la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli”».
In precedenza era stato scritto: «I ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono [...] dicendo: “Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza: perché tu hai create tutte le cose”».
Lo stesso tipo di lode viene rivolto al solo Dio Padre (“Colui che siede sul trono”), poi al solo Gesù, poi a Dio Padre e Gesù insieme. Se questa non è adorazione, se questa non è sia distinzione che unità, se queste parole di Apocalisse non convincono, tanto meno convinceranno le mie.

Apocalisse 1:17. Gesù dice a Giovanni: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo».
Apocalisse 2:8: «Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita».
Apocalisse 22:12-16: «Ecco, sto per venire [...] Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine [...] Io, Gesù».
In precedenza c’è scritto: «“Io sono l’alfa e l’omega”, dice il Signore Dio, “colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”» (1:8).
Ci sono due alfa e due omega? Due primi e due ultimi? La scelta non è fra essere logici o essere illogici, ma fra essere pazzi e essere empi, fra accettare la pazzia di Dio che è più saggia degli uomini (1Corinzi 1:25) o annullare la Parola di Dio per mettere al suo posto le nostre divagazioni.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
25/01/2010 23:52

5. LA DIVINITÀ DI GESÙ COME SOTTOFONDO DELLE EPISTOLE

I passi biblici finora riportati ci sembrano molto eloquenti e su di essi si concentra l’attenzione di chi non accetta l’impostazione trinitaria, nel tentativo di darne un’interpretazione diversa da quella “ortodossa”. L’effetto di un’operazione del genere, anche quando riuscisse, non risolverebbe però la questione in senso “antitrinitario”, perché la dottrina della divinità di Gesù “impregna” tutto il Nuovo Testamento, costituendone la struttura sottostante anche quando non appare in modo vistoso.
L’Epistola ai Romani è considerata come l’esposizione dottrinale più completa presente nel Nuovo Testamento, perciò sorprende il fatto che sia assente una trattazione esplicita della divinità di Gesù. A guardare bene, però, non è che sia assente, ma emerge qua e là in modo più o meno implicito, cioè come qualcosa di condiviso con i lettori e che non ha bisogno di spiegazioni. Anzi, già dai primi sette versetti introduttivi se ne possono ricavare spunti molto significativi, perciò passiamo ora a trascrivere questi versetti:

«1Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, 2che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture 3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di Santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, 5per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome – 6fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo – 7a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati ad esser santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo» (Romani 1:1-7).

«servo di Cristo Gesù» ... «dichiarato Figlio di Dio» (Romani 1:1-4).
Per Paolo, dichiararsi immediatamente «servo di Cristo» significa dare a ciò il massimo del rilievo. Se poco dopo preciserà che i pagani «hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura» (1:25), significa che Cristo non è considerato una “creatura” e ciò è un implicito richiamo al suo essere stato generato da Dio (“generato, non creato”, secondo l’antica formula), come subito sotto è affermato più esplicitamente (“dichiarato Figlio di Dio”). Tutto questo senza dover precisare le circostanze della nascita di Gesù e neppure il fatto che tutto è stato creato per suo mezzo, come se fossero cose ormai acquisite.
Un credente deve amare Dio con tutto se stesso (Matteo 22:37) e non è possibile servire due padroni (Matteo 6:24), eppure anche altri apostoli si dichiarano servi di Cristo (Romani 1:1; Giacomo 1:1; 2Pietro 1:1; Giuda 1) e Paolo stesso invita i credenti ad esserlo (Efesini 6:6; Colossesi 3:24). Ciò non è visto in contrasto con il dichiararsi anche servi di Dio (come Paolo fa poco dopo, cioè in Romani 1:9, e in 2Timoteo 1:3) e servi di Dio sono invitati ad esserlo anche i credenti (Romani 6:22; 1Tessalonicesi 1:9; Ebrei 9:14; 1Pietro 2:16).
L’apparente contrasto fra l’essere “servi di Cristo” e “servi di Dio”, è risolto da Paolo in Romani 14:8: «Chi serve Cristo in questo è gradito a Dio». Senza l’unità fra Padre e Figlio, nel Nuovo Testamento ci sarebbe un’idolatria rivolta a Gesù! Ecco perché è necessaria una dottrina trinitaria che ricomponga in unità la diversità di Padre e Figlio.

«per mezzo» di Gesù Cristo ... «per il suo nome» ... «chiamati da Gesù Cristo» (Romani 1:5-6).
Viene in mente Ebrei 1:5: «A quale degli angeli ha mai detto...?». Nel descriverne le funzioni, il ruolo e la posizione, il Nuovo Testamento non ha alcun timore di esagerare su Gesù. D’altronde Gesù stesso aveva dichiarato che un obiettivo della sua missione era che «tutti onorino il Figlio come onorano il Padre» (Giovanni 5:23). Un onore che Gesù vuole convogliare su se stesso non perché si fermi lì, ma affinché “rimbalzi” al Padre, come quando un calciatore chiede palla non per fare gol, ma per farlo fare a qualcun altro: «Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo figlio, affinché il Figlio glorifichi te» ... «Io ti ho glorificato sulla terra» (Giovanni 17:1,4). Proprio questa “circolarità” basata sull’amore, elimina ogni atteggiamento di competizione fra il Padre e il Figlio, che amano far tutto insieme (a partire dalla creazione, che viene dal Padre, ma come al solito «per mezzo» di Gesù).

«per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia» (Romani 1:5).
Paolo qui accenna a quello che sarà il tema il tema centrale della sua Epistola: il perdono dei peccati per mezzo della fede in Cristo. Il rapporto fra Gesù e il peccato ha però molte sfaccettature, alcune delle quali molto rilevanti per il tema che stiamo trattando. Prima di tutto Gesù è senza peccato (Giovanni 8:46; 2Corinzi 5:21), non solo nel senso che non ha mai peccato, ma anche perché non è legato ad Adamo come un qualsiasi uomo; il legame con Adamo, infatti, ci classifica di per sé come peccatori per natura già alla nascita (Romani 5:17-18) ed il fatto che Cristo non lo sia si armonizza bene col suo essere Figlio di Dio per natura.
Si può fare un ragionamento simile anche partendo dal versetto considerato come “sintesi del Vangelo”, cioè Giovanni 3:16: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna». Il ragionamento avrebbe poco senso se il grande amore di Dio si manifestasse con la morte di qualcuno che è “altro da sé”, mentre considerare Gesù come parte della Deità dà a questo versetto un pieno senso logico.
La capacità di Gesù di cancellare i peccati veniva chiaramente percepita dagli Ebrei come un considerarsi di natura divina ed è comprensibile che alcuni se ne scandalizzassero. Per convincere di questa sua capacità invisibile, Gesù usò qualcosa di visibile, cioè la pronta guarigione del paralitico (Luca 5:20-26; 7:48:50). Quel miracolo di Gesù (come anche altri) convinse alcuni e non convinse altri; anche oggi alcuni si convincono e altri no, ma con chi non crede alla storicità dei Vangeli ha poco senso discuterne il contenuto.
Credo comunque che sia incoerente credere nella storicità dell’Antico Testamento e non credere in quella del Nuovo, perché ambedue i Testamenti sono stati scritti da Ebrei, in ambiente ebraico e riportando fatti ebraici. Ambedue, poi, si sono imposti più per l’autorevolezza intrinseca che per processi di approvazione formale, arrivando ad essere riconosciuti come Parola di Dio con un consenso comunitario pressoché unanime.

«grazia a voi e pace [shalom] da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo» (Romani 1:7).
Noi protestanti ci scandalizziamo quando qualche cattolico dice: «Affidiamoci a Dio e alla Madonna», prendendola come una manifestazione di sfiducia verso Dio, quasi che non fosse sufficiente. Sappiamo poi che Dio è “geloso” e non sopporta che i suoi fedeli si dedichino anche parzialmente a qualcun altro (Esodo 20:5; 34:14; Deuteronomio 4:24; 6:15; Giosuè 24:19; Naum 1:2, Atti 12:22-23). L’aggiunta «e dal Signor Gesù Cristo» sarebbe perciò intollerabile, senza aver presente l’unità Padre-Figlio, cioè senza combinare la diversità delle persone con la loro unità in una stessa natura divina, cioè senza la Trinità.
Paolo usa quell’espressione come una formula introduttiva che è costante in tutte le sue lettere, tranne che in Colossesi, che però è l’epistola che più esalta Cristo (cf. 1:13-20) e nella quale Gesù è comunque nominato in ciascuno dei primi quattro versetti. Negli scritti degli altri autori del Nuovo Testamento questa formula iniziale non c’è, ma in vari modi cominciano tutti con una esaltazione di Gesù.
Anche alla fine dell’Epistola ai Romani ritroviamo l’associazione Padre-Figlio: «A Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Romani 16:27). La “formula di chiusura” più usata da Paolo, però, nomina solo Gesù, come per esempio in 1Tessalonicesi 5:28: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi». In quattro casi (Colossesi, 1Timoteo, Tito, Ebrei) è come se la chiusura abituale sia stata accorciata, perché terminano con «La grazia sia con voi» e poteva essere percepita come «La grazia [del Signore nostro Gesù Cristo] sia con voi» che troviamo più abitualmente.
Anche 1Pietro, 2Pietro, 1Giovanni e Apocalisse si chiudono nominando solo Gesù. L’esaltazione iniziale di Gesù insieme a Dio Padre, insomma, si conclude spesso con una esaltazione del solo Gesù, da ciò deriva che la divinità di Cristo è come una rete che permea di sé tutto il Nuovo Testamento.

«Gesù Cristo, nostro Signore» (Romani 1:4).
Gesù è indicato spesso come “Signore”, ma questa è una parola molto generica, dagli usi variabili. Indicando a volte anche Jahvè, è un’altra indicazione dell’unità Padre-Figlio. Su quella parola non va fatto dunque un discorso frettoloso e perciò le dedichiamo il prossimo paragrafo.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
25/01/2010 23:53

6. “SIGNORE”, UN NOME CONDIVISO DA GESÙ COL PADRE.

Nell’Antico Testamento il Dio unico e creatore è indicato con più di un nome. Alcuni sono nomi generici usati e usabili anche al di fuori del contesto ebraico (per esempio, Altissimo, Signore), mentre il nome più specifico del Dio che ha cura del popolo d’Israele è indubbiamente Jahvè (“Io sono”, cioè il cosiddetto Tetragramma di Esodo 6:3).
Nella traduzione Riveduta Luzzi, in uso fra gli evangelici, Jahvè era di solito tradotto con “Eterno”, mentre altri hanno scelto di tradurre “Signore”. Leggendo queste traduzioni non si può essere sicuri su quale fosse il termine originale sottostante, che a volte è utile conoscere per meglio comprendere il senso di alcune frasi.
Dal 1994, in sostituzione della Luzzi, si è diffusa la traduzione Nuova Riveduta, nella quale ogni nome di Dio ha una traduzione specifica e Jahvè è tradotto con SIGNORE o DIO, ma usando sempre e in esclusiva il maiuscolo per tutta la parola. Ho apprezzato molto questa scelta, che è una forma di rispetto per l’originale.
Qualcuno però, direi giustamente, vorrebbe che si fosse più aderenti ancora all’originale, conservando il senso e il suono di quello che in ebraico risultava essere un nome proprio. C’è chi, notoriamente, usa “Geova” e chi una delle plausibili traslitterazioni delle quattro consonanti ebraiche che compongono il Tetragramma (YHWH), fra le quali io – quando ne ho necessità – come avete visto ho scelto Jahvè.
La prima volta che il problema della traduzione del Tetragramma si è posto con eccezionale rilevanza è quando l’Antico Testamento è stato tradotto in greco dai mitici “Settanta”, circa due secoli prima di Cristo. Lì fu scelto di tradurre il Tetragramma con “Signore”, che è una traduzione opinabile, ma che comunque rispecchia uno dei nomi di Dio più presenti nell’Antico Testamento (“Adonai”). La traduzione dei Settanta era molto conosciuta al tempo degli apostoli i quali, quando hanno scritto il Nuovo Testamento in greco, potevano scegliere se usare la traduzione dei Settanta oppure approntarne una nuova e più fedele all’originale: di fatto, nelle citazioni dell’Antico Testamento riportate nel Nuovo, gli apostoli hanno seguito la versione dei Settanta.
Chi accetta l’ispirazione divina del Nuovo Testamento deve perciò accettare anche le citazioni tratte dalla Settanta e non può argomentare le sue ragioni come se fossero migliori di quelle di Dio; il quale, presumibilmente, ha ritenuto che si dovesse privilegiare la comprensibilità della sua Parola, piuttosto che una fedeltà formale che non è mai completamente possibile in una traduzione. A Pentecoste d’altronde (Atti 2) ci fu la riprova che Dio sa farsi comprendere non solo nella lingua di Abramo e di Mosè, ma anche nei vari dialetti del mondo.
Nel Nuovo Testamento, in genere “Signore” sta a indicare Gesù, ma quando è inserito in una citazione dell’Antico Testamento in genere indica Jahvè; se però quella citazione è applicata a Cristo, allora può anche indicare Cristo stesso (che è come se venisse chiamato Jahvè!).
Insomma, la situazione è inestricabile, perché il contesto non indica sempre chiaramente quale significato dare a “Signore”, ma per gli scrittori del Nuovo Testamento sembra che non fosse un problema e questo perché consideravano inestricabile la connessione fra Dio Padre e Gesù.

Proseguiamo l’argomento facendo una rapida carrellata su come è usato “Signore” nell’Epistola ai Romani.
In genere le Epistole all’inizio non usano un imprecisato “Signore”, ma quando introducono il termine lo accompagnano con la specificazione che con ciò vogliono indicare Gesù: «Gesù Cristo, nostro Signore» ... «dal Signore Gesù Cristo» (Romani 1:4,7).
Dopo Romani 1:7 il discorso si incentra su “Dio”, termine col quale si indica il Padre o la Deità nel suo complesso (cioè la Trinità). In 4:8 c’è però una citazione di Salmo 31:2 e, mentre nel Salmo c’è Jahvè, in Romani c’è «Beato l’uomo al quale il Signore non addebita il peccato».
Dalla fine del capitolo 4 l’Epistola ai Romani si incentra sull’opera di Gesù e così c’è più volte “Signore” abbinato a lui (4:24; 5:1,11; 6:23; 7:25; 8:39). Tutto procede in modo chiaro fino al cap. 9, dove ci sono due citazioni dell’Antico Testamento (vv. 28-29) riportate con “Signore” e che, nell’originale, hanno “Signore Jahvè degli eserciti” e “Jahvè”.
Dal cap. 10, invece, le cose si complicano, come nei vv. 9-13 che ora trascriviamo:
9Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato [...] 11Difatti la Scrittura dice: «chiunque crede in lui, non sarà deluso». 12Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, essendo esso lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. 13Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.
“Signore di tutti” si riferisce a Gesù, essendo poco sopra definito “Signore”. Anche “Chiunque crede in lui”, stando nel mezzo, si riferisce a Gesù e lo conferma il fatto che la frase è tratta da un passo da Isaia (28:16) che Pietro applica a Cristo (1Pietro 2:6). Il “Signore di tutti” continua logicamente ad essere Gesù, “ricco verso tutti quelli che lo invocano”, perciò il nome da invocare per essere salvati è ancora quello di Gesù.
Qui però c’è una particolarità non da poco, perché l’ultima frase è tratta da Gioele 2:32, dove è scritto: «Chiunque invocherà il nome di Jahvè sarà salvato». Non è allora solo una questione di nomi, ma anche di sostanza: Paolo invita ad invocare Gesù per essere salvati, attribuendo a Gesù una capacità di ascolto e salvifica posseduta solo da Jahvè. Stefano tutto ciò lo aveva ben capito e, mentre stava morendo, «invocava Gesù e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”» (Atti 7:59).
In 10:16, 11:3, 11:34, 12:19, 14:11 e 15:11, ci sono citazioni dell’Antico Testamento nelle quali c’è “Jahvè” e che sono riportate da Paolo come al solito, cioè con “Signore”.
Da 11:36, andando un po’ fuori tema, si può ricavare un indizio dell’unità Padre-Figlio; c’è infatti scritto: «Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose», con un contesto che indica come quel “lui” si riferisca a Dio. L’indizio viene fuori se si confronta questo versetto con Colossesi 1:15-18, dove ci sono espressioni “parallele” sul Figlio: tutte le cose, infatti, sono state create «per mezzo di lui», «in vista di lui» e «sussistono in lui», «affinché in ogni cosa abbia il primato».
In 12:11 c’è un «servite il Signore» che, come al solito, dovrebbe essere applicato a Cristo, anche in considerazione del fatto che Paolo, all’inizio dell’Epistola, si è definito «servo di Cristo Gesù». In 6:22, però, scrive ai credenti che essi sono divenuti «servi di Dio» e allora sembrerebbe che ci sia un’alternativa, ma la situazione è simile a quella di chi entra in una rotatoria: da qualsiasi parte provenga, gira sempre nello stesso senso. Infatti Cristo ci porta al Padre e il Padre ci porta a Cristo, in una circolarità continua. Meglio ancora, il Padre e Gesù sono così vicini e in sintonia di volontà, che non è possibile parlare all’uno separatamente dall’altro, come quando si hanno davanti due fidanzati che si tengono stretti e non è possibile parlare all’uno separatamente dall’altro.
Nel cap. 14 c’è un intreccio dal quale si capisce... che Dio non ritiene opportuno spiegarci meglio o che noi non siamo in grado di capire oltre un certo limite o che è meglio che ci rendiamo conto che adesso possiamo capire solo «in parte» (1Corinzi 13:12). Trascrivo i versetti che contengono “Signore”, ma ormai non c’è più tanto bisogno di commentarli:
4Egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi [...] 6Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio [...] 8Perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. 9Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi. 10[...] tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; 11infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua darà gloria a Dio» [...] 14Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso.
Leggendo “Signore” all’inizio capisco “Gesù”, poi divento un po’ incerto, ma il v. 9 getta luce anche sul retro e identifica chiaramente “il Signore” con Cristo. Poi si nomina Dio due volte (vv. 10 e 11) e nel mezzo si fa un collegamento con l’Antico Testamento, nel quale “Signore” dovrebbe allora significare “Jahvè”, per poi applicare nuovamente “Signore” a Gesù in modo esplicito. Ripeto solo una constatazione già fatta: non si nota nessun timore di avvicinare troppo Gesù al Padre.
Gli ultimi quattro versetti nei quali “Signore” è associato a Gesù (15:6; 15:30; 16:18; 16:20) sono intercalati da altri versetti dove c’è solo “Signore” e che perciò viene spontaneo riferire a Gesù (16:2; 16:8; 16:11-12; 16:22).
La parola “Signore”, insomma, aveva a quei tempi un significato molto esteso. In uno stesso passo del Vangelo (Matteo 18:21-27), per esempio, Gesù è chiamato “signore” da Pietro e poi con “signore” viene indicato il padrone del servo spietato (nell’originale, come detto, non si usava la maiuscola a inizio parola). Anche oggi si può applicare ad un qualsiasi “signor Luigi” che partecipa ad un programma televisivo, fino a riferirsi chiaramente a Dio (specie se è con l’articolo determinativo, cioè “il Signore”). Un modo veramente appropriato, allora, per indicare Gesù, che venne giustamente considerato come pienamente umano («il falegname», Marco 6:3), ma anche «dichiarato Figlio di Dio con potenza» (Romani 1:4).

In conclusione, a Gesù viene attribuito in modo prioritario (anche se non esclusivo) uno dei nomi di Dio dell’Antico Testamento, cioè l’ebraico Adonai, che ha lo stesso significato di Signore, poi esteso dai Settanta anche come traduzione di Jahvè, in una versione dell’Antico Testamento adottata di fatto come “canonica” dagli ebrei di lingua greca, che nelle Sinagoghe erano tanto più prevalenti su quelli di lingua ebraica quanto più ci si allontanava da Gerusalemme. Dire perciò in quel contesto che Gesù era “il Signore” era proclamarne chiaramente la divinità!
Nell’Antico Testamento il nome specifico di Jahvè impediva ogni commistione con le divinità degli altri popoli; tradurlo perciò “Signore” ne fa perdere la specificità e la funzione. Perché Jahvè ha permesso questa perdita? Per me la risposta è che ora c’è un nuovo nome che svolge la stessa funzione ed è quello di Gesù. Abbiamo più sopra visto che Paolo (commento ad Atti 21:13) era pronto a morire per il nome di Gesù: un nome che, non a caso, viene accuratamente evitato negli accomodanti incontri “inter-religiosi”, nei quali si pone al centro un vago e indistinto Dio al quale ognuno può attribuire le caratteristiche che vuole.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
01/02/2010 19:22

CAP. 6
LA RIVELAZIONE DELLO SPIRITO SANTO COME “PERSONA”


Abbiamo già visto (cap. 3) come all’inizio del Vangelo lo Spirito Santo sia concepito allo stesso modo che nell’Antico Testamento ed è Luca a sottolinearne di più il ruolo, facendone vedere la forte e varia influenza sui protagonisti (Giovanni Battista e suo padre, Maria, Elisabetta e Simeone, cf. Luca 1:15,35,41,67). Quando Gesù viene battezzato, scende su di lui in forma di colomba (Luca 3:22) e Gesù inizia la sua missione pubblica «nella potenza dello Spirito» (Luca 4:14). Quest’ultima citazione è la decima dello Spirito Santo che fa Luca, che però poi pone al centro della scena Gesù e quasi non nomina più lo Spirito Santo.
Luca riporterà in primo piano lo Spirito Santo dopo la crocifissione e risurrezione di Gesù, nel suo secondo libro chiamato da alcuni “Atti dello Spirito Santo”, anziché “Atti degli apostoli”, perché è lo Spirito Santo che presiede alla nascita della Chiesa a Pentecoste (Atti 2) e opera una nuova nascita in coloro che accettano il perdono in Gesù (Giovanni 3:8; Atti 2:38; 9:17; 10:44-48). Se poi il Vangelo si radicherà a Gerusalemme, in Samaria, in Etiopia, fra i Gentili e fino a Roma, è perché è lo Spirito che dirige le operazioni (Atti 2:4,38; 4:8; 7:55; 8:17,29-40; 9:17,31; 10:19,47; 11:24; 13:2,52; 15:28; 16:6-7; 19:1-6; 20:28; 21:11; 28:25).
Rispetto all’Antico Testamento, non è che lo Spirito Santo faccia cose molto diverse e la differenza più vistosa è semmai la sistematicità e l’ampiezza della sua opera nella Chiesa e per la Chiesa. Meno vistosa, ma più rilevante, è l’opera dello Spirito nell’incarnazione di Gesù, altro esempio di collaborazione trinitaria: Gesù è infatti il Figlio incarnato di Dio Padre per opera dello Spirito Santo.
Leggendo i Vangeli e il libro degli Atti, si constata come l’uditorio ebraico non aveva bisogno di particolari spiegazioni sullo Spirito Santo, che viene considerato come già conosciuto e sul quale viene fatta semmai una rivelazione aggiuntiva.
Il passo dove appare con più evidenza che lo Spirito Santo è una “persona” è quello che racconta l’episodio di Anania e Saffira, rimproverati di «mentire» e di «tentare» lo Spirito Santo (Atti 5:3,9). Anche il fatto che lo Spirito Santo «parla» a Filippo, a Pietro e alla chiesa di Antiochia (Atti 8:29; 10:19; 13:2) spinge a considerarlo non come una forza, ma come una persona.
Insomma, nei riguardi dello Spirito Santo, si nota la solita strategia di Dio, che preferisce far parlare i fatti, prima di fare eventuali discorsi. Particolarmente indicativo, a questo riguardo, è quando Pietro annuncia il Vangelo a Cornelio che, essendo pagano, di Spirito Santo evidentemente se ne intendeva poco; Pietro, nel raccontare l’episodio, dà l’impressione che ci sia rimasto male, perché aveva «appena cominciato a parlare» quando lo Spirito Santo scese su Cornelio e sui suoi amici (Atti 11:15) e così non poté continuare il discorso programmato. La rapidità con la quale lo Spirito Santo agisce sorprende Pietro, al quale presumibilmente sarebbe sembrato opportuno far prima a Cornelio tutta una preparazione che gli facesse comprendere meglio cosa stava per accadergli, invece dovette spiegare dopo a Cornelio che cos’è lo Spirito Santo: un metodo che sembra disordinato, ma la teoria è molto più efficace quando c’è già un’esperienza.
D’altronde si sa che quando si parla di Spirito Santo in linea teorica non resta molto in chi ascolta, anche se a volte è necessario farlo. Gesù lo ha fatto con un breve discorso che lì per lì gli apostoli compresero poco, tanto che alla crocifissione finirono lo stesso per smarrirsi. Poi però quelle parole sono tornate loro in mente e ne hanno capito la grande rilevanza, perché segnano un vero spartiacque, dopo il quale si può capire con certezza che lo Spirito Santo è una persona:
Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi [...] vi ho detto queste cose, stando ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto [...] Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà. (Giovanni 14:16-17; 14:25-26; 16:12-15).

La persona di Gesù si allontanerà per un tempo dagli apostoli, ma verrà sostituita da un’altra persona, che sarà in loro e li guiderà in tutta la verità: è un’altra opera trinitaria, nella quale la “circolarità a due” – che abbiamo vista fra il Padre e Gesù – è qui “a tre” (infine, considerando la partecipazione dell’umanità, diventerà “a quattro”, ma su questo ci soffermeremo dopo).
Spesso si insiste che nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo è dato per sempre, mentre nell’Antico Testamento questa certezza non c’era. Senza dubbio nel Nuovo Testamento ci sono novità, ma credo che un’ottica di sviluppo aiuti a comprendere meglio di quella che vede contrasti. Per esempio chiediamoci: forse lo Spirito Santo non rimase sempre con Enoc, con Noè, con Abramo, con Mosè, con Elia, con Geremia e altri? Certo, Davide chiese a Dio di non togliergli lo Spirito Santo (Salmo 51:11), che invece si era ritirato da Saul (1Samuele 16:14); bisogna però considerare che a Davide lo Spirito Santo non fu mai tolto – nonostante la gravità dei suoi peccati – e che la presenza dello Spirito Santo in Saul produsse in lui un cambiamento solo superficiale, al punto che chi lo conosceva percepiva il permanere di un contrasto fra lo Spirito Santo e il carattere di Saul (1Samuele 10:11-12); forse Dio gli diede inizialmente il suo Spirito per non avere responsabilità nei successivi fallimenti di un re che si mostrerà “incorreggibile”.
In ogni caso, c’è anche un’altra ottica che può aiutarci a comprendere le differenze presenti nel Nuovo Testamento, che spesso sono determinate dalle particolari circostanze di quel tempo. Nell’Antico Testamento (o meglio, a cominciare da Mosè) i credenti erano inseriti in un popolo nel cui mezzo c’era la presenza di Dio, il quale suscitava continuamente dei profeti che comunicavano a tutti la sua volontà, rendendo perciò meno necessaria una guida interiore su ciascuno. Gesù invece manda i suoi discepoli «come pecore in mezzo ai lupi» (Matteo 10:16) e per far fronte a questi compiti sovrumani ci equipaggia con mezzi sovrumani. Confesso che ho approfittato poco di questo equipaggiamento, ma noi credenti sappiamo che più accettiamo le difficoltà di Cristo, più sperimentiamo la sua cura.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
06/02/2010 11:55

Cap. 7
TRINITÀ: CERTEZZA IN ALCUNI PASSI,
INDICAZIONI ALTROVE


1. UN’INEVITABILE SINTESI DEL NUOVO TESTAMENTO

1) Se Gesù è Figlio di Dio per natura ed è uno col Padre;
2) se lo Spirito Santo è una persona strettamente associata a Dio e che opera come e in nome di Dio;
3) se Dio è uno;
4) allora la “Tri-unità” (Trinità) di Dio, cioè che la sua unità si esprima in tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) ne è una conseguenza inevitabile, il cui contenuto emerge dal Nuovo Testamento stesso (anche se non ci troviamo la parola “Trinità”).

Quando è finito il processo e un imputato è stato dichiarato innocente o colpevole, anche le prove dubbie sono poi viste alla luce della sentenza. Noi consideriamo a questo punto come acquisita la “sentenza” a favore della Trinità e allora ne andiamo a vedere altre tracce nella Bibbia, anche quelle che – prese isolatamente – non riteniamo che siano una prova decisiva, ma sono comunque importanti come conferma o come illustrazione o come anticipo.
Quando Gesù disse: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere», non lo fece perché fosse capito subito, ma perché quelle parole sarebbero state importanti in seguito (Giovanni 2:19-22). Anche il lavaggio dei piedi agli apostoli venne fatto da Gesù per essere capito in un secondo tempo (Giovanni 13:7,19). I profeti stessi, non sono stati di solito capiti meglio dopo? Basta pensare a Geremia ed Ezechiele; ma anche a Giuseppe, Mosè e Davide, che furono compresi e accettati solo nella seconda parte della loro vita. Riteniamo perciò lecito dare poi un senso nuovo, o comunque più chiaro, a ciò che prima era più incerto.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
06/02/2010 11:56

2. LA TRINITÀ IN GENESI 1-2

Essendo la Trinità una dottrina così centrale, allora non stupisce che ce ne siano delle tracce all’inizio stesso della Bibbia: tracce che erano certamente ambigue prima di Cristo, ma che ora acquisiscono una loro rilevanza.
Chi si intende di ebraico mi ha spiegato che nella frase iniziale della Bibbia, dov’è scritto «Nel principio Dio creò», il verbo è al singolare («creò»), ma quel nome di Dio (tra l’altro molto usato nella Bibbia) è al plurale («Elohim»); una possibile traduzione letterale è perciò «Nel principio gli Dèi creò», che appare come un modo velato di preparare alla Trinità. Di particolare interesse è quando Elohim (plurale) è usato in accoppiata con Jahvè [singolare], com’è spesso fatto in Genesi 2, dove troviamo «Jahvè Elohim».
Se si considera che Gesù viene definito da Giovanni come la Parola di Dio e la vera luce, presente fin dal principio e mediante il quale è stato creato il mondo (Giovanni 1:1-10), allora è alla prima “parola” detta da Dio che rimanda Giovanni, quando comincia il suo Vangelo con «Nel principio era la Parola [...] in lei era la vita e la vita era la luce degli uomini». Giovanni, insomma, sembra fare il parallelo col Dio che crea la luce e la vita: «Dio disse: “sia la luce”» (Genesi 1:3).
Niente di probatorio, chiaramente, ma la Trinità si può intravedere anche nel complesso dei primi tre versetti della Bibbia: «Nel principio Dio creò i cieli e la terra [...] e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “sia la luce!” E luce fu».
Anche nel significativo momento della creazione dell’uomo si può intravedere una traccia della Trinità: «Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza [...] Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Genesi 1:26-27). Qualcuno interpreta quel «facciamo» come un “pluralis maiestatis”, usato da chi è re o comunque in autorità e dice “noi”, ma intendendo se stesso al singolare. Ho letto che l’ebraico non conosce il “pluralis maiestatis”, ma la questione non è decisiva, perché qui non stiamo portando prove, ma rintracciando segnali che sono importanti anche quando risultano più o meno nascosti. Allora l’uso del plurale prima («Facciamo l’uomo a nostra immagine») e del singolare subito dopo («creò l’uomo a sua immagine») sembra proprio un’introduzione alla Trinità messa lì per i posteri. Specie se si considera che questa miscela singolare/plurale si ripeterà poco dopo: «Poi Jahvè Dio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi nella conoscenza del bene e del male”» (Genesi 3:22); oltre all’accoppiata “Jahvè-noi”, è significativa anche la contemporanea presenza dell’accoppiata “Jahvè-Dio [Elohim]” vista più sopra.
C’è un altro modo di vedere la Trinità nella creazione dell’uomo (Genesi 2:7): 1) Dio Padre ne è protagonista nel modellare la polvere della terra; 2) la quale riceve vita dal suo “soffio”, che è sinonimo di spirito/Spirito (cf. Giovanni 3:6-8, con l’associazione “Spirito/vento”); 3) avendosi come risultato Adamo, in qualche modo simbolo e anticipazione di Cristo (Romani 5:14); infatti Adamo è definito “immagine di Dio” come lo è definito Cristo (Genesi 1:27; 2Corinzi 4:4; Colossesi 1:15). Si sottolineano molto le differenze fra Adamo e Gesù e indubbiamente ci sono, non dobbiamo però dimenticarci delle similitudini, altrimenti neghiamo di fatto l’incarnazione di Gesù.
[Modificato da Roberto Carson 06/02/2010 11:56]



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
06/02/2010 11:57

3. TRINITÀ E FAMIGLIA APERTA

C’è però un altro aspetto che viene spesso trascurato: se l’uomo è immagine di Dio, allora dovrebbe essere anche un’immagine della Trinità. Perché se è vero che la Bibbia proibisce di farci delle immagini fisiche di Dio (Esodo 20:4), è anche vero che ci fornisce continuamente delle immagini mentali che ci aiutano a comprendere.
Non ci riferiamo però, prima di tutto, all’uomo visto nelle sue componenti di corpo, anima e spirito (1Tessalonicesi 5:23), ma alla sua complessità maschio-femmina: «Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra» (Genesi 1:27-28).
Prima di dire che l’umanità è stata creata come due persone, Dio riafferma e ripete che è sua immagine. L’unica natura umana (l’uomo), è perciò fatta di due persone (maschio e femmina). Fra Adamo ed Eva non c’era diversità di natura, perché erano ambedue esseri umani, ma ciascuno dei due non rifletteva pienamente tutta l’umanità, perché l’essere umano è l’insieme di questa miscela “maschio-femmina”: Adamo era “umanità-maschio” ed Eva “umanità-femmina”, mentre Adamo-Eva erano “umanità piena”. Se esistessero veramente i marziani ed un astronauta atterrasse su Marte, i marziani non si renderebbero pienamente conto della sua natura finché non ci porta anche la moglie.
La prima cosa che Dio dice alla coppia primordiale è di essere fecondi, cioè di non vivere il loro rapporto come chiuso in se stesso (“due cuori e una capanna”), ma di aprirsi ad accogliere dei figli. Con la nascita del primo figlio si mettono in moto tre rapporti, perché a quello marito-moglie si aggiungono marito-figlio e madre-figlio. In un’umanità decaduta le distorsioni sono all’ordine del giorno: c’è la coppia orgogliosa di essere “libera da figli” e pronta a godersi la propria vita (in un rapporto che alcuni definiscono di tipo “omosessuale” anche quando è fra sessi diversi, perché chiuso in se stesso); c’è la madre che è totalmente rapita dal figlio e che “sopporta” il marito; c’è il marito che non si rassegna alla “degenerazione” della moglie divenuta madre e sviluppa un’antipatia per il figlio, oppure cerca di consolarsi con una nuova donna pienamente disponibile (l’amante, che non a caso compare a volte insieme al primo figlio); c’è il figlio che esige tutto dai genitori, salvo poi disprezzarli come “rompiscatole”. Insomma la famiglia, di questi tempi, è un modello che riflette limitatamente la Trinità, ma è il modello che Dio ci ha dato e allora proviamo a ripartire dall’alto, per cercare di capire meglio come Dio vorrebbe la famiglia.
Essendo la Deità in tre persone, anche in questo caso si instaurano tre rapporti: Padre-Figlio, Figlio-Spirito e Padre-Spirito. Ognuno dei tre rapporti non è chiuso in se stesso, ma si apre all’amore dell’altro. Per non dilungarci, riprendiamo brevemente solo il concetto di “circolarità” già visto, riproponendo Giovanni 14:26: «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto»; insomma, lo Spirito Santo verrà mandato dal Padre nel nome del Figlio, per far comprendere meglio ai discepoli gli insegnamenti del Figlio, che aveva come obiettivo di glorificare il Padre (Giovanni 17:4).
In una famiglia “spirituale”, cioè che riflette concretamente chi è Dio, l’amore marito-moglie non è indebolito dalla presenza di un “terzo incomodo”, cioè il figlio: anzi il figlio rende più profonda la loro unione, dandole nuove prospettive. La moglie non sfrutta il suo inimitabile rapporto col figlio per utilizzarlo contro il marito, ma educa con l’esempio il figlio ad amare un padre che li ama. Il marito non usa il suo potere per imporre se stesso (e magari vendicarsi dei torti subiti, veri o presunti che siano), ma per onorare la famiglia ed aprirgli spazi di vita. Purtroppo non è solo guardando al mondo che viene da piangere, perché l’umanità degradata del mondo entra nelle chiese con la sua degradazione ed il risalire è faticoso, anche perché spesso i credenti presenti nelle chiese risultano infiltrati dai “valori” del mondo (in fondo non si ride e non ci si bea davanti agli stessi programmi televisivi?).
Non solo ogni coppia interna alla Trinità si apre al terzo componente, ma la Trinità nell’insieme si apre all’esterno: «Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio...» (Giovanni 3:16). Anche una famiglia umana “spirituale” dovrebbe essere aperta all’esterno di sé e non chiusa in un egoistico “club di mutuo soccorso”. Ci sono famiglie che hanno già figli e ne adottano altri. Ci sono case le cui porte si aprono facilmente e dove entrano amici (ed aspiranti tali) che vengono accolti da tutta la famiglia: sono proprio queste famiglie le più efficaci nel testimoniare di Dio (o le sole efficaci?) e ringrazio Dio di avermene fatta trovare qualcuna nel momento del bisogno.
Gesù non era sposato, ma ha evangelizzato con gli stessi principi, perché predicava avendo associato a sé i dodici apostoli (Marco 3:14) ed includendo nella comunità anche le donne, non di rado portate come esempio e che, fra l’altro, lo assistevano con i loro beni (Matteo 15:28; Giovanni 4:39; Luca 7:44-50; 8:2-3; 10:42; Atti 1:14).
Gli idoli non danno ciò che promettono, così le unioni e le famiglie incentrate sull’egoismo e chiuse in se stesse non reggono. Da una degenerazione, però, si passa ad un’altra e allora si parla oggi di “coppia aperta” e di “famiglia allargata”, ma sono pessime imitazioni di quell’originale del quale si sente la nostalgia, ma che non si sa più come trovare.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
06/02/2010 11:57

4. DIO ABITAVA NEL TEMPIO E CONTEMPORANEAMENTE NEI CIELI?

Un altro segno, nell’Antico Testamento, della pluralità di un Dio unico è la sua presenza “fisica” sulla Terra di un Dio che non può essere contenuto nemmeno dai cieli. Questa presenza si è verificata in modo non occasionale durante l’Esodo, quando Dio si manifestava nascosto in una nuvola durante il giorno e in una colonna di fuoco durante la notte (Esodo 13:21-22; 40:34-38). Presenza tangibile anche quando Dio prese visibilmente dimora nel tempio costruito da Salomone, il quale si rese ben conto che qualcosa gli sfuggiva: «Salomone disse “[...] Ho costruito per te un tempio maestoso, un luogo dove tu abiterai per sempre!» [...] «Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra? Ecco, i cieli ed i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che io ho costruita! Tuttavia [...] siano i tuoi occhi aperti notte e giorno su questa casa, sul luogo di cui dicesti: Qui sarà il mio nome» (1Re 8:13; 8:27-29).
Chi aveva riflettuto sulla “unità misteriosa” di un Dio che era presente sulla Terra dentro un tempio e, al tempo stesso, rimaneva insediato nel suo trono celeste (Isaia 6), era preparato ad accettare un Dio presente nei cieli e, al tempo stesso, presente come incarnato sulla Terra. Parallelismo giustificato dalla identificazione che Gesù fa fra se stesso e il tempio (Giovanni 2:18-22).



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
06/02/2010 11:58

5. PASSI TRINITARI DEL NUOVO TESTAMENTO

A. Annunciazione e Battesimo di Gesù (Luca 1:32-35; 3:22).

Nel Nuovo Testamento, la Trinità si manifesta già all’annunciazione, perché Gesù sarà “figlio dell’Altissimo” e opera dello Spirito Santo (Luca 1:32-35).
Trinitario fu anche l’inizio dell’impegno pubblico di Gesù, cioè il suo battesimo, quando «Lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea, come una colomba; e venne una voce dal cielo: “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto”» (Luca 3:22).

B. Un solo Dio, un solo Signore, un medesimo Spirito (1Corinzi 8:6; 12:4-6; Efesini 4:4-6).

1Corinzi 8:6.
Prima di passare più velocemente ad altri versetti, ci soffermiamo su un’espressione dell’apostolo Paolo che è a volte presa come negazione della Trinità:
«Ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale son tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale son tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo» (1Corinzi 8:5-6).

Certo, se ci si limita a riportare «per noi c’è un solo Dio, il Padre», sembra che il passo neghi la divinità di Gesù, ma se si considera tutto il contesto, il discorso è più complesso. Prima di tutto “Padre” rivolto a Dio si riferisce in primo luogo a Gesù, Figlio di Dio per natura, mentre per noi uomini può essere “Padre” solo in senso adottivo e solo per mezzo di Gesù (chi non è “in Cristo” è creatura di Dio, amata sì, ma non figlio, cf. Giovanni 1:12).
Già indicare Dio come “Padre”, perciò, richiama la divinità di Gesù; la considerazione centrale è però un’altra e si riferisce alla struttura della poesia ebraica, che si basa non sulla rima, ma sul parallelismo dei versi, che non di rado esprimono lo stesso concetto con parole diverse. Andando a caso, per esempio, ho subito trovato due esempi:
A1. «Mettimi al riparo dalle trame dei malvagi,
B1. dagli intrighi dei malfattori.
A2. Hanno affilato la loro lingua come spada
B2. e hanno scagliato come frecce parole amare» (Salmo 64:2-3).
A3. «Ti lodino i popoli, o Dio,
B3. tutti quanti i popoli ti lodino!» (Salmo 67:3).

Si può constatare come il secondo rigo della coppia (B) ripeta il concetto del primo rigo (A) apportando qualche variante. Paolo sembra seguire lo stesso schema:
A4. «C’è un solo Dio, il Padre, dal quale son tutte le cose, e noi viviamo per lui,
B4. e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale son tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo»
Nelle due espressioni di Paolo (A4 e B4) c’è infatti un’assonanza di concetti, non un loro contrasto:
-“Padre” e “Signore” sono espressioni diverse ma “Signore” (come abbiamo più sopra evidenziato), nel Nuovo Testamento è usato anche per Dio Padre, specie nella versione greca dei Settanta in uso fra gli Ebrei di lingua greca e ampiamente utilizzata dagli apostoli. “Signore” rivolto a Gesù, perciò, afferma la sua divinità, anziché negarla.
-“Dal quale son tutte le cose” e “mediante il quale son tutte le cose” riprende la diffusa dottrina che l’autore della creazione è Dio Padre, che però l’ha realizzata per mezzo di Cristo (Giovanni 1:3; Colossesi 1:16; Ebrei 1:2). L’opera della creazione, insomma, non separa il Padre dal Figlio, che anzi appaiono come “co-creatori”, perché il Padre fa la sua opera fondamentale con la partecipazione del Figlio in tutto.
- A “Noi viviamo per lui” fa da parallelo “mediante il quale anche noi siamo”. In altre parole, la nostra condizione è il riflesso dell’essenza di Dio Padre e dell’essenza di Gesù; Dio Padre è la sorgente della vita ed è lui che ce l’ha trasmessa, ma noi ce ne appropriamo per mezzo di Gesù, che è mediatore sia nella creazione della vita naturale che nel trasmetterci la vita dello Spirito.
Per fare un imperfetto esempio umano, Dio Padre è come se svolgesse le funzioni del re, mentre Gesù mette in atto il programma come farebbe un primo ministro, con lo Spirito Santo che realizza concretamente l’opera. Dio ha amato il mondo (Giovanni 3:16), Gesù ha messo in atto la volontà del Padre morendo in Croce (Luca 22:42) e lo Spirito Santo ha concretizzato a Pentecoste (Atti 2) la nuova vita dei credenti.

1Corinzi 12:4-6.
Più avanti l’apostolo Paolo torna sullo stesso tema introdotto in 8:6:
«Vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito.
Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore.
Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio,
il quale opera tutte le cose in tutti» (1Corinzi 12:4-6).

Il versetto che precede il passo indica che “Signore” si riferisce a Gesù. Anche in questo caso, come in Corinzi 8:6, colpisce il parallelismo. Senza la dottrina trinitaria, Dio sarebbe qui associato a qualcosa che non è Dio, ma che il tutto formi un’unità è ben espresso nelle ultime parole, nelle quali si precisa che Dio «opera tutte le cose in tutti». Più avanti (15:22-28), nell’esporre le tappe future dell’opera di Cristo, Paolo ricomporrà un’altra volta la varietà nell’unità, affermando che alla fine Cristo «consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre» ... «affinché Dio sia tutto in tutti». Dio è ed opera “tutto in tutti”, perciò l’opera dello Spirito e del Signore Gesù, date le loro caratteristiche, non possono che essere interne a Dio stesso, intendendosi per “Dio” sia il Padre che la Deità nel suo insieme.
D’altronde l’intreccio trinitario è presente anche nel versetto (12:3) che precede quelli sopra considerati: «Nessuno, parlando per lo Spirito di Dio, dice: “Gesù è anatema!” e nessuno può dire: “Gesù è il Signore!” se non per lo Spirito Santo». Dio, Gesù e Spirito Santo inseriti ancora una volta in un contesto di distinzione di persona, unità di sostanza e cooperazione nell’agire.


Efesini 4:4-6.
Concetti simili a quelli appena visti sono espressi in Efesini 4:4-6:
«Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti».
Anche in questo caso, la distinzione delle tre persone è accompagnata da chiare espressioni unitarie (“un solo” / “una sola”), con le ultime parole che possono considerarsi come un’espressione trinitaria condensata e che riporto intercalandole con il senso che mi pare abbiano: «è al di sopra di tutti [Dio Padre], fra tutti [il Signore Gesù, Matteo 18:20] e in tutti [Lo Spirito Santo, 2Timoteo 1:14]».

C. Altri passi trinitari.

Romani 8:9.
«Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui».
Se separiamo Cristo da Dio allora ci sarebbero due Spiriti, mentre più sopra (Efesini 4:4-6) abbiamo visto che ce n’è solo uno.

Romani 8:16.
«Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui».

Romani 15:30.
«Ora, fratelli, vi esorto, per il Signore nostro Gesù Cristo e per l’amore dello Spirito, a combattere con me nelle preghiere che rivolgete a Dio in mio favore»

I tre soprastanti versetti di Romani confermano che nell’Epistola, pur non affrontandosi il tema della divinità di Cristo, la Trinità è un presupposto ritenuto da Paolo pacificamente condivisibile con l’uditorio.

Ebrei 9:14.
«Quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!»

Atti 20:28.
«Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue».
Abbiamo già considerato che il sangue versato è evidentemente quello di Cristo e come questo passo ribadisca la “unità genetica” fra il Padre e il Figlio (lo stesso sangue), d’altronde chiarita da come è stato concepito Gesù (Luca 1:35).

Matteo 28:19.
«Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Il Vangelo non è come il Corano e Gesù non è come Maometto, che pose un abisso fra qualsiasi uomo (anche se stesso) e un Dio “totalmente altro”. Qui non è un apostolo che esalta Gesù, ma è Gesù stesso che si pone al livello del Padre, insieme allo Spirito Santo. Se si interpreta il versetto inserendo i due punti, acquista una più chiara connotazione trinitaria, avendosi un nome (singolare) e tre persone.
Altri invece interpretano questo versetto come se intendesse «nel nome del Padre, [nel nome] del Figlio e [nel nome] dello Spirito Santo». Dato però che sono tre nomi distinti, allora sono anche tre persone, Spirito Santo compreso. Tre persone sullo stesso piano, senza la Trinità, sarebbero allora tre Dii e si cadrebbe nel politeismo. Insomma, la valenza trinitaria di questo versetto resta comunque.

2Corinzi 13:13.
«La grazia del Signore Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi», cioè con tutti noi.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
08/02/2010 21:26

CAP. 8
ANTICO TESTAMENTO O EBRAISMO RABBINICO?


Ebrei e cristiani sono d’accordo: il Nuovo Testamento è “un’altra cosa” rispetto all’Antico Testamento. Così ognuno è rispettato nelle sue specifiche competenze e i pericoli di reciproche interferenze si riducono al minimo.
Interferenze possibili perché un pericoloso punto di attrito c’è ed è rappresentato dal rapporto fra Antico e Nuovo Testamento. Per gli Ebrei il problema non si pone, perché considerano il Nuovo Testamento come incompatibile con Mosè, mentre i cristiani sono d’accordo con gli Ebrei che l’Antico Testamento sia Parola di Dio: superata, sì, ma pur sempre Parola di Dio e nella quale era già “contenuto” il Nuovo Testamento.
L’Antico Testamento è spesso considerato dai cristiani come una specie di ostrica che contiene in sé la perla del Vangelo, arrivato il quale l’ostrica si conserva soprattutto per far risaltare quanto è bella la perla e come è stata lunga la sua preparazione (da ciò un Antico Testamento visto come “storia della salvezza”, avente ormai perso il suo valore normativo).
Noi invece riteniamo che, dalla Genesi all’Apocalisse, Dio è sempre lo stesso e porta avanti lo stesso disegno, per mezzo dello stesso Gesù, il quale ha cominciato la sua opera già alla creazione (Giovanni 1:3). Ci ritroviamo allora con un’opposizione generalizzata, cioè sia degli Ebrei che dei cristiani, sia dei cristiani filo-ebraici che di quelli anti-ebraici.
Mentre gli Ebrei fanno da 2000 anni una “lettura anticristiana” dell’Antico Testamento, i cristiani fanno una speculare “lettura antiebraica” del Nuovo Testamento da 1900 anni (perché Cristo e i primi cristiani erano Ebrei che rimasero tali). Sono queste due letture distorte ad essere incompatibili, mentre da una lettura del Nuovo Testamento fatta con semplicità e senza preconcetti antiebraici, si può constatare che è in piena continuità con l’Antico.
Già Cristo rimproverava la maggioranza dei Giudei di seguire particolari elaborazioni di loro “maestri” (Marco 8:13), ma poi un’ulteriore e profonda svolta c’è stata con le catastrofiche e ripetute ribellioni contro Roma, con la conseguente distruzione del secondo Tempio. Quella classe dirigente fallimentare, per giustificare se stessa e continuare a professarsi come depositaria della giusta interpretazione della Torà, ha dovuto fare salti logici, inventandosi storielle molto ingegnose, ma che hanno ormai poco a che fare con l’Antico Testamento.
Nella mia città fu invitato un quotato rabbino e, tra l’altro, ci disse che Mosè sul Sinai ricevette non solo la “Torà Scritta”, ma anche la “Torà Orale”: ambedue di pari dignità e ambedue custodite dal popolo Ebreo.
Ci illustrò poi l’atteggiamento ebraico con due scenette. In una Mosè chiede a Dio di tornare in Terra per veder come gli Ebrei stanno applicando la sua Legge. Mosè torna turbato, lamentandosi che ormai stavano facendo tutt’altro da come lui aveva disposto, ma Dio gli risponde che il popolo Ebreo ha tutto il diritto di aggiornare la Legge come riteneva più opportuno. In una seconda scenetta veniva illustrato come il dissidente ebreo ha sempre torto, mentre la maggioranza ha sempre ragione indipendentemente da ciò che decide, cioè per il solo fatto di essere la maggioranza del popolo eletto.
In un’altra occasione un ebreo praticante ci illustrò il suo “studio della Torà”, che si incentrava non sulla lettura dell’Antico Testamento, ma sullo studiare i commenti rabbinici alla Torà.
Prima di discutere con un ebreo di Nuovo Testamento e di Trinità, bisognerebbe analizzare quanto dei suoi attuali atteggiamenti siano compatibili con l’Antico Testamento. Gli apostoli chiamavano gli Ebrei del loro tempo ad essere fedeli alla Parola di Dio, che in quel momento era l’Antico Testamento, perciò anche noi dovremmo cominciare cercando di condividere il vero messaggio della Parola di Dio scritta prima di Cristo, ma essendo rispettosi del senso originario del testo, senza correre alle applicazioni cristiane che, in un primo momento, credo dovrebbero essere accantonate.
La storia d’Israele, raccontata da Dio nell’Antico Testamento, non è una storia di fedeltà nella quale la maggioranza del popolo ha sempre ragione (a partire dal famoso vitello d’oro, Esodo 32:1-14), ma una storia che – tappa dopo tappa – va avanti solo PER GRAZIA. Purtroppo fra noi cristiani si è radicata la falsa convinzione che l’Antico Testamento sia “il tempo della Legge” e non siamo in genere pronti a far vedere come, quando abbonda la Legge, abbonda anche il peccato e perciò è SEMPRE NECESSARIO che sovrabbondi la grazia (cf. Romani 5:20).

C’è una domanda che in genere non si fa ad un ebreo e forse è meglio così, perché è indispensabile farla piangendo e non mettendosi su un piedistallo: «Perché è stato distrutto il primo Tempio?». Il primo, non il secondo (che è quello frequentato da Gesù), perché è opportuno discutere sulla distruzione del secondo Tempio solo se un Ebreo accetta ciò che l’Antico Testamento dice sulle motivazioni della distruzione del primo Tempio:
«Al suo tempo, salì Nabucodonosor, re di Babilonia, e Ioiachim gli fu suo vassallo per tre anni; poi nuovamente si ribellò contro di lui. Jahvè inviò, allora, contro di lui bande di Caldei, bande di Aramei, bande di Moabiti e bande di figli di Ammon e li lanciò contro Giuda per distruggerla, secondo la parola che Jahvè aveva proferito per mezzo dei suoi servi, i profeti. Ciò avvenne contro Giuda, solamente secondo l’ordine di Jahvè, per toglierla dalla sua faccia, a motivo dei peccati di Manasse, per tutto ciò che aveva fatto, e anche per il sangue innocente che aveva sparso, riempiendo Gerusalemme di sangue innocente. Jahvè non volle perdonare» (Re 24:1-4).

Solo se è il caso e se ci viene spontaneo piangere si può procedere con altre domande: «Alla distruzione del primo Tempio e all’esilio collegato si cominciò a rimediare prima che fosse trascorso un secolo (2 Cronache 36:20-23; Geremia 29:10; Esdra 3:8-13), perché allora, dopo la distruzione del secondo Tempio, ci son voluti 20 secoli perché gli Ebrei facessero ritorno nella Terra a loro Promessa? E perché, dopo 20 secoli, non è nemmeno iniziata la ricostruzione del Tempio?
L’obiettivo di queste domande non è certo quello di umiliare il popolo Ebreo e devo costantemente aver presente che io e il mio popolo italiano non siamo certo migliori. Il nostro vero obiettivo è di contrastare l’ecumenismo degli orgogliosi, fatto da dignitari di varie religioni che si incensano a vicenda; promuovendo invece “l’ecumenismo di Dio” che è ben sintetizzato da Paolo: «Dio ha rinchiuso TUTTI nella disubbidienza per far misericordia a tutti» (Romani 11:32).

Giovanni Battista fu onorato da molti Ebrei, ma ostacolato dalla maggioranza, la quale però non ne invocò la morte, come invece fece poi per Gesù (Luca 23:20-23). Parallelamente, il messaggio di Pietro agli Ebrei fu accettato da molti e ostacolato da una maggioranza che si oppose, ma non con la violenza usata poi verso Stefano, che non a caso fu il primo martire (Atti 2:41; 4:1-3; 7:54-60). Credo che i motivi vadano ricercati nel fatto che le requisitorie di Giovanni Battista e di Pietro lasciavano aperto uno spiraglio di possibile salvezza per il popolo nel suo complesso (Luca 3:10-17; Atti 3:17-21), mentre nelle accuse di Gesù e di Stefano c’è una vena di disperazione (Matteo 23; Atti 7:51-53).
Quelle accuse di Gesù e di Stefano furono insopportabili alla maggioranza degli Ebrei di allora e sono le stesse che rendono insopportabile anche oggi il Nuovo (e l’Antico) Testamento. Gesù e Stefano non sfiorarono nemmeno la questione della divinità del Messia e della Trinità (come non fu sfiorata in nessuna delle predicazioni riportate negli Atti), perciò non sono questi i veri ostacoli per un’accettazione di Gesù da parte di un ebreo: il vero ostacolo è quello di riconoscere che lui e il suo popolo sono peccatori (anche se non più di me e del mio popolo) e che hanno (e abbiamo) bisogno di essere salvati per grazia, mediante la fede nel Messia Gesù.
Mentre per portare il rimprovero di Dio ad un Ebreo ci vogliono le lacrime agli occhi (Dio continua a non aver piacere che si disprezzi il suo popolo), per le parole durissime usate da Gesù e da Stefano bisognerebbe avere lo stesso amore che ebbero loro e che li spinse ad invocare il perdono proprio per quel popolo che stava dando loro un’orribile morte (Luca 23:34; Atti 7:60).



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
10/02/2010 18:01

CAP. 9
LA DIMENSIONE “QUADRIUNITARIA” DELLA FEDE CRISTIANA


1. LA RIVELAZIONE “QUADRIUNITARIA” IN GIOVANNI 17:20-26.

Riportiamo subito il testo che sta alla base delle riflessioni di questo capitolo.
Gesù disse: «Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me. Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato; e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro» (Giovanni 17:20-26).

Con “Quadriunità” non vogliamo proporre qualche strana dottrina, ma solo indicare l’applicazione della Trinità ai credenti, i quali saranno “uno” in Cristo e pienamente integrati nella Trinità. La dinamica allora diviene fra quattro polarità, perciò abbiamo pensato di dare il nome di “Quadri-unità” a questa realtà descritta da Gesù stesso.
La piena comunione col Padre, per Gesù, ha comportato un’ubbidienza «fino alla morte, e alla morte di croce» (Filippesi 2:8), ma proprio per questo è stato innalzato alla destra del Padre, aspettando che i suoi nemici siano ridotti ad essere lo sgabello dei suoi piedi (Ebrei 1:13).
La comunione con Cristo, per Paolo, ha avuto un significato simile e Paolo è stato sempre pronto a dare la vita per Gesù (Atti 20:23; 2Corinzi 11:23-27). Insieme a dure prove, però, ha anche sperimentato straordinarie benedizioni (2Corinzi 12:2-4; Atti 16:25-34) e una sintonia unica con Cristo, che si rifletteva in tutto ciò che Paolo faceva (Filippesi 4:9).
Vogliamo anche noi essere inseriti in questo coro? Il prezzo da pagare non è leggero:
-sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita (Apocalisse 2:10);
-«dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli» (1Giovanni 3:16, cf. 1Tessalonicesi 2:8);
-e dare la vita anche per i nemici, come ha fatto Cristo (Romani 5:6-8).
Dio rimarrà forse in debito? Non è lui stesso a metterci in grado di fare per lui ciò che siamo incapaci di fare? Si può comunque sempre cominciare con poco, iniziando a sperimentare quella sua semplice promessa: «Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi» (Luca 6:38).



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
10/02/2010 18:02

2. POPOLI DI OGNI LINGUA SARANNO “UNO” IN CRISTO

Qualcuno dice che “siamo tutti figli di Dio”, ma non è vero che è un diritto che si acquisisce con la nascita, perché lo si diventa ricevendo Cristo (Giovanni 1:12). La preghiera di Gesù «Che siano tutti uno» riguardava perciò solo chi l’avrebbe ricevuto, cioè gli apostoli e quelli che avrebbero in seguito creduto «per mezzo della loro parola».
L’unità dei cristiani, però, non è né automatica né iniziale, ma progressiva e finale. In altre parole, chi riceve Cristo comincia una nuova vita e, come per quella naturale, c’è poi un processo di crescita, attraverso il quale si passa da «bambini in Cristo» a «uomini fatti» (1Corinzi 3:1; Efesini 4:11-15; Ebrei 5:12-14; 1Pietro 2:2). Il nostro dovere e il nostro privilegio è perciò di “crescere”, ma l’opera si completerà quando vedremo Cristo «faccia a faccia» (1Corinzi 13:12) e quando Dio sarà “tutto in tutti” (1Corinzi 15:28).
Prima di allora l’unità dei cristiani non potrà che essere parziale e a poco serviranno gli incontri di gerarchie religiose che a volte si illudono di avere il destino della Chiesa e di Dio nelle loro mani. L’unità dei cristiani ci sarà perché è Gesù a volerla, ma la realizzerà a suo tempo e a suo modo. Anzi, ne sta gettando le basi da 2000 anni, perché non è rimasto nella tomba, ma è risorto e ora vive.
Non dobbiamo perciò perdere tempo cercando di anticipare i piani di Gesù, ma seguirne la scia in ciò che ora sta operando: ed ora sta soprattutto allargando la base dei popoli che lo riconosceranno come Signore, a mano a mano che il Vangelo si propaga ad ogni nazione.
Comunque, per non dilungarci, l’importante per noi è sapere che un giorno TUTTI I CREDENTI SARANNO “UNO” IN CRISTO, ciò però non significherà la perdita delle nostre individualità, perché l’immagine che ce ne viene fornita è quella di un corpo dove Cristo è il capo e dove noi siamo le varie membra. Il solito discorso, insomma, cioè un’unità di natura, di scopi e di spirito, ma fatta da una pluralità di persone. Solo allora realizzeremo pienamente la “Quadriunità”.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
OFFLINE
Post: 5.668
Città: AGORDO
Età: 47
Sesso: Maschile
10/02/2010 18:03

3. IL TRAGUARDO FINALE DI UNA “QUADRIUNITÀ ARMONICA”

Sul mensile “il Cristiano”, in una precedente grafica, c’erano tre circonferenze disposte a triangolo, con una quarta circonferenza che era in via di inserimento e che poi avrebbe completato una disposizione a quadrato. Chi l’ha realizzata non aveva certo in mente la parola “Quadriunità”, ma forse voleva esprimere significati simili. In ogni caso, quella figura la vedo come un’ottima rappresentazione di quello che desidero comunicare.
La sintonia fra Gesù e il Padre è totale: «Tu, o Padre, sei in me e io sono in te» (Giovanni 17:21). Noi ci stiamo inserendo in questo duetto con una preghiera suggeritaci dallo Spirito Santo (Romani 8:26), anche se qualche volta stoniamo. Un giorno però la nostra voce si inserirà nel coro perfettamente: «Come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi» (Giovanni 17:21). «Io in loro e tu in me», perciò IL PADRE IN NOI! (Giovanni 17:23).
È una luce abbagliante che ho scoperto solo di recente e che posso guardare solo per poco tempo. Sembra però che all’abbaglio, piano piano, si sostituisca lo splendore.

Fernando De Angelis


FINE DELLO STUDIO: LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:24. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com