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LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
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25/01/2010 23:52

5. LA DIVINITÀ DI GESÙ COME SOTTOFONDO DELLE EPISTOLE

I passi biblici finora riportati ci sembrano molto eloquenti e su di essi si concentra l’attenzione di chi non accetta l’impostazione trinitaria, nel tentativo di darne un’interpretazione diversa da quella “ortodossa”. L’effetto di un’operazione del genere, anche quando riuscisse, non risolverebbe però la questione in senso “antitrinitario”, perché la dottrina della divinità di Gesù “impregna” tutto il Nuovo Testamento, costituendone la struttura sottostante anche quando non appare in modo vistoso.
L’Epistola ai Romani è considerata come l’esposizione dottrinale più completa presente nel Nuovo Testamento, perciò sorprende il fatto che sia assente una trattazione esplicita della divinità di Gesù. A guardare bene, però, non è che sia assente, ma emerge qua e là in modo più o meno implicito, cioè come qualcosa di condiviso con i lettori e che non ha bisogno di spiegazioni. Anzi, già dai primi sette versetti introduttivi se ne possono ricavare spunti molto significativi, perciò passiamo ora a trascrivere questi versetti:

«1Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, 2che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture 3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di Santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, 5per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome – 6fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo – 7a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati ad esser santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo» (Romani 1:1-7).

«servo di Cristo Gesù» ... «dichiarato Figlio di Dio» (Romani 1:1-4).
Per Paolo, dichiararsi immediatamente «servo di Cristo» significa dare a ciò il massimo del rilievo. Se poco dopo preciserà che i pagani «hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura» (1:25), significa che Cristo non è considerato una “creatura” e ciò è un implicito richiamo al suo essere stato generato da Dio (“generato, non creato”, secondo l’antica formula), come subito sotto è affermato più esplicitamente (“dichiarato Figlio di Dio”). Tutto questo senza dover precisare le circostanze della nascita di Gesù e neppure il fatto che tutto è stato creato per suo mezzo, come se fossero cose ormai acquisite.
Un credente deve amare Dio con tutto se stesso (Matteo 22:37) e non è possibile servire due padroni (Matteo 6:24), eppure anche altri apostoli si dichiarano servi di Cristo (Romani 1:1; Giacomo 1:1; 2Pietro 1:1; Giuda 1) e Paolo stesso invita i credenti ad esserlo (Efesini 6:6; Colossesi 3:24). Ciò non è visto in contrasto con il dichiararsi anche servi di Dio (come Paolo fa poco dopo, cioè in Romani 1:9, e in 2Timoteo 1:3) e servi di Dio sono invitati ad esserlo anche i credenti (Romani 6:22; 1Tessalonicesi 1:9; Ebrei 9:14; 1Pietro 2:16).
L’apparente contrasto fra l’essere “servi di Cristo” e “servi di Dio”, è risolto da Paolo in Romani 14:8: «Chi serve Cristo in questo è gradito a Dio». Senza l’unità fra Padre e Figlio, nel Nuovo Testamento ci sarebbe un’idolatria rivolta a Gesù! Ecco perché è necessaria una dottrina trinitaria che ricomponga in unità la diversità di Padre e Figlio.

«per mezzo» di Gesù Cristo ... «per il suo nome» ... «chiamati da Gesù Cristo» (Romani 1:5-6).
Viene in mente Ebrei 1:5: «A quale degli angeli ha mai detto...?». Nel descriverne le funzioni, il ruolo e la posizione, il Nuovo Testamento non ha alcun timore di esagerare su Gesù. D’altronde Gesù stesso aveva dichiarato che un obiettivo della sua missione era che «tutti onorino il Figlio come onorano il Padre» (Giovanni 5:23). Un onore che Gesù vuole convogliare su se stesso non perché si fermi lì, ma affinché “rimbalzi” al Padre, come quando un calciatore chiede palla non per fare gol, ma per farlo fare a qualcun altro: «Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo figlio, affinché il Figlio glorifichi te» ... «Io ti ho glorificato sulla terra» (Giovanni 17:1,4). Proprio questa “circolarità” basata sull’amore, elimina ogni atteggiamento di competizione fra il Padre e il Figlio, che amano far tutto insieme (a partire dalla creazione, che viene dal Padre, ma come al solito «per mezzo» di Gesù).

«per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia» (Romani 1:5).
Paolo qui accenna a quello che sarà il tema il tema centrale della sua Epistola: il perdono dei peccati per mezzo della fede in Cristo. Il rapporto fra Gesù e il peccato ha però molte sfaccettature, alcune delle quali molto rilevanti per il tema che stiamo trattando. Prima di tutto Gesù è senza peccato (Giovanni 8:46; 2Corinzi 5:21), non solo nel senso che non ha mai peccato, ma anche perché non è legato ad Adamo come un qualsiasi uomo; il legame con Adamo, infatti, ci classifica di per sé come peccatori per natura già alla nascita (Romani 5:17-18) ed il fatto che Cristo non lo sia si armonizza bene col suo essere Figlio di Dio per natura.
Si può fare un ragionamento simile anche partendo dal versetto considerato come “sintesi del Vangelo”, cioè Giovanni 3:16: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna». Il ragionamento avrebbe poco senso se il grande amore di Dio si manifestasse con la morte di qualcuno che è “altro da sé”, mentre considerare Gesù come parte della Deità dà a questo versetto un pieno senso logico.
La capacità di Gesù di cancellare i peccati veniva chiaramente percepita dagli Ebrei come un considerarsi di natura divina ed è comprensibile che alcuni se ne scandalizzassero. Per convincere di questa sua capacità invisibile, Gesù usò qualcosa di visibile, cioè la pronta guarigione del paralitico (Luca 5:20-26; 7:48:50). Quel miracolo di Gesù (come anche altri) convinse alcuni e non convinse altri; anche oggi alcuni si convincono e altri no, ma con chi non crede alla storicità dei Vangeli ha poco senso discuterne il contenuto.
Credo comunque che sia incoerente credere nella storicità dell’Antico Testamento e non credere in quella del Nuovo, perché ambedue i Testamenti sono stati scritti da Ebrei, in ambiente ebraico e riportando fatti ebraici. Ambedue, poi, si sono imposti più per l’autorevolezza intrinseca che per processi di approvazione formale, arrivando ad essere riconosciuti come Parola di Dio con un consenso comunitario pressoché unanime.

«grazia a voi e pace [shalom] da Dio nostro Padre e dal Signor Gesù Cristo» (Romani 1:7).
Noi protestanti ci scandalizziamo quando qualche cattolico dice: «Affidiamoci a Dio e alla Madonna», prendendola come una manifestazione di sfiducia verso Dio, quasi che non fosse sufficiente. Sappiamo poi che Dio è “geloso” e non sopporta che i suoi fedeli si dedichino anche parzialmente a qualcun altro (Esodo 20:5; 34:14; Deuteronomio 4:24; 6:15; Giosuè 24:19; Naum 1:2, Atti 12:22-23). L’aggiunta «e dal Signor Gesù Cristo» sarebbe perciò intollerabile, senza aver presente l’unità Padre-Figlio, cioè senza combinare la diversità delle persone con la loro unità in una stessa natura divina, cioè senza la Trinità.
Paolo usa quell’espressione come una formula introduttiva che è costante in tutte le sue lettere, tranne che in Colossesi, che però è l’epistola che più esalta Cristo (cf. 1:13-20) e nella quale Gesù è comunque nominato in ciascuno dei primi quattro versetti. Negli scritti degli altri autori del Nuovo Testamento questa formula iniziale non c’è, ma in vari modi cominciano tutti con una esaltazione di Gesù.
Anche alla fine dell’Epistola ai Romani ritroviamo l’associazione Padre-Figlio: «A Dio, unico in saggezza, per mezzo di Gesù Cristo sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Romani 16:27). La “formula di chiusura” più usata da Paolo, però, nomina solo Gesù, come per esempio in 1Tessalonicesi 5:28: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi». In quattro casi (Colossesi, 1Timoteo, Tito, Ebrei) è come se la chiusura abituale sia stata accorciata, perché terminano con «La grazia sia con voi» e poteva essere percepita come «La grazia [del Signore nostro Gesù Cristo] sia con voi» che troviamo più abitualmente.
Anche 1Pietro, 2Pietro, 1Giovanni e Apocalisse si chiudono nominando solo Gesù. L’esaltazione iniziale di Gesù insieme a Dio Padre, insomma, si conclude spesso con una esaltazione del solo Gesù, da ciò deriva che la divinità di Cristo è come una rete che permea di sé tutto il Nuovo Testamento.

«Gesù Cristo, nostro Signore» (Romani 1:4).
Gesù è indicato spesso come “Signore”, ma questa è una parola molto generica, dagli usi variabili. Indicando a volte anche Jahvè, è un’altra indicazione dell’unità Padre-Figlio. Su quella parola non va fatto dunque un discorso frettoloso e perciò le dedichiamo il prossimo paragrafo.



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