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GESÙ CRISTO È LO STESSO DALLA GENESI ALL’APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 14/11/2009 09:39
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14/11/2009 09:35

6. IL REGNO DI SALOMONE COME PREFIGURAZIONE
DI QUELLO DEL MESSIA

A. Generalità


Davide fu sì un re «secondo il cuore di Dio», ma oltre a cadere in grave peccato, dovette lungamente guerreggiare: sia quando era perseguitato e sia per gettare le basi del regno sconfiggendo i popoli circostanti (1 Sam 27; 2 Sam capp. 3 e 8). Così Dio non volle che fosse lui a realizzare l’opera più grandiosa, cioè la costruzione del Tempio, opera che fu delegata a Salomone, del quale Dio disse: «Io l’ho scelto come figlio, e io gli sarò padre» (1 Cro 28:2-6). Sul momento, probabilmente, la gente pensò che Dio volesse manifestare una particolare cura a quel giovane re; dopo la venuta di Cristo, però, è evidente come l’opera di Dio su Salomone avesse anche un intento profetico: come “figlio di Dio adottato”, Salomone prefigurava e preparava al “Figlio di Dio per natura”, cioè a Gesù. Il Regno che si attendeva al tempo di Gesù, dunque, essendo indicato come quello del «Messia Figlio di Davide», non era un regno qualsiasi, ma quello specificatamente adombrato da Salomone: anzi, stando strettamente alla lettera, quando Gesù viene definito «Figlio di Davide» ci sarebbe da pensare più a Salomone (il figlio di Davide per eccellenza) che a Davide (del quale è però l’erede).
Gli apostoli avevano presenti i collegamenti di Gesù con Davide (At 13:22-23; 2 Tim 2:8; Ap 3:7) e Gesù si presentò come «più che Salomone» (Mt 12:42), invitando così a pensare al regno di quel progenitore per avere una prima comprensione del suo Regno, che sarebbe stato però più glorioso, più duraturo, più nuovo, più universale. Questo slancio in avanti di Gesù non era una novità assoluta, perché Dio lo aveva già comunicato attraverso i profeti (Is 49:6).
Chiamarsi Salomone era già un programma, perché significa “Pacifico”. La traduzione, però, non rende l’idea e, se si volesse conservare la radice ebraica, si potrebbe chiamare “Shalomico”. La pace ebraica (shalom) non è fatta solo di tranquillità d’animo e non riguarda solo l’interiorità, ma è la pace che deriva dalla pienezza: di ricchezza, familiare, nei rapporti con gli amici e col prossimo, nell’essere tranquillo con se stesso e nel sentire la vicinanza di Dio. Proprio la shalom ebraica fu la caratteristica del regno di Salomone, come si può vedere meglio da alcuni passi biblici dei quali riporteremo ora certe espressioni significative.

Da 1 Re.
Io faccio come tu hai detto; e ti do un cuore saggio e intelligente: nessuno è stato simile a te nel passato, e nessuno sarà simile a te in futuro. Oltre a questo io ti do quello che non mi hai domandato: ricchezze e gloria; tanto che non vi sarà durante tutta la tua vita nessun re che possa esserti paragonato (3:12-13).
Gli abitanti di Giuda e Israele […] mangiavano e bevevano allegramente (4:20).
Ho costruito per te un tempio maestoso, un luogo dove tu abiterai per sempre! […] Quando il tuo popolo sarà sconfitto dal nemico per aver peccato contro di te, se torna a te, se dà gloria al tuo nome e ti rivolge preghiere e suppliche in questa casa, tu esaudiscilo dal cielo […] Anche lo straniero, che non è del tuo popolo Israele, quando verrà da un paese lontano a causa del tuo nome […] tu esaudiscilo dal cielo, dal luogo della tua dimora, e concedi a questo straniero tutto quello che ti domanderà, affinché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome per temerti, come fa il tuo popolo Israele, e sappiano che il tuo nome è invocato in questa casa che io ho costruita! […] il re fece partire il popolo. Quelli benedissero il re e se ne andarono alle loro tende allegri e con il cuore contento per tutto il bene che il Signore aveva fatto a Davide, suo servo, e a Israele, suo popolo (8:13-66).
La regina di Seba […] disse al re: «Quello che avevo sentito dire […] era dunque vero. Ma non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa e non ho visto con i miei occhi […] Beata la tua gente, beati i tuoi servitori che stanno sempre davanti a te, e ascoltano la tua saggezza! Sia benedetto il Signore, il tuo Dio […] egli nutre per Israele un amore eterno» […] Tutte le coppe del re Salomone erano d’oro […] Nulla era d’argento; dell’argento non si faceva alcun conto al tempo di Salomone […] Così il re Salomone fu il più grande di tutti i re della terra per ricchezze e per saggezza. E tutto il mondo cercava di veder Salomone per udire la saggezza che Dio gli aveva messa in cuore (10:4-24).

Isaia profetizzò diverso tempo dopo Salomone, ma annunciando i tempi nuovi del Messia fa proprio pensare al giovane Salomone: «Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace [shalom], per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (Is 9:5-6).
Tante cose del Vangelo si capiscono meglio se si parte dal presupposto che Gesù desiderò portare la shalom rifacendosi in qualche modo a Salomone. Cercheremo perciò ora di mettere in evidenza alcune sintonie fra il Vangelo e quanto sopra riportato di Salomone.
Anche Gesù si concentrò solo sul popolo di Israele (Mt 15:24) ed è agli ebrei che dice: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5:14). Se il popolo d’Israele avesse accettato Gesù e il suo programma, Gesù sarebbe divenuto – proprio attraverso Israele – una «luce da illuminare le genti» come lo era stato Salomone e come lo Spirito Santo rivelò subito a Simeone (Lc 2:25-32).



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B. Abbondanza di cibo e salute

Quello che Giovanni definisce come una specie di “biglietto da visita” della funzione pubblica di Gesù (cioè le nozze di Cana, Gv 2:11) è molto in sintonia con la shalom, perché si svolge in una delle occasioni di festa più gioiose e perché non solo Gesù vi partecipa, ma contribuisce alla sua riuscita in modo determinante (senza il vino di Gesù, la festa sarebbe finita in mestizia). I penitenti medioevali, in un’occasione simile, avrebbero presumibilmente detto: «Hanno finito il vino? Si vede che ne hanno bevuto troppo. D’altronde il vino non è necessario e possono benissimo usare l’acqua, rinunciando ad un piacere in sconto dei propri peccati». Di Gesù-Figlio di Davide, di Gesù-Salomone, evidentemente c’era rimasto poco. Si privilegiava un Gesù-crocifisso rappresentato ancora sulla croce, come se non fosse risorto.
Gesù mostra un atteggiamento simile anche quando moltiplica in abbondanza non solo ciò che era indispensabile (pane), ma anche i pesci (Mt 14:19-21). L’accusa di essere un mangione e un beone (Mt 11:19) era un’esagerazione, ma evidentemente Gesù non mostrava un atteggiamento rinunciatario.
Quando Gesù invitò a cercare «prima il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6:33), alcuni immaginano come prosecuzione «perché le cose materiali sono poco importanti»; Gesù invece completa la frase dicendo che «le altre cose saranno date in più», facendo così un parallelismo proprio con Salomone, che chiese a Dio le cose più importanti e Dio, oltre a quelle, gli sopraggiunse le altre (1 Re 3:10-13).
È vero che Gesù invitò alcuni a donare tutti i propri beni ai poveri, ma non perché lo spogliarsi dei beni fosse un valore in sé, bensì al fine di stare vicino a lui, dedicandosi alla proclamazione del Vangelo («poi vieni e seguimi», Mt 19:21). Gli apostoli pensarono che, avendo messo in pratica quell’invito, si erano fatti un credito nei confronti di Gesù; Gesù però salda i suoi debiti il prima possibile e allora così rispose: «Non vi è nessuno che abbia lasciato casa […] o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case […] figli, campi, insieme a persecuzioni, e nel secolo a venire, la vita eterna» (Mr 10:29-30). Se trascuriamo le ricchezze per amore di Gesù e del Vangelo, Dio desidera sorprenderci con un pronto e abbondante contraccambio dello stesso tipo, a meno che non si scateni la persecuzione, che siamo chiamati ad accettare come Gesù ha accettato la croce, dopo la quale ci fu presto la risurrezione.
Alcuni affermano che Gesù non guarì tutti, nonostante il Vangelo dica chiaramente il contrario (Mt 9:35; 12:15; 14:36). Il Messia era stato annunciato come «Principe della shalom» (Is 9:5) e Pietro lo indica come «Principe della vita» (At 3:5), ma che vita e che shalom poteva essere quella di un lebbroso?



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C. Lo straordinario legame di Gesù col Tempio

Quando Gesù ha avuto a che fare col Tempio, ha manifestato delle reazioni che sono andate al di fuori di ogni aspettativa. Se però teniamo presente quanto Salomone si era dedicato al Tempio ed il significato che gli attribuiva, allora il comportamento di Gesù diviene più comprensibile.
I genitori di Gesù, in quel momento dodicenne, lo rimproverarono per aver perso i contatti con la comitiva (Lc 2:41-51). Anziché scusarsi o comunque dare spiegazioni, Gesù li rimproverò seccamente: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?» (v. 49). I genitori rimasero spiazzati da una risposta che non capirono, anche perché Gesù aveva l’abitudine di stargli sottomesso (v. 51). Salomone aveva detto che quel Tempio sarebbe stato un luogo dove Dio avrebbe abitato per sempre (1 Re 8:13). Non era perciò strano che Gesù percepisse quelle pietre come la casa terrena del Padre, cioè come la sua casa; insomma, Gesù era a casa sua e lo cercarono dappertutto meno che lì, poi lo accusarono di essersi perso! Dal suo punto di vista, la risposta a Maria e Giuseppe era inevitabile!
Nel soprastante episodio, però, viene a galla solo la superficie, perché il legame fra Gesù e il Tempio va ben oltre, fino al punto di farlo apparire quasi come fuori di sé. Mentre faceva la frusta di cordicelle (Gv 2:15) evidentemente ponderò bene quel che stava per fare, fu perciò un comportamento premeditato, non impulsivo: ciò rende ancor più eccezionale quell’unica volta nella quale Gesù usò la forza fisica: «Rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi; e non permetteva a nessuno di portare oggetti attraverso il tempio. E insegnava, dicendo loro: “Non è scritto ‘La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti’? Ma voi ne avete fatto un covo di ladroni”» (Mr 11:15-17). La citazione che fa Gesù è tratta da Isaia (56:7), il quale però riprese quanto Salomone aveva richiesto a Dio, cioè che il Tempio rappresentasse un ponte fra lui e «tutti i popoli della terra», come abbiamo visto sopra. Si capisce ora meglio perché a Gesù piacesse passeggiare «sotto il portico di Salomone» (Gv 10:23).
I mercanti del Tempio non osarono fermare Gesù usando anche loro le mani, ma siccome quelle attività erano state regolarmente autorizzate, i Giudei chiesero a Gesù: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?» (Gv 3:18). La risposta di Gesù sembrò assurda e infatti sul momento risultò incomprensibile anche ai discepoli. Gesù infatti replicò: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere». Insomma, anche se stava polemizzando in presenza di una folla attenta, Gesù rispose come se stesse parlando a se stesso: il tempio anticipava la presenza di Dio fra gli uomini e lui era questa realtà, perciò lui era il vero tempio ed il tempio era la sua immagine. L’identificazione però non fu solo psicologica: Gesù aveva ormai constatato che volevano ucciderlo (Mr 11:18) e che quel loro rifiuto del Salvatore avrebbe portato alla rovina tutto, perciò anche il Tempio. Al fallimento di quel suo popolo che lo rifiuta rimedierà con la risurrezione, che è l’inizio di una nuova creazione. Ancora una volta, ciò che sembra assurdo dal nostro punto di vista, dal punto di vista di Gesù ha una logica perfetta.
Un altro segno del legame profondo fra Gesù e il Tempio è la drammaticità con la quale ne annuncia la distruzione. Nel suo discorso profetico (Mt 24) Gesù collega la distruzione del Tempio con la fine di questo mondo e noi oggi sappiamo che le due cose sono separate da almeno due millenni. Certamente l’interpretazione di questo capitolo non è semplice, ma per Gesù c’era una concatenazione logica: la perversità umana manifestatasi con la sua crocifissione avrebbe comportato prima la distruzione del Tempio e del popolo ebraico, poi quella stessa perversità avrebbe certamente causato la distruzione dell’intero mondo.
Se vogliamo comprendere meglio il Vangelo, se vogliamo amare Gesù, se vogliamo essergli vicino, non possiamo fare a meno di cercare di comprenderne l’anima profondamente ebraica.



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D. Salomone “centripeto” e Gesù “centrifugo”?

Ormai sono decenni che mi vengono fatti presenti i più svariati argomenti per sostenere una qualche contrapposizione fra Antico e Nuovo Testamento. Ogni volta, però, le contrapposizioni mi sono parse inesistenti, oppure riconducibili a sviluppi di una stessa impostazione. Uno degli ultimi supposti contrasti presentatimi riguarderebbe l’orientamento “centripeto” dell’ebraismo (che invitava tutti a Gerusalemme), in contrasto con l’orientamento “centrifugo” di Gesù (che mandò gli apostoli in tutto il mondo).
L’elezione di Abramo (base dell’Antico Testamento) ebbe un intento dichiaratamente “centrifugo”: attraverso di lui, infatti, Dio intendeva benedire «tutte le famiglie della terra» (Gen 12:3). Altra considerazione: quelli che da tutto il mondo andarono a conoscere Salomone, rimasero forse a Gerusalemme? Quella città funzionava come una specie di fisarmonica, attirando tutti al centro per poi far tornare tutti in periferia. Se l’ebraismo era “centripeto”, come mai c’erano sinagoghe in tutto quel vasto mondo civilizzato comprendente l’impero romano e quello persiano?
Particolarmente significativo è ciò che avvenne a Pentecoste; gli uomini «di ogni nazione che è sotto il cielo», che udirono la prima predicazione del Vangelo ciascuno nella sua lingua (At 2:5-11), erano Giudei che avevano sì preso una direzione “centripeta” (essendo arrivati a Gerusalemme dalle varie direzioni) ma per poi fare il solito percorso inverso (“centrifugo”); questa volta portando però la speciale notizia del “Messia-Figlio di Davide”. La prima predicazione del Vangelo in tutto il mondo, perciò, si realizzò immediatamente usando i ben collaudati meccanismi ebraici, ai quali aveva dato grande impulso (guarda caso) proprio Salomone, il “Figlio di Dio per adozione”, attraverso il quale ci fu un’accelerazione nei preparativi per l’avvento del “Figlio di Dio per natura”, cioè Gesù. Solo un’accelerazione, però, perché fin dalla Genesi la “Parola di Dio scritta” ha annunciato la “Parola di Dio incarnata”: «Nel principio era la Parola» (Gv 1:1), «preordinata prima della creazione del mondo» (1 Pie 1:20). Altro che discontinuità e contrapposizioni!
Quando il cristianesimo è solo “centrifugo”, può sì arrivare fino alle estremità della Terra, ma se dimentica Gerusalemme e l’ebraicità di Gesù, trasmette una fede sempre più lontana da quella dei Vangeli.



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E. L’arrivederci shalomico di Gesù

Non solo all’inizio (nozze di Cana), ma anche per la fine della sua vita pubblica Gesù ha scelto un contesto shalomico: quello della cena pasquale (Lc 22:15; Gv 13:1-5), l’abbondante pasto ebraico ricco di significati. Disponendo poi di essere ricordato proprio in quel contesto di banchetto con gli amici, in attesa di viverlo di nuovo nel futuro («finché», Lc 22:16 e 1 Cor 11:26).
Di questo magnifico modo di ricordarlo si è poi abusato (ubriachezze, disuguaglianze estreme, cfr. 1 Cor 11:21) ed allora si è cominciato a circoscriverne il modo. Fino ad arrivare ad una “cena” fatta di una sola ostia! Grazie a Dio si è poi reintrodotto il vino (Riforma) e grazie a Dio si è anche ripreso a mangiare insieme: in certi casi una volta ogni tanto (agapi), in altri casi pressoché tutte le domeniche (ripristinando così la stretta connessione fra culto e pasto comune).
Certo, la crocifissione di Gesù non gli ha permesso di portare avanti il suo programma shalomico, ma quel programma è stato solo rinviato (non abolito!), rendendolo ancor più grandioso. Infatti la predicazione del Vangelo in tutto il mondo raccoglierà gente di ogni lingua, così tutto il mondo si siederà a tavola con Gesù e con Abramo (ancora una volta un contesto shalomico, Mt 8:11; Lc 22:30). Mentre la vita di Davide ci fa pensare più alla prima venuta di Gesù (designazione a re, vittoria sull’oppressore Golia, irriconoscenza della maggioranza del popolo guidato dal persecutore Saul, potere contrastato), la vita di Salomone rimanda per lo più alla seconda venuta di Gesù nel suo regno glorioso (Mt 25:31)
Lo scopo di Gesù è di darci una vita abbondante (Gv 10:10), non è certo quello di portarci senza corpo in un vago mondo di ombre!



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F. Imparare ad accontentarsi

Il regno di Salomone aveva tutto il desiderabile, eppure dopo la sua morte quei sudditi finirono per lamentarsene (1 Re 12:4). Niente di incredibile, perché anche Adamo, nonostante avesse tutto il desiderabile, fu preso dalla insaziabilità e dalla ingratitudine (Gen 3). Anche alla fine del Regno milleniale di Cristo gli uomini si faranno di nuovo sedurre dal Diavolo (Ap 20:4-9).
L’apostolo Paolo aveva imparato ad accontentarsi della situazione nella quale si trovava (Fil 4:11). Bisogna anche noi avanzare in quella scuola difficile, cessando di lamentarci della situazione nella quale ci troviamo. Certo, a volte le situazioni sono oggettivamente difficili, ma siamo chiamati a farlo dall’apostolo Paolo che ce lo scrive mentre è in carcere a Roma e sta per subire il martirio (Fil 1:12-13; 2:17). Per non dire di Gesù: nato in una stalla, vissuto in un villaggio di bassa fama (Gv 2:46) e finito in croce. Non gli fu facile dire al Padre «non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Lc 22:42), ma ora è seduto alla sua destra, in attesa che i suoi nemici siano ridotti ad essere lo sgabello dei suoi piedi (Eb 10:12-13).
Quando la stiamo percorrendo a volte non ne vediamo più il traguardo, ma la via che passa per la croce è proprio quella che porta alla risurrezione gloriosa.



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14/11/2009 09:39

L'amministrazione ringrazia vivamente il Prof. De Angelis per averci autorizzato a pubblicare questo suo importante studio.



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