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La natura del Figlio di Dio

Ultimo Aggiornamento: 04/02/2010 14:14
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03/02/2010 18:53

Domanda per il Dott. Gianni Montefameglio

Apro questa nuova discussione chiedendo al Dott. Gianni Montefameglio se potrebbe gentilmente esporci il suo punto di vista in merito alla natura del Figlio di Dio Gesù Cristo.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
04/02/2010 14:14

Risposta a Roberto Carson.
Gentile Roberto Carson,   cerco di rispondere alla sua domanda. Ma, la prego, lasci stare il “dott.”; se poi vorrà darmi del tu, ne sarò onorato. Nella mia risposta userò la TNM, che – mi pare – è la traduzione che prediligete.   Chi era Yeshùa? Mi consenta di usare il vero nome di “Gesù” e non il nome che è solo una traslitterazione di una traduzione, tra l’altro in contrasto con la traduzione “Giosuè”, che poi è esattamente il nome di Yeshùa in italiano.    “Quando arrivò il pieno limite del tempo, Dio mandò il suo Figlio, che nacque [testo greco: γενόμενον (ghenòmenon); “fatto”] da una donna” (Gal 4:4). Quel “mandò” non va letto religiosamente, intendendo che lo mandasse dal reame spirituale. Il greco ha ἐξαπέστειλεν (ecsapèsteilen), “inviò”. Si tratta del verbo ἐξαποστέλλω (ecsapostello), “mandare avanti”. È lo stesso verbo che incontriamo in Lc 20:10: “I coltivatori lo mandarono via [ἐξαπέστειλαν (ecsapèsteilan)] a mani vuote”. Lo troviamo anche in At 7:12: “Mandò [ἐξαπέστειλεν (ecsapèsteilen)] i nostri antenati”. Non possiamo quindi attribuire al verbo un significato diverso dall’usuale.    Yeshùa era un uomo speciale sin dalla nascita, essendo nato tramite la partenogenesi per l’azione dello spirito santo di Dio su Miryàm sua madre (Lc 1:35). Yeshùa era un profeta come Mosè (Dt 18:15), tuttavia superiore a Mosè: Yeshùa fu il profeta di Dio per eccellenza.    Paolo riassume così tutta la vicenda di Yeshùa: “Egli fu reso manifesto nella carne, fu dichiarato giusto nello spirito, apparve agli angeli, fu predicato fra le nazioni, fu creduto nel mondo, fu ricevuto in gloria” (1Tm 3:16). Paolo inizia, cronologicamente, affermando che “fu reso manifesto nella carne”. Prima della sua nascita non esisteva, esattamente come accade per ogni essere umano. Quale secondo Adamo, esattamente come Adamo, fu un essere umano senza alcuna preesistenza: “Il primo uomo Adamo divenne anima vivente”. L’ultimo Adamo divenne spirito vivificante” (1Cor 15:45). Questo passo va capito nel contesto e non secondo un credo religioso: “Il primo uomo è dalla terra e fatto di polvere; il secondo uomo è dal cielo. Come [è] quello fatto di polvere, così [sono] anche quelli fatti di polvere; e come [è] il celeste, così [sono] anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine di quello fatto di polvere, porteremo anche l’immagine del celeste” (Ibidem, vv. 47-49). Mentre Adamo era polvere e disubbidendo tornò alla polvere (Gn 3:19), Yeshùa fu ubbidiente e perciò “divenne spirito vivificante” (v. 45). Si noti il paragone tra Yeshùa e i credenti: tutti devono portare “l’immagine del celeste” . Ciò riguarda la resurrezione, di cui Yeshùa fu la primizia. - 1Cor 15:23.   In Gv 3:13 si legge: “Nessun uomo è asceso al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”. Ciò che qui è tradotto “è disceso” è nel greco καταβὰς (katabàs), participio aoristo del verbo καταβαίνω (katabàino), che non si riferisce necessariamente a esseri celesti che scendono sulla terra. Di certo non è così in Mt 24:17: “Chi è sulla terrazza non scenda [καταβάτω (katabàto)] a prendere i beni della sua casa”. L’espressione “dal cielo” è un modo ebraico per dire da Dio. Si veda, ad esempio, Mt 21:25: “Il battesimo di Giovanni di dov’era? Dal cielo o dagli uomini?”. È poi ovvio che parlando di cielo – ritenuto in alto dal punto di vista terrestre – si usi il verbo discendere. Paolo spiega che l’unico discendere, letteralmente, fu quando Yeshùa morì: “L’espressione ‘ascese’, che significa se non che egli anche discese nelle regioni inferiori, cioè la terra?”. - Ef 4:9.   Nel quarto Vangelo (Gv) diverse volte Yeshùa è presentato quale inviato dal Padre: “Gesù disse loro: ‘Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato’” (4:34); venuto nel mondo: “Il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo” (11:27, NR); sceso dal cielo: “colui che è disceso dal cielo: il Figlio” (3:13, NR); venuto dall’alto: “Colui [Yeshùa] che viene dall'alto è sopra tutti” (3:31, NR); venuto dal cielo: “Colui [Yeshùa] che vien dal cielo è sopra tutti”. - 3:31, NR.   Al lettore occidentale (che legge letteralmente) pare ovvio trarre la semplice conclusione: se Yeshùa è stato “mandato” significa che prima era da qualche parte (in cielo) e da lì è stato mandato sulla terra; se è “sceso dal cielo” ed è “venuto dal cielo” cosa altro può significare se non che era in cielo?; nello stesso modo, essendo “venuto dall’alto”, significa che prima era in alto ovvero in cielo. Ma la Bibbia non va semplicemente letta letteralmente: va studiata seriamente. Ci sono due modi di leggere la Bibbia: quello occidentale, leggendo letteralmente, e quello semitico, leggendo sul serio. Occorre quindi domandarsi ancora una volta: qual è il senso che la Bibbia dà a queste espressioni? Cosa capiva il lettore ebreo con questo modo di parlare ebraico? Indagheremo quindi la Scrittura per capire la Scrittura con la Scrittura.   Una prima osservazione, intanto, potrebbe essere questa: non c’è forse una bella differenza tra “venire nel mondo” e “venire al mondo”? Ad esempio, in uno stesso brano della Bibbia leggiamo:“Una donna, quando partorisce, ha dolore, perché la sua ora è arrivata; ma quando ha generato il bambino, non ricorda più la tribolazione a motivo della gioia che un uomo è venuto al mondo. […] Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo”. - Gv  16:21,28, TNM.   Sembrerebbe chiaro: nel primo caso si tratta di un qualsiasi bambino che viene al mondo, nel secondo si tratta di Yeshùa che viene nel mondo. Non è forse così? No. No, che non lo è. Questa infatti è una traduzione. La differenza tra le due espressioni è solo una differenza che crea il traduttore. Nel testo originale greco di Gv questa differenza non compare affatto. Nel primo caso (il bambino che nasce) Gv usa l’espressione εἰς τὸν κόσμον (èis ton kòsmon). E nel secondo caso (parlando di Yeshùa) usa la stessa identica espressione: εἰς τὸν κόσμον (èis ton kòsmon). La domanda allora è: perché? Possiamo solo esprimere un dubbio: non sarà forse che la traduzione sia influenzata dal pensiero del traduttore? Al di là delle intenzioni del traduttore, una cosa è e rimane certa: sta di fatto che il testo originale greco è esattamente lo stesso nelle due espressioni. Coerentemente si dovrebbe allora tradurre, per assurdo: “A motivo della gioia che un uomo è venuto nel mondo”. Ma questo, in italiano, suonerebbe molto strano. Non suona invece strano esprimere in italiano quello che davvero il testo greco dice: “Sono uscito dal Padre e sono venuto al mondo”. Giovanni, in effetti, dice proprio così. “Venuto nel mondo” è quindi solo una traduzione scorretta e tendenziosa: la traduzione corretta è, come visto sul testo greco, “venuto al mondo”.  Rimane comunque quell’”uscito dal Padre”. Cosa significa? Questo ci riporta alle altre espressioni simili: “Inviato”, “sceso dal cielo”, “venuto dall’alto”, “venuto dal cielo”. Esaminiamole dunque nel contesto della Bibbia. Nell’esame, per comprendere meglio, si possono separare i vocaboli dai verbi. Alla fine tutto sarà ricomposto e sarà più comprensibile.      Per quanto riguarda i vocaboli abbiamo le espressioni “dal cielo” e “dall’alto”. Ogni studioso competente della Scrittura sa che “cielo” e “alto” sono nella Bibbia anche sinonimi di “Dio”. In Lc 15:18, quando il cosiddetto “figliol prodigo” pensa a cosa dire al padre da cui desidera tornare, prepara così la sua umile argomentazione: “Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”; in effetti sta dicendo “contro Dio”, ma questa espressione era troppo forte per un ebreo: come spesso si usava, “Dio” viene sostituito da “cielo”. Allo stesso modo, in Mt 21:25 leggiamo: “Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? dal cielo o dagli uomini?”; qui è Yeshùa che pone una domanda astuta ai capi dei sacerdoti e, anche qui, “cielo” sostituisce “Dio”.      L’espressione “alto”, come è facilmente deducibile, equivale a “cielo”. In una stessa frase pronunciata da Yeshùa troviamo questa equivalenza: “Colui che viene dall'alto è sopra tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno che è della terra; colui che vien dal cielo è sopra tutti” (Gv 3:31). Questa equivalenza è così vera che in Gv 19:11 - dove si legge: “Non avresti contro di me nessuna autorità se non ti fosse stata concessa dall’alto” (TNM) – altri manoscritti hanno “dal cielo”. La “sapienza dall’alto” in Gc 3:15,17 è la stessa che Paolo chiama “sapienza di Dio” (1Cor 2:7). “Dal cielo” e “dall’alto” significa quindi “da Dio”. Il cielo si trova, dal punto di osservazione dell’uomo sulla terra, in alto. E il cielo è idealmente la dimora di Dio. Ma non si tratta del cielo fisico, Dio non abita nel cielo fisico: “I cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere” (1Re 8:27). Quando quindi leggiamo che Yeshùa viene “dall’alto” o viene “dal cielo” non dobbiamo intenderlo alla lettera, in modo occidentale, ma dobbiamo intendere che viene “da Dio”.   Esaminiamo ora i verbi. Non dice la Scrittura che Yeshùa è disceso dal cielo (Gv 3:13)? Intanto abbiamo compreso che “disceso dal cielo” significa ‘disceso da Dio’. In quanto al verbo “scendere” o “discendere” è solo ovvio che parlando di cielo (che, osservandolo, è in alto) si usi l’espressione “scendere”. Ma si tratta di una discesa letterale? Esaminiamo. In Gv 6:38 Yeshùa afferma: “Sono disceso dal cielo”. Questa frase egli la dice nel contesto del suo discorso sul “pane della vita”. Yeshùa aveva infatti affermato: “Il pane di Dio è quello che scende dal cielo” (v. 33), poi aveva dichiarato: “Io sono il pane della vita” (v. 35) e, infine: “Sono disceso dal cielo” (v. 38). Il discorso di Yeshùa è in risposta alla incredulità della folla che, richiamandosi alla manna o “pane venuto dal cielo”, gli chiedeva un miracolo: “Quale segno miracoloso fai, dunque, perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, come è scritto: Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo” (vv. 30,31). È a questo punto che Yeshùa dice loro che il vero pane sceso dal cielo è lui. Che lo scendere dal cielo non sia letterale è provato dal paragone con la manna. Sebbene la manna venga definita “pane venuto dal cielo”, essa in effetti non cadde dal cielo come cade la pioggia o la neve: “Quando lo strato di rugiada fu sparito, ecco sulla superficie del deserto una cosa minuta, tonda, minuta come brina sulla terra. I figli d'Israele, quando l'ebbero vista, si dissero l'un l'altro: ‘Che cos'è?’ perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: ‘Questo è il pane che il Signore vi dà da mangiare’”. - Es 16:14,15.   La manna dunque non cadeva dal cielo, ma compariva sul terreno dopo l’evaporazione di uno strato di rugiada formatosi la mattina. Ancora una volta, se comprendiamo che “cielo” è sinonimo di “Dio”, tutto è chiaro: il “pane venuto dal cielo” era ‘pane venuto da Dio’. Trattandosi di cielo il verbo usato è ovviamente “scendere”, anche se altrove si usa “venire da” (e proprio ciò dimostra ulteriormente che non si tratta di discesa letterale). Così è perla saggezza che scende dall'alto” (Gc 3:15, NR; cfr. col “viene” del v. 17). Come la manna non scese letteralmente dal cielo ma fu prodotta sulla terra per volontà di Dio e come la saggezza divina non scende fisicamente dal cielo, così Yeshùa non scese letteralmente dal cielo ma fu fatto nascere sulla terra per volere di Dio. Detto con linguaggio biblico: veniva da Dio.    Che dire del verbo “venire” riferito a Yeshùa? Giovanni il battezzatore manda a domandare a Yeshùa: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11:3). “Venire” implica forse che egli venisse fisicamente dal cielo? Per comprendere il senso di quel “venire” non occorre argomentare teologicamente per forzare un pensiero religioso dettato da un dogma religioso: è sufficiente esaminare nella Scrittura l’uso del verbo “venire”. In Gn 49:10 si parla della venuta del messia: “Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli” (NR). E, sempre parlando del messia, Mal 3:1 afferma. “Ecco, verrà certamente” (TNM). “Venire” non va inteso come ‘venire da’ nel senso di venire chissà da dove: significa arrivare, apparire, presentarsi. Yeshùa è venuto nello stesso modo in cui Giovanni il battezzatore era venuto: “È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: ‘Ha un demonio!’ È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono […]” (Mt 11:18,19, NR). “Venire” significa giungere, arrivare, presentarsi (esattamente come nella lingua italiana): “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Mt 5:17, NR). Non pensate che mi sia presentato per: è questo il senso. Proprio come è questo il senso che i demòni danno a quel verbo quando protestano con Yeshùa: “Sei venuto qua prima del tempo a tormentarci?” (Mt 8:29), ovvero: Ti sei presentato qua per?   Il significato di presentarsi è insisto anche nell’espressione attribuita a Yeshùa da Eb 10:9: “Ecco, vengo per fare la tua volontà” (NR). Non dimentichiamo, infatti, che quell’espressione è presa da Sl 40:7 in cui è Davide che si offre a Dio e dichiara: “Ho detto: ‘Ecco, io vengo!’” ovvero ‘ecco, mi presento a te!’ Nessuno certo pensa che Davide venisse fisicamente dal cielo.    “Venire” non significa venire da un mondo spirituale. Perfino quando i discepoli di Yeshùa, riferendosi al profeta Elia morto più di 900 anni prima, gli domandano: “Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” (Mt 17:10), perfino in questo caso “venire” non significa arrivare da un mondo ultraterreno. Yeshùa, infatti, risponde: “Certo, Elia deve venire e ristabilire ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto” (vv. 11,12). “Allora i discepoli capirono che egli aveva parlato loro di Giovanni il battista” (v. 13). La venuta di Elia era stata profetizzata: “Ecco, io vi mando il profeta Elia” (Mal 4:5). Non si tratta di una “venuta” da un altro mondo, ma solo di un presentarsi alla società da parte di una persona normalmente nata; del battezzatore infatti Yeshùa dice: “Se lo volete accettare, egli è l'Elia che doveva venire”. - Mt 11:14.   “Venire” non significa ovviamente solo presentarsi; può significare – proprio come in italiano – venire da un certo posto. Ma questo è stabilito dalla logica del contesto.    Ad esempio, “venire” può significare ‘venire dal posto in cui si è nati’. Ad Erode che si informa su dove doveva nascere il messia, gli scribi dicono: “In Betlemme di Giudea”. Ma poi Yeshùa “venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno” (Mt 2:23). Molti giudei, non sapendo che Yeshùa era davvero nato a Betlemme e credendo che egli fosse di Nazaret in Galilea, commentano: “Ma è forse dalla Galilea che viene il Cristo?” (Gv 7:41, NR). E Natanaele, uno zelante israelita, domanda ironicamente: “Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?” (Gv 1:46). Qui vediamo che ‘venire da’ significa ‘nascere a’.    “Venire” può significare essere presente, attuarsi: “Venga il tuo regno” (Lc 11:2) significa: ‘Il tuo regno sia presente, si attui’.   Paolo non dà un significato particolare al venire del messia: “Giovanni battezzò con il battesimo di ravvedimento, dicendo al popolo di credere in colui che veniva dopo di lui, cioè, in Gesù” (At 19:4). Com’era venuto Giovanni, così era venuto Yeshùa dopo di lui: la differenza notevole stava nella loro persona, non nel loro venire.   Verbo “mandare”. Questo verbo sottolinea che la persona che viene da parte di Dio, non viene o non si presenta per propria decisione, ma è appunto mandata da Dio. Riceve insomma un incarico da Dio. La mente che legge la Bibbia con la propria credenza religiosa già in testa può essere a volte confusa. Può accadere che leggendo Gv 1 succeda qualcosa di simile: “Vi fu un uomo mandato da Dio” (v. 6), e la mente pensa: Si parla di Yeshùa che è mandato nel mondo, ma subito dopo si ha una smentita: “il cui nome era Giovanni” (v.6), e subito la mente corregge il pensiero errato; poi legge ancora che quel Giovanni “venne come testimone per rendere testimonianza alla luce” (v. 7) e la mente non interpreta più quel “venne” come se si trattasse di un venire dal cielo sulla terra: si parla di Giovanni, infatti; la mente però non registra che quel “mandato” e quel “venne” non hanno nulla a che fare con l’essere mandato dal cielo alla terra, e così non impara alcunché sul senso comune di quei verbi; quando poi, poco dopo, legge che “la vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo” (v. 9), la mente riprende a inquadrare quel ‘venire’ nelle proprie categorie religiose di ‘venire da un mondo invisibile’; forse tende anche a ignorare che quel “egli era nel mondo” (v. 10) riferito a Yeshùa indica chiaramente che egli era già nel mondo ovvero era già nato e che quindi il suo “venire” significa in effetti il suo presentarsi pubblicamente; e infine leggerà ancora quel “è venuto in casa sua” (v. 11) come una conferma che Yeshùa è venuto letteralmente dal cielo sulla terra.   “Venire da Dio” significa essere mandati da Dio, ricevere un incarico da Dio, presentarsi a suo nome, avere la sua approvazione. È con questo senso che Nicodemo riconosce a Yeshùa: “Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio” (Gv 3:2). Qui Nicodemo definisce Yeshùa “un dottore” ovvero uno dei dottori e lo include nella categoria dei ‘dottori venuti da Dio’; con questa espressione non si voleva certo intendere che essi esistessero prima in cielo e poi fossero venuti sulla terra: l’espressione ebraica “venuto da Dio” indicava l’avere l’approvazione e il mandato divini.   Yeshùa non venne da un mondo spirituale in cui già esisteva. Di lui la Bibbia aveva profetizzato: “Dal tuo proprio mezzo, dai tuoi fratelli, Geova [yhvh nel testo] tuo Dio susciterà per te un profeta come me — lui dovrete ascoltare” (Dt 18:15, NR); qui è Mosè che parla, e profetizza due aspetti circa il messia futuro, Yeshùa il consacrato: 1. Egli sarebbe nato come israelita tra israeliti, 2. Sarebbe stato un profeta, un profeta come Mosè. Ma c’è di più. Dio stesso conferma le parole ispirate di Mosè e garantisce: “Susciterò per loro di mezzo ai loro fratelli un profeta come te; e in realtà metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli certamente pronuncerà loro tutto ciò che io gli comanderò” (Dt 18:18). È chiaro: Dio avrebbe fatto in modo di far nascere tra gli israeliti un uomo particolare che avrebbe dovuto essere profeta come Mosè e che avrebbe proferito tutto quello che gli avrebbe comandato.   “Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, certamente ora non lo conosciamo più così” (2Cor 5:16). Ora Yeshùa “è seduto alla destra di Dio”. – Col 3:1.   L’aver fatto dell’uomo Yeshùa una creatura divina preesistente e perfino, in seguito, un dio alla pari del Padre, è qualcosa che appartiene all’apostasia che già si manifestava alla fine del tempo apostolico e contro cui Giovanni si batté: “Sono usciti molti ingannatori nel mondo, persone che non confessano Gesù Cristo venuto nella carne” (2Gv 7); “Ogni espressione ispirata che confessa Gesù Cristo venuto nella carne ha origine da Dio”. – 1Gv 4:2.    Con Paolo possiamo affermare: “C’è un solo Dio, e un solo mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù”. – 1Tm 2:5.
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