Genesi 1:1 - Giovanni 1:1

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(SimonLeBon)
00sabato 5 settembre 2009 14:11
Re:
Onesimo, 8/31/2009 2:23 PM:



In tutta franchezza: Giovanni secondo voi aveva letto Filone? I concetti più profondi del suo Vangelo derivano dall'ispirazione, e secondo me non comprese del tutto ciò che scriveva, come nel caso delle visioni di Daniele.



E' una domanda che mi sono fatto anch'io, qualche tempo fa. Non ne sono convinto al 100%, anche se la storia del "logos" è, a mio avviso, un indizio abbastanza forte. Che, come sostiene Ortodox, ci sia di mezzo direttamente Platone o il suo Timeo, per i momento ne dubito ancora di piu'. Paolo mi sembra piu' attrezzato per quel genere di letture.

Simon
barnabino
00sabato 5 settembre 2009 15:35
Caro Onesimo,


In tutta franchezza: Giovanni secondo voi aveva letto Filone? I concetti più profondi del suo Vangelo derivano dall'ispirazione, e secondo me non comprese del tutto ciò che scriveva, come nel caso delle visioni di Daniele.



Francamente ne dubito, il Logos giovanneo e quello dell'alessandrino sono molto differenti, o meglio, sono diversi i sistemi culturali di Giovanni e di Filone, la definizione di "logos" data da Filone non può essere "estrapolata" da tutta la visione e concezione filoniana, altrimenti si svuota di ogni signifato e diventa incomprensibile. Non mi pare però di trovare in Giovanni tracce di un filonismo, anche accettato parzialmente, questo mi fa pensare che Filone non fosse conosciuto direttamente da Giovanni, certo potremmo supporre che il termine Logos, in qualche modo, e in modi diversi, fosse genericamente usato ed inteso in vasti strati del giudaisimo per indicare genericamente un qualche mediatore tra Dio e la creazione.

Shalom
CieloSegreto
00martedì 2 febbraio 2010 16:17
Chi o cosa era il Logos?
L’inizio di Gv 1:1 è lo stesso identico di Gn 1:1. L’espressione greca tradotta giustamente “in principio” è nel testo biblico ἐν ἀρχῇ (en archè). Ora, l’espressione ebraica genesiaca בְּרֵאשִׁית (bereshìt), “in principio” è tradotta nel greco della LXX proprio con ἐν ἀρχῇ (en archè). La traduzione greca dei LXX era quella usata dalla prima congregazione, per cui non ci sono dubbi che Giovanni abbia voluto usare proprio l’espressione genesiaca. Il passo giovanneo (Gv 1:1) su cui s’intende ragionare è il seguente:

ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος
en archè en o lògos kài o lògos en pros ton theòn, kài theòs en o lògos
in principio era la parola e la parola era presso il Dio e Dio era la parola 

   “In principio era la parola”: la “parola” di cui si parla esisteva già; esisteva “in principio”. Occorre identificarla e capire cosa sia questa parola. “La parola era presso il Dio”: questa “parola” (che identificheremo) era presso il Dio. Si noti l’articolo determinativo (τὸν, ton, il). Si parla qui del Dio uno e unico, il creatore. “E la parola era Dio”: qui occorre fare attenzione: il soggetto non è Dio, ma la parola (“Dio” è l’apposizione). Lo stabilisce già il contesto: è della parola che si sta parlando. Lo stabilisce anche la costruzione della frase: in greco (come in latino) il soggetto è spesso alla fine della frase. In italiano diciamo che “la parola era Dio” e non che “Dio era la parola”. In greco questo equivoco non nasce: se infatti si volesse dire che Dio era la parola, si direbbe che ‘il Dio era la parola’, usando l’articolo. Nella frase precedente, infatti, si usa l’articolo determinativo davanti a Dio: “La parola era presso il Dio”. Se questo articolo fosse usato nella frase successiva, allora significherebbe che ‘il Dio era la parola’. Il testo però non dice così. Dice che “la parola era Dio”. Sbagliano quindi i Testimoni di Geova ad insistere su questa mancanza di articolo per dimostrare che la parola era ‘un dio’ o ‘divina’ e non Dio. La mancanza di articolo è infatti richiesta dalla costruzione: “la parola [soggetto] era Dio [apposizione]”. Insistere nel voler mettere l’articolo indeterminativo “un” davanti a “Dio” indica solo scarsa conoscenza della lingua greca. Significa allora che la parola effettivamente era Dio? La risposta rischia di essere fuorviante se chi fa la domanda ha già in mente alcune sue conclusioni religiose. Per meglio dire: se si crede che la parola sia Yeshùa (che è il vero nome di “Gesù”), si fa dire al testo che Yeshùa era Dio; questo contro tutte le evidenze bibliche che non identificano Yeshùa con il Dio di Israele. Se si crede che la parola sia un dio o divina, si fa dire al testo una cosa che non dice, dato che è detto chiaramente che “la parola era Dio”. L’errore sta nel dare per scontato che la parola sia Yeshùa. Ma è proprio così? In effetti, no. Esaminiamo bene il testo. Già ci può mettere sulla buona strada della comprensione l’uso che Giovanni stesso fa di questo termine. Nel suo vangelo Giovanni parla spesso di questa “parola” (greco λόγος, lògos): “Se perseverate nella mia parola [λόγος, lògos]” (Gv 8:31); “Se uno osserva la mia parola [λόγος, lògos]” (Gv 8:51); “Chi ascolta la mia parola [λόγος, lògos]” (Gv 5:24). Questa “parola” (λόγος, lògos) è la parola di Dio: “Io ho dato loro la tua parola [λόγος, lògos]” (Gv 17:14); essa è la verità: “La tua parola è verità [λόγος, lògos]”. - Gv 17:17.
   Si tratta quindi della “parola” di Dio, la parola creatrice di Dio. “In principio Dio creò” (Gn 1:1): “Dio disse” (Gn 1:3). Dio nominava le cose ed esse erano create. Dio creò tramite la sua parola. È la parola vivificante di Dio di cui egli stesso dice: “Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata” (Is 55:11). Questa parola che “era in principio” e che “era presso Dio”, è la sapienza con cui egli ha creato l’universo, quella stessa sapienza personificata che parla in prima persona in Pr 8:22-30: “Geova [yhvh nel testo ebraico] stesso mi produsse come il principio della sua via, la prima delle sue imprese […]. Da tempo indefinito fui insediata, dall’inizio, da tempi anteriori alla terra […] quando egli non aveva ancora fatto la terra e gli spazi aperti. Quando egli preparò i cieli io ero là; […] allora ero accanto a lui come un artefice” (TNM). Questa “parola”, sapienza di Dio, era presso Dio. Prima di Yeshùa era già una potenza divina. È proprio questa parola di Dio che è scesa in Yeshùa e ha abitato in lui. Come, infatti, Yeshùa potrebbe proclamare con tanta autorità quella parola se non per il fatto che essa è scesa in lui? “La Parola è divenuta carne e ha risieduto fra noi” (Gv 1:14, TNM): essa ha risieduto nella persona mortale di Yeshùa. È per questo che Yeshùa non pronuncia parole umane, ma parole di Dio: “Chi trascura me e non riceve le mie parole ha uno che lo giudica. La parola che ho detto è ciò che lo giudicherà nell’ultimo giorno, perché non ho parlato di mio proprio impulso, ma il Padre stesso che mi ha mandato mi ha dato comandamento su ciò che devo dire e di che devo parlare” (Gv 12:48,49, TNM). Dio stesso aveva profetizzato circa il messia: “Susciterò per loro [gli israeleti] di mezzo ai loro fratelli un profeta come te [Mosè]; e in realtà metterò le mie parole nella sua bocca, ed egli certamente pronuncerà loro tutto ciò che io gli comanderò”. - Dt 18:18. D’altra parte, l’idea di un lògos quale demiurgo e artefice della creazione è un concetto pagano del tutto estraneo alla Scrittura.
   È nella letteratura greca pagana che si parla di un lògos artefice. La filosofia del logos è presente nello Stoicismo. Cleante (3°-4° secolo a.E.V.), richiamandosi ad Eraclito, afferma la dottrina del logos spermatikòs (la “ragione seminale”) che si diffonde nella materia inerte animandola e portando alla vita i diversi enti. Filone d’Alessandria (circa 20 a.E.V. – 50 E.V.) riprenderà il logos della tradizione stoica incorporandolo nella sua teologia e connettendolo al tema biblico della “parola di Dio”. Per Filone, che si rifà anche al Timeo di Platone, Dio è trascendente rispetto al mondo, e a far da mediatore tra il primo e il secondo è proprio il logos. Nella dottrina di Filone si riconoscono temi e concetti che poi torneranno nel cosiddetto cristianesimo (che è in verità l’apostasia dalla dottrina originale di Yeshùa). Mai Giovanni avrebbe utilizzato una tale categoria. Giovanni era un ebreo che conosceva la verità delle Scritture: per lui come per tutti gli ebrei la parola di Dio era la sua stessa sapienza. Dispiace che alcuni studiosi della Bibbia ritengano che Giovanni abbia usato il termine logos in una doppia accezione: per comunicare sia agli ambienti ebraici, familiari col concetto della divina sapienza, sia agli ambienti della filosofia ellenistica, in cui il logos era un concetto filosofico radicato da tempo. Questo metodo (di mettere insieme verità biblica e paganesimo) è tipico del cosiddetto cristianesimo (apostasia istituzionalizzata nel 4° secolo E.V. e dai cui sorse la Chiesa Cattolica) e nulla ha a che fare con Giovanni, l’autore dell’omonimo vangelo. Seguendo quest'idea, alcune traduzioni cinesi del Vangelo di Giovanni hanno addirittura tradotto il termine logos con “Tao”!
   Purtroppo le convinzioni religiose condizionano molto le traduzioni bibliche. Lo fanno anche in questo caso. Ecco, ad esempio, come TNM traduce il passo in questione (infrangendo le regole delle lingue greca e italiana): 1 "In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio" (la costruzione greca impedisce questa traduzione; il greco ha: “La [ὁ, o] parola era Dio”; “la parola” è soggetto; “Dio” è apposizione. 2 "Questi era in principio con Dio". 3 "Tutte le cose son venute all’esistenza per mezzo di lui, e senza di lui neppure una cosa è venuta all’esistenza". La precedente “parola”, femminile in italiano, diventa improvvisamente maschile: “questi”, “lui”. Una cosa (“la parola”) diventa improvvisamente una persona: “lui”. Questa è manipolazione religiosa.
   Che il logos, “la parola”, non sia Yeshùa ma la parola creatrice di Dio lo dimostra la Bibbia stessa: “I cieli furono fatti dalla parola del Signore, e tutto il loro esercito dal soffio della sua bocca”. - Sl 33:6.
barnabino
00martedì 2 febbraio 2010 18:02
Caro Cielo,


Lo stabilisce anche la costruzione della frase: in greco (come in latino) il soggetto è spesso alla fine della frase



Questo non significa nulla, qui il soggetto è individuato dall'articolo: ho logos.


Sbagliano quindi i Testimoni di Geova ad insistere su questa mancanza di articolo per dimostrare che la parola era ‘un dio’ o ‘divina’ e non Dio. La mancanza di articolo è infatti richiesta dalla costruzione: “la parola [soggetto] era Dio [apposizione]”



Non capisco di cosa stai parlando, i TdG non è che "insistono" su nulla, si limitano a tradurre quello che si legge. Inoltre, cosa intendi tu esattamente per "apposizione", a me più che apposizione "theos" sembra un predicato nominale del soggetto "ho logos" dato che c'è la copula. Non solo, ma qui non esiste nessuna costruzione che richieda obbligatoriamente la mancanza dell'articolo, e se così fosse ti staresti contraddicendo perché avremmo che "ho logos" è identificato con "ho theos".


insistere nel voler mettere l’articolo indeterminativo “un” davanti a “Dio” indica solo scarsa conoscenza della lingua greca



Francamente mi sfugge questo errore? Un predicato nominale in quella posizione indica una qualità del soggetto oppure l'appartenenza ad una classe di individui. Non vedo nessuna "scarsa" conoscenza del greco, fammi vedere delle costruzioni simili in Giovanni e discutiamone.


Si tratta quindi della “parola” di Dio, la parola creatrice di Dio.



Direi che è quello che credono i TdG quando dicono che la Parola era un dio.


Purtroppo le convinzioni religiose condizionano molto le traduzioni bibliche. Lo fanno anche in questo caso



I TdG, a dire il vero, fanno esattamente il contrario: sono nati proprio in contrasto con questa tendenza, cercare di esamnare il testo senza condizionamenti regiosi.

Shalom

barnabino
00martedì 2 febbraio 2010 18:08
Un dettaglio


Yeshùa (che è il vero nome di “Gesù”)



Non lo sappiamo con certezza, in ebreico potrebbe essere tanto Yeshùa' che Yehohshùa'. Io fossi in te eviterei di esibire un fare dogmatico, non è certo questo lo spirito di chi cerca la verità, né trasmette uno spirito positivo.

Vale la stessa osservazione che ha fatto Spener, è buona norma evitare di fare dei copia-incolla (sappiamo trovare una pagina web) e indicare la fonte.

Shalom
CieloSegreto
00martedì 2 febbraio 2010 19:51
In risposta a Barnabino.

Mi chiedi di trovare una costruzione simile presso Giovanni. Eccola: ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν (o theòs agàpe estìn), “il Dio è amore” (1Gv 4:8,16). Qui non possiamo tradurre ‘Dio è un amore’ e nemmeno ‘Dio è amorevole’. D’altra parte, se ἀγάπη (agàpe) avesse l’articolo determinativo avremmo questo significato: ‘L’amore è Dio’, il che non sarebbe vero, giacché in greco si riscontrano ben quattro tipo di amore, tra cui – ad esempio – quello coniugale. Questa costruzione obbliga a tradurre “Dio è amore”, proprio come in Gv 1:1 θεὸς ἦν ὁ λόγος (theòs en o lògos). Qui la differenza sta solo nel verbo: mentre ἐστίν (estìn), “è”, è al presente, ἦν (en), “era”, è all’imperfetto. I soggetti sono rispettivamente ὁ θεὸς (o theòs), “il Dio”; ὁ λόγος (o lògos), “la parola”. Del primo si dice che è amore, del secondo che era Dio.    Ciò non comporta affatto la trinità cattolica. Comporta l’identificazione della parola con Dio. Se s’interpreta tale “parola” come la persona di Yeshùa nascono i problemi. Ma se la si comprende come la spiega Giovanni, ovvero come la parola di Dio, non si crea nessun problema.    In quanto al nome, quello originale era Yehohshùa, ma nel primo secolo era divenuto Yeshùa. Probabilmente era chiamato nella stretta cerchia familiare Yèshu, che a quanto pare era la pronuncia galilaica del suo nome.   In quanto alla tua osservazione “è buona norma evitare di fare dei copia-incolla (sappiamo trovare una pagina web) e indicare la fonte”, perché mai non dovrei fare un copia-incolla se lo faccio da mio materiale e se la fonte sono io stesso?   Infine, quanto a “esaminare il testo senza condizionamenti religiosi”, io ho fatto riferimento alla traduzione non all’esame del testo. È scorretto da ogni punto di vista tradurre “In principio era la Parola [una cosa femminile], e la Parola [una cosa femminile] era con Dio, e la Parola [una cosa femminile] era un dio. Questi [una persona maschile] era in principio con Dio. Tutte le cose son venute all’esistenza per mezzo di lui [una persona maschile], e senza di lui [una persona maschile] neppure una cosa è venuta all’esistenza”. – Gv 1:1-3, TNM; grassetto aggiunto per enfatizzare.
barnabino
00mercoledì 3 febbraio 2010 01:26
Caro Cielo,


Mi chiedi di trovare una costruzione simile presso Giovanni. Eccola: ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν (o theòs agàpe estìn), “il Dio è amore” (1Gv 4:8,16). Qui non possiamo tradurre ‘Dio è un amore’ e nemmeno ‘Dio è amorevole’



Non vedo alcuna difficoltà, qui "agape" è qualitativo, indica una qualità di theos. Amore è un attributo o qualità di Dio e non una identificazione così come "theos" in Giovanni 1,1c è un attributo del Logos e non una identificazione.

Rispetto alla traduzione il problema non è la posizione, ma il fatto che "amore" e "dio" hanno due campi semantici e significati molto diversi, non tradurre con "un amore" non ha nulla a che fare con la costruzione, ma con il fatto che il Predicato Nominale può essere tanto identificativo che attributivo, ed in quel caso è assolutamente normale usare l'articolo.


Questa costruzione obbliga a tradurre “Dio è amore”, proprio come in Gv 1:1 θεὸς ἦν ὁ λόγος (theòs en o lògos).



Se il senso è che il Logos ha la qualità di essere "theos" non vedo perché non possiamo tradurre "un dio", se scrivessi "snoopy (soggetto) è (copula) un cane (Predicato nominale)" non vedo l'errore ad usare l'articolo indeterminativo: cane, uomo, ladro, dio non sono aggetivi ma identificano classi di individui, pertanto non è errato usare "un". Ci sono decine di passi con quella costruzione dove è assolutamente ovvio usare l'articolo indeterminativo.


Ciò non comporta affatto la trinità cattolica. Comporta l’identificazione della parola con Dio.



Identificazione che è improbabile: in posizione attributiva "theos" è solo una qualità del Logos come abbiamo detto. Così in 1 Gv 4:8 si dice solo che Dio possiede la qualità di essere amore non è che di identifica con un essere detto Amore.


Se s’interpreta tale “parola” come la persona di Yeshùa nascono i problemi.



Francamente non vedo tutti questi problemi, le Scritture non hanno difficoltà ad attribuire la qualità di "theos" a delle creature.


In quanto al nome, quello originale era Yehohshùa, ma nel primo secolo era divenuto Yeshùa. Probabilmente era chiamato nella stretta cerchia familiare Yèshu, che a quanto pare era la pronuncia galilaica del suo nome



Insomma non è che sia così chiara la questione...


perché mai non dovrei fare un copia-incolla se lo faccio da mio materiale e se la fonte sono io stesso?



Se non lo dici non è così ovvio che citassi te stesso [SM=g27988]


È scorretto da ogni punto di vista tradurre “In principio era la Parola [una cosa femminile], e la Parola [una cosa femminile] era con Dio, e la Parola [una cosa femminile] era un dio. Questi [una persona maschile] era in principio con Dio



E solo un'approssimazione dovuta al fatto che "Logos" in greco è maschile (e "questi" è maschile perché riferito a Logos) mentre la sua traduzione più letterale in italiano è femminile, la parola. Oppure si usa il Verbo come fanno alcuni traduttori per tenere il maschile, ma Verbo non rende come Parola, insomma alla fine si è scelto per un compromesso.

D'altronde nel contesto si evince che il Logos è identificato con la figura del Cristo preumano, il figlio di Dio non solo una "parola" in senso generico proferita da Dio.

Shalom
dispensa.
00mercoledì 3 febbraio 2010 14:06

citazione di cielo segreto


Mi chiedi di trovare una costruzione simile presso Giovanni. Eccola: ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν (o theòs agàpe estìn), “il Dio è amore” (1Gv 4:8,16). Qui non possiamo tradurre ‘Dio è un amore’ e nemmeno ‘Dio è amorevole’. D’altra parte, se ἀγάπη (agàpe) avesse l’articolo determinativo avremmo questo significato: ‘L’amore è Dio’, il che non sarebbe vero, giacché in greco si riscontrano ben quattro tipo di amore, tra cui – ad esempio – quello coniugale. Questa costruzione obbliga a tradurre “Dio è amore”, proprio come in Gv 1:1 θεὸς ἦν ὁ λόγος (theòs en o lògos). Qui la differenza sta solo nel verbo: mentre ἐστίν (estìn), “è”, è al presente, ἦν (en), “era”, è all’imperfetto. I soggetti sono rispettivamente ὁ θεὸς (o theòs), “il Dio”; ὁ λόγος (o lògos), “la parola”. Del primo si dice che è amore, del secondo che era Dio. Ciò non comporta affatto la trinità cattolica. Comporta l’identificazione della parola con Dio. Se s’interpreta tale “parola” come la persona di Yeshùa nascono i problemi. Ma se la si comprende come la spiega Giovanni, ovvero come la parola di Dio, non si crea nessun problema. In quanto al nome, enfatizzare.





Eg. vorrei riportarti un mio pensiero, può darsi che ci veniamo incontro,
In realtà è già un posto che ho scritto nell'altro forum, e che voglio riportate in parte qui; sempre che non lo hai già letto.

Un utente scriveva

Ecco perché quando leggo Giovanni 1:1 io leggo "Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. 2 Egli (la Parola) era nel principio con Dio."



Ecco questo è un classico esempio di dissonanza contestuale, o meglio cognitiva.

Da un lato si dice che era presso Dio, dall'altro che era Dio.

Questo termine: La parola, è un termine che identifica il mezzo di espressione e comunicazione da parte del pensiero di una persona.
Un mezzo che serve per esprimere la personalità interiore di ciascuno, o la conoscenza trasmessa da altri, e che riportiamo in parole..facendoci intermediari o mediatori.
Se femminile o maschile non importa, non è questo il punto


Quindi la parola che era presso Dio era l'espressione di una persona, e questa persona era presso Dio.
Dunque in questo caso, trattandosi di persona distinta da Dio;
noi è come se in effetti leggessimo che la persona di Gesù era presso la persona del Padre.
Ma che tale persona era Dio.
Quindi dapprima abbiamo distinto Gesù dalla persona del Padre.

Eppoi di questo Gesù persona distinto da Dio diciamo che è Dio.
In pratica sarebbe un Dio a sè distinto dal Padre.
Sarebbero due persone distinte e ciascuno Dio.

Ma dato che sono entrambi Dio o un Dio..avremmo quindi due dei, il che cozza con il concetto di un unico Dio.

A questo punto la teoria cattolica prevede che essi siano come identità immateriale una soltanto, questo per spiegare l'apparente contraddizione.

Ma altri hanno teorizzato che invece sono due persone completamente distinte e che insieme costituiscono un unico Dio intendendolo come capo.

Cioè sarebbe come in una società dove il governo centrale è uno, come una sola entità amministrativa, ma che singolarmente è costituita da persone distinte che gestiscono la direttiva come una unica mente ufficiale che dirige.


E non avendo di certo nessuna necessità di presentarsi come disabili, con tante teste e braccia in un unico corpo individuale.

Altri invece sostengono che si tratta di Gesù come di un Dio minore.
Cosa fattibilmente valida, ma non per me in questo caso.

Per me La Parola del Padre era presso di Lui perchè la incarnava Gesù, il suo messaggero o portavoce.
E la parola era Dio il Padre, poichè chi ha visto Gesù ha visto il Padre.
Questo non significando che la persona di Gesù fosse quella del Padre.

Infatti Gesù diceva..ND " sono stato tanto tempo con voi e non mi hai ancora conosciuto?"

E quando mai gli apostoli avevano visto il Padre in carne e ossa così da riconoscerlo in Gesù?

E dunque ovvio che si riferisce all'essere il Padre nel senso di significarlo come rappresentazione del suo volere e della sua personalità, e questa è Dio , il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù.

In pratica è come se Gesù dica : "Tu che conosci la parola dei profeti, per mezzo del quale hai conosciuto il Padre, Dio; non la conosci ( o lo conosci) in me che te la rivelo nella sua "pienezza"?
" Colui che è disceso dal cielo lo ha rivelato" più pienamente.


Questo andamento di cose non era nuovo rispetto agli antichi scritti.

Infatti quante volte trovate scritto che l'angelo di Geova, era chiamato YHWH?
Infatti tale angelo o angeli per l'appunto non dicevano nemmeno il loro nome personale,e si rifiutavano di dirlo, propriamente perchè in quel momento stavano rappresentando unicamente YHWH, la sua Parola che li rendeva o faceva essere YHWH in persona in quanto a Parola.

Infatti l'angelo era solito dire: IO YHWH sono l'onnipotente...

Quindi L'angelo era Dio, la sua Parola che impersonava era Dio; e da notare che non veniva adorato per questa sua immedesimazione;
L'angelo è Dio nel senso di significarlo, o rappresentarlo, poichè l'angelo come essere vivente e come immagine di Dio, può farlo.

Non lo può fare invece di certo un somaro perchè il Cristo vi è stato in groppa, ne non potendolo significare come persona perchè non può realisticamente, mentalmente rappresentarlo.

Tanto più un misero oggetto inanimato croce o palo che fosse stato.


cari saluti




CieloSegreto
00mercoledì 3 febbraio 2010 14:24
Risposta a Barnabino.
Intanto, devo dirti che ho apprezzato il tono più sereno (1Pt 3:15). Se poi non indico la fonte delle mie citazioni è scontato che ne sia io stesso la fonte. Da studioso, cito sempre le fonti, quando riporto parole non mie. Grazie.      La tua argomentazione mi pare un po’ contraddittoria. Prima dici che “’amore’ è un attributo o qualità di Dio e non una identificazione così come ‘theos’”, poi – dopo aver ammesso che theòs è un’identificazione – dici che “in Giovanni 1,1 c’è un attributo del Logos e non una identificazione”. Non vedo come theòs sia un attributo del lògos; casomai è il contrario: è il lògos che è un attributo del theòs.    Tutta la questione, Barnabino, sta nel come accostarsi alla parola lògos. Il tuo approccio è quello religioso, avendo già in mente, prima di affrontare il testo, l’equazione Gesù = lògos. In questo sei in buona compagnia: tutte le religioni (cattolici e protestanti compresi) hanno questo approccio. Quando dici che “in 1 Gv 4:8 si dice solo che Dio possiede la qualità di essere amore non è che si identifica con un essere detto Amore”, rimani proprio fissato su questa idea che theòs debba indicare in Gv 1:1 un altro essere diverso dal theòs di cui Giovanni sta parlando, ovvero Dio.    Se però cerchiamo di comprendere la Bibbia con la Bibbia, dobbiamo dare alla parola lògos lo stesso valore che Giovanni dà a questo vocabolo in tutti i suoi scritti. Un esame rivelerà che la “parola” di Dio ha a che fare con la sua sapienza e che in 1:1 si parla della parola creatrice di Dio, quella che egli usò per creare ogni cosa (cfr. Sl 33:6). È questa parola che “in principio era”, “era con Dio” ed “era Dio”. Per usare il tuo stesso esempio basato su un cane, è come se dicessi: all’inizio c’era un abbaiare, questo abbaiare era presso (πρός, pros) il cane, e l’abbaiare era il cane. Sarebbe banale dire che l’abbaiare era un cane o era canino.     Ora, una precisazione su questa tua argomentazione: “È solo un'approssimazione dovuta al fatto che ‘Logos’ in greco è maschile (e ‘questi’ è maschile perché riferito a Logos) mentre la sua traduzione più letterale in italiano è femminile, la parola. Oppure si usa il Verbo come fanno alcuni traduttori per tenere il maschile, ma Verbo non rende come Parola, insomma alla fine si è scelto per un compromesso”.    Che lògos in greco sia maschile non ci sono dubbi. Ma un traduttore serio non può ricorrere ad approssimazioni e compromessi che mortifichino la lingua in cui si traduce. Concordo sul fatto che “verbo” al posto di “parola” sia una scelta obsoleta. Ma, se usiamo “parola” nella traduzione, tutto va concordato al femminile. Altrimenti, mi dovresti spiegare come mai Sl 51:10b viene così tradotto: “Metti dentro di me uno spirito nuovo” (TNM). Nel testo ebraico (nel Testo Masoretico è al v. 12) “spirito” è רוּחַ (rùach) e si tratta di una parola femminile. Stando alla tua argomentazione, si dovrebbe conformemente tradurre ‘uno spirito nuova’. Cosa ovviamente assurda. Ma perché, allora, dobbiamo accettare l’assurdo che “la parola”, “questi era in principio con Dio”? L’unica spiegazione è che si traduce il testo biblico con già in mente una dottrina religiosa.   Infine, affermi: D'altronde nel contesto si evince che il Logos è identificato con la figura del Cristo preumano, il figlio di Dio non solo una ‘parola’ in senso generico proferita da Dio”. Con tutta la buona volontà, questa identificazione parola = Gesù preumano non si evince affatto né dal contesto né da tutta la Scrittura. Di questa parola di Dio al v. 14 (sempre di Gv 1) si dice che “è divenuta carne e ha risieduto fra noi” (TNM). Anche qui la traduzione è dettata da convinzioni dottrinali religiose. La Bibbia dice che tale parola ἐσκήνωσεν (eskènosen), “pose la tenda”, ovvero per un certo tempo è scesa tra gli esseri umani ed è stata con loro. Giovanni così commenta questo evento: “Abbiamo visto la sua gloria”. Tuttavia poi dice una cosa ben diversa da come appare in TNM; infatti, non dice: “Una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito”. La Bibbia dice “una gloria ὡς [os, come”] di unigenito”. In quanto alla traduzione: “Esisteva prima di me” (v. 15, TNM), occorre qualche precisazione. Il greco ha πρῶτός μου ἦν (pròtos mu en): “pròtos di me era”. L’aggettivo pròtos – non va dimenticato che siamo di fronte ad un greco popolano, non classico – significa “primo di grado”. Ecco che allora tutta l’impalcatura del Gesù preumano che la traduzione cerca di sostenere, cade di fronte al testo biblico. Ecco il passo intero, tradotto letteralmente:οὗτος ἦν ὁ εἰπών· Ὁ ὀπίσω μου ἐρχόμενος ἔμπροσθέν μου γέγονεν, ὅτι πρῶτός μου ἦνùtos en o èipon: O opìso mu erchòmenos èmprosfthèn mu ghègomen, òti pròtos mu enquesti era colui di cui dissi: il dietro di me veniente davanti a me è stato, perché primo di me era    Forse, Barnabino, può essere anche utile una buona esegesi di Flp 2:5-11. Se vuoi, dai un’occhiata al mio commento in fondo a questa pagina del forum: freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8983250&...    Grazie. Un caso saluto.
dispensa.
00mercoledì 3 febbraio 2010 15:54

Con tutta la buona volontà, questa identificazione parola = Gesù preumano non si evince affatto né dal contesto né da tutta la Scrittura



Mi sembra che anteponi le ragioni tecniche al senso contestuale e che quindi non trovo corretto.

Lo stesso traduttore rabbino dice che non sempre è possibile intendere alla lettera una determinata parola in rapporto al suo immediato contesto.


La Parola era presso Dio; ed era Dio.

Se consideri tutto il discorso di Cristo, lo vedi chiaramente come egli impersona la parola del Padre, pur rimanendo se stesso.

E ovvio che la parola sia Dio, in quanto è la sua parola; ma che distinta da lui come stando presso, o vicino, pone la necessità di significarla o impersonarla in qualcuno che la significhi.

E tutto il contesto dei vangeli mi pone chiaramente quanto è qui suggerito, in Giovanni 1:1; anche se riconosco che isolato, per alcuni o tanti ciò potrebbe dargli adito a libere interpretazioni.

Ma non più quando Cristo stesso dice che chi ha visto lui ha visto il Padre.

Ecco che questo equivale a dire la stessa cosa di Giovanni 1:1,e cioè che la Parola del Padre che indentifica il vero Dio, e quindi è la persona di Dio o Dio; viene incarnata o impersonata, da colui che vi si immedesima come figlio, figlio che è presso, vicino al Padre.


Quindi è giusto secondo traduzione che la Parola non si riferisca tecnicamente a un altra persona, ma a Dio stesso.

Ma la tecnica da sola è cieca; perchè il senso logico pone che quella parola del Padre per stare presso di Lui, sottintenda necessariamente che vi sia una trasposizione, immedesimazione da parte di qualcuno che gli sta accanto in qualche senso.

Negarlo significa vivisezionare anche dal successivo contesto.
Pure dato dal fatto che nel passato, uno stesso qualsiasi angelo sia chiamato Dio.

Egli è tecnicamente Dio, eppure non lo è, ma che lo significa.

Ad esempio se diciamo che " Cristo è la roccia" Tecnicamente dovremmo credere che Cristo sia una roccia effettiva, perchè "è" il masso di roccia.

Se la parola greca corrispondente alla lettera :é; implicava esserlo in senso di significato, la corretta traduzione doveva essere : significava; mentre è lo si usava solo con il termine che significava unicamente esserlo alla lettera.

Ma se non esiste niente di tutto questo, ne alla lettera, ne di significato, va da se che sei tu lettore a comprendere sulla base del senso reale, e senso logico del contesto, vuoi immediato, o non; a comprendere che Cristo non era una roccia letterale.

Di questi spropositi infantili e banali li trovo leggendo del Poly, o di un maurif....ma non mi appartengono perchè non giudico seri.

Ritornando alla Parola, togliergli il significato nella persona di Cristo, mi rende vano lo scopo della frase.

Perchè se così fosse, a questo punto a che mi servirebbe sapere che la parola di Dio è Dio?
Non credo che Dio ci consideri così disabili mentalmente
Lo troverei sciocco come scopo.

Diversamente mi costituisce una prova sulla persona del Cristo che come Figlio è venuto ad adempiere la volontà, o la Parola del Padre; cosa che gli premeva più di ogni altra cosa dimostrare, come si evince chiaramente.

Cristo nella sua persona ha dimostrato quella del Padre.
Quindi in conclusione io vi vedo chiaramente il perchè dello scopo di far pensare a Dio che sta presso Dio.

Cosa travisata dai cattolici che per il loro scopo originale su cui sorvolo; ne fanno di Gesù figlio Dio stesso,e non potendolo fare giustamente come persona hanno fatto incarnare pure il Padre nel medesimo corpo umano di Cristo; e tutto il caotico di seguito

Diceva bene Paolo del molto da dire di certi che erano ignoranti, parlando forte di quello che non capivano.



barnabino
00mercoledì 3 febbraio 2010 17:32
Caro Cielo,

Beh, meglio il clima più sereno!


Prima dici che “’amore’ è un attributo o qualità di Dio e non una identificazione così come ‘theos’”, poi – dopo aver ammesso che theòs è un’identificazione – dici che “in Giovanni 1,1 c’è un attributo del Logos e non una identificazione”.



Forse mi sono spiegato male: agape in quella posizione è inteso come un attributo del soggetto, una qualità. Non c'è una identificazione, cioè "ho theos" non è identificato con "ho agape" ma "agape" (senza articolo) è un attributo del soggetto.

Lo stesso avviene in Giovanni 1,1c: "theos" non è una identificazione del soggetto ("ho logos") con "ho theos" ma senza articolo ne indica un attributo, una qualità. Non capisco bene la contraddizone dove sarebbe.


Non vedo come theòs sia un attributo del lògos; casomai è il contrario: è il lògos che è un attributo del theòs



Non mi pare, se così fosse il soggetto sarebbe "ho theos" e il predicato "logos", ma qui il soggetto è chiaramente "ho logos" (dato che ha l'articolo) e non "theos" che è senza articolo ed è in posizione predicativa.


Tutta la questione, Barnabino, sta nel come accostarsi alla parola lògos



Il termine "logos" può avere i significati più diversi a seconda del contesto storico, linguistico, religioso e culturael in cui lo inseriamo. Qui cerchiamo solo di atteneri al contesto immediato, in cui è Giovanni stesso ad identificare il Logos con Gesù, indubbiamente una persona diversa da Dio Onnipotente.


rimani proprio fissato su questa idea che theòs debba indicare in Gv 1:1 un altro essere diverso dal theòs di cui Giovanni sta parlando, ovvero Dio



Io parto da un punto di vista linguistico: in genere con "ho theos" al nominativo ci si riferisce al Dio dei Giudei, dunque l'omissione dell'articolo non è casuale. Giovanni sta dicendo che il Logos non è Geova (ho theos) ma è un'entità che possiede la qualità di essere "theos".


Un esame rivelerà che la “parola” di Dio ha a che fare con la sua sapienza e che in 1:1 si parla della parola creatrice di Dio, quella che egli usò per creare ogni cosa (cfr. Sl 33:6)



“La parola di Geova” è un’espressione che, con leggere varianti, ricorre centinaia di volte nelle Scritture. Qui più che la "parola" intesa come mezzo che ha partecipato alla creazione si dice letteralmente "poichè lui disse e fu" e dunque non mi pare che non ci sia una citazione diretta (sopratutto con la LXX) e in questo caso la "parola" di Dio è più una metafora della potenza di Dio. Mediante “la parola di Geova” furono creati i cieli. Bastava che Dio dicesse la parola e questa diventava realtà. “Dio diceva: ‘Si faccia luce’. Quindi si fece luce”. (Sl 33:6; Ge 1:3). Dio ordina ed ha miriadi di angeli che rispondono alla sua parola e compiono la sua volontà come dice il Salmo 103:20 "Benedite Geova, o angeli suoi, potenti in forza, che eseguite la sua parola, Ascoltando la voce della sua parola". Comunque, certo, hai ragione che per capire il senso di Logos va indagato anche il concetto di "davar" o Parola di Dio.


È questa parola che “in principio era”, “era con Dio” ed “era Dio”.



Cosa intendi con "questa parola"? La metafora che indica il comando che Dio ha dato era con Dio? Non capisco molto il senso.


all’inizio c’era un abbaiare, questo abbaiare era presso (πρός, pros) il cane, e l’abbaiare era il cane.



Francamente non ci vedo una metafora molto riuscita. Un pò perché "abbaiare" è un verbo e non un nome, ma comunque "ho theos" non è un Dio qualsiasi, per Giovanni "ho theos" è il Dio dei Giudei. Comunque l'esempio si renderebbe "e l'abbaio era un cane" (se è privo di articolo indica una qualità e non una identificazione) oppure "e l'abbaio era canino". Ma capisci che la frase così resa indicherebbe o che l'abbaio è appunto un suono di un essere di razza canina. Ma non è possibile alcuna identificazione ontologica tra l'abbaio e la sua qualità di appartenere ad un cane.


Concordo sul fatto che “verbo” al posto di “parola” sia una scelta obsoleta. Ma, se usiamo “parola” nella traduzione, tutto va concordato al femminile



Non sono d'accordo, perché in quel caso dovremmo approssimare i pronomi che invece sono maschili. Insomma alla fine si doveva sempre approssimare qualcosa. Per esempio come rendere successivamente i passi in cui è evidente l'identificazione del Logos con Gesù, un soggetto maschile?


Ma perché, allora, dobbiamo accettare l’assurdo che “la parola”, “questi era in principio con Dio”? L’unica spiegazione è che si traduce il testo biblico con già in mente una dottrina religiosa



Non direi, è il contesto che ad un certo punto identifica la Parola con Gesù Cristo. Dalle Parola che è divenuta carne, infatti, è Giovanni Battista che rende testimonianza identificandolo con Gesà che si battezza.


Anche qui la traduzione è dettata da convinzioni dottrinali religiose. La Bibbia dice che tale parola ἐσκήνωσεν (eskènosen), “pose la tenda”, ovvero per un certo tempo è scesa tra gli esseri umani ed è stata con loro



Non vedo nessuna traduzione errata, la TNM riporta fedelmete in nota il senso letterale (“si è attendata”. Vedi ntt. a Ri 21:3) e non mi pare che rendere "ha risieduto" sia scorretto, perché dici questo?


Tuttavia poi dice una cosa ben diversa da come appare in TNM; infatti, non dice: “Una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito”. La Bibbia dice “una gloria ὡς [os, “come”] di unigenito”



Non capisco dove sia l'errore della TNM, la particella ὡς è resa "che appartiene a" perché è usata tranquillamente per indicare una caratteristica (reale o immaginaria) che appartiene al soggetto. Non è dunque comparativa ma introduce un ruolo, un funzione, una qualità della persona che è introdotta. Che si aproprio questo il significato che i biblisti attribuiscono a ὡς in Giovanni 1,14 lo trovi attestato nel BDAG (il Bauer) e nel DENT (sono i due che ho contrallato e mi sembrano concordi).


In quanto alla traduzione: “Esisteva prima di me” (v. 15, TNM), occorre qualche precisazione. Il greco ha πρῶτός μου ἦν (pròtos mu en): “pròtos di me era”. L’aggettivo pròtos – non va dimenticato che siamo di fronte ad un greco popolano, non classico – significa “primo di grado”



Che prwtos indichi anche il "primo" in ordine di grado è normale, ma ma non vedo perché sostenere che tradurlo come "primo" in ordine di tempo sia errato visto che nel greco del NT è usato più spesso proprio in senso temporale. Potrebbe benissimo indicare entrambi: primo in senso tanto temporale che di dignità.

In effetti dice:

Colui che viene dietro di me: nella manifestazione ufficiale
è andato davanti a me: in rango e dignità
pròtos di me era: in esistenza.

Se Giovanni già dice che era "davanti a lui" in rango e dignità non avrebbe senso ripeterlo dopo. Evidentemente si riferiva non alla dignità ma all'essere prima in senso temporale.


Ecco che allora tutta l’impalcatura del Gesù preumano che la traduzione cerca di sostenere, cade di fronte al testo biblico



Francamente mi pare un pò esagerato, anche rispetto a quello che scrive Paolo di Gesù.


Forse, Barnabino, può essere anche utile una buona esegesi di Flp 2:5-11



Guarda, anche quello è un passo molto controverso, mi pare che ci sai già parecchia carne sul fuoco qui!

Shalom
CieloSegreto
00mercoledì 3 febbraio 2010 18:03
Risposta per Dispensa.
Ciao, Dispensa.   Mi è piaciuta molto la tua argomentazione. Sono perfettamente d’accordo con te quanto concludi: “Quindi è giusto secondo traduzione che la Parola non si riferisca tecnicamente a un altra persona, ma a Dio stesso”.    Tu dici però che “il senso logico pone che quella parola del Padre per stare presso di Lui, sottintenda necessariamente che vi sia una trasposizione, immedesimazione da parte di qualcuno che gli sta accanto in qualche senso”. E ciò contraddici te stesso. Comunque, capisco il tuo ragionamento, ma ti faccio notare che tu lo basi – pur correttamente, in modo logico – su una traduzione, poggiandoti su quel “presso”.    Tuttavia, la preposizione greca πρός (pros) non significa soltanto “presso”. Quando è seguita dall’accusativo, come nel nostro caso, può significare anche “per quanto riguarda”. Ad esempio, forse non sospetti che in Mr 12:12 sia presente proprio questa preposizione: “Compresero che aveva detto l’illustrazione pensando a loro” (TNM), eppure letteralmente il testo biblico ha:πρὸς αὐτοὺς τὴν παραβολὴνpros autùs ten parabolènper quanto riguarda loro la parabola   Anche il Lc 12:47, tu leggi: “Non ha fatto secondo la sua volontà” (TNM), e il testo greco ha:πρὸς τὸ θέλημαpros to thèlemaper quanto riguarda la volontà   E chi sospetterebbe di trovare la stessa identica preposizione con questo significato in Lc 14:32? Nella traduzione leggiamo: “Gli manda un corpo di ambasciatori e chiede la pace” (TNM). L’originale greco ha:ἐρωτᾷ πρὸς εἰρήνηνerotà pros eirènechiede per quanto riguarda una pace   Questi sono solo alcuni esempi. Ma sufficienti per poter dare un nuovo senso a Gv 1:1:    ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόνo lògos en pros ton theònla parola era per quanto riguarda Dio   Messo in buon italiano, il versetto suonerebbe: “In principio era la parola, e la parola era concernente Dio, e la parola era Dio”. – Bibbia Diabiblica.    Poi tu argomenti: “Ritornando alla Parola, togliergli il significato nella persona di Cristo, mi rende vano lo scopo della frase. Perché se così fosse, a questo punto a che mi servirebbe sapere che la parola di Dio è Dio?”. Ti rispondo. La frase “la parola era Dio” non è fine a se stessa. Fa parte di un preambolo. Giovanni dice che all’inizio di tutto c’era la parola di Dio, e in ciò si richiama a Gn 1 in cui Dio crea ogni cosa tramite la sua parola (cfr. Sl 33:6). Poi conferma che questa parola riguardava (pros) Dio ed era Dio. Poi viene al punto: proprio questa parola “pose la tenda” (ἐσκήνωσεν, eskènosen) tra gli esseri umani ovvero scese in Yeshùa, tanto che le parole che lui pronunciò non furono sue, ma del Padre.
barnabino
00mercoledì 3 febbraio 2010 18:32
Un appunto su pros


Tuttavia, la preposizione greca πρός (pros) non significa soltanto “presso”. Quando è seguita dall’accusativo, come nel nostro caso, può significare anche “per quanto riguarda”



La preposizione pros nel NT tranne 8 eccezioni è sempre seguita dall'accusativo, dunque il caso è abbastanza ininfluente! Invece giova ricordare che con i verbi stativi (come nel nostro caso) pros indica "con, in compagnia di".


Questi sono solo alcuni esempi. Ma sufficienti per poter dare un nuovo senso a Gv 1:1: ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόνo lògos en pros ton theòn la parola era per quanto riguarda Dio



Non abbiamo alcuna ragione, con un verbo stativo, di rendere in quella maniera, chi tra gli antichi leggeva con quel significato? Se fosse quello più ovvio dovremme avere delle antiche versioni o esegeti dei primi secoli che leggono in quella maniera.


e la parola era concernente Dio



Se mi permetti mi pare più naturale il "presso", cosa vorrebbe dire questo? Che "ho logos" era un discorso riguardante Dio? Mi pare che sia un pò limitativo come senso, e non mi pare che ci siamo né versioni antiche né esegeti antichi che leggessero pros in questo modo.

Shalom

CieloSegreto
00mercoledì 3 febbraio 2010 18:52
Risposta a Barnabino.
Ciao, Barnabino.
   Non replico più, altrimenti diventa solo una disputa infinita
.
     Un caro saluto.
barnabino
00mercoledì 3 febbraio 2010 19:39
Caro Cielo,


Non replico più, altrimenti diventa solo una disputa infinita



Non capisco, se ci sono delle evidenze esegetiche e grammaticali non dovrebbero essere disputante più di tanto. Una valutazione onesta ti dovrebbe anche suggerire di togliere dal tuo sito riferimenti oltremodo (e antipaticamente) critici nei confronto della TNM dato che non hanno alcun riscontro da un punto di vista grammaticale, se a quello erano, naturalmente, rovolte le critiche.

Shalom

(SimonLeBon)
00mercoledì 3 febbraio 2010 20:02
Re: Risposta a Barnabino.
CieloSegreto, 2/3/2010 6:52 PM:

Ciao, Barnabino.
   Non replico più, altrimenti diventa solo una disputa infinita
.
     Un caro saluto.



Ciao Cielo,
mi sono perso tutto il dibattito.
In questo forum troverai una lunga analisi di ogni pezzettino del passo di Gv. 1,1. Dagli un'occhiata.

Tradurre "un dio" come fa la TNM non equivale a commettere un errore grammaticale: il fatto che in italiano non si puo' sempre aggiungere l'articolo indeterminativo in costruzioni simili non dimostra nulla di decisivo. Potrei citarti almeno una decina di passi con costruzioni simili in cui la maggioranza delle traduzioni bibliche che ho controllato aggiunge l'indeterminativo.

Il senso di "pros" in Gv.1,1 mi pare fuori discussione. Non conosco alcuna traduzione che renda "la parola era a proposito di Dio", come proponi tu. Se ne conosci qualcuna puoi postare il riferimento.

Saluti

Simon
dispensa.
00mercoledì 3 febbraio 2010 21:02

Messo in buon italiano, il versetto suonerebbe: “In principio era la parola, e la parola era concernente Dio, e la parola era Dio”. – Bibbia Diabiblica



Caro cielo segreto

Mi piace come ti esponi, il sentimento che vedo in te è genuino.

Riguardo al tema e le tue conclusioni, devo dirti che in parte non le posso condividere; anzi devo dire che tu stesso indirettamente mi confermi quanto sostenevo e che pertanto ti ringrazio perchè ho focalizzato ancora meglio dal mio punto di vista .

Dando per valido quanto sostieni, concludo così.

Il versetto successivo, il 3, sottintende di come nel primo caso si sia parlato del mezzo con cui tutte le cose sono venute all'esistenza.


Questa forza conoscenza dinamica creatrice riguardava Dio, ed era Dio.
Dunque Dio per creare ha usato come mezzo la sua parola.
Il suo spirito o forza dinamica.

Ma cosa strana questa parola usata come mezzo per creare diventa un "LUI" persona.

Quindi a questo punto o facciamo che tale spirito o forza sia una persona a se, oppure che qualcuno rivestito della sua parola e forza abbia agito per conto Suo; cioè del Padre


Qui mi fermo e ritorno sulle tue medesime parole.

Poichè tu stesso interpreti che la medesima parola era concernente Dio, cioè riguardante Dio.
Questo sottintendere la necessità di rifarsi a Dio non sarebbe stato giustificabile se si voleva riferirsi direttamente a Dio...la fonte.
Precisare che apparteneva a lui, che lo riguardava, non aveva senso riportarlo se ci si riferiva ad Egli in prima persona come fonte.

Infatti che senso, scopo avrebbe, dire che la mia parola creatrice appartiene a me.?

Quindi soltanto se mi riferisco a qualcosa di esterno che operi a nome di Dio, allora si, che in questo caso ho la necessità di dire che riguarda, o appartiene a Dio, propriamente per testimoniarne la provenienza, e la provenienza è giustamente.. è Dio.



Quindi ritorno a prima.
A chi si stava riferendo il versetto? Allo spirito santo che riguardava la fonte divina?

Poichè il fatto che diventi un lui distinto da Dio, non mi lascia altra scelta che identificare o nello spirito santo una persona, oppure nel figlio ripieno di spirito santo cioè ripieno della sua parola come della sua potenza.
E in tale modo aver costituito il mezzo mediante cui è stato creato il mondo.

Ora se consideriamo che le tenebre non hanno sopraffatto questa luce di vita, mediatore di vita. Giovanni 1:5.

Devo supporre che le tenebre abbiano tentato di sopraffarla.

Poichè escludo a priori che le medesime tenebre letterali create da Dio abbiano cercato di sopraffare la luce.
Troppo infantile.

Pertanto mi pongo la domanda: chi è che satana ( le tenebre) ha cercato di sopraffare?
Lo spirito santo o la persona di Gesù?

Escludo a priori lo spirito santo che è la forza dell'Onnipotente.

Quindi mi resta Gesù come luce degli uomini perchè a un certo punto della sua esistenza si è incarnato per essere come luce per gli uomini .

Cioè Dio ha creato, mentre il figlio è stato il mezzo in Parola e opera mediante cui Dio ha creato.


saluti [SM=g27988]
CieloSegreto
00giovedì 4 febbraio 2010 16:01
Risposta a Dispensa.
Caro Dispensa,   Cosa strana questa parola usata come mezzo per creare diventa un ‘LUI’ persona”. Così tu scrivi. E concordo: è cosa davvero strana. Tuttavia, che “la parola” diventi un lui, ciò accade solo nella traduzione. Nel greco il vocabolo lògos è un nome comune di cosa, e tale rimane in tutto il contesto. Ripeto: è solo la traduzione che trasforma una cosa in una persona maschile.   Parli poi di tenebre che non hanno sopraffatto la luce. Ancora una volta si tratta di traduzione. Di certo ti riferisci a Gv 1:5: “Le tenebre non l’hanno sopraffatta” (TNM). Il testo originale però dice:ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβενe skotìa autò u katèlabenla tenebra non esso accolse   “Esso” è riferito al lògos, “la parola”, in greco maschile. Il verbo κατέλαβεν (katèlaben) è un aoristo indicativo del verbo καταλαμβάνω (katalambàno) che significa capire, percepire, imparare, comprendere. Come in At 4:13: “Avendo compreso [καταλαβόμενοι (katalabòmenoi)] che erano uomini illetterati e comuni” (TNM). Giovanni dice della parola di Dio “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini” (v. 4). Che nella parola creatrice di Dio ci fosse vita è evidente dalla creazione stessa. Questa vita creata da Dio, dice Giovanni, “era la luce degli uomini”. Il salmista prega Dio: “Alza su di noi la luce della tua faccia” (Sl 4:6b, TNM). Davide afferma che Dio è la sua luce (Sl 27:1). Mentre “il sentiero dei giusti è come la luce”, “la via degli empi è come il buio” (Pr 4:18,19). “Figli della luce” è un’espressione – usata anche dagli esseni di Qumràn - che la Bibbia usa per indicare le persone fedeli a Dio (cfr. Lc 16:8; Gv 12:36; Ef 5:8). Le tenebre sono associate al maligno: “Egli ci ha liberati dall’autorità delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore” (Col 1:13, TNM). Le tenebre quindi non accolgono la luce che proviene da Dio: le persone disubbidienti sono sotto il potere del maligno, nelle tenebre. Pietro dice ai fedeli: “[Dio] vi ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce” (1Pt 2:9, TNM). “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre piuttosto che la luce, perché le loro opere erano malvagie”. - Gv 3:19, TNM; l’erroneo “malvage” è stato mutato nel più corretto “malvagie”.    “Fu Dio a dire: ‘Rifulga la luce dalle tenebre’, ed egli ha rifulso nei nostri cuori per illuminar[li] con la gloriosa conoscenza di Dio mediante la faccia di Cristo” (2Cor 4:6, TNM). Per dirla con una freschezza molto più bella: “È Dio che ha detto: ‘Risplenda la luce nelle tenebre”, ha fatto risplendere in noi la luce per farci conoscere la gloria di Dio riflessa sul volto di Cristo”. - Parola del Signore.   Essendo la parola di Dio scesa in Yeshùa, questa parola ha portato con sé la luce di Dio che le tenebre non hanno accolto. È per questo che Giovanni chiama Yeshùa “la vera luce” (1:9). Ed è per questo che Yeshùa può affermare: “Io sono la luce del mondo. Chi segue me non camminerà affatto nelle tenebre, ma possederà la luce della vita” (Gv 8:12, TNM) e: “Io sono venuto come luce nel mondo”. - Gv 12:46, TNM.   Non devono però esserci equivoci: non si può addurre questi passi per sostenere una presunta esistenza preumana di Yeshùa. Infatti, Giovanni, parlando del battezzatore dice: “Egli non era quella luce, ma doveva rendere testimonianza riguardo a quella luce” (1:8, TNM). Questa specificazione ci fa comprendere come l’attributo della luce, che poteva essere attribuito erroneamente al battezzatore, non indichi di per sé un’esistenza preumana. Tant’è vero che anche i discepoli di Yeshùa sono definiti la luce del mondo: “Voi siete la luce del mondo”. – Mt 5:14, TNM.   
pavel43
00giovedì 4 febbraio 2010 23:08
per CieloSegreto

Cito Filippesi ma in relazione alla vera o presunta preesistenza di Gesù.
Filippesi
5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
6 il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7 ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.

Non posso permettermi un confronto sul piano filologico, il mio è un umile e cattolico ragionamento che se ritieni opportuno prenderai in considerazione per una risposta.
Io presumo la traduzione come fedele al o ai testi originali.
Questa spogliazione accennata da Paolo in Filippesi sottende a mio parere che colui che la opera per farsi simile agli uomini ha un origine che supera la condizione umana. Incomprensibile per me che a spogliarsi possa essere la “Parola” come semplice manifestazione di Dio, una manifestazione non può operare su se stessa , solo dandole una sostanza personale può operare in tal senso. Inoltre se l’incarnazione o mettere la tenda in un uomo fosse sempre la “Parola” con la medesima accezione di cui sopra l'apostolo Paolo anziché parlare di spogliarsi avrebbe dovuto riferire di “rivestirsi” di un attributo divino.
Fin qui in favore della preesistenza di Gesù a prescindere da creatura spirituale o Dio nella Persona del Figlio.
Relativamente all’”esaltazione” successiva Atanasio commenta: “Tale espressione lo ha esaltato, non intende significare che sia stata esaltata la natura del Verbo: quest’ultimo, infatti, è stato e sarà sempre uguale a Dio. Essa vuole indicare, invece, l’esaltazione della natura umana. Queste parole, pertanto, non sono state pronunciate se non dopo l’incarnazione del Verbo, perché apparisse chiaro che termini come umiliato ed esaltato vanno riferiti unicamente alla dimensione umana. Soltanto ciò che è umile, infatti, è suscettibile di essere innalzato” (S. Athanasii “Adversus Arianos”, Oratio I, 41). Similmente la natura umana umiliata nella condizione del peccato, trova nella esaltazione di Cristo-uomo la fonte della sua nuova gloria
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