barnabino, 24/01/2010 22.16:
Cara Topsy,
Anche in epoca pre-rabbinica
Che in epoca tarda fosse come tu dici mi pare patente (se ben ricordo una corte era stigmatizzata come "assassina" se condannava più di un individuo ogni sette anni!) ma da quali fonti possiamo dedurre che anche in epoca pre-rabbinica vi fosse una limitazione di questo tipo? Inoltre, quale pena sostitutiva veniva comminata in caso di omosessualità?
Shalom
In epoca romana, il Sinedrio aveva visto di molto ridotte le sue originali competenze, e tra queste la facoltà di emettere sentenze capitali. Il sistema legale ebraico già all'epoca del II Tempio non era costantemente in vigore; la sua piena autonomia era difatti legata allo stato di indipendenza della nazione ebraica. In epoca ellenistica nei periodi in cui il popolo ebraico potè godere di una certa autonomia interna, sulle questioni che potevano prevedere la pena di morte (dinè nefashòt), era chiamato a decidere un tribunale particolare, un piccolo sinedrio, composto di 23 giudici. Se il caso toccava questioni di interesse generale per tutto il popolo, veniva portato dinnanzi al Gran Sinedrio (sanhedrin ha-gadol) composto da 72 membri, a Gerusalemme, qualificato a trattare i casi di coloro che avevano abbandonato la via dell'halakhà, e aveva insegnato ad altri a fare lo stesso, ovvero agire in modo contrario ai dettami dell'halakhà comunemente accettata.
Per la Torah, per i reati che prevedono il ricorso alla pena capitale, una testimonianza è da considerarsi valida solo se rilasciata da
due persone, ambedue uomini adulti, non macchiati in passato da alcun reato penale e non imparentati tra loro o con le parti in causa. Qualsiasi teste era soggetto a interrogatori e controinterrogatori. Se nel corso di questi veniva alla luce una contraddizione rilevante tra i due o più testimoni la testimonianza rilasciata veniva annullata. Non era accettata una qualsiasi prova indiziaria, o un'informazione raccolta in merito. I testimoni erano tali perchè dovevano deporre solo in relazione a ciò che avevano
visto, e qualsiasi supposzione o convincimento o racconto di seconda mano non aveva alcun valore. I due o più testimoni di un reato dovevano aver visto con i
propri occhi commettere il crimine. Occorreva inoltre accertarsi delle intenzioni del colpevole. Secondo la Torah nessuno può essere condannato alla pena di morte a meno che non abbia commesso un reato di proposito e in piena consapevolezza. Sorgeva dunque la domanda su come fosse possibile stabilire questa intenzinalità. La Torah richiede che l'intenzione venga provata direttamente, ovvero attraverso un' avvertimento. Occorreva dunque la testimonianza in merito agli avvertimenti rivolti al colpevole, che doveva essere stato messo adeguatamente in guardia che l'atto che si aggingeva a compiere era punibile con la morte. Occorreva quindi dimostrare che il colpevole l'avesse udito e ne fosse cosciente, e ne accettasse le conseguenze. La sentenza punitiva doveva essere messa ad ampia maggioranza, mentre quella di prosciglimento era sufficente la maggioranza semplice o l'incapacita del tribunale di emettere una sentenza. Gli esecutori materiali della sentenza erano coloro che avevano testimoniato contro l'imputato e anche questo serviva da deterrente per i possibili testimoni.
Queste condizioni furono
codificate e
rafforzatenella Mishnà e nel Talmud, sebbene ereditate dalla legislazione farisaica nota per accogliere una applicazione della halakhà più precisa (puntigliosa) nell'interpretazione della Legge, ed accusata dagli esseni di Qumran di "lassismo", di favorire cioè una interpretazione della Legge troppo
accomodante, accusa che in termini meno "polemici" testimonia il tentativo dei Farisei di rendere meno gravosa l'osservanza della halakhà attraverso il ricorso a sentenze più miti.
[Modificato da Topsy 25/01/2010 00:16]