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LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
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14/01/2010 00:30

6. UN CASO ESEMPLARE: LA QUESTIONE DELLA RISURREZIONE

Fra gli Ebrei del tempo di Gesù, c’era chi credeva in una futura risurrezione dei morti (Farisei) e chi invece non ci credeva (Atti 23:8). Nella legge di Mosè, in effetti, non se ne parla esplicitamente e per un insegnamento inequivocabile bisogna attendere uno degli ultimi profeti, cioè Daniele: «In quel tempo il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno iscritti nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia»... «Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi» (Daniele 12:1-13).
I Sadducei argomentavano che la rivelazione a Mosè era chiara e centrale, perciò non poteva essere contraddetta da un profeta così simbolico e particolare come Daniele (il cui libro è stato il modello di riferimento per l’Apocalisse, libro che i Sadducei di oggi di fatto escludono dalla Parola di Dio perché “indecifrabile”).
Siccome Gesù si schiera apertamente a favore della risurrezione (Luca 11:31-32; 14:14; Giovanni 5:21-29), allora i Sadducei si presentano a Gesù convinti di poterlo incastrare. Armati della loro logica e della loro analisi biblica, i Sadducei pongono a Gesù un problema chiaramente insolubile per chi credeva nella risurrezione. Gesù chiude loro la bocca con queste parole: «Voi errate perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio. Perché alla risurrezione non si prende né si dà moglie; ma i risorti sono come angeli nei cieli. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: “Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe”? Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi» (Matteo 22:29-32; cf. Luca 20:27-40).

Di fronte alle varie categorie di peccatori che il Vangelo ci presenta, mi sono a lungo sentito come superiore, invece esse ci vengono descritte per farci vedere in che cosa somigliamo loro. I Sadducei cadevano in errore perché non conoscevano le Scritture, eppure le sapevano a memoria! Conoscere le Scritture significa allora averne un’intimità profonda che ce ne fa cogliere lo Spirito, traguardo molto più complesso del collezionare versetti presi qua e là a sostegno di tesi precostituite.
Quanto conosciamo la potenza di Dio? I Sadducei si erano fatta una gabbietta utilizzando una ben coordinata serie di passi tratti dalla legge di Mosè: Dio era lì dentro e non si aspettavano sorprese. Anche Giobbe, il miglior credente del suo tempo (!), si era convinto di aver ormai ben capito Dio; poi invece Dio fa ciò che Giobbe non approva e alla fine capisce che la sua gabbietta era insufficiente a contenerlo, cioè capisce che Dio «può tutto», che è l’Onnipotente (vedere Giobbe 1:8; 10:1-8; 42:1-3). La nostra esperienza e le nostre capacità sono limitate, perciò immaginarci ciò che è al di là e al di sopra di questa nostra esistenza è difficile, come per un bambino capire il mondo quando è ancora nel ventre materno.
Tornando alla risposta di Gesù, quanto finora visto sembra un girare intorno al problema, ma in realtà ha prima preparato la risposta, per poi darla secondo le regole umane di onesta conversazione; dato che i Sadducei ritenevano come veramente autorevole solo la legge di Mosè, Gesù accetta di confrontarsi sul terreno da loro scelto e cita Esoso 3:6, dove Dio dice a Mosè «Io sono il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe»: un passo che i Sadducei – secondo Gesù – non avevano letto; cioè l’avevano letto tante volte, ma senza comprenderlo veramente. Ne deriva che esortare a leggere la Bibbia è lodevole, ma leggerla bene val più che leggerla molto.
I Sadducei non sanno come replicare e allora, essendo ai vertici del sistema sacerdotale, cercheranno di aggirare il problema decidendo di uccidere Gesù (Giovanni 11:47-53). Gesù accetta la sfida anche su quel terreno (risorgendo) e, ad un certo punto, proprio fra i sacerdoti ce ne saranno molti che lo riconosceranno come Messia (Atti 6:7).

Gesù vide la risurrezione come implicita in un passo dove altri non la vedevano, ma nell’Antico Testamento c’erano altri passi molto più espliciti, anche se non riconosciuti come autorevoli dai Sadducei.
La morte “naturale” di Adamo, 930 anni dopo la nascita, dovrebbe essere stato un grande shock per tutta l’umanità di quel periodo. Forse anche per consolare e dare speranza a tutti, Dio portò Enoc con sé nel cielo (Genesi 5:24; Ebrei 11:5). Il corpo di Enoc, per poter stare nel cielo, evidentemente deve essere stato trasformato con una specie di risurrezione (cf. 1 Corinzi 15:40). L’eccezione di Enoc si ripeterà con Elia, rapito in cielo su un carro di fuoco (2Re 2:11). Enoc ed Elia furono delle eccezioni e non stabilirono nessuna regola, ma quelle due eccezioni aprirono spiragli infiniti, spingendo gli uomini a porsi molte domande senza risposta, di fronte alle quali dovevano riconoscere che come i cieli sono alti al di sopra della terra, così le vie di Dio sono più alte delle nostre vie e i suoi pensieri più alti dei nostri pensieri (Isaia 55:9).
Nella stessa epoca di Elia, Dio mostrò esplicitamente la sua volontà e capacità di operare la risurrezione dei morti (1Re 17:17-24; 2Re 4:17-37; 13:21), anche se in via eccezionale e con il corpo risorto che era mortale come il precedente (a differenza di quelli di Enoc ed Elia).
Solo successivamente si cominciò ad intravedere la risurrezione come regola (Isaia 26:19, la visione delle “ossa secche” di Ezechiele 37) e solo alla fine dell’Antico Testamento, come abbiamo visto (Daniele 12), la risurrezione è rivelata come strategia per i tempi della fine.
Insomma, sulla risurrezione c’è una rivelazione graduale, che comincia con eccezioni, cenni impliciti ed essere chiara alla fine. Non bisogna perciò stupirci se per la Trinità la Bibbia segue un metodo molto simile. La risurrezione introduceva una sistematica visione di “giustizia posticipata” da parte di Dio e questo ha forse inciso sulla vita dei credenti più di quanto abbia fatto poi la dottrina trinitaria.

Il passo di Daniele sulla risurrezione, come detto, non bisognava considerarlo come un’eccezione trascurabile. Anzi, essendo una specie di “ultima rivelazione”, doveva essere valorizzata al massimo, perché annunciava l’inizio di un nuovo e vasto piano di Dio, come si sarebbe meglio compreso con Cristo. La Trinità, parallelamente, non va sminuita perché per lungo tempo non è apparsa chiara, ma va valorizzata al massimo proprio perché è una rivelazione nuova, sulla quale si fondano quelle successive. Ancor più significativo, poi, che se ne parli di più soprattutto negli scritti tardivi del Nuovo Testamento (tali sono ritenuti il Vangelo di Giovanni, Ebrei e Apocalisse).
Torneremo su questi argomenti, ma per completare il parallelismo si può individuare una “fase soprattutto implicita” della Trinità che riguarda tutto l’Antico Testamento. La “fase esplicita” comincia sì dal concepimento miracoloso di Gesù (Luca 1:26-38), ma esso fu presumibilmente rivelato da Maria agli apostoli dopo la risurrezione. Gli apostoli cominciarono col considerare Gesù come un maestro (rabbino, Giovanni 1:38) e molto gradualmente capirono che vedere Gesù era come vedere Dio Padre (Giovanni 14:8-10).
Anche gli apostoli usarono molta gradualità nel presentare Gesù e la dottrina della Trinità era presumibilmente riservata a chi già aveva creduto, visto che di essa non se ne parla in nessuna delle numerose predicazioni riportate negli Atti, dove Gesù è presentato soprattutto come Messia risorto, accettando il quale si è perdonati dei propri peccati, ma di questo se ne riparlerà.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
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