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LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
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17/01/2010 13:46

CAP. 2
LA PREPARAZIONE A GESÙ NELL’ANTICO TESTAMENTO


1. L’ANGELO DI JAHVÈ: UOMO, ANGELO E JAHVÈ

È inutile arrampicarsi sugli specchi ed è meglio riconoscere subito che nessun lettore dell’Antico Testamento poteva trovare in esso la dottrina della Trinità. Ci sono però elementi più o meno importanti che avevano preparato gli ebrei ad accettare la natura divina di Gesù e, fra questi, il più importante è certamente l’“Angelo di Jahvè” o “Angelo di Dio”: un angelo che a volte sembrava un essere umano ed altre volte Jahvè stesso. Passeremo in rassegna diversi passi biblici dove compare, anche per dare l’idea di come questa figura fosse importante, costringendo il lettore ebreo a prendere atto che Jahvè si poteva manifestare in modi che andavano al di là della sua comprensione: per questo, pur riconoscendo il monoteismo dell’Antico Testamento, lo abbiamo definito come “monoteismo misterioso”.

Genesi 16:7-13. «L’Angelo di Jahvè trovò Agar presso una sorgente d’acqua [...] l’Angelo di Jahvè le disse ancora: “[...] Jahvè ti ha udita nella tua afflizione” [...] Allora Agar diede a Jahvè, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi» (che significa “Tu sei un Dio che vede”).
Parla l’Angelo di Jahvè, ma poi Agar dice che le ha parlato Jahvè stesso. Certo, in questo caso si potrebbe risolvere l’enigma dicendo che Jahvè aveva sì parlato, ma attraverso il suo Angelo. In seguito, però, si vedranno altri casi nei quali l’intreccio non è razionalmente risolvibile.

Genesi 18:1 a 19:5. Si tratta dell’incontro che Abramo ebbe alle querce di Mamre: un incontro molto significativo, ma che sembra un po’ confusionario. Inizia dicendo che Jahvè apparve ad Abramo (v. 1), ma poi Abramo vede tre uomini (v. 2). Abramo parla loro usando il singolare come se si rivolgesse al rappresentante di tutti e tre (v. 3), per poi passare al plurale.
Quei tre sono così umani che Abramo prepara loro un bel pasto, al quale non partecipa direttamente, perché se ne sta in piedi mentre loro mangiano (v. 8). Sembra poi che si rivolgano ad Abramo tutti e tre, ma subito dopo l’interlocutore è uno solo (v. 9) e quell’uno, come viene chiarito dopo, è Jahvè (v. 13), che però prosegue parlando di se stesso in terza persona («Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per Jahvè?», v. 14).
Al momento di ripartire, vengono di nuovo indicati come uomini (v. 16), poi uno di loro è Jahvè (vv. 17-33), il quale a volte parla di nuovo di se stesso in terza persona (v. 19). Poi Jahvè se ne va e i due che restano sono indicati come angeli (19:1), ma vengono percepiti nuovamente come uomini (19:5), così come all’inizio (18:2).

Genesi 21:17-20. Di nuovo l’Angelo di Dio (chiaramente un sinonimo di Angelo di Jahvè) appare ad Agar e di nuovo sembra che sia Dio stesso ad essere lì.

Genesi 22. Viene raccontato quando Abramo andò a sacrificare Isacco per ordine di Dio, che volle metterlo alla prova (vv. 1-2). La mano armata di Abramo fu fermata dall’Angelo di Jahvè (v. 11), che parla di se stesso sia in prima che in terza persona: «Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio» (v. 12). In seguito è Jahvè direttamente che dice «non mi hai rifiutato tuo figlio» (v. 16).

Genesi 31:11-13. L’Angelo di Dio dichiara di essere il Dio che gli era apparso tempo prima a Betel (cioè Jahvè stesso, cf. Genesi 28:13).

Genesi 32:24-32. Sia la Nuova Riveduta che la Concordata hanno intitolato questo racconto come la lotta di Giacobbe con un angelo, poi però il racconto comincia con Giacobbe che lotta con un uomo (vv. 24-26) il quale, andandosene, gli dice che ha lottato con Dio (v. 28), un’indicazione confermata dal timore di Giacobbe per aver «visto Dio faccia a faccia» (v. 30). Il racconto finisce com’è cominciato, cioè tornando ad indicare colui che è comparso come un uomo (perciò con lo stesso schema di Genesi 18 visto sopra). Nonostante le indicazioni delle due traduzioni sopra citate, dunque, nelle loro traduzioni non si riscontra poi nessun angelo! Insomma, anche i titoli dati alle varie parti risentono dei presupposti dei traduttori, che a volte però esagerano e sconfinano in vere e proprie manipolazioni del testo originale; se loro stessi traducono che Giacobbe ha lottato con Dio, perché nasconderlo con un titolo che non ha basi nel testo?

Esodo 3:2-6. È raccontato di quando Mosè vide il pruno ardente e ricevette la chiamata per la liberazione del popolo d’Israele. All’inizio viene detto che a Mosè apparve l’Angelo di Jahvè (v. 2), che poi invece è il Dio di Abramo, cioè Jahvè stesso (vv. 4-6; cfr. anche 4:1).

Esodo 23:20-23. Dio mandò davanti ad Israele un angelo particolare, che definì «il mio angelo» (evidentemente lo stesso indicato altrove come “Angelo di Dio” e “Angelo di Jahvè”). La voce di questo Angelo sarà la voce di Dio stesso: «Se ubbidisci fedelmente alla sua voce e fai tutto quello che ti dirò...». C’è poi nei suoi confronti un’espressione dal grande significato: «Egli non perdonerà le vostre trasgressioni; poiché il mio nome è in lui»: avere in sé il nome di Dio significava avere in sé l’essenza stessa di Dio!

Numeri 22:22 a 23:5. Si racconta del falso profeta Balaam e della sua asina. L’ira di Dio si accese contro Balaam e l’Angelo di Jahvè si mise sulla strada per ostacolarlo. In 14 versetti (22:22-35) l’Angelo di Jahvè viene nominato 9 volte, ma nel mezzo è Jahvè stesso che agisce in prima persona (vv. 28-31). Nel suo ultimo intervento, l’angelo di Jahvè avverte Balaam: «Dirai soltanto quello che io ti dirò» (v. 35), poi però sembra che sia direttamente Jahvè a farlo (23:5).

Giudici 2:1. «L’Angelo di Jahvè salì da Ghilgal a Bochim e disse: “Io vi ho fatto salire dall’Egitto e vi ho condotti nel paese che avevo giurato ai vostri padri di darvi”». Chi aveva liberato Israele dall’Egitto? Chi aveva fatto le promesse ad Abramo, Isacco e Giacobbe? Chi l’aveva condotto nella Terra Promessa? Certamente l’Angelo di Jahvè non è Jahvè, ma spesso sembra proprio esserlo!

Giudici 6:11-24. Si racconta della vocazione di Gedeone e l’Angelo di Jahvè ne è il protagonista (una volta su otto è chiamato “Angelo di Dio” a dimostrazione dell’equivalenza dei termini). Anche in questo caso, in certi momenti è Jahvè stesso che prende direttamente la parola (vv. 16 e 23).

Giudici 13. Si racconta della nascita di Sansone ed è l’ultima caso che vedremo in dettaglio, perché poi ci pare che dell’Angelo di Jahvè se ne faccia cenno solo come portatore di un giudizio sugli Assiri (2Re 19:35) e su Israele (giudizio arrestatosi nell’aia di Ornan il Gebuseo, dove poi sarà costruito il tempio, 1Cronache 21:7-30).
Nel rapporto con i genitori di Sansone, oltre a quanto già ampiamente visto negli episodi precedenti, c’è una frase significativa dell’Angelo di Jahvè: «Perché mi chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso» (v. 18) e questo è un linguaggio che di solito si usa per Dio stesso (la Concordata ha “misterioso”).
Di specifico, in questo racconto, c’è anche una particolare accentuazione della “umanità” dell’Angelo di Jahvè che, quando appare alla madre di Sansone, lei lo racconta al marito Manoà in questo modo: «Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio» (v. 6). Anche nella successiva apparizione questi coniugi hanno la convinzione di avere davanti un essere umano, infatti Manoà «non sapeva che quello fosse l’Angelo di Jahvè» e vorrebbe cucinargli un capretto (vv. 15-16): è evidente il parallelo con Genesi 18, quando Abramo fece cenare i tre uomini-angeli-Jahvè.
Solo alla fine Manoà si rende conto di chi veramente aveva incontrato e si impaurisce: «Noi moriremo sicuramente, perché abbiamo visto Dio».

CONCLUSIONE. Gli Ebrei che leggevano con attenzione l’Antico Testamento, insomma, erano stati da Dio allenati a considerare come il suo nome e la sua essenza potessero essere in qualcun altro; a tal punto da far in modo che Jahvè e l’altro è come se fossero una stessa cosa, anche se non una stessa persona.
C’è poi che questo Angelo di Jahvè, vedendo il quale era come se si fosse visto Jahvè, a volte aveva un normalissimo aspetto umano: forse è per questo che certi Ebrei non si scandalizzarono quando Gesù disse frasi del tipo «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Giovanni 14:9), oppure «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10:30).
Il Nuovo Testamento non fa alcun collegamento diretto fra l’Angelo di Jahvè e Gesù, ma i parallelismi sono impressionanti e non c’è dubbio che l’Angelo di Jahvè era un eccellente allenamento per poi capire Gesù.
Molti Ebrei del tempo di Gesù, però, anziché leggere con attenzione, direttamente e tutta la Parola di Dio, preferivano ascoltare i riassunti ed i commenti che su di essa faceva una nomenclatura pervasiva, che aveva tutto sistemato e reso “sensato”, ponendosi di fatto al posto di Dio.
Quanti sono oggi gli Ebrei ed i cristiani che leggono con attenzione, direttamente e tutta la Parola di Dio? Anche se la leggiamo tutta, ci può succedere di memorizzare e far attenzione solo a quelle parti che confermano i nostri presupposti, mentre ciò che ci può mettere in crisi lo facciamo facilmente scivolare via: invece è proprio ciò che contrasta con ciò che siamo è quello che ci sarebbe più utile.



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
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