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LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
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17/01/2010 13:47

2. ALTRI ANTICIPI RIGUARDANTI GESÙ

L’Angelo di Jahvè aveva preparato la venuta di Gesù “per interposta persona”, nel senso che non ritengo che l’Angelo di Jahvè fosse il “Logos”, cioè un Gesù prima dell’incarnazione, dato che il Nuovo Testamento non fa questa identificazione. Altre indicazioni dell’Antico Testamento, invece, riguardavano direttamente il Messia e, ad un attento lettore ebreo, ponevano domande che lo facevano essere aperto verso gli sviluppi della rivelazione di Dio, non inquadrabile nei limitati schemi umani.
Vedremo ora alcuni passi che appartengono alla seconda parte dell’Antico Testamento, cioè a quella che comincia con Davide, il re “secondo il cuore di Dio” la cui progenie avrebbe dovuto governare il mondo per sempre, specie attraverso un suo particolare e glorioso discendente, un “unto a re” (cioè “messia”) figlio di Davide sul quale si erano accumulate aspettative e visioni straordinarie. Il Vangelo di Matteo, fra i tanti progenitori di Gesù, non a caso è proprio Davide che mette al primo posto.
Nelle trascrizioni seguiremo la Concordata, perché essendo stata tradotta insieme ad Ebrei, si è al riparo dal rendere l’originale secondo una posteriore ottica cristiana che non gli apparteneva: legittima come interpretazione, ma non come traduzione. Purtroppo anche la Concordata non traduce fedelmente il “tetragramma” (JHWH), che rende con “Signore”, lasciandosi condizionare da scrupoli che non appartenevano certo agli antichi copisti ebrei (che ce l’hanno trasmesso). Anche la Nuova Riveduta traduce con “Signore” ma scrivendolo in maiuscolo (“SIGNORE”), così dare un’indicazione corretta sulla parola tradotta. Quando nell’originale c’è il tetragramma, allora, abbiamo messo noi “Jahvè” nella traduzione .

Isaia 8:23 a 9:6: Ma la caligine sarà dissipata, ché non ci sarà più oscurità per chi stava nell’angoscia. Come in un primo tempo egli avvilì la terra di Zabulon e la terra di Neftali, così, in futuro, onorerà la via del mare, oltre il Giordano, il distretto delle genti. Il popolo che camminava nelle tenebre vide un gran luce [...] Poiché il giogo che pesava su di lui e la sbarra attorno alle sue spalle e il bastone del suo aguzzino tu li hai spezzati come nel giorno di Madian [...] Poiché ci è nato un pargolo, ci è stato donato un figlio, sulle cui spalle è il principato e il cui nome è: Mirabile consigliere, Dio potente, Padre perpetuo, Principe della pace, per ingrandire il principato e per una pace senza fine, sul trono di Davide e sul suo regno, per consolidarlo e rafforzarlo con il diritto e la giustizia, da ora in poi, per sempre. Questo farà lo zelo di Jahvè delle schiere.
Quando si mettono in fila passi biblici di rilevanza varia, si rischia di mescolare un brillante con l’argento, oscurandone la luminosità. Il soprastante passo di Isaia è di una luce che avrebbe dovuto abbagliare ogni ebreo e verrebbe voglia di non indicare altri passi. Questo futuro Figlio di Davide sarebbe stato Dio potente e Padre perpetuo (“Padre eterno”, nella Nuova Riveduta), realizzando per sempre un regno di pace e di giustizia.
Si può obiettare che Gesù questo regno politico non lo ha realizzato (è una contraddizione dire che lo ha realizzato “spiritualmente”!), anche se è nello stesso Vangelo che ci si aspettava questo tipo di Messia e proprio da quelli spiritualmente più vicini a Gesù, come Maria (Luca 1:51-55), Giovanni Battista (Matteo 3:1-12), suo padre Zaccaria (Luca 1:67-75), Simeone e Anna la profetessa (Luca 2:25-38). Gli stessi apostoli mantennero viva l’attesa di questo regno politico fino alla fine e si rassegnarono ad un rinvio della sua realizzazione, non certo all’annullamento del programma di Dio (Atti 1:6). Perché se è vero che il regno di Gesù non è di questo mondo (Giovanni 18:36) è anche vero che tornerà per regnare (Matteo 25:31-34) su una Terra da lui rinnovata, realizzando così le promesse annunciate per mezzo dei profeti.
Promesse di benedizione che non riguardano solo gli Ebrei, ma il mondo intero, e che perciò dovrebbero essere attese da tutti, non esclusi certo i cristiani, i quali anziché giocare a fare gli “spirituali” seguendo Platone, dovrebbero essere consapevoli di appartenere a Dio perché innestati su Israele (Romani 11:17-18), del quale dobbiamo sì sfruttare la radice, ma anche nutrire la speranza.

Salmo 110:1: Jahvè ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi.
1Cronache 22:10: Egli sarà per me un figlio e io sarò per lui un padre.
Sul Salmo 110 ci siamo soffermati in altra parte, collegandolo a 1Cronache 22: perciò ora saremo sintetici (vedere “Gesù Cristo è lo stesso, dalla Genesi all’Apocalisse. Seconda serie”, cap. 3 “Profezie su Cristo: noi cristiani esageriamo”).
Il Salmo 110 tratta esplicitamente di un futuro re glorioso («scettro del tuo potere», «schiaccia dei re», vv. 2 e 5), che in quanto re doveva necessariamente essere figlio di Davide. L’importanza di questo Salmo è data anche dal fatto che viene citato da Gesù (Matteo 22:44) per dimostrare che lui è il Signore di Davide, più che suo figlio, ed i suoi contestatori non possono replicargli.
Sulla traduzione di questo Salmo c’è da fare qualche considerazione. In quella Concordata («Il Signore ha detto al mio Signore») non si coglie la differenza che c’è fra gli originali delle due parole “Signore” e ciò non è di poco conto, perché altra cosa sarebbe se Davide dicesse «Jahvè ha detto al mio Jahvè», mentre “mio signore” lo dice anche Sara ad Abramo (Genesi 18:12). Nel tradurre “Signore” e non “signore”, anche la parte ebraica ha riconosciuto che il contesto fa propendere per il significato più elevato del termine. D’altronde nel versetto 5 è chiaro come “Signore” si riferisca a Jahvè, anche se nell’originale non c’è il tetragramma.
Tutti questi buoni ragionamenti si infrangono di fronte al fatto che, nel citare questa profezia, il Vangelo di Matteo adotta la versione greca dei Settanta... che traduce come la Concordata. Come già detto, il nostro più grande problema non è che non abbiamo buone traduzioni, ma che ci è difficile fare delle buone applicazioni di vit0a pratica.
Il pensiero di Davide su questo suo figlio, espresso nel Salmo 110, lo abbiamo collegato a Salomone: che era sì suo figlio ma, in quanto adottato figlio di Dio, era superiore a Davide stesso.
In ogni caso, Dio non aveva adottato solo Salomone, ma tutta la linea genealogica regnante, secondo il principio ebraico di solidarietà fra il capostipite e la sua discendenza; ciò si vede bene in Abramo, al quale è donata una Terra Promessa della quale prenderà possesso la sua discendenza quattro secoli dopo! (Genesi 15:7-16).
Le potenzialità dell’adozione da parte di Dio della discendenza di Davide-Salomone, si erano già in parte espresse nella gloria del regno di Salomone, che aveva illuminato tutto il mondo di allora (1Re 10:23-24); certamente però Dio poteva fare molto di più e forse anche questo pensiero aveva aiutato i profeti a intravedere che, nel futuro regno messianico, sarebbero avvenute cose assolutamente straordinarie.

Michea 5:1: E tu, Betlemme Efrata, pur essendo piccola tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve regnare su Israele. Le sue origini sono antiche, sin dai giorni più lontani.
Betlemme era la città di Davide ed era convinzione comune che il Messia dovesse sorgere da lì (Matteo 2:4-6). I “giorni più lontani” sono resi dalla Nuova Riveduta come i “giorni eterni” e certamente una differenza c’è, ma c’è anche l’indubbio affermare che colui che doveva venire esisteva almeno fin dalle imprecisate origini (i “giorni più lontani” sono quelli).
Quando Gesù disse «Prima che Abramo fosse nato, io sono» (Giovanni 8:58) è vero che scandalizzò alcuni ebrei, che volevano lapidarlo, ma erano ebrei anche quelli che non si scandalizzarono, forse proprio perché avevano riflettuto sulle profezie messianiche come quella di Michea.

Isaia 7:14: Ebbene, il Signore stesso vi darà un segno: Ecco la giovane concepisce e partorisce un figlio che chiamerà Emmanuele.
Si discute molto sul fatto che, mentre in Isaia si parla di una giovane, nella citazione che ne fa Matteo (riprendendo la versione dei Settanta) c’è invece una vergine. Mi sembra una discussione inutile, perché a quei tempi vergine e giovane erano quasi sinonimi e, se anche nel testo in ebraico di Isaia ci fosse stato scritto “vergine”, è evidente che ogni ebreo avrebbe compreso che quella vergine avrebbe concepito come succedeva a tutte le vergine, cioè dopo aver perso la verginità.
Isaia, perciò, non aveva comunque rivelato che la madre del Messia sarebbe risultata vergine e incinta, non aveva cioè rivelato che il Messia non avrebbe avuto come padre un uomo, bensì Dio stesso. Così come il nome Emmanuele (che significa “Dio con noi”) non rivelava che il Messia sarebbe stato di natura divina perché, per esempio, Dio era stato con Israele anche al tempo di Mosè e di Davide.
Questo passo di Michea, perciò, è di grande significato solo dopo aver preso atto degli altri annunci molto più chiari e solo dopo che sono state rivelate le modalità (umanamente inimmaginabili) con le quali Maria si è ritrovata vergine e incinta.
Certo, se un cristiano dimentica le polemiche e si immerge nella lettura di Michea, trova qui una sottigliezza anticipatrice che stupisce, ma è un passo che va gustato come un dono di Dio, non preso come una clava contro altri. A volte certi bei fiori è meglio metterli nell’angolo, non per sminuirli, ma perché lì possono essere meglio apprezzati da chi ci si china sopra delicatamente.

Isaia 11:1-12: Un rampollo spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Sopra di lui riposerà lo spirito di Jahvè: spirito di sapienza e di discernimento, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore di Jahvè [...] Al violento darà addosso con la verga della sua bocca, col fiato della sua bocca darà morte al malvagio, la giustizia sarà la fascia dei suoi lombi, la fedeltà la cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme all’agnello [...] il lattante giocherà presso la buca dell’aspide, nel covo della vipera un bimbetto metterà la sua mano. Non faranno più male né guasto alcuno in tutto il suo santo monte, perché della conoscenza di Jahvè sarà piena la terra, come le acque che coprono il mare. Avverrà in quel giorno che la radice di Iesse si ergerà a segnale per i popoli, ad essa si volgeranno ansiose le genti, e gloriosa sarà la sua sede. Avverrà in quel giorno che il Signore [...] raccoglierà i dispersi di Israele; gli sbandati di Giuda radunerà dai quattro canti della terra.
Questa straordinaria combinazione di prospettive viene spesso attribuita ai “poco spirituali” ebrei, invece sono proprio i profeti a mettere insieme elementi molti diversi: voler essere “spirituali”, allora, non potrebbe farci correre il rischio di allontanarci dallo Spirito? Precisiamoli, comunque, gli elementi che Isaia mette insieme:
-attesa per la venuta del Messia-Figlio di Davide, cioè di un re che ristabilirà il Regno d’Israele;
-questo re sarà permeato da un’abbondante Spirito del Signore;
-questo re farà giustizia ai poveri e agli umili, distruggendo i malvagi;
-questo re riporterà la natura stessa all’armonia originaria, con il leone che tornerà ad essere erbivoro e la vipera che non sarà più velenosa;
-il trionfo del bene sarà completo su tutta la Terra ed in ogni popolo;
-tutti gli ebrei sparsi nel mondo torneranno nella terra d’Israele.

Approfondire l’analisi di questa profezia ci porterebbe troppo fuori tema, mentre ora ci interessa soprattutto far notare come fosse lecito, al tempo di Gesù, attendersi un Messia straordinario che avrebbe fatto cose straordinarie. L’Antico Testamento, insomma, spingeva a restare aperti verso prospettive nuove, lasciando in sospeso molte domande. Chi aveva questa attitudine, come l’Eunuco (Atti 8:34-39), non aveva difficoltà ad accettare Gesù come Messia; chi invece aveva messo in secondo piano la Parola di Dio e si era affidato alla codificazione razionalista operata dalla classe dirigente, quando constatava che Gesù non rientrava in quegli schemi, tendeva a rifiutarlo.
Certo, i cristiani devono riconoscere che le aspettative sul Messia sono state realizzate solo in parte da Gesù, che però ha promesso di tornare e completare l’opera. Quegli Ebrei che hanno rifiutato Gesù perché volevano di più e subito, non hanno poi trovato niente di meglio e sono finiti preda di falsi messia, che li hanno spinti a scagliarsi senza posa contro i Romani, fino alla catastrofe della distruzione del Tempio e dell’allontanamento da Gerusalemme per due millenni!
Dopo tante delusioni, gli Ebrei di oggi hanno per lo più smesso di attendere veramente il Messia. Tutto ciò ha favorito una crescente rivalutazione del “falegname di Nazaret” da parte degli Ebrei: anche in chi non lo accetta come Messia, infatti, si diffonde la consapevolezza della sua ebraicità, mentre sono riapparse e stanno crescendo rapidamente le Chiese di lingua ebraica, cioè fatte in maggioranza da Ebrei (come lo erano quelle descritte in Atti 1-5).



Per contatti: roberto.carson@tiscali.it
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