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LA TRINITÀ FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2010 18:03
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22/01/2010 17:58

3. FRA MOSÈ E SALOMONE

Nel Vangelo di Giovanni è riassunto ciò che i Giudei favorevoli a Gesù pensavano di lui: «“Questi è davvero il profeta”. Altri dicevano “Questi è il Cristo”» (7:40-41). In genere non facciamo caso all’articolo determinativo “il” e grossomodo comprendiamo: «“Questi è davvero un profeta”. Altri dicevano “Questi è Cristo”».
La storia d’Israele era piena di profeti e di messia (cioè cristi o unti). Si ungevano perfino le pietre (Genesi 28:18; Levitico 8:10-11) e unti erano tutti i re di Giuda, compreso il pessimo Manasse (2Cronache 33), come lo era pure il pagano Ciro (Isaia 45:1). Per il popolo ebreo riconoscere che una persona era profeta e/o cristo era importante, ma di per sé poteva significare anche poco.
C’era però un profeta particolare e un cristo particolare sui quali c’erano delle grandi aspettative, perché si ricollegavano ai due momenti più gloriosi per Israele: lo straordinario incontro con Dio al tempo di Mosè e la fama mondiale di Gerusalemme al tempo di Salomone. Questi due eventi non riguardavano soltanto il passato, perché ambedue si proiettavano anche nel futuro.
Mosè infatti aveva lasciato scritto: «Per te Jahvè, il tuo Dio, farà sorgere in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta come me; a lui darete ascolto!» (Deuteronomio 18:15). Il senso di queste parole è più chiaro se si legge la nota messa in fondo agli scritti di Mosè: «Non c’è mai più stato in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale Jahvè abbia trattato faccia a faccia. Nessuno era stato simile a lui in tutti quei segni e miracoli che Dio lo mandò a fare nel paese d’Egitto contro il faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese; né simile a lui in tutti quegli atti potenti e in tutte quelle grandi cose tremende che Mosè fece davanti agli occhi di tutto Israele» (Deuteronomio 34:10-12).
Semaia (2Cronache 12:5), Isaia e tanti altri erano stati profeti, ma non come Mosè. Dato che Mosè aveva avuto un rapporto particolare con Dio ed aveva dato una grande svolta al popolo d’Israele, allora anche dal “secondo Mosè” ci si aspettava altrettanto. Chi perciò vedeva in Gesù “il profeta” atteso (implicito “come Mosè”), si apriva allo straordinario e all’incredibile.
Venendo al rapporto fra Gesù e Davide, per comprenderlo bisogna tenere ben presente un concetto ebraico che è molto lontano da noi moderni: quello di progenie, di stirpe, che realizzava una totale solidarietà anche fra persone di secoli diversi. La nostra perdizione in Adamo e la nostra possibile salvezza in Cristo, come cerca di far capire Paolo in Romani 5:12-21, dipendono dal nostro legame genetico col primo uomo e da un divenire “fratelli di Cristo”, cioè adottati da Dio come “sua” progenie. Dio disse ad Abramo che gli avrebbe donato la Terra Promessa e ciò cominciò a realizzarsi quattro secoli dopo nei suoi discendenti (Genesi 12:7; Esodo 12:41).
Dio non scelse come re solo Davide, ma tutta la sua dinastia per sempre (1Cronache 17:11-12). Con Salomone, poi, questi “figli di Davide” non sono beneficati solo col diritto a regnare, perché Salomone (e quindi anche la sua progenie) è addirittura adottato da Dio come suo figlio! (1Cronache 17:13). Salomone sarà così figlio di Davide e anche figlio di Dio, ciò però non vale solo per lui, ma anche per quei suoi discendenti che in seguito regneranno in perpetuo.
La “progenie di Abramo” sarà poi rappresentata dal suo discendente più illustre, cioè Cristo (Galati 3:16), che rappresenterà pure la progenie di Davide, realizzando così le promesse fatte da Dio ad Abramo e a Davide. Dire “figlio di Dio”, prima di Gesù, faceva pensare a Salomone. Quando Natanaele e Pietro, perciò, dicono a Gesù «Tu sei il Figlio di Dio» non credo che pensassero al fatto che Gesù non era figlio di Giuseppe, ma penso che volessero dirgli «Tu sei il nuovo Salomone e realizzerai quel nuovo Regno di giustizia e santità che illuminerà il mondo» (1Re 10:23-24; Isaia 9:5-6; Daniele 7:13-14). Proprio nella profezia di Daniele, questo glorioso re che deve venire viene chiamato “Figlio dell’uomo”, perciò il definirsi così di Gesù non è solo un gesto di umiltà, ma anche l’affermazione della consapevolezza di essere il Messia.
Sul significato di “Signore/signore” ci torneremo con più calma, qui anticipiamo solo che il termine poteva riferirsi all’autorità del padrone su un servo (Efesini 6:5-9) fino ad indicare Dio stesso. Quando Gesù viene chiamato “signore”, perciò, il significato è incerto e dipende dal contesto: nel contesto del Vangelo non credo che significhi “Dio”, mentre nelle Epistole in alcuni casi ne indica indubbiamente la divinità.



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