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FILIPPESI 2

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2010 22:35
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02/02/2010 16:32

Cambiamento di sostanza o di condizione?
Esaminiamo ora un testo che viene addotto quale prova di un cambiamento di stato di Yeshùa. Con questo testo si intende dimostrare che Yeshùa, prima della nascita, esisteva già come essere spirituale (creato, secondo gli unitaristi; uguale a Dio, secondo i trinitaristi e i binitaristi). Vediamo dunque il testo biblico di Flp 2:5-8.“Cristo Gesù, il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio.  No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, divenendo simile agli uomini. Per di più, quando si trovò in figura d’uomo, umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte”. (TNM)Il testo afferma che:1.  Yeshùa esisteva in “forma di Dio”2.  In questa condizione non pensò di farsi uguale a Dio, cercando di rapinare Dio stesso del suo diritto di essere     Dio3.  Vuotò invece se stesso e prese forma di schiavo, simile a un uomo
  1. In questa condizione umana si umiliò per essere ubbidiente fino alla morte.
   Secondo il proprio punto di vista religioso, ciascuno legge in modo da trovare conferma al proprio credo.   Ad esempio, un cattolico si aiuta con la sua propria traduzione di questo brano, così: “Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte” (CEI). Per cui, per un cattolico, i quattro punti diventano:1.  Yeshùa era di natura divina (era Dio)2.  Questa sua uguaglianza con Dio (essendo lui pure Dio) non la tenne come un tesoro irrinunciabile
  1. Si incarnò invece come uomo
  2. In questa condizione umana si umiliò per essere ubbidiente fino alla morte.
Per un unitario, invece, la conclusione sarebbe questa:1.  Yeshùa era un essere spirituale, la prima delle creazioni di Dio2.  In questa condizione non pensò di farsi uguale a Dio, cercando di rapinare Dio stesso del suo diritto di essere     Dio
  1. Vuotò invece se stesso e prese forma di schiavo, simile a un uomo, accettando di “farsi carne”
  2. In questa condizione umana si umiliò per essere ubbidiente fino alla morte.
   In tutti e due i casi si vuol vedere nel testo di Flp 2:5-8 la prova della preesistenza di Yeshùa.    L’interpretazione che sostiene la preesistenza di Yeshùa presenta però diverse difficoltà. Ecco le principali:   a) In altre parti della Bibbia – più antiche – Yeshùa è presentato come la “manifestazione” che reca la conoscenza di Dio: Yeshùa “è quello che l'ha fatto conoscere” (Gv 1:18) ed “è stato manifestato in carne” (1Tm 3:16). Qui, invece, - stando alla preesistenza - apparirebbe come lo svuotamento di Dio.   b) In tutte le Scritture Greche, solo in questo passo si accennerebbe alla decisione di Yeshùa prima della sua esistenza terrestre. Eb 10:5 dice: “Entrando nel mondo”. Quando ‘entrò nel mondo’? Quando nacque o quando si presentò al mondo con il battesimo? Meglio questa seconda idea: Yeshùa si suppone già esistente con un corpo (il testo dice: “mi hai preparato un corpo”).   c) Lo svuotarsi nel caso presente significherebbe l’eliminazione della divinità per accogliere l’umanità (“servo”).   d) Ci sono grandi difficoltà per evitare (senza riuscirci) la conclusione che l’esaltazione di Yeshùa è uno stato superiore allo stato precedente in cui il consacrato sarebbe già stato in forma di divinità. Se fu esaltato dopo, non lo era prima. Se era già Dio come può essere esaltato al di sopra di Dio? E se era già la prima e più importante creatura spirituale al di sopra di tutte, come può essere ulteriormente esaltato?   Se invece si vede in questo passo soltanto un riferimento storico alla vita terrena di Yeshùa, tutte queste difficoltà svaniscono di colpo.   Il testo – se lo si legge senza nessuna dottrina religiosa in mente – non dice né che Yeshùa fosse Dio né che esistesse già in cielo come creatura spirituale. Il punto 1. (Yeshùa esisteva “in forma di Dio”) – che trascina gli altri – è la chiave di tutto. Ma quale traduzione preferire? Nessuna delle consuete. Non è meglio affidarsi al testo originale greco? Vediamolo: ὅς ἐν μορφῇ θεοῦos en morfè theù  che in   ?    di Dio    Ecco dunque la parola controversa: forma. O meglio: morfè (μορφῇ). Ma questa morfè che cos’è? È forse la natura divina di Dio stesso? È forse una forma spirituale di cui sono fatti anche gli angeli? Nessuna delle due. Non è infatti una interpretazione religiosa che ce ne può dare il significato, ma la Bibbia stessa. In che modo? Indagando quale parola ebraica c’è dietro quella greca. Com’è già stato fatto osservare, abbiamo un particolare dizionario biblico ebraico-greco privilegiato: è la traduzione greca LXX (Settanta) delle Scritture Ebraiche, la stessa usata dai discepoli di Yeshùa. Andando a cercare quella parola greca (morfè [μορφῇ]) nella LXX possiamo scoprire la parola ebraica che fu tradotta in greco morfè; si capirà così cosa significa davvero quella parola che viene tradotta solitamente “forma”.   Questa parola equivale all’ebraico דמות (demùt) e significa “immagine”. Questa parola non è mai usata per indicare sostanza o natura. In Eb 1:3 abbiamo: “Egli [Yeshùa] è il riflesso della [sua, di Dio] gloria” (TNM), ovvero Yeshùa non ha né la natura né la sostanza di Dio, ma rifletta la gloria di Dio.   Traducendo correttamente (morfè [μορφῇ]) con immagine (ebraico דמות [demùt]), tutto il passo di Flp 2 diventa improvvisamente chiaro.   Paolo sta incoraggiando i filippesi a mostrare amore ai fratelli, evitando l’egoismo e assumendo un atteggiamento di modestia; quindi cita loro il massimo esempio, quello di Yeshùa: “Mantenete in voi questa attitudine mentale che fu anche in Cristo Gesù” (v. 5, TNM). E cosa fece Yeshùa? Egli, “benché fosse a immagine (morfè [μορφῇ]) di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio.  No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, divenendo simile agli uomini. Per di più, quando si trovò in figura d’uomo, umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte”. - Vv. 5-8.   Paolo sta parlando a degli uomini e cita l’esempio umano di Yeshùa. Questi non fece come l’uomo Adamo che pensò di farsi uguale a Dio e di rapinarlo così del suo diritto di essere Dio (il diavolo aveva detto ad Eva: “Voi sarete davvero simili a Dio” (Gn 3:5, TNM). Paolo paragona Yeshùa al secondo Adamo (1Cor 15:45; Rm 5:12, sgg.). Adamo era a immagine di Dio (Gn 1:26), creato direttamente da Dio; Yeshùa era come Adamo, creato da Dio con la sua nascita verginale. Adamo volle farsi uguale a Dio, credendo alla menzogna del diavolo; Yeshùa non cedette alle tentazioni del diavolo (cfr. le tentazioni in Mt 4). Yeshùa non solo è a immagine di Dio, come lo fu Adamo, ma è anche della stessa discendenza di Adamo, “divenendo simile agli uomini”. Qui Paolo, contro la tendenza a fare di Yeshùa un angelo o una “apparenza”, dice che egli ebbe proprio la natura umana e fu proprio simile agli uomini, della discendenza di Adamo; proprio come Adamo “generò un figlio a sua somiglianza, a sua immagine [ebraico דמות (demùt)], e gli mise nome Set” (Gn 5:3, TNM), così Yeshùa è anche a immagine dei discendenti di Adamo. Questo uomo, Yeshùa, “prese la forma di uno schiavo”, “umiliò se stesso e divenne ubbidiente fino alla morte”; c’è qui un richiamo al “servo di Yahvèh” (Is 53:7); va notato che il “servo di Yahvèh” in Isaia è chiamato indifferentemente “servo” (schiavo, cfr. v. 7) e anche “figlio”.   Ecco quindi il senso vero del passo, nel suo parallelismo: 
Yeshùa, secondo AdamoAdamo
a immagine di Dioa immagine di Dio
non pretese di rapinare Diopretese di rapinare Dio
non pretese di farsi uguale a Diopretese di farsi uguale a Dio
era perfettamente uomoera perfettamente uomo
tuttavia si abbassò a schiavotuttavia, volle elevarsi a Dio
ubbidendo fino alla mortedisubbidendo fino alla morte
    Il punto di partenza (“benché esistesse in morfè di Dio”) non è quindi in cielo, in una vita precedente a quella umana: il punto di partenza è lo Yeshùa uomo: benché – come uomo – fosse a immagine di Dio (come Adamo). Proprio per questo Dio, “per questa stessa ragione Dio lo ha esaltato a una posizione superiore e gli ha benignamente dato il nome che è al di sopra di ogni [altro] nome” (Flp 2:9, TNM). ‘Dare il nome’, nel linguaggio biblico, significa dare la realtà o la sostanza: la realtà di essere superiore a tutti gli altri esseri, umani o celesti. Dare il nome indica qui dargli il dominio su ogni cosa, “affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio di quelli che sono in cielo e di quelli che sono sulla terra e di quelli che sono sotto il suolo, e ogni lingua confessi apertamente che Gesù Cristo è Signore alla gloria di Dio Padre (vv. 10,11, TNM). “Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Mt 23:12, TNM). Si noti la superiorità finale di Dio rispetto a Yeshùa: “Gesù Cristo è Signore alla gloria di Dio Padre”.   La domanda spontanea, rivolta ai trinitari e ai binitari, è: ma se Yeshùa era già Dio, come è possibile che sia stato esaltato ancora di più e che alla fine Dio sia comunque superiore? La stessa domanda va posta a coloro che credono che Yeshùa fosse la prima di tutte le creature spirituali di Dio, il primo anche per importanza: Come è possibile che Yeshùa sia stato “esaltato a una posizione superiore” se già aveva tale posizione?     In questo passo non si parla quindi della preesistenza di Yeshùa alla sua vita terrena, ma solo della missione che Yeshùa ebbe su questa terra e del modo con cui egli ubbidì al Padre, sino alla morte.   Mentre Adamo volle farsi uguale a Dio e così perse ogni suo privilegio, attirandosi la morte e la rovina su di sé e su tutto il genere umano, Yeshùa - quale secondo Adamo - anche dinanzi alla tentazione satanica, non volle farsi uguale a Dio, ma con la sua ubbidienza, resa eroica con la morte, si meritò la gloria per sé e la salvezza per il genere umano. Tutti lo riconoscano quindi loro sovrano alla gloria di Dio. Adamo disubbidendo tentò di farsi uguale a Dio (cfr. Gn 3:5): volle divenire uguale a Dio nell’autodeterminarsi, nel conoscere il bene e il male, ma anziché elevarsi a Dio, decadde; Yeshùa, per essere stato ubbidiente, fu posto alla destra di Dio. Yeshùa avrebbe potuto conquistare il mondo senza soffrire (tentazione); con le sue doti poteva ridurre tutta l’umanità ai suoi piedi; ma questo sarebbe stato un rapinare a Dio tale dominio, un farsi uguale a Dio “per rapina”. Yeshùa ottenne proprio di ”sedere alla destra di Dio“ e di divenire “il Signore di ogni cosa” con la via dell’umiliazione e del palo su cui fu ucciso. Questo esempio diviene più luminoso per noi; anche noi anziché esaltarci per nostro capriccio, dobbiamo metterci al servizio degli altri. L’esaltazione ci verrà da Dio; chi si esalta sarà abbassato, chi si umilia sarà esaltato. - Mt 23:12.
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