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Testimoni di Geova: Storia, Sociologia, Teologia

GESÙ “FIGLIO DI ABRAMO”

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    00 29/10/2009 17:45
    di Fernando De Angelis


    GESÙ “FIGLIO DI ABRAMO” (Matteo 1:1b)
    Facente parte della serie “Gesù Cristo è lo stesso, dalla Genesi all’Apocalisse”
    (29/10/09)

    di Fernando De Angelis

    1. FIGLIO DI ABRAMO, DAVIDE E GIUSEPPE: MA NON SOLO (subito sotto).
    2. ABRAMO “GENERATORE DI CREDENTI”, NON “PADRE DELLA FEDE” (in seguito)
    3. ABRAMO COME RISPOSTA A BABELE (in seguito)
    4. ABRAMO FUORI DAL MITO (in seguito)





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    Roberto Carson
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    00 29/10/2009 17:46
    1. FIGLIO DI ABRAMO, DAVIDE E GIUSEPPE: MA NON SOLO

    A. Dettagli cruciali che tendono a sfuggire.

    Sembra così semplice l’espressione che si trova all’inizio del Vangelo di Matteo: «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo» (“Abraamo” è la forma più corretta, ma noi preferiremo usare quella più comune di “Abramo”). Su “figlio di Davide” ci ho però scritto 16 pagine nella precedente raccolta – Gesù Cristo è lo stesso, dalla Genesi all’Apocalisse (fino 13/8/08) – ed anche ora si andrà un po’ per le lunghe. Anche perché via via si notano dettagli che sembravano trascurabili e che invece arricchiscono molto la comprensione: come quando abbiamo notato che “figlio di Davide, figlio di Abramo” non doveva farci pensare solo ai due progenitori, ma anche ai loro due figli principali, cioè Salomone ed Isacco.
    Qui notiamo altri due dettagli rilevanti. Sul primo ci soffermeremo poco sotto e riguarda il fatto che Gesù, pur accettando di essere definito in base ai suoi progenitori umani, ci tiene anche a precisare che è non solo figlio degli uomini. L’altro dettaglio (sarà l’ultimo?) riguarda la virgola e lo affronteremo subito. Si sa che gli originali sono stati scritti con le sole maiuscole e senza punteggiatura. Se si mette la virgola dopo “Cristo” (Gesù Cristo, figlio di Davide) allora “Cristo” ha la funzione del cognome e “figlio di Davide” diviene una caratteristica aggiuntiva. Se invece la virgola viene posta dopo “Gesù” (Gesù, Cristo figlio di Davide) allora “Cristo figlio di Davide” diviene un tutt’uno. A noi moderni questo secondo modo non suona bene, ma è proprio quello che è più in sintonia col contesto ebraico, dove “Messia” (da cui deriva il greco “Cristo”) significa “unto” (sottointeso “col particolare olio a ciò destinato”). Insomma unto o messia o cristo era una connotazione generica, con la quale si indicava qualcuno o qualcosa che erano stati formalmente messi a parte per uno speciale servizio a Dio (Esodo 30:22-33; 1Samuele 16:12-13; 1Re 19:15-16; Salmo 2:1; Isaia 45:1). Dire “unto” in contesto ebraico, perciò, è come entrare in una scuola e cercare il professore: un’espressione che ha poco senso, essendocene tanti, e che perciò va specificata (il professor Tizio). Nel contesto greco-romano, invece, solo dell’unto Gesù se ne è avuta larga fama e allora non sono necessarie specificazioni.
    Siccome Matteo è un ebreo che scrive per ebrei la storia dell’ebreo Gesù, svoltasi in contesto ebraico, allora la virgola credo che vada messa dopo “Gesù” (Gesù, messia figlio di Davide) e voleva significare che Gesù era quel particolare messia (cristo) che avrebbe ripreso possesso del Regno di Davide, come più volte e in più maniere era stato annunciato dai profeti e perciò atteso dagli Ebrei del tempo di Gesù (Salmo 45:6-7; Matteo 16:16; Luca 1:67,70; 2:11).
    Affrontiamo ora l’altro “dettaglio”, più complesso e impegnativo, di Gesù non solo figlio degli uomini.



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    00 29/10/2009 17:47
    B. Gesù, oltre i suoi progenitori.

    Fra i progenitori di Gesù, nel Nuovo Testamento, è Davide quello che viene messo più in evidenza, ma Gesù viene anche indicato come figlio di Abramo e figlio di Giuseppe. Gesù accettò questi legami e queste connotazioni umane, ma in tutti e tre i casi volle precisare che la sua natura andava oltre a quella dei suoi progenitori.
    Gesù venne definito “figlio di Giuseppe” o “figlio del falegname” (Matteo 13:55; Luca 4:22) e fu sottomesso ai suoi genitori umani, ma volle presto precisare che aveva anche un altro Padre e un’altra casa (Luca 2:49). Quando poi iniziò la sua attività pubblica, chiarì che ormai aveva anche un’altra famiglia (Matteo 12:46-50).
    La definizione di “Figlio di Davide” fu accettata volentieri da Gesù (Matteo 15:22; 20:29-34; 21:9), ma anche in questo caso puntualizzò che la sua natura andava oltre quella di Davide (Matteo 12:42; 22:45).
    Sulla caratteristica di Gesù come “Figlio di Abramo” e sul suo andare oltre ci soffermeremo nel punto successivo.



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    00 29/10/2009 17:47
    C. Gesù e Abramo, un legame sullo sfondo.

    Gesù è definito “Figlio di Abramo” solo nelle genealogie (Matteo 1:1; Luca 3:34), perché Abramo è visto più come capostipite del popolo ebraico, col quale comunque Gesù si identifica chiaramente (Luca 1:55; 13:16; 19:9). Il rapporto di Gesù con Abramo è perciò di tipo comunitario, più che riferito alla sua specifica persona (che si rifà soprattutto al re Davide).
    Gesù volle precisare che la propria natura andava oltre Abramo, facendo una delle sue affermazioni più dirompenti, perché usa per se stesso quel “io sono” col quale Jahvè si era presentato a Mosè: «Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono”. Allora essi presero delle pietre per tirargliele» (Giovanni 8:56-59; cfr. Esodo 3:14).
    Sarebbe anche qui interessante riflettere su quello che era fino allora considerato il figlio di Abramo e cioè Isacco – così come abbiamo fatto con Salomone, il figlio di Davide – ma evitiamo di farlo, sia perché sulle similitudini fra Isacco e Gesù è già abbastanza diffusa una certa conoscenza, sia per evitare ulteriori allargamenti della trattazione. Ci limitiamo solo a ricordare che, quando Dio chiese ad Abramo di sacrificare il suo amato figlio Isacco, può sembrare che gli abbia chiesto qualcosa di eccessivo; invece la tranquilla obbedienza di Abramo (Genesi 22:1-8) fa vedere che Dio lo aveva preparato a quella grande prova, attraverso la quale egli percepì qualcosa di ciò che Dio avrebbe provato nel chiedere a Gesù di affrontare la croce.
    Il legame fra Gesù e Abramo, però, si proietta nel futuro, perché Gesù si è assunto il compito di realizzare pienamente le benedizioni a tutti i popoli promesse attraverso Abramo, così come si è fatto carico di portare a compimento le promesse fatte a Davide (Luca 1:32-33, 54-55, 68-74). La designazione di Gesù come “Figlio di Davide” e “Figlio di Abramo” che troviamo all’inizio del Vangelo di Matteo, allora, al lettore ebreo forniva già una cornice sul significato di tutta la vita di Cristo. Vediamo ora più in dettaglio le promesse di Dio ad Abramo.



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    00 29/10/2009 17:49
    D. Gesù come realizzazione, per ora parziale, delle promesse ad Abramo

    Una parte delle promesse di Dio ad Abramo può essere riferibile alla sua discendenza fisica («Io darò questo paese alla tua discendenza»), mentre un’altra parte ai suoi effetti universali («In te saranno benedette tutte le famiglie della terra»), (Genesi 12:3-7).
    Gesù aveva certamente presente tutta la complessa opera di salvezza che avrebbe dovuto realizzare e che era stata annunciata dai profeti. Quando però lesse a Nazaret il cap. 61 di Isaia si fermò a metà del secondo versetto, commentando che la profezia letta la stava adempiendo lui in quel momento (Luca 4:16-21). Gesù sapeva che l’immensa opera da fare avrebbe necessitato di tempi lunghi, ma un comune ebreo, facendo l’esegesi di quel capitolo ed esaminandone il contesto, come poteva capire che a metà del versetto 2 si nascondevano almeno 2.000 anni?!
    Tutti i commentatori cristiani concordano che l’AT non distingue fra la prima e la seconda venuta del Messia, del quale i profeti ne annunciavano l’opera complessiva senza darne la successione temporale; si porta in genere l’esempio di catene montuose, che se viste da lontano sembrano unite, ma poi superata la prima catena ci si rende conto che sono lontane l’una dall’altra. Lo strano è che poi quegli stessi commentatori, spesso, si attardano ad incolpare gli Ebrei di “scarsa spiritualità”, nonostante che la loro colpa fosse semplicemente quella di attendersi la realizzazione di tutto il cap. 61 di Isaia, che prosegue annunciando «il giorno di vendetta del nostro Dio». Anche Giovanni Battista aspettava il realizzarsi immediato di tutte le profezie (Matteo 3:10-12) e, non constatandolo, fu preso addirittura dal dubbio – proprio lui, il testimone chiave – sull’effettiva messianicità di Gesù (Matteo 11:3).
    Ci viene naturale l’essere severi con gli altri e indulgenti con noi stessi, ma noi siamo forse più spirituali e più biblici quando dimentichiamo le promesse di Dio alla discendenza fisica di Abramo? Arrivando a ritenerle non solo rinviate, ma addirittura annullate! Chi vuol risolvere tutto con lo studio biblico esegetico (certamente utilissimo, ma insufficiente) ha difficoltà a riconoscere che la vita di Gesù fu più una rivelazione che un adempimento di profezie, il cui senso fu chiaro soprattutto dopo la risurrezione di Gesù: solo allora i due discepoli sulla via per Emmaus ne capirono veramente la funzione di preannuncio (Luca 24:13-35).
    Gesù prese atto che gli Ebrei stavano per crocifiggerlo e che non avrebbe potuto realizzare tutte le benedizioni promesse dai profeti. Accetta perciò il rinvio, ma non la cancellazione, annunciando un «finché» che non chiude i conti e che attende dagli Ebrei di Gerusalemme l’invito a tornare per completare l’opera: «Non mi vedrete più, finché venga il giorno che diciate: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Luca 13:35).
    Anche l’ebreo Paolo non dimenticò la dimensione nazionale ebraica della salvezza portata da Gesù (Romani 11:25-27), come pure non ne dimentica la portata cosmica, cioè di salvezza di un mondo che “geme ed è in travaglio” e che non sarà abbandonato a se stesso (Romani 8:20-23). Noi Gentili ci vantiamo di essere stati innestati nel santo ulivo di Israele (Romani 11:17-18) e facciamo bene a sentircene onorati, però non dobbiamo solo sfruttare la radice ebraica come fossimo parassiti, ma anche mantenerla facendoci carico delle speranze in essa nascoste e che attendono di essere realizzate.



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    00 31/10/2009 12:52
    2. ABRAMO PADRE DI CREDENTI, NON DELLA FEDE

    A. Introduzione.

    Abramo è comunemente definito come “Padre della fede” e, se non si vogliono usare le parole in modo ambiguo, significa che prima di lui non ci sarebbe stata la vera fede. Ciò è però chiaramente contraddetto dalla Bibbia, perché prima di Abramo troviamo almeno tre “campioni” della fede, quali Abele, Enoc e Noè (Ebrei 11:4-7).
    Sono le mezze verità, come si sa, quelle più pericolose e la definizione di “Padre della fede” è una “piccola” deformazione di ciò che scrive Paolo, che lo definisce come esempio di fede e padre dei credenti, non della fede (Romani 4:11-16; Galati 3:7). A Paolo poi interessa farne una applicazione ai problemi dei credenti del suo tempo e non si può considerare ciò che dice Paolo senza tener conto di ciò che ci è chiaramente rivelato in Genesi, anche perché spesso il NT fa delle ottime applicazioni dell’AT, ma unite ad una “pessima” esegesi, almeno stando alle regole attuali.
    Oltre alle mezze verità, c’è un altro diffuso fenomeno che porta fuori strada e che indichiamo con retroproiezione. Si tratta dell’abitudine di prendere una situazione finale e ricoprirci con essa tutto il passato, come se si fosse verificata non alla fine del percorso, ma all’inizio. Anche qui c’è una mezza verità, perché è vero che la conclusione prevista orienta tutto ciò che si fa prima, ma un conto è vedere il prima alla luce del poi, un altro conto è costruire il tetto sotto le fondamenta! Paolo, per esempio, nei passi sopra citati ragiona avendo come orizzonte il suo tempo e non si può automaticamente retroproiettare la sua analisi.
    La fede non solo c’era prima di Abramo, ma anche ai suoi tempi (Melchisedec), perciò Abramo non va visto come una novità assoluta. Commentatori autorevoli invece lo indicano come l’inventore della fede e qualcuno (per esempio Abba Eban, ex ministro degli esteri d’Israele) arriva addirittura a pensare che non sia stato Jahvè a creare Abramo, ma sia stato Abramo a creare Jahvè (cioè a ideare un nuovo modo di concepire Dio).
    Abramo appare in Genesi come una tipica persona del suo tempo, che Dio elegge e chiama non perché lo trovi già straordinario, ma perché per mezzo di lui vuol portare avanti un programma straordinario di formazione e di benedizione universale (è soprattutto alla fine che Abramo sarà straordinario).



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    00 31/10/2009 12:53
    B. Il quadro genealogico da Adamo ad Abramo.

    La genealogia in Matteo 1 inquadra Gesù come prosecutore di una lunga storia. Anche di Abramo ne viene fornita la genealogia – in modo specifico in Genesi 11:10ss, ma che si ricollega alle precedenti di Genesi 5 e 10 – e ciò evidentemente ha un analogo significato di considerarlo come un prosecutore della storia precedente. È bene allora dare uno sguardo ai due millenni che lo precedono, nei quali certamente Dio non si era distratto, ma stava portando avanti il suo piano. Certo, su quel periodo ci vien detto poco, ma è un motivo in più per valorizzare quel poco, non per trascurarlo.
    Confesso che anch’io per tanto tempo ho letto in fretta le genealogie, ma ora c’è stato lo stimolo per rifletterci e mi è stato utile. Essenziale è stato visualizzare il tutto nell’approssimato schema sottostante; da Noè in poi, c’è a sinistra l’ordine di nascita e poi quello di morte: per esempio, Sem è il secondo a nascere ma il decimo a morire, mentre Naor è il nono a nascere e il secondo a morire (prima del Diluvio, invece, fra l’ordine di nascita e quello di morte non c’era molta differenza).

    Schema genealogico da Adamo ad Abramo

    0 ADAMO 930
    130 Set 1042
    235 Enos 1150
    329 Chenan 1235
    395 Maalaleel 1290
    460 Iared 1422
    622 ENOC 987
    687 Metusela 1656 (anno del Diluvio)
    874 Lamec 1651
    1 3 1056 NOÈ 2006
    2 10 1556 Sem 2156
    3 7 1658 Arpacsad 2096
    4 9 1693 Sela 2126
    5 11 1723 EBER 2187
    6 1 1757 Peleg 1996
    7 4 1787 Reu 2026
    8 5 1819 Serug 2049
    9 2 1849 Naor 1997
    10 6 1878 Tera 2083
    11 8 1948 ABRAMO 2123

    La prima evidenza è un accavallarsi delle generazioni, al punto che il padre di Noè (Lamec, nato nell’874) ha convissuto 56 anni con Adamo (morto nel 930) ed è probabile che lo abbia conosciuto direttamente, dato che l’umanità di allora era concentrata in un territorio limitato (la dispersione verrà poi con Babele, Genesi 11).
    Particolarmente importante sembra essere stato il nonno di Noè, cioè Metusela, che ha convissuto con Adamo per 243 anni (cioè dal 687 al 930). Noè (1056-2006), pur non avendo conosciuto direttamente Adamo, convisse con Metusela e con quel mondo i suoi primi 600 anni (dalla nascita nel 1056 al 1656, anno della morte di Metusela e del diluvio). Noè si formò perciò profondamente nel mondo prediluviano e riuscì poi ad ammaestrare adeguatamente i posteri, perché l’umanità derivò tutta dai suoi tre figli ed egli poté seguire la sua posterità fino a 350 anni dopo il diluvio (Genesi 9:28).
    Su Enoc ci sono alcuni dati interessanti, sui quali ci permettiamo qualche opinabile commento. Enoc è colui che ha avuto la vita più breve, ma suo figlio Metusela è stato il più longevo di tutti: viene da pensare alla brevità della vita di Cristo ed alla longevità della Chiesa. In ogni caso, Metusela ha vissuto 300 anni col padre Enoc, vedendone da vicino il suo cammino con Dio (Genesi 5:22) ed è facile pensare che ne sia stato fortemente influenzato: forse Metusela emanava una grande “luce riflessa” che, come quella della luna, continuò ad illuminare un mondo che sprofondava sempre più nelle tenebre ed al quale, oltre che a Noè, rese forse testimonianza anche Metusela (morto proprio nell’anno del Diluvio, ma non sembra a causa del Diluvio). Metusela visse 600 anni col suo nipotino Noè e probabilmente gli avrà raccontato episodi significativi della luminosa vita del proprio padre Enoc. In ogni caso, Noè ebbe un’intimità con Dio che richiama proprio quella avuta dal suo bisnonno Enoc.
    Insomma, Enoc e suo figlio Metusela appaiono come uno straordinario ponte che collega Adamo con Noè, il quale poi si collega direttamente con Abramo. Da Adamo ad Abramo, incredibilmente, sono bastati solo due testimoni, cioè Metusela e Noè, perché Abramo ha convissuto i suoi primi 58 anni con Noè. Abramo ha poi convissuto tutta la vita con Sem (uno dei tre figli di Noè), dato che Sem è morto 33 anni dopo Abramo! Perciò Abramo ha avuto un’ampia possibilità di accedere direttamente alla cultura e alla fede prediluviane.
    Dopo il Diluvio, siccome chi nasceva prima aveva una vita più lunga, è allora successo che in qualche misura i giovani morivano prima dei vecchi e la lunga vita di Sem, che era passato per il diluvio, ebbe una funzione di testimonianza paragonabile a quella di Metusela (si confronti l’ordine di nascita e quello di morte da Noè in poi, a sinistra dello schema).
    Un caso particolare è Eber, bisnonno del bisnonno di Abramo, perché i rappresentanti delle sei generazioni a lui seguenti morirono tutti prima di lui (Abramo compreso). Questo longevo progenitore fu certamente il riferimento dei molti discendenti che vide e forse proprio per questo vennero detti “Eberei”, da cui Ebrei. Ebrei è una connotazione riferita ad Abramo (“l’Ebreo”, Genesi 14:13), ad uno specifico territorio (Genesi 40:15) e passata poi alla discendenza di Giacobbe (per esempio, Genesi 39:14; 41:12; 43:32; Esodo 1:15; 1Samuele 29:3), per cui “Ebreo” ha finito per indicare non tutti i figli di Eber, ma specificatamente quel ramo passante prima per Abramo, poi per Giacobbe (o Israele), infine per Giuda. Le tre indicazioni di “Ebreo”, “Israelita” e “Giudeo”, allora, sono praticamente quasi dei sinonimi.

    Non è piacevole andare ai funerali, ma se ci fossero i filmati di quelli che ci sono stati da Adamo ad Abramo li vedrei volentieri. Quello di Adamo, per esempio, dovrebbe aver radunato tanta gente di (almeno otto generazioni) e forse Adamo fu la prima persona a morire in modo naturale (Abele era stato ucciso). I funerali antichi duravano per più giorni ed erano occasione per profonde condivisioni su tutto, ma come non dialogare sul senso della vita e sull’insegnamento dato da chi aveva finito i suoi giorni?
    Come sarà stato il funerale di Enoc? Ci sarà poi stato un funerale, dato che il suo corpo fu preso da Dio? (Genesi 5:24; Ebrei 11:5). Suppongo che i parenti saranno andati a consolare il figlio Metusela, dal quale avranno certamente desiderato sapere qualcosa in più sul “camminare con Dio” di suo padre: e ad un figlio poco sfugge. Ecco allora che Metusela si dovrebbe essere ritrovato inevitabilmente a fare da testimone della universalmente riconosciuta santità di Enoc.
    Anche i funerali di Noè, di Sem e di Eber mi incuriosiscono, ma ve li risparmio, tanto ormai è chiaro che le genealogie, più che inutili, sono inutilizzate.

    Adamo non aveva ricevuto da Dio una serie di leggi, ma in compenso lo aveva conosciuto personalmente ed aveva parlato con lui (Genesi 2-3). Ciò gli consentiva di avere intuizioni profonde su chi era Dio e, evidentemente, trasmise questa sua sensibilità ai suoi discendenti. Essendo la vita media molto lunga, Adamo ebbe modo di trasmettere questa conoscenza a molti posteri e per lungo tempo. Insomma, nel mondo prediluviano la trasmissione diretta, personale ed orale era la base della conoscenza. Ciò era rafforzato dal fatto che l’umanità si concentrava in un’area limitata e che c’era un basso numero di abitanti, aventi fra loro rapporti di parentela più vicini di quelli esistenti fra i popoli odierni.



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    00 31/10/2009 12:55
    C. La fede prima del diluvio.

    Per comprendere meglio Abramo è bene considerare brevemente i tre campioni della fede che lo hanno preceduto, cioè Abele, Enoc e Noè (Ebrei 11:4-7). Su loro non ci viene detto molto, perché il mondo prediluviano era molto diverso rispetto a quello nel quale si dispiegherà la vita dei discendenti di Abramo: un capostipite proiettato nel futuro, piuttosto che rivolto al passato.

    a) Abele e l’essere graditi a Dio.

    Di Abele sappiamo solo che la sua fede lo portò ad essere giusto ed a fare ciò che era gradito a Dio (Ebrei 11:4), il quale perciò lo guardò con favore (Genesi 4:4). Tutto ciò ci fa capire come Abele avesse una conoscenza profonda di Dio, perché solo così poteva arrivare a cogliere ciò che Dio amava (fare ciò che ad un genitore piace è molto di più dell’essere corretti nei suoi confronti). Vengono in mente le parole di Gesù che, riguardo al Padre, affermò di fare sempre «le cose che gli piacciono» (Giovanni 8:29).

    b) Enoc e il camminare con Dio.

    Di Enoc ci viene detto poco (Genesi 5:21-24; Ebrei 11:5), ma egli getta luce su un periodo che altrimenti sarebbe avvolto nel mistero e che invece trova in lui uno straordinario esempio. Dopo essere divenuto padre, Enoc «camminò con Dio 300 anni» (Genesi 5:22), per poi essere portato in cielo con un corpo evidentemente simile a quello di Gesù risorto, del quale ne è un anticipo da noi spesso trascurato, ma che rivelò chiaramente l’esistenza di un “oltre” che credo spinse i suoi contemporanei a considerare quanto la loro conoscenza fosse limitata.
    Che faceva Enoc nelle biforcazioni che la vita presenta? Evidentemente conosceva la voce di Dio, perché il camminare insieme a lui significava che era Enoc a seguire Dio. Il camminare insieme non rimanda solo ad una comunanza di principi, ma lascia intravedere un’intimità non superficiale: specie se dura tre secoli! Sul come si manifestasse una tale intimità non si può essere certi, ma essa c’era stata anche fra Dio ed Adamo (almeno prima della caduta). A Noè Dio diede insegnamenti dettagliati (Genesi 6:14-16) e pure di Noè vien detto che «camminò con Dio» (Genesi 6:9).
    Anche Abramo fu invitato da Dio a camminare con lui (Genesi 17:1). Dio camminava pure davanti a Davide, facendogli a volte perfino udire il rumore dei suoi passi! (2Samuele 5:24).
    Nel Nuovo Testamento, come al solito, Dio non cambia ed anche qui la fede si esprime come un cammino. Credere in Gesù significava infatti camminare con lui, cioè seguirlo, come invitò più volte a fare (Matteo 8:22; 9:9; 16:24; 19:21), cessando di fare l’opposto cammino nelle tenebre (Giovanni 8:12; 11:9-10).
    Molto significativo è il fatto che i seguaci di Gesù vennero chiamati solo in un secondo tempo col nome di “cristiani” (Atti 11:20), mentre la prima indicazione della nuova fede aveva a che fare con un nuovo modo di camminare, era cioè concepita come una “nuova via” (o “via della salvezza” o semplicemente “via”, Atti 2:47; 9:2; 19:9). Non a caso Pietro invita a seguire “le orme” lasciate da Gesù nel camminare su questa Terra (1Pietro 2:21).

    c) Noè e il parlare con Dio.

    Dio diede a Noè delle istruzioni sull’Arca quasi come fa un artigiano col suo allievo (Genesi 6:13; 7:4). Che il dialogo fra Noè e Dio vada inteso come realistico lo si ricava da tutta la Bibbia, dove si legge che Dio parlò con Adamo ed Eva (Genesi 1:28; 2:16-17; 3:9-19), con Caino (Genesi 4:6-15), con Abramo (per es. Genesi 12:1-7; 13:14-17), con Mosè (per es. Esodo 3:4 a 40:1), con Davide (per es. 2Samuele 23:2; 30:8), con Elia e con i profeti in genere (per es. 1Re 19:15-18; Isaia 6:8-13; Geremia 1:4-5; Amos 7:15).
    Nel Nuovo Testamento troviamo che Dio fece sentire la sua voce per legittimare il suo Figlio Gesù (Matteo 3:17; Giovanni 1:35; 12:28). Poi parlò non solo a Paolo (Atti 9:3-6; 2Corinzi 12:8-9) ed a Pietro (Atti 10:13-16), ma anche ad Anania ed a Cornelio (Atti 9:10-16; 10:3-6). Gesù considerò addirittura una colpa il non aver in qualche modo udito la voce di Dio! (Giovanni 5:37).

    Insomma la fede di Abele, di Enoc e di Noè non è stata altro che la vera fede di sempre, perché Dio è sempre lo stesso.



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    00 31/10/2009 12:55
    D. Melchisedec superiore ad Abramo.

    Melchisedec sconvolge i ritratti che solitamente si fanno di Abramo e allora si preferisce tenerlo in disparte: tanto nella Genesi compare solo in quattro versetti (Genesi 14:17-20), che si possono per di più saltare senza che si notino dei vuoti nella storia di Abramo.
    Il Nuovo Testamento si avviava ad essere concluso senza mai citare Melchisedec, infatti di lui non se ne parla nei Vangeli, né negli Atti, né nelle epistole di Pietro o di Paolo. Questo personaggio, però, irrompe poi improvvisamente in un’epistola presumibilmente scritta tardi e di autore non dichiarato, cioè nell’Epistola agli Ebrei, che diverrà un cardine della teologia finale del Nuovo Testamento.
    Su Melchisedec, e sul Salmo 110 che lo cita, abbiamo fatto due studi a parte (Melchisedec, un precursore trascurato e Profezie su Cristo: noi cristiani esageriamo), perciò non staremo a dilungarci. Diciamo solo che, specie alla luce di Ebrei 7, Melchisedec appare chiaramente come più in alto di Abramo proprio sul piano spirituale. Abramo, insomma, non venne scelto da Dio perché era in quel momento la persona più in sintonia con lui, ma Dio con Abramo sembra aver fatto come Gesù con gli apostoli, i quali all’inizio appaiono abbastanza normali, ma poi arrivano ad una profonda sintonia col Signore.
    In conclusione, ad Abramo è affidato un compito nuovo, ma il suo tipo di fede è simile a quella che c’era prima di lui e che ci sarà dopo di lui.



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    Roberto Carson
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    3. ABRAMO COME RISPOSTA A BABELE

    A. Importanza di Abramo

    Finora abbiamo privilegiato ciò che Abramo non è e ciò che condivide con altri, ora occorre chiarire qual è il suo ruolo specifico. L’importanza di Abramo non è certo da sottovalutare, perché tutto il tempo che lo precede è descritto nella Bibbia in modo estremamente condensato, come se fosse un’introduzione alla storia di Abramo, che è la prima persona su cui la Bibbia si sofferma così ampiamente: di Noè, infatti, vengono descritti i fatti che lo riguardano (Arca, Diluvio), più che il suo personale percorso di fede. C’è poi da considerare che la Bibbia posteriore ad Abramo è in sostanza la storia della sua discendenza e del progressivo realizzarsi delle promesse a lui fatte. Insomma, la Storia si è andata sempre più concentrando su Abramo ed è significativo come la sua tomba ad Hebron (Israele) sia il luogo più largamente visitato dall’umanità, convergendo lì ebrei, cristiani e musulmani.
    A fronte di una così rilevante importanza, il motivo della sua vocazione appare molto semplice: dopo una serie di scivoloni dell’umanità (Adamo, Diluvio, Torre di Babele), Dio attraverso Abramo mette in atto un organico piano di risalita a lungo termine. Ancora oggi la speranza di salvezza dell’umanità si può radicare solo nella discendenza di Abramo (cioè in Gesù). La centralità di Abramo per noi è perciò indiscutibile, perché attraverso di lui Dio realizza un piano dagli effetti permanenti; che però è iniziato solo ad un certo punto della Storia e si esaurirà alla fine di questo mondo, quando cioè si saranno realizzate le promesse a lui fatte.
    Guardiamo comunque più da vicino la chiamata che Dio rivolge ad Abramo ed il contesto nel quale avviene.



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    B. Abramo e Babele.

    Prima della Torre di Babele «tutta la terra parlava la stessa lingua» ed era concentrata in un’area geografica ristretta, perciò c’era sostanzialmente «un solo popolo» (Genesi 11:1,6). Quando Dio diceva qualcosa a qualcuno, ciò poteva essere trasmesso facilmente a tutti. Dio aveva dato l’ordine di espandersi progressivamente su tutta la Terra (Genesi 1:28), ma gli uomini ad un certo punto vollero fare proprio il contrario e dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra» (Genesi 11:4).
    Come al solito, quando l’uomo si pone degli obiettivi in contrasto con Dio, ottiene l’effetto contrario (della cacciata dall’Eden ci si era già dimenticati). Come al solito, Dio trova il modo di portare comunque avanti i suoi piani, così l’espansione sulla superficie terrestre avverrà lo stesso, anche se non nella concordia che Dio desiderava, bensì nella discordia: dell’uomo con Dio e all’interno dell’umanità stessa. Come al solito, Dio non si rassegna ad un trionfo definitivo del male e, come un giorno renderà di nuovo disponibile l’albero della vita (Genesi 2:9; Apocalisse 22:2,14), così un giorno ricostruirà l’unità del genere umano, attraverso un Abramo che accoglierà in sé «tutte le famiglie della terra» (Genesi 12:3).
    Il fatto che a Pentecoste (Atti 2) ci fossero persone di ogni nazione e lingua ad ascoltare la prima proclamazione pubblica di Gesù Salvatore, ha un grande significato simbolico e fu una prima parziale realizzazione delle promesse fatte ad Abramo. Purtroppo noi cristiani tendiamo a vedere quella Pentecoste come un superamento dell’ebraismo e ci sfugge il fatto che quegli «uomini religiosi di ogni nazione», presenti a Gerusalemme, erano con tutta evidenza di religione ebraica, venuti come pellegrini per adempiere ad un dovere di presenza comandato dalla legge di Mosè (Deuteronomio 16:16). La conferma viene dal fatto che tremila di loro furono poi battezzati (Atti 2:41) e, prima di Cornelio (Atti 10), ciò era possibile solo per chi fosse già circonciso. Il cristianesimo è nato come una corrente interna all’ebraismo ed i primi cristiani di origine ebraica non trovavano nessun contrasto fra il credere in Gesù e l’osservare la legge di Mosè (anche nella parte rituale! Cfr. Atti 21:20ss). Ci rendiamo conto che con ciò abbiamo sollevato problemi complessi, sui quali non possiamo ora soffermarci, rinviandoli ad altra sede.
    Dopo Babele, Dio non elegge solo una persona (Abramo) e una sua discendenza (Giacobbe), ma anche una lingua (quella parlata da Abramo, cioè l’ebraico). La Parola di Dio, perciò, si irradierà da un preciso popolo (Israele), da un preciso territorio donato ad Abramo per sempre (Terra Promessa) e dalla città di Gerusalemme, che Dio ha poi eletto come suo punto di riferimento permanente (Deuteronomio 12:5,11; 1Re 11:26; 8:13).
    La posizione di quel territorio è strategica, perché si trova all’incrocio di tre continenti (Africa, Asia ed Europa) e perciò facilita gli scambi. La civiltà umana attuale, nel bene e nel male, è cominciata proprio nelle terre percorse da Abramo (cioè nella cosiddetta “Fertile Mezzaluna”, fra Mesopotamia ed Egitto) e si è sviluppata anche con qualche altro apporto, ma sostanzialmente crescendo su se stessa, ad opera di una concatenazione di popoli che hanno appreso l’uno dall’altro, fino all’attuale predominio della cultura anglofona (che non a caso è stata sensibilmente influenzata dalla Bibbia).
    Le elaborate civiltà di India e Cina, per esempio, sembrano molto lontane da Gerusalemme, ma in realtà sono collegate a quell’area attraverso una serie di territori privi di foreste e perciò attraversabili. India e Cina non hanno perciò mai completamente perso i contatti con l’area mediterranea (basta pensare a Marco Polo e ad Alessandro Magno). Si può avere tutta la simpatia che si vuole per gli Aborigeni australiani e per gli Indios americani, ma è indubbio che queste civiltà – dopo aver perduto il loro rapporto con Gerusalemme – hanno dato un apporto trascurabile alla civiltà umana attuale.
    È incentrata su Abramo e sul territorio da lui percorso, insomma, non solo la storia biblica, ma anche quella generale (e non è strano, essendo il Dio di Abramo ad aver creato il mondo).



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    4. ABRAMO FUORI DAL MITO
    A. Abramo e Abimelec.

    L’incontro di Abramo con Abimelec (Genesi 20) è un po’ imbarazzante, ma ricco di indicazioni. Abramo non disse che Sara era sua moglie e così Abimelec, re di Gherar, la mandò a prendere. Dio avvisò Abimelec che stava per commettere adulterio, riconoscendo però che non aveva colpe. Abimelec accusò Abramo di comportamento scorretto («Tu hai fatto cose che non si debbono fare», 20:9), ma anche se Abimelec ebbe un comportamento superiore ad Abramo sul piano morale, Abramo mantenne la sua qualifica di profeta (portavoce di Dio) e Abimelec, paradossalmente, sarebbe stato guarito proprio dalla preghiera di Abramo! (20:7,17).
    Nel confronto con Melchisedec, abbiamo visto come Abramo non fosse la persona spiritualmente più elevata del suo tempo. In questo episodio si vede che a volte non lo era nemmeno sul piano morale. Non si dovrebbe perciò descrivere la vocazione di Abramo come una luce che si accende nelle tenebre, perché Abramo appare come un ciclista che comincia la corsa in seconda fila, anche se poi emergerà fino a fare il vuoto intorno a sé. Invece pure su Abramo si cade nella retroproiezione, dando cioè valore retroattivo a ciò che invece si realizzerà dopo e che è frutto di un percorso nel quale l’inizio non è uguale alla fine.



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    B. Internazionalità della prima “sinagoga”.

    «Abramo fu eletto da Dio e ricevette come segno la circoncisione». Una frase riassuntiva di questo genere non mi sembra sostanzialmente sbagliata, ma può nascondere qualche equivoco. Per esempio, anche se elezione e circoncisione sono concettualmente collegate, fra i due episodi intercorrono molti anni (da Genesi 12:14 a 17:10). Fra elezione e circoncisione, poi, c’è una differenza essenziale: mentre infatti l’elezione riguardò Abramo come persona (più precisamente la coppia Abramo-Sara, Genesi 17:15-21), la circoncisione riguardò l’intero suo clan maschile e fu un segno esteriore non essenziale ai fini dell’elezione e delle promesse fatte ad Abramo. L’apostolo Paolo non confondeva i vari momenti (Romani 4:9-12), ma non è facile per noi arrivare alla sua chiarezza e mantenerla.
    C’è però un fatto che, pur essendo di grande significato, viene sistematicamente ignorato (forse proprio perché è incompatibile con molte teologie): quando Abramo fu circonciso, oltre al figlio Ismaele non erede della promessa (Galati 4:22-31, Isacco non era ancora nato), furono circoncisi anche i suoi schiavi (Genesi 17:26-27). Facendo il collegamento con Genesi 14:14, si vede che gli schiavi di Abramo non erano due o tre, ma erano centinaia e provenienti da varie nazioni (evidentemente pagane!). La sconvolgente conclusione (tanto sconvolgente che non se ne sente parlare) è che la prima comunità di circoncisi, cioè la prima “sinagoga” fondata da Abramo era tutt’altro che su base razziale.
    Siccome molti insistono nel dire che, mentre l’ebraismo era nazionale il cristianesimo è divenuto internazionale, allora si capisce come sorvolino su episodi di questo genere. Non risolvono nulla, però, perché questa origine internazionale ed interetnica l’ebraismo se la porterà sempre dietro (abbiamo poco sopra considerato quanto avvenne a Pentecoste). Accenniamo solo a qualche fatto più rilevante.
    Dall’Egitto, per esempio, non uscirono solo Ebrei, perché insieme a loro c’era «una folla di gente di ogni specie» (Esodo 12:38). La legge di Mosè ammise poi questa presenza di stranieri, i quali godevano della parità giuridica con gli Ebrei (Numeri 15:15); essi erano liberi di farsi circoncidere e così essere ammessi a celebrare la Pasqua (Levitico 12:48), oppure rimanere incirconcisi e avere solo un atteggiamento di rispetto verso la religione degli ospitanti, osservandone alcune norme fondamentali (Levitico 17:12; Numeri 15:32-36). Queste caratteristiche della legge di Mosè gettano una luce particolare su Atti 15, quando i cristiani non circoncisi vengono ammessi fra i cristiani circoncisi non superando Mosè, ma applicandolo!
    Certo, gli Ebrei del tempo di Gesù avevano in parte perduto (ma solo in parte) la loro vocazione internazionale. Quando però Gesù apre ai Samaritani (Luca 10:25-37; 17:15-18; Giovanni 4) e rifiuta l’atteggiamento di “solidarietà paesana” implicito in quelli di Nazaret (Luca 4:23-28), Gesù non opera come un innovatore, ma come un restauratore (infatti a Nazaret si giustifica citando episodi dell’Antico Testamento).
    Quelli però che partono da presupposti sostanzialmente evoluzionisti e antiebraici, non si lasciano persuadere, né da queste considerazioni, né da mille altre: convinti che, siccome il NT viene dopo e siccome gli Ebrei sono spiritualmente inferiori, allora il NT deve per forza essere “più evoluto”.



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    00 02/11/2009 19:08
    C. Una concezione “a cerchi concentrici”.

    Già con Abramo, per concludere, si delinea una concezione “concentrica e sfumata” del popolo di Dio.
    1. La parte più interna e essenziale era costituita da una linea genealogica (etnica) che partiva da Abramo e Sara, per poi seguire la discendenza maschile passante per Isacco e poi per Giacobbe (detto anche Israele), dopo il quale si aprirà a ventaglio nei suoi 12 figli (le 12 tribù d’Israele). È la linea etnica che era titolare delle promesse fatte ad Abramo. All’interno di questo gruppo si evidenzierà in seguito una “linea regale” alla quale spettava il comando politico e che, partendo da Davide, finisce con Cristo, non a caso definito subito come “Figlio di Davide, Figlio di Abramo” (Matteo 1:1). Insomma Cristo (e non poteva essere diversamente) è in sostanza “il centro del centro”.
    2. Intorno alla parte etnica si collocavano gli altri circoncisi, che godevano di parità con gli altri sul piano religioso e che facevano pienamente parte del “popolo di Dio”, in quanto “innestati” nella discendenza di Abramo.
    3. L’ebraismo però non era una setta, cioè non si riteneva detentore in esclusiva della salvezza, ma doveva piuttosto farsene carico. Perciò rispettava anche i non circoncisi che si trovano nel suo mezzo, verso i quali non era ammesso avere una legislazione discriminante (ci doveva essere un’unica legge, Numeri 15:15). I non circoncisi che temevano Dio potevano anche elevare una preghiera che Dio ascoltava (1Re 8:41-43) e la presenza di veri adoratori al di fuori di Abramo è ben evidenziata dal sacerdote Melchisedec (Genesi 14:18-21). Naaman e la regina di Seba appartenevano a questo gruppo (1Re 10; 2Re 5).
    4. Nemmeno i pagani erano del tutto esterni, perché erano pur sempre immagine di Dio e tutti gli uomini sono fratelli in Adamo. A loro poi Dio era legato dal patto di benevolenza fatto con Noè e con i suoi discendenti (Genesi 8:21 a 9:17): il successivo patto con Abramo è integrativo, non aggiuntivo di quello già fatto con Noè. I profeti avevano coscienza di questa signoria universale di Dio e, quando erano nelle corti pagane, non pensavano certo di trovarsi in territorio estraneo (2Re 8:7ss; Daniele 2); profetizzavano infatti non solo riguardo ad Israele, ma anche sui popoli all’intorno (per es. Ezechiele 25-29). Paolo era ben cosciente di questa signoria universale di Dio ed ai pagani di Listra disse che era stato Dio a dar loro cibo in abbondanza e letizia nei loro cuori (Atti 14:17).

    Certi teologi restringono la nozione di Israele alla sola parte etnica e così si preparano il terreno per poi esaltare le grandi aperture e novità del cristianesimo. Se invece si ha una corretta visione di Israele, allora le aperture cristiane risultano essere una formulazione nuova delle antiche aperture israelitiche!



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    00 13/11/2009 18:13
    Dialogo fra Fernando De Angelis e Irene Bitassi

    Caro Fernando De Angelis, (10/11/09)
    Ho riletto con calma ed attenzione lo studio su Abramo che hai mandato e l’ho trovato molto interessante. La parte che più mi ha colpito è quella sulle genealogie e sugli anni in cui hanno convissuto le varie persone. In effetti le genealogie, più che inutili, sono inutilizzate. Anzi, devo confessare che qualche settimana fa leggevo velocemente (come solitamente si fa) proprio le genealogie di Genesi e avevo pensato che sarebbe stato interessante fare alcuni conti sulla vita di queste persone, poi per pigrizia ho lasciato perdere! A volte, si rischia di costruire dei castelli in aria sui versetti biblici, mentre cose interessantissime saltano fuori leggendo con attenzione quello che sembra più semplice e banale.
    Adamo ha convissuto con Lamec, Lamec con Noè, Noè con Abramo: tra Adamo e Abramo bastano due testimoni a fare da ponte (in realtà poi c'erano anche tutti gli altri). Non è una considerazione da poco. Anche perché spiega molto sulla nascita dei primi capitoli della Genesi. Mosè (naturalmente ispirato) selezionò una serie di tradizioni orali. Il rischio di alterazione da un passaggio all'altro poteva essere forte (come nel gioco del telefono), ma dai tuoi conti viene fuori che i racconti dell'epoca prediluviana non avevano bisogno di passare per tantissime persone, questo spiega come mai ve ne era una memoria così precisa.
    Fra l'altro una volta avevo letto un libro di un archeologo non credente, il quale sostiene che gli dèi greci e romani erano ricordi alterati e divinizzazioni dei primi uomini descritti nella Bibbia (ad es., Bacco, non solo dio del vino, ma spesso rappresentato solo su una barca in mezzo ad un oceano sconfinato, sarebbe un antico ricordo di Noè). Vite così lunghe e la presenza di giganti avevano forse affascinato i narratori che poi hanno man mano pensato di dare più "sapore" al racconto, alterandolo? Alterazioni di questo genere spiegherebbero perché nella cultura classica si trova sia un dio superiore che forgia la materia e l'ordine (divenuto poi il motore immobile di Aristotele e il demiurgo di Platone, che tanto danno hanno fatto successivamente sul pensiero cristiano), sia questi dèi capricciosi e immorali che però sono sottoposti al fato. Mi chiedo se anche in Genesi 6:4, dove si parla degli "uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi", si accenni al proliferare ormai incontrollato di questi racconti deformati presso i popoli pagani.
    Per tornare alle genealogie, un'altra cosa che mi sono sempre chiesta, leggendo come si accorcia la vita dell'uomo nelle nuove condizioni in cui si trova la terra dopo il diluvio, è quale shock deve essere stato per Noè e i suoi figli vedere la differenza di vita media. Questa impressione mi viene rafforzata dai tuoi calcoli. Sem vede morire di morte naturale Abramo (naturalmente non nel senso che fosse presente al momento del decesso), cioè uno che sta nove generazioni sotto di lui. Mi chiedo quali considerazioni e quale rimpianto per ciò che era stato perso a causa della malvagità deve aver maturato in quei secoli, come gli deve essere sembrata fragile la nuova condizione umana (anche se noi ci metteremmo la firma a morire a 175 anni!). Mi viene però da considerare che visto i danni che siamo riusciti a fare sul pianeta con un'esistenza più breve e insicura, il provvedimento di Dio di creare delle condizioni di vita più precarie è stato forse teso ad evitare una catastrofe maggiore di quella del diluvio.
    Comunque, devo dire che la tua analisi spiega molto bene la prontezza con la quale Abramo, quando viene chiamato, segue Dio verso la terra promessa. Abramo non pensa di avere le traveggole quando gli parla un Dio sconosciuto, semplicemente perché non si trattava di un Dio sconosciuto e Abramo aveva già una storia di fede alle spalle (se non privata, almeno comunitaria). Se Abramo non avesse già avuto una conoscenza almeno parziale di Dio il suo, più che un atto di fede, sarebbe stato un atto di follia, perché avrebbe seguito una voce, non una Persona.
    Nella mail dici che vuoi fare una dispensa su questi studi, nel senso di impaginarla come Proiezioni Culturali? Ciao! Irene Bitassi.


    Risposta del Prof. Fernando De Angelis:

    Cara Irene, (11/11/09)
    grazie per la tue considerazioni, sulle quali non credo che sia necessario un mio commento. Chiarisco solo la questione dispense, che non penso di impaginare come fatto in precedenza e con la tua preziosa collaborazione, perché spero che possa venirne fuori presto un libro (a fine 2010?). Ora lascio tutto in formato A4, ma ho riunito in un unico file gli studi sulla Sana dottrina, su Melchisedec, sulle Profezie e su Abramo, aggiungendo una copertina, una breve premessa e un Indice generale, mettendo questo file a disposizione di chi lo desidera. Fernando.




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    00 13/11/2009 18:18
    Dialogo fra Fernando De Angelis e Luca Ciotta

    Caro fratello Fernando, (30/10/09)
    ti scrivo dopo aver letto e apprezzato il primo paragrafo su Gesù Figlio di Abramo e vorrei il tuo parere su alcune mie considerazioni.
    1. Abramo è anche il “padre dei circoncisi (e degli incirconcisi) che credono, al quale la fede venne contata come giustizia” (Romani 4:11). É corretto affermare che Gesù, poiché figlio di Abramo, è parte della linea dei “graditi a Dio” in quanto credenti in Lui? Non so se Matteo aveva in mente specificamente quest’altro aspetto quando ne parlò evidenziando “Gesù quale figlio di Abramo” – in effetti ne parla l’apostolo Paolo, pur non facendo riferimento diretto a Gesù quale figlio di Abramo nel capitolo 4 di Romani (il brano vuole piuttosto dimostrare che tutti i credenti sono giustificati per grazia mediante la fede).
    2. É corretto affermare che Gesù, a dodici anni, visse la sua Bar Mitzvah (Luca 2:41-52) e quindi la sua risposta è in questo senso “non arrogante” (“Perché mi cercate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” – Luca 2:49)? In effetti nella Bar Mitzvah l’adolescente diveniva di fatto responsabile nei confronti della sua comunità e – in qualche maniera – passava dal padre terreno a Dio. In effetti, Luca ci dice che da quel tempo in poi – nel rapporto con i suoi genitori – “stava loro sottomesso” (v. 51), quindi non era ribelle, ma allo stesso tempo non “ubbidiva” a Giuseppe e Maria, come se fosse rimasto bambino. Ubbidiva a Dio ed era sottomesso ai suoi genitori.
    3. Interessante affermazione su Isaia 61: il brano per i Giudei in effetti era da attendersi nella sua totalità. Mi viene da pensare – correggimi se sbaglio – che se Israele non avesse reietto il Messia Gesù probabilmente l’intera profezia del citato Isaia non avrebbe tardato ad adempiersi. Da “gentile” sono però grato a Dio, perché in questa maniera noi credenti, provenienti dal paganesimo, siamo stati innestati nell’ulivo “domestico”, che è e rimane Israele. Dobbiamo perciò, come ordina l’apostolo Paolo, esser riconoscenti a Dio per la sua bontà, non insuperbendoci (Romani 11:20-24). Attendiamo inoltre con impazienza la riammissione d’Israele che causerà la resurrezione dai morti (Romani 11:15). Tuo in Cristo. Luca Ciotta.


    Risposta del Prof. Fernado De Angelis:

    Caro Luca, (11/11/09)
    Grazie per la tua partecipazione attiva al dialogo ed ho letto con attenzione il tuo scritto, al quale rispondo sinteticamente e suddividendo anch’io per punti.
    1. Certo, il rapporto di Gesù col Padre dipendeva anche dal fatto che Gesù era “Figlio di Abramo” e doveva perciò realizzare le promesse fatte al progenitore. Evidentemente, però, gli aspetti più importanti della relazione fra Gesù e il Padre erano dovuti ad altro (per es. al fatto che il Padre aveva realizzato la stessa creazione per mezzo di Gesù, Giovanni 1:3; Colossesi 1:16).
    2. Comincio con una considerazione sulla quale non sono documentato, ma quanto scrivi mi sembra improbabile perché la Bar Mitzvah (cioè il passaggio da bambino a “figlio della Legge”, cioè a persona adulta di religione ebraica) credo che fosse una cerimonia tipicamente famigliare. C’è però un’altra motivazione che ho già scritta da qualche parte e che penso spieghi meglio il comportamento di Gesù in quel caso ed è il particolare attaccamento di Gesù per il Tempio, un attaccamento così forte che per ben tre volte rende il suo comportamento incomprensibile a chi gli sta vicino: quando aveva 12 anni, quando rovescia i tavoli dei mercanti e quando afferma “distruggete questo Tempio ed in tre giorni lo farò risorgere” (Marco 11:15-18; Giov. 2:13-22).
    3. Sulle profezie c’è un altro mio studio nel quale affermo che sostanzialmente l’AT non ha vere profezie su Gesù, nel senso che sono tutte chiare dopo ed a quello studio rimando.
    Certo, da Cornelio in poi, l’ingresso dei pagani nel popolo di Dio è stato reso più facile e più sicuro, ma non è che prima ciò non fosse possibile o che i pagani non potessero rivolgere le loro preghiere al Dio d’Israele (vedere par. 4/B), perché anche i pagani erano figli di Noè (cfr. studio su Melchisedec); recentemente Sara Corazza mi ha fatto notare Amos 9:7, dove Dio arriva a dire: «Non siete forse per me come i figli degli Etiopi, o figli d’Israele?». Fernando.



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